Amami e basta: Harmony Destiny
Di Ann Major
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Ann Major
Nonostante sia un'autrice di successo, confessa che scrivere per lei non è affatto un'esperienza facile.
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Anteprima del libro
Amami e basta - Ann Major
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
The Bride Tamer
Silhouette Desire
© 2004 Ann Major
Traduzione di Laura Cinque
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2005 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-3052-090-5
1
Firenze, Italia
«Facciamogliela pagare!»
Quando sentì le grida della gente che lo circondava, Cash si bloccò davanti alla porta dell’auditorio che dava sul parcheggio e sull’eliporto.
Roger, il suo assistente personale, guardò da una finestra vicina la folla che si stava radunando e disse: «Là fuori sta arrivando sempre più gente. Per fortuna al giorno d’oggi nessuno porta più la spada. Penso che sarebbe meglio metterci subito a correre verso...».
«Ma cosa vogliono tutte queste persone? Hanno avuto dei mesi per abituarsi al mio stile!» lo interruppe Cash.
Cash McRay non era un codardo, ma le grida di centinaia di fiorentini arrabbiati, che minacciavano di tagliare delle parti preziose del suo corpo, lo avevano raggelato. Si sentiva come se fosse diventato un peso inamovibile e i suoi piedi avessero messo radici nel pavimento.
Le grida diventarono più forti. Maledizione! Forse avrebbe fatto meglio a mettersi in salvo. Sapeva che il design del suo museo era avveniristico, ma... «Che ironia! I cittadini di Firenze mi vogliono morto proprio nel momento in cui incomincio a sentire che posso riprendere a vivere» disse quasi fra sé. E, incapace di bloccare il ricordo che aveva tormentato tanti suoi incubi, ebbe un flash dell’adorata Susana e della piccola Sophie immobili nelle loro bare.
Roger gli posò una mano sulla spalla. «Rilassati. In fondo tutto quello che vogliono quei cannibali sei tu sopra un piatto di portata» scherzò.
Cash si voltò e Roger gli rivolse uno dei sorrisi che gli avevano fatto ottenere quel lavoro un anno prima.
«Parli troppo» borbottò Cash. «E sorridi troppo. Non ti hanno mai detto che sembri uno di quelli che reclamizzano i dentifrici?»
«Sì, tu.»
«In effetti preferirei sorridere come uno stupido che vedere i miei testicoli serviti su uno spiedino» disse Cash a denti stretti.
«Finalmente un po’ di umorismo!»
«La vita continua.»
«Soprattutto da quando ti sei imbattuto in Isabela Escobar a Città del Messico» ribatté Roger divertito, esibendo di nuovo i denti candidi come la neve. «I pettegoli dell’ufficio dicono che è una cosa seria.»
«E da cosa lo deducono?»
«Dal fatto che ti sono arrivate parecchie lettere profumate.»
Cash si sentì ribollire. Se intendeva sposare o meno Isabela erano fatti suoi. «Non potrò fare sul serio né con lei né con nessun’altra, se non mi salvi da questi scalmanati» replicò.
Roger gli aprì la porta. «Corri, ragazzo! Io ti sto alle calcagna!»
Abbassando la testa e stringendosi al petto la ventiquattrore, Cash si lanciò fuori tra le due ali di folla trattenuta a stento dai robusti uomini della sicurezza. Era l’inizio di aprile e l’aria fredda della sera lo colpì come uno schiaffo. Il parcheggio era invaso di gente e la piattaforma dell’eliporto si trovava a un centinaio di metri sulla destra, coi poliziotti che formavano una barricata umana fino alla recinzione che la circondava.
Quando alcune mani cercarono di afferrarlo, prese a correre ancora più in fretta verso l’elicottero che lo aspettava coi motori già accesi, le pale che roteavano contro il cielo violetto, schivando i microfoni tesi verso il suo viso aristocratico, abbronzato e fin troppo fotografato.
«Come ha potuto costruire una simile mostruosità futuristica in una città famosa per la sua bellezza architettonica e la sua storia?» sentì urlare alle proprie spalle.
«Egocentrico! Decostruttivista! Modernista!»
Un uomo cercò di bloccarlo, ma per fortuna due guardie lo afferrarono per le spalle e lo allontanarono di peso.
«La gloria di Firenze sta nel suo passato!»
«Il tuo museo sembra un granchio accucciato su una toilette gigantesca!»
Roger sorrise e gridò alcune risposte nel suo orrendo italiano.
«Quel miliardario di tuo padre ha dato dei soldi alle autorità per farti costruire quel progetto insensato?» gli gridò un tizio.
«Si tratta di avanguardia, signore» gli rispose con calma Roger, il sorriso candido come sempre.
Ferito dal riferimento al padre mentre saliva i primi gradini della scaletta del grosso elicottero, Cash si girò proprio mentre un sasso lo colpiva alla spalla sinistra e una mano toglieva a Roger una delle costose scarpe.
«Sali, prima che questa gente ci faccia la pelle! Sono subito dopo di te» lo sollecitò il suo assistente. Qualcuno lo afferrò per i pantaloni e lo strattonò. «Ehi! Lascia stare i miei calzoni!» intimò al suo assalitore, poi gridò a Cash: «Non sei il solo che questa gente vuole mettere sulla graticola!».
I flash dei fotografi che scattavano, finalmente i due salirono a bordo. Il pesante sportello venne chiuso e la polizia si diede da fare per allontanare definitivamente la gente dalla piattaforma.
