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Inafferrabile preda
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E-book222 pagine3 ore

Inafferrabile preda

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Info su questo ebook

Inghilterra, 1826
Silver, la più giovane delle sorelle Meredith, è anche l'unica che non si è ancora sposata. A diciotto anni compiuti, e avendo già debuttato in società, la sua indole ribelle non è ancora stata domata, così la madre insiste per maritarla con Hugo Robinson, figlio di una sua cara amica. Mentre il corteggiamento di Hugo, che Silver detesta, si fa sempre più insistente e spregiudicato, la fanciulla rivede Adam Townsend, un marchese libertino la cui corte aveva sdegnosamente rifiutato tempo addietro. Ogni incontro tra loro è fonte di nuove liti e ulteriori malintesi, ma la rinnovata frequentazione si fa via via più intensa, al punto che fra i due nasce una innegabile attrazione.
LinguaItaliano
Data di uscita11 mag 2020
ISBN9788830514256
Inafferrabile preda
Autore

Mary Brendan

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Inafferrabile preda - Mary Brendan

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    The Rake and the Rebel

    Harlequin Mills & Boon Historical Romance

    © 2005 Mary Brendan

    Traduzione di Marina Boagno

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2005 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3051-425-6

    Prologo

    Autunno 1825

    «Se credi di ammansirmi facendomi dondolare davanti al naso una coppia di fagiani, ti sbagli di grosso!»

    La reazione di Silver Meredith all’ingratitudine di sua madre fu un sorriso malizioso che le si allargò sulla bella bocca generosa. Da dietro la schiena tirò fuori ulteriori prove della sua proficua mattinata di caccia, ma senza ottenere risultati migliori.

    «E quella lepre farà contenta la cuoca più di me. Portala a lei» ordinò Gloria Meredith.

    «È quello che farò» replicò Silver, ben contenta di cogliere l’occasione per cercare di svignarsela.

    Non si era allontanata di più che un paio di passi quando la voce di sua madre la fermò.

    «Quando ti sarai liberata di quei cadaveri in dispensa, torna qui, perché devo parlarti con urgenza di questa sera.» Gloria Meredith fissò sulla figlia minore uno sguardo determinato. Vedendo il suo cipiglio, continuò, severa: «Puoi fare il broncio quanto vuoi, signorina, ma andremo a cena dai Robinson, e ci verrai anche tu!».

    Sylvie percorse rabbiosamente i corridoi di Windrush, la dimora di famiglia, per tornare all’aperto, all’aria frizzante del mattino, ravviandosi i riccioli biondi dal viso arrossato per la frustrazione e borbottando fra sé, diretta al cortile delle scuderie.

    Un estraneo, probabilmente, si sarebbe scandalizzato alla vista di una giovane donna dalle curve voluttuose andarsene in giro con le lunghe gambe inguainate in un paio di calzoni di cuoio. E probabilmente avrebbe spalancato gli occhi davanti al fucile da caccia che portava sulla spalla delicata. Invece i due uomini che la osservarono avvicinarsi, non videro nulla di insolito, poiché la conoscevano troppo bene.

    Edgar Meredith, avvertendo il malumore della figlia, consegnò al suo giovane compagno la selvaggina che aveva riposto nel carniere e, borbottando un saluto a entrambi, si affrettò ad allontanarsi in cerca della comodità del proprio studio e di una fiutata di tabacco mattutina.

    Il gentiluomo rimasto aveva appena tolto la sella a una giumenta roana. Si avvicinò lentamente alla bellissima ragazza imbronciata. «Te l’avevo detto che saresti stata costretta ad andare, stasera» sospirò con aria sconfitta.

    Silver scosse la testa, disgustata, e si mise le mani sui fianchi.

    «Devi dire ai tuoi perché non vuoi andarci» esclamò il giovanotto, agitato. Per un tipo dal fisico così robusto, la sua voce suonava curiosamente debole.

    «Non ha importanza» brontolò Silver, con un gesto noncurante. «Posso cavarmela con quel malvagio prepotente! Se dovesse tentare ancora di mettermi le mani addosso, avrà ancora più graffi e lividi, stavolta. E sarà costretto a dare qualche spiegazione ai suoi!»

    «Devi dire a tuo padre quello che ti ha fatto» insistette il suo compagno.

    «No!» scattò lei. «Papà non sta abbastanza bene per doversi preoccupare anche di questo. E tu non devi dire niente a nessuno. A nessuno!» Afferrò il braccio muscoloso dell’amico e lo strinse con forza, mentre lui abbassava gli occhi. «John Vance, promettimi che non dirai una parola.»

    John si limitò ad annuire e tornò al cavallo, cominciando a strigliarne i fianchi robusti.

