Di lama e d'ocarina: Storie di tango
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Anteprima del libro
Di lama e d'ocarina - Francesco Scarrone
BANDINI
Introduzione
Questa è una storia che nasce un poʼ di anni fa a Mondovì, in provincia di Buenos Aires.
Cʼera un trio di tango che in realtà erano in quattro. Cʼerano due ballerini che in effetti erano due. Cʼerano due attori che però erano tre. Cʼera molta confusione. E sopratutto mancavano i brani.
Per questo mi dissero: Niño, te la senti di scriverli?
E quando nel mondo del tango qualcuno ti chiama Niño non è che puoi rispondere di no.
Il mondo del tango: ho usato questa espressione non a caso. Perché bisogna spiegare, a chi non lo sapesse, che il tango è musica; ma non è solo musica. Il tango è un modo di vivere. Un modo di sentire la vita. Un modo di guardare. Una maniera di camminare. Il tango è un profumo, è il fumo di una sigaretta, è una luce che taglia in due una stanza buia. E poi è la passione travolgente, lʼamore disperato. Il tango è quella musica struggente e meravigliosa, è il ballo. E il ballo, a sua volta, è una metafora così pregnante della vita che meriterebbe un discorso tutto a sé.
Sì. Il tango è un mondo. Anzi, è il mondo, ma vissuto e non lasciato vivere.
Quando finii e presentai i brani nessuno mi piantò un coltello nel fianco, sintomo che avevano apprezzato.
Così lo spettacolo cominciò a girare, e dopo anni, capita ancora di vederlo in qualche dove. Di questo devo ringraziare sopratutto il trio MaMaGré, che continua instancabilmente a suonare nonostante lʼetà che avanza, e le attrici Marlen Pizzo ed Elena Griseri, che continuano a dar voce alle mie parole.
Una precisazione, poi, mi sembra doverosa per scacciare dubbi e incomprensioni nel possibile lettore. Si troverà, nel testo, il termine milonga utilizzato tanto per indicare un luogo quanto una musica. Non si tratta di un errore. Per vezzo capriccioso del tango, infatti, la milonga è al contempo uno dei tre generi in cui il tango stesso si suddivide (gli altri due sono il tango – per lʼappunto – e il vals) nonché il luogo in cui vengono suonati. Una sorta di balera, insomma. Solo che nella milonga si rischia un amore o una coltellata ad ogni nota.
Non dite che non vi avevo poi avvisato.
F.S.
Il più gran tanguero della Pampa
Diego Alvaro de Marenquio Manasero y Gregorio era il più gran tanguero dell’intera Pampa. Non che ci volesse chissà che; all’epoca nella Pampa abitavano dodici persone, e di queste solo tre sapevano suonare uno strumento musicale. Tutte e tre l’ocarina.
Bisogna però dire, per completezza di cronaca e soggettiva obiettività, che Diego Alvaro de Marenquio Manasero y Gregorio sarebbe stato il più gran tanguero della Pampa anche se di abitanti ce ne fossero stati tredici o quattordici. A meno che questi ultimi arrivati ovviamente non avessero saputo suonare un qualche strumento.
Ma anche così, ciò che li avrebbe comunque fregati sarebbe stato lo scoprire, con una nota di stupore, che il tango è qualcosa di più della semplice musica del tango.
Il tango è un modo di vivere, ma ancor più è un modo di morire. Il tango è un modo di morire tragicamente, o di vivere, soffrendo terribilmente.
E dato che a morire tragicamente Diego Alvaro non era ancora riuscito, decise che avrebbe vissuto soffrendo, terribilmente.
Il che è difficilissimo quando si ha un carattere come il suo portato all’irrimediabile ottimismo. Gli rubavano le mucche? – Beh, – diceva Diego Alvaro – va già bene che mi hanno lasciato le pecore –. Gli rubavano le pecore? – Beh, – ripeteva Diego Alvaro – ho ancora il mio cavallo! – Poi il cavallo gli moriva stroncato da un febbrone da cavallo: – Ho sempre i miei pesos risparmiati nella banca della Pampa! – si consolava Diego Alvaro. La banca veniva rapinata? A lui rimaneva sempre il verde dell’erba alta, e il blu che amava del cielo quando alto splende il sole. E pure quando qualcuno, ogni giorno, gli portava via il sole, lui si metteva lì, e amava la notte: suonava tango d’ocarina al silenzio delle stelle.
– Ma non è così che potrai diventare un grande tanguero –, gli disse un giorno un chitarrista che arrivava da Buenos Aires. – Un tanguero deve portare un’ombra sul volto, un cerotto sul cuore, e una pallina sempre in tasca –. Detto ciò, cadde morto con la faccia nel piatto di stufato di muflone patagueño e Diego Alvaro de Marenquio Manasero y Gregorio restò interdetto. Si domandava cosa mai se ne facesse un tanguero di una pallina in tasca.
Certo che se avesse ancora potuto parlare, quel chitarrista di Buenos Aires gli avrebbe spiegato (ma non fece in tempo) che affinché un uomo possa essere