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I segreti per parlare e capire il linguaggio del corpo
I segreti per parlare e capire il linguaggio del corpo
I segreti per parlare e capire il linguaggio del corpo
E-book269 pagine3 ore

I segreti per parlare e capire il linguaggio del corpo

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I gesti non mentono

Vi è mai capitato di sentirvi a disagio durante una riunione di lavoro, un primo appuntamento o una festa? Non sapete come fare per lasciare il vostro fidanzato? Avete un importante colloquio e non siete in grado di gestire l’ansia? Non riuscite a iniziare un dialogo con vostro figlio?
Che si tratti di occasioni professionali, familiari o di svago, questo manuale offre consigli utili a tutti coloro che desiderano conoscere le regole fondamentali su come comportarsi nelle diverse situazioni quotidiane, attraverso la gestione e l’uso cosciente del proprio corpo. I segreti per parlare e capire il linguaggio del corpo è uno strumento in più per imparare a vivere meglio, perché spesso il corpo riesce a comunicare in maniera più efficace delle parole. Un manuale che svela tutti i trucchi della comunicazione non verbale attraverso consigli ed esempi, sviluppando la creatività, le capacità cognitive e le relazioni interpersonali. Un percorso per capire come ascoltare il proprio corpo, per entrare meglio in contatto con gli altri e per affrontare e gestire in modo più sereno la vita e le sue difficoltà.

Hanno scritto di 101 cose da sapere sul linguaggio segreto del corpo:

«Capire i gesti, il linguaggio che non mente. Quelle che fornisce l’autore […] sono indicazioni illuminanti.»
La Stampa

«È proprio vero che un gesto dice più di mille parole. E in questo libro, l’autore aiuta il lettore a capire, osservando i suoi interlocutori, se mentono o si sentono a disagio. O anche se tentano di sedurre.»
la Repubblica

Tra i temi trattati nel libro:

• Il primo appuntamento • Ci vorrebbe un amico • A tavola! • Il colloquio • Il primo giorno di lavoro • La prima riunione non si scorda mai • Parlare in pubblico • Votate per me • State calmi… se potete • Mentire è un’arte • Le bugie hanno le gambe corte • Paese che vai, gesti che trovi • La commedia degli equivoci…


Francesco Di Fant
è nato a Roma nel 1978, si è laureato in Scienze della comunicazione ed è un esperto di comunicazione non verbale e linguaggio del corpo. Consulente e formatore per anni presso grandi aziende nazionali e internazionali, insegna e pubblica articoli sulla comunicazione non verbale e collabora con diversi programmi televisivi e radiofonici. Con la Newton Compton ha pubblicato con grande successo 101 cose da sapere sul linguaggio segreto del corpo.
LinguaItaliano
Data di uscita16 dic 2013
ISBN9788854149113
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    I segreti per parlare e capire il linguaggio del corpo - Francesco Di Fant

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    Dello stesso autore:

    101 cose da sapere sul linguaggio segreto del corpo

    Prima edizione ebook: gennaio 2013

    © 2013 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-541-4911-3

    www.newtoncompton.com

    Edizione digitale a cura di geco srl

    Francesco Di Fant

    I SEGRETI PER PARLARE E CAPIRE IL LINGUAGGIO DEL CORPO

    INTRODUZIONE

    Quante volte vi siete trovati in una situazione imbarazzante senza sapere come venirne fuori? Avete mai pensato a quanto potrebbe essere comodo qualche consiglio per comportarsi al meglio in ogni occasione, con gli amici, al lavoro o in amore?

    La Comunicazione Non Verbale (CNV), per nostra fortuna, ci viene in aiuto in questo senso. Ogni situazione della vita in cui si interagisce con altre persone è come un balletto, uno spettacolo teatrale, e sapere quali passi fare e quali movimenti adottare può essere molto importante.

    I segnali del linguaggio del corpo, infatti, svolgono una funzione fondamentale nella gestione di alcune regole sociali, che definiscono diversi stili comportamentali e sequenze di eventi in contesti specifici.

    L’uomo è un animale che spesso comunica in maniera inconscia con i propri gesti; il cervello è di frequente talmente concentrato sulla parola da mettere in secondo piano il controllo del nostro corpo. Una parte della comunicazione non verbale, quindi, non è intenzionale. Ed è proprio questa sua spontaneità a darle valore, in quanto portatrice di preziose informazioni, che vanno al di là del ruolo giocato o della maschera sociale che si indossa; a dimostrazione che il Linguaggio Del Corpo (LDC) è una forma di comunicazione, che, per quanto possa essere addomesticata, è impossibile mantenere del tutto sotto controllo.