    «Avresti dovuto lasciar fare a me. Gli avrei dato ciò che merita.»

    «No! È quello che vuole» ribatté Silver. «Vuole provocarti, in modo da avere una buona scusa per picchiarti a sangue, stavolta.»

    Era un’allusione a un certo incidente che fece salire il sangue al viso di John. Si vergognava di sentirsi rammentare l’occasione in cui Hugo Robinson l’aveva messo al tappeto, facendogli perdere conoscenza, e poi prendendolo a calci senza pietà mentre giaceva impotente a terra.

    Silver lo strinse in un abbraccio spontaneo, affettuoso. «Hai pensato al mio suggerimento... alla mia perfetta soluzione per i nostri problemi?»

    John si sottrasse alle sue braccia, a occhi bassi. Spinse da parte con il piede la sella di cuoio che aveva posato a terra, poi raccolse le prede abbattute durante la loro caccia mattutina.

    «Non è giusto. I tuoi sarebbero furiosi. Perfino tuo padre si arrabbierebbe con te... e con me... se lo facessimo. Sai bene che tutti direbbero che non sono alla tua altezza.»

    «Sta a me decidere chi è abbastanza per me! Sceglierò io l’uomo che sposerò!» Sylvie sottolineò l’affermazione pestando a terra il piccolo piede calzato dallo stivale. «Siamo amici fin da quando eravamo bambini, e i miei non hanno mai sollevato obiezioni. Davanti al fatto compiuto, la gente non potrà fare altro che accettarlo. La mamma sa che non mi adatterò mai a sposare un noioso agghindato. Quando ho fatto il mio debutto in società, le ho detto chiaro e tondo che preferivo rimanere zitella a vita piuttosto che essere sposata con uno sciocco chiacchierone! Ma se tu non vuoi sposarmi... be’, allora non c’è altro da dire sull’argomento.»

    «Non è questo» affermò John, afferrandole il braccio per costringerla a voltarsi.

    Silver si girò di scatto, e in quel movimento i capelli sfuggirono al nastro e le ricaddero attorno alle spalle in una cortina perlacea. Rivolse a John un sorriso trionfante.

    «Sai che ti voglio bene più che a chiunque altro... perfino più che alla mia famiglia» dichiarò lui con enfasi. «E sei più bella di qualunque ragazza che abbia mai visto.»

    Silver arrossì, imbarazzata, e fece con la mano un gesto noncurante. «Non c’è bisogno che tu mi faccia dei complimenti come un innamorato! Siamo amici!» Si sollevò sulla punta dei piedi e lo baciò sulla guancia, prima di continuare, con uno scintillio negli occhi: «Hai ragione. Ci saranno prediche e obiezioni. Ma un fait accompli non ammetterà un rifiuto. Perciò... dobbiamo fuggire e sposarci in segreto, ed è tempo di cominciare a studiare un piano...».

    1

    Primavera 1826

    «Vestitevi e lasciate questo covo di pulci!»

    Il gentiluomo alto, dai capelli scuri, aveva parlato in tono spassionato, osservando freddamente le lenzuola stazzonate e i corpi intrecciati, paralizzati dalla sorpresa.

    Un secco sorriso gli sollevò appena un angolo della bocca, mentre girava sui tacchi con l’evidente intenzione di uscire dalla camera da letto di quella taverna situata a un’irritante distanza da Londra, sulla Great North Road.

    La donna bruna a cui aveva parlato in tono così sprezzante si districò dalle coperte e dal suo biondo amante, e si mise a sedere sul letto.

    «Siete così falsamente virtuoso, Rockingham, da darmi la nausea! Avete avuto più donne di quante possa contarne, eppure volete negare a me un po’ di divertimento! Come osate guardarmi come se non fossi nient’altro che fango sotto le vostre scarpe?»

    L’intruso si era fermato sulla porta, dalla quale, poco prima, era entrato nella stanza senza essere visto, e posò uno sguardo indolente sui seni bianchi che si sollevavano a ogni respiro rapido, disgustato dalla donna. Lei si coprì furiosamente con il lenzuolo.

    «Quest’ultima scappatella è stata una grossa seccatura per me, Theresa. Vi consiglio di tenere a freno la lingua. Ho cose molto più importanti da fare per occupare il mio tempo che fare il giro delle topaie in cui è probabile che vi trovi a fornicare.»

    Spostò lo sguardo, inducendo l’amante, visibilmente nervoso, a mettere giù i piedi dal letto, ad afferrare rapidamente i calzoni e infilarvisi dentro.

    «Theresa ha ragione, sapete?» ringhiò, abbottonandoseli. «Se non foste un maledetto ipocrita, Adam, potrei sentirmi molto peggio per essermi fatto trovare in questa situazione.»