Cash si appoggiò allo schienale del sedile, respirò a fondo e si infilò una mano in tasca per assicurarsi che la scatoletta di velluto con l’anello per Isabela fosse ancora al suo posto.
Isabela era bruna, ardente e così viva che forse avrebbe potuto fargli dimenticare la sua perdita.
Cash cercò di evocarne l’immagine, che tuttavia si sovrappose ai volti terrei di sua moglie e della loro preziosa bambina sullo sfondo dei cuscini di seta, e risentì la voce della matrigna sussurrargli all’orecchio di chiudere le loro bare.
«Tutto bene?» chiese loro col suo accento toscano il conte Leopoldo, al di sopra del rumore dell’elicottero che decollava. «Volete ancora andare a fare quella visita privata agli Uffizi?»
Cash aveva condiviso la stanza a Harvard con lui. Annuì, tornando al presente. La galleria degli Uffizi. Ogni volta che tornavano a Firenze Susana non mancava mai di andarci. Era uno dei più belli e importanti musei del mondo, ricco di arte del Rinascimento...
Voltò la testa per guardare la sua creazione al di là del finestrino. Nella luce del sole che stava morendo, da quell’angolazione sembrava davvero un gigantesco granchio accovacciato fra due telescopi gemelli. Mentre osservava le espansioni di vetro inclinate e i ponti fra i pilastri rettangolari che erano stati paragonati a delle zampe di granchio, provò il morso del dubbio. Quel museo era il primo edificio che aveva costruito dopo che era bruciata la sua casa di San Francisco, la villa che aveva progettato per Susana e che gli aveva garantito entusiasmo, notorietà e commissioni da tutto il mondo. Lui si trovava in Europa per la supervisione dei lavori di rinnovamento dell’isola di Leo, quando la villa era bruciata, facendogli perdere tutto quello che più gli importava nella vita.
L’elicottero si gettò in avanti nel cielo rosso scuro del tramonto, il rumore dei suoi motori che cancellava le grida della folla. Presto le persone per le strade sembrarono formiche e, mentre si dirigevano verso la parte più antica della città, Cash guardò i tetti di tegole rossicce, i viali, le piazze e la scura serpentina argentata dell’Arno, il famoso, imprevedibile fiume che più di una volta aveva tracimato dai suoi argini con effetti devastanti.
Be’, Firenze era sopravvissuta a disastri ben peggiori di una costruzione stravagante...
«Avevo dimenticato quanto possa essere divertente apparire come il più odiato architetto pop del mondo» disse a Leo.
«Il più controverso» lo corresse Roger. «Domani sarai su tutte le prime pagine dei giornali europei, Cash.»
«Come fai a essere così ottimista quando la gente vorrebbe linciarmi?»
«Noi italiani, o meglio, noi fiorentini, siamo degli idioti appassionati. Devi perdonarci, Cash» sorrise Leo. «Oggi ti odiamo, ma magari, fra cento anni, ti deificheremo.»
«La qual cosa farà molto bene al mio cadavere.»
«Sì, lui vorrebbe tutto e subito, conte» dichiarò Roger. «Ti comunico che hai perso il concorso per New York» disse poi a Cash. «Mi dispiace.»
Lui chinò la testa, annuì e sospirò.
La sua vena creativa aveva avuto un arresto per colpa della depressione in cui era caduto. Dopo la morte di Susana gli avevano detto tutti che deprimersi a quel modo era una pazzia, quando si avevano così tante cose per cui vivere, ma lui non era riuscito a reagire a quel torpore mortale per molto tempo. Se avessi il tuo talento, il tuo nome, la tua giovinezza... E i tuoi soldi, avevano sottinteso.
Se un uomo era ricco, tutti pensavano che avrebbe dovuto essere anche felice, ma non ne sapevano niente. I soldi, il genere di fortuna che possedeva lui, lo avevano tagliato fuori quasi da tutto, persino dalla sua stessa umanità, dalla realtà. Lui viveva dietro un muro, a volte in un isolamento totale, e si seppelliva nel lavoro. Ma il suo dolore era vero e lui aveva dei rimpianti come tutti gli altri. Aveva amato pazzamente sua moglie e sua figlia. Se avesse saputo quanto poco tempo avrebbero avuto per stare insieme, non le avrebbe lasciate tanto spesso per andare a lavorare in posti lontani.
La gente pensava che, poiché la sua fotografia compariva spesso sulle riviste, lui avesse una vita brillante. Gli diceva che un uomo come lui avrebbe potuto avere chiunque volesse e che si sarebbe risposato presto.
All’inizio lui aveva pensato che sposare un’altra donna sarebbe stato un tradimento nei confronti di Susana, ma adesso erano passati quasi tre anni e vivere di ricordi diventava sempre più difficile.
Circa due mesi prima era andato a trovare a Città del Messico Marco Escobar, il suo vecchio mentore, che aveva avuto un attacco di cuore. Isabela era entrata nella camera d’ospedale del padre, le era caduta di mano la sciarpa e, quando lui gliel’aveva raccolta, la mano di lei aveva indugiato nella sua. Gli aveva manifestato subito la sua simpatia e lui aveva provato un lampo d’interesse, il primo dacché sua moglie era morta. E aveva pensato che forse...
«Quel tuo progetto per Manhattan era fantastico, Cash, davvero» continuò Roger. «Lo hanno detto tutti, ma era troppo avanti coi tempi, come al solito. Comunque, la gente di New York non si sarebbe di sicuro messa a gridare che avrebbe voluto farti la pelle. Anche considerando che è più violenta dei fiorentini.»
«In