    In questo libro tratterò situazioni e argomenti diversi fra loro, affinché chiunque possa ritrovarsi in uno o più scenari descritti, così come, in fin dei conti, sono differenti i palchi che volenti o nolenti attraversiamo nelle nostre giornate. Lungi da me la volontà di stilare un nuovo galateo di comportamenti non verbali, che si tradurrebbe nella miope adesione ad alcuni atteggiamenti stereotipati e formali, perdendo così di vista l’obiettivo principale di questo libro, che è quello di dare consigli utili per affrontare in maniera appropriata e realistica diverse situazioni più o meno comuni.

    In queste pagine troverete anche consigli di natura consulenziale, ad arricchire e completare le indicazioni sulla comunicazione non verbale, che rimangono il principale obiettivo di questo libro. Le sezioni successive parleranno di amore, amicizia, tempo libero, lavoro, negoziazione e viaggi.

    La scelta di trattare diverse situazioni della vita, anche distanti tra loro, nasce dal fatto che ho potuto tracciare un fil rouge tra di esse e prendere spunto dalle mie esperienze di vita come formatore, come consulente e, soprattutto, come essere umano che osserva i suoi simili.

    Il percorso che mi ha portato a dedicare la mia carriera allo studio e all’interpretazione del linguaggio del corpo è stato lungo, ma non tortuoso.

    Sin da giovane, la mia personale esperienza con il mondo del lavoro mi ha sempre rimandato a una famosa storiella: «Ogni mattina in Africa, una gazzella si sveglia, sa che deve correre più in fretta del leone o verrà uccisa. Ogni mattina in Africa, un leone si sveglia, sa che deve correre più della gazzella, o morirà di fame. Quando il sole sorge, non importa se sei un leone o una gazzella: è meglio che cominci a correre».

    Ecco, sinceramente credo che tra il leone e la gazzella, se si aguzza lo sguardo, si possa intravedere spesso anche un consulente in giacca e cravatta, costretto a correre come un fulmine, ma allo stesso tempo a prestare attenzione a tenere il giusto passo: quel passo che consente di non perdere di vista la gazzella (l’obiettivo, il cliente) ma anche di non farsi prendere dal leone (il proprio capo o i propri limiti, fate voi). Io mi rivedo molto in quel consulente!

    Nei miei intensi anni di lavoro da formatore, ho potuto – e dovuto – apprendere e affinare diverse capacità e abilità che mi hanno permesso di entrare in contatto con realtà molto distanti tra loro; in questi diversi scenari ho potuto toccare con mano la varietà del comportamento umano e studiarne le dinamiche e le particolarità.

    Questa cassetta degli attrezzi della conoscenza mi ha permesso di portare avanti gli incarichi che mi venivano affidati, ma anche di coltivare interesse e curiosità per diverse discipline. E di apprezzare, in ultima analisi, ciò che Leonardo da Vinci rappresentava come il modello di uomo del Rinascimento: tanto attento allo studio artistico e dell’essere umano, così come a quello scientifico della natura.

    Altri eventi, come varie esperienze teatrali e la fortuna di aver vissuto e lavorato alcuni anni all’estero, hanno contribuito poi ad arricchire il mio bagaglio culturale e ad aumentare la mia curiosità verso la comunicazione, in particolare quella non verbale, con la quale mi sono dovuto necessariamente confrontare sul palcoscenico e nei miei soggiorni fuori dal Paese.

    Un ulteriore tema che ho voluto toccare all’interno di vari capitoli, è quello della vestemica (cioè dei vestiti, degli ornamenti e del trucco che utilizziamo nelle diverse circostanze quotidiane); infatti, anche la scelta del vestito contribuisce a definire con più precisione lo stato d’animo che vogliamo rappresentare e l’immagine pubblica che desideriamo comunicare.

    In realtà, la scelta del vestiario non si effettua solo la mattina davanti al guardaroba, ma, andando ad analizzare a ritroso il fenomeno dell’acquisto, riguarda già la selezione del negozio in cui si entra per comprare i vestiti che andranno a finire nell’armadio. Ancor prima di ciò va considerata l’influenza della nostra esperienza, della pubblicità e dei modelli estetici legati alla cultura; tutti fattori che ci indirizzano poi verso uno specifico negozio colmo di prodotti che riteniamo adatti per comunicare la parte di personalità – o di maschera – che vogliamo mostrare agli altri.

    Le funzioni che svolgono i vestiti sono tre. La prima è legata alla protezione e al comfort: i vestiti servono, prima di tutto, per proteggersi dal freddo o dal sole e sono pensati per agevolare, o perlomeno non limitare, i movimenti di chi li indossa; la tendenza a usare i vestiti in termini protettivi è cresciuta nel tempo, sia per motivi legati alla guerra sia per lo spirito esploratore dell’essere umano, che lo ha spinto in luoghi del pianeta sempre più ostili o diversi dal proprio.