    «Non si sta immischiando perché gliene importi qualcosa! La sua sola preoccupazione è proteggere i sentimenti della sua cara madre e il buon nome della famiglia. Che ridicola farsa! I Townsend sono sempre stati dei libertini incalliti, e lo sanno tutti!»

    «È vero che a mia madre non va di avere per nuora una sgualdrina. E chi potrebbe rimproverarglielo? Tornate da vostra moglie, Sheldon, prima che dimentichi che un tempo eravamo amici.»

    Tobias Sheldon agguantò la giacca, scoprendo una tozza pistola che era posata sulla stessa sedia. Inconsciamente, soppesò l’arma sul palmo della mano.

    «Se volete usarla, usatela» lo invitò Adam Townsend a bassa voce. «Ma per proteggere entrambe le nostre famiglie dallo scandalo, suggerirei un incontro più discreto. Io troverò il posto adatto. Voi potete avere la scelta delle armi.»

    Tobias scoccò uno sguardo alla sua amante. Poi, a occhi bassi, si ficcò la pistola in tasca.

    «Molto saggio» ironizzò Adam con un mezzo sorriso. «Non ne vale la pena per lei, vero?»

    Pochi minuti dopo, i passi affrettati dell’uomo risuonarono sulle scale.

    La donna strinse le labbra, indignata per essere stata abbandonata. Spinta dalla frustrazione, tirò fuori da sotto il letto un elegante stivaletto e lo scagliò verso Adam.

    Lui lo scansò facendo un passo di lato e lo guardò sbattere contro la porta, limitandosi a sollevare un sopracciglio scuro. Quell’indifferenza spinse Theresa a balzare dal letto con un grido selvaggio e ad aggredirlo cercando di graffiargli la faccia.

    Adam l’afferrò per impedirglielo, ma nel momento in cui i movimenti della donna per divincolarsi divennero più sensuali la prese per le spalle nude e la respinse così bruscamente da farla barcollare verso il letto.

    «Vestitevi, Theresa. Vi aspetterò giù per non più di dieci minuti.»

    «Dieci minuti?» scattò lei, mettendosi le mani sui fianchi in una posa provocante e rivolgendo uno sguardo teatrale alla costosa biancheria ammucchiata su un rustico sgabello. «Vi aspettate che possano bastare a rendermi decente?»

    «Niente affatto, mia cara» replicò lui amabilmente. «Penso che non basterebbero neppure dieci anni. Mettetevi i vestiti e risparmiate il broncio per il viaggio di ritorno. Sheldon se n’è andato, ormai, e ha portato con sé il suo denaro, perciò o fate come vi ho detto, o dovrete arrangiarvi a pagare il conto voi stessa e a tornare a casa con i vostri mezzi.»

    Chiuse la porta e una secca risata gli raschiò la gola quando sentì il tonfo provocato dal secondo stivaletto.

    Scese le scale seguito da una sequela di strilli e insulti decisamente creativi, alcuni dei quali, riconobbe lealmente, erano del tutto meritati.

    Al piano inferiore, nella sala del bar, Adam Townsend, marchese di Rockingham, ordinò un brandy, sedette vicino alla finestra e, guardando fuori nell’oscurità, notò Tobias Sheldon che, alla debole luce di una lampada a olio, parlava col mozzo di stalla che gli aveva appena portato la sua carrozza.

    Osservò la sua partenza con un senso di tristezza. Un tempo aveva avuto simpatia per Sheldon. Ora la loro amicizia era rovinata a causa di quella sgualdrina che si stava vestendo al piano di sopra.

    D’altronde, Theresa Montague, come si chiamava prima del matrimonio, sapeva essere persuasiva...

    Dio, come desiderava non avere ceduto al suo velenoso fascino! Perché era grazie a lui che adesso faceva parte della sua famiglia, godendo a distruggerla.

    Si appoggiò all’indietro sulla scomoda sedia di legno e si chiese pigramente se valesse la pena di cercare un posto un po’ più intimo per passare il tempo fino a quando Theresa si fosse degnata di scendere.

    Sapeva che ci sarebbe voluta più di un’ora. Probabilmente, la sua intenzione era di metterci tanto da indurlo a salire le scale per andare a prenderla.

    Tirò fuori l’orologio e guardò con irritazione il cortile della taverna. Erano le sei e mezzo, cadeva una pioggerella gelida e stava scendendo l’oscurità. Sarebbe stato più saggio rimandare la partenza al mattino seguente. Entro breve sarebbe stato buio pesto e l’idea di un viaggio notturno non gli andava affatto, così come l’eventualità di dover affrontare dei ladri di strada oltre che quell’arpia scatenata.

    Serrò le labbra. Aveva già avuto una giornata movimentata ed era seriamente tentato di noleggiare una carrozza e un cocchiere per Theresa, in modo da poter viaggiare in beata solitudine nella propria.

    Lei avrebbe accolto la proposta con lacrime e proteste, ma lui aveva un disperato bisogno di rimanere solo con se stesso e i sensi di colpa che, ancora una volta, imperversavano nella sua mente.

    Con un sospiro guardò di nuovo nell’oscurità. Il bicchiere di brandy che si stava portando alle labbra rimase sospeso a mezz’aria e sul viso gli comparve un’espressione di puro sbalordimento. Ripulì con le lunghe dita aristocratiche un cerchio sul vetro grigio e polveroso per guardare meglio, cercando di convincersi che la giovane donna a cui un tempo aveva chiesto di sposarlo era effettivamente là nel cortile, sotto la pioggia, con i capelli luminosi incollati alla testa.

    Scolò il bicchiere e si alzò.

    Silver passò le dita sulla lucente carrozza, corrugando le sopracciglia. Era il tipo di veicolo che un tempo le aveva fatto la più grande impressione. Con così poca luce, era difficile stabilire se era nera, oppure di un blu o magari di un verde scuro, ma la splendida pariglia sembrava familiare. Era il genere di lussuoso mezzo di trasporto preferito dai gentiluomini del ton che amavano apparire eleganti anche mentre viaggiavano a grande velocità.

    Un tempo aveva supplicato di poter salire su una carrozza proprio come quella. Il gentiluomo che ne era proprietario aveva ignorato la sua richiesta, e a volte questo la irritava ancora... anche se raramente, s’intende, perché non indugiava mai su quel ricordo.

    «Volete ancora fare un giro sulla mia carrozza?»

    Silver si voltò di scatto, sussultando a quell’offerta formulata in tono ironico da una bassa, seducente voce baritonale.

    Piegò la testa all’indietro, ricordando, un po’ tardi, di calcarsi sui capelli biondo platino il cappello che, trattenuto dai nastri, le penzolava sulla schiena. Un paio di occhi scuri, caldi e scintillanti di divertimento, incontrarono il suo sguardo stupito.

    «Lord Malvern... Io... ecco... che cosa ci fate voi qui?» ansimò Silver.

    Il misto di irritazione e di accusa del suo tono non sfuggì ad Adam. Assunse un’aria offesa e ribatté: «Stavo per farvi la stessa domanda, miss Meredith». Seguendo il suo esempio, si guardò attorno, come per scoprire con chi viaggiava, poiché non poteva certo essere giunta sola in una simile locanda. «Immagino che dovrei essere lusingato che mi abbiate riconosciuto. È passato un bel po’ di tempo. Più di due anni, vero?, da quando...» Lasciò la frase in sospeso e le scoccò una lunga occhiata. «Mi pare che la nostra ultima conversazione si sia conclusa con il vostro desiderio di non vedermi o parlarmi mai più. Devo forse scusarmi per essermi messo sulla vostra strada?»

    Silver arrossì a quelle parole ironiche e fu grata che la pioggia e la scarsa luce l’aiutassero a nasconderlo. «Ero molto più giovane, allora, signore... e parlavo senza riflettere e con troppa franchezza, a volte.»

    «E adesso?»

    Il sorriso ironico di Adam si accentuò. Lei sollevò immediatamente il mento di fronte al suo sarcasmo.

    A sedici anni era stata innegabilmente ingenua e impetuosa. Ricordava anche di essere stata piuttosto villana, quando aveva declinato la proposta di matrimonio di quel gentiluomo.

    Adam scrutò il viso di delicata bellezza rivolto verso il suo. L’espressione era decisamente bellicosa. Per quanto incolpasse la gioventù per la sua passata mancanza di buone maniere, aveva tutta l’aria di volergliene dare un nuovo saggio. «Siete qui con vostra madre, o con una delle vostre sorelle?»

    Silver deglutì a vuoto e, dopo un attimo di esitazione, si affettò ad affermare: «Quando ci siamo parlati l’ultima volta non sono stata la sola ad essere scortese. Se ben ricordo, anche voi foste villano. Mi definiste una marmocchia irritante».

    «Ah... be’, anch’io ero molto più giovane, allora... e parlavo senza riflettere e con eccessiva franchezza. In caso contrario, non vi avrei chiesto di sposarmi.»

    Sylvie lo fissò, imprevedibilmente piccata da quella dichiarazione.

    «Non vi credo. Volevate sposarmi, eccome...» Si interruppe di fronte all’espressione di Adam e arrossì sotto il

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