    La seconda funzione del vestiario è legata al pudore, ossia nascondere alla vista altrui la propria zona genitale, per non mandare messaggi di natura sessuale durante le normali interazioni con altre persone: gli esseri umani, con la loro postura eretta, esporrebbero sempre tali parti del corpo, al contrario degli animali che spesso assumono una postura precisa per esibire i propri genitali. Anche influenze religiose e culturali hanno fatto sì che la primigenia foglia di fico si trasformasse, attraverso i millenni, in abiti che nascondessero più o meno le forme del corpo. L’uomo si è infatti trovato sempre più a condividere i propri spazi con individui estranei, fino al limite estremo rappresentato dalle megalopoli dei giorni d’oggi, in cui si può osservare un chiaro sovraffollamento di individui diversi e isolati tra di loro. Vi sono ovviamente grandi differenze a seconda dei secoli e delle varie culture. Basti pensare che nel passato in Inghilterra si coprivano addirittura le gambe dei tavoli e dei pianoforti quando si parlava o si suonava in pubblico; e d’altronde in molte parti del mondo vi sono donne che indossano indumenti come il velo o il burka. Così pure vi sono luoghi in cui girare in parte o del tutto nudi in pubblico può portare a conseguenze molto severe; mentre invece in altri Paesi e città non indossare alcun indumento può essere considerato bizzarro ma non perseguibile in termini punitivi.

    La terza funzione dei vestiti è esibire uno status: vestirsi in un certo modo denota infatti la propria appartenenza o affiliazione a gruppi di varia natura, religiosa, politica, sociale o militare.

    In passato si poteva anche arrivare a castigare chi si vestiva come una persona di classe superiore alla propria; questo serviva a mantenere un certo ordine sociale e a rendere veloce e facile l’identificazione di persone altolocate o di potere. Nell’Inghilterra del XV secolo, ad esempio, solo i lord potevano calzare scarpe con la punta lunga o indossare vestiti che facessero intravedere la forma dei glutei; se a farlo era una persona di rango inferiore la pena era una multa e la confisca di tali indumenti. Queste punizioni erano riservate solo a chi tentava di elevarsi con abiti non appartenenti al proprio ceto sociale, mai a chi si vestiva con costumi propri di una classe inferiore. Col tempo queste rigidità sono scomparse, considerando giusta l’umana tentazione di abbellirsi e di comunicare un’immagine di sé sempre migliore. L’essere umano è spesso pronto a indossare una maschera, specie se più bella e scintillante di quella indossata abitualmente.

    È interessante notare che molti degli indumenti che portiamo oggi, anche quelli indossati da manager e politici, sono frutto di numerose modifiche ed evoluzioni ad abiti che in passato venivano usati dai ricchi per praticare alcuni sport che definivano il loro grado sociale e di benessere. Oggi siamo sotto l’influsso di diverse e numerose mode temporanee. Comprare vestiti nuovi è un segno di benessere economico, più che una necessità; come onde che vanno e vengono, tornano anche mode del passato per comunicare agli altri la condivisione di un blocco d’ideali o parte di essi, o il piacere estetico di mode di quel periodo.

    Alla stessa stregua possiamo analizzare gli ornamenti con cui tentiamo di abbellire la nostra immagine. Molteplici e molto diverse tra loro le possibili forme d’esibizione dell’essere umano: si possono indossare monili come collane e anelli, si può adornare il proprio corpo con orecchini e piercing di varie forme e misure, si possono usare deodoranti e profumi, ci si può tagliare e tingere i capelli, così come si può colorare la propria pelle in modo temporaneo con del trucco o in modo pressoché definitivo con un tatuaggio. Quale che sia il modo di decorare il proprio corpo, le funzioni comunicative dell’ornamento possono essere diverse: si può segnalare la propria disposizione all’aggressione, il proprio atteggiamento sessuale, l’appartenenza a una cultura, il proprio stato d’animo o lo status sociale.

    Di sicuro, una distinzione può essere effettuata tra gli ornamenti temporanei e quelli definitivi. Quelli temporanei, come un capo d’abbigliamento o una collana, si possono cambiare e hanno una funzione comunicativa espressiva della personalità e dello stato d’animo. Quelli definitivi, invece, denotano il legame e la fedeltà a un gruppo o a un’idea; questo tipo di trasformazioni, come mutilazioni fisiche, cicatrici, perforazioni del corpo e tatuaggi permanenti, sono particolarmente presenti in società rigide o in gruppi di discendenza tribale. Nulla vieta però che gli ornamenti definitivi possano assumere, nel corso del tempo, la connotazione di semplice moda, come capita di vedere sempre più spesso con piercing e tatuaggi.

    Nelle società moderne solitamente ci si copre il corpo con i vestiti e si cammina con le scarpe; di conseguenza le uniche parti visibili agli altri sono la testa e le mani; per questo le donne si acconciano i capelli e si mettono lo smalto sulle unghie, mentre gli uomini curano i capelli e la barba. Nella testa, appunto, il volto è il grande protagonista dell’abbellimento poiché ci si guarda principalmente in faccia quando s’interagisce.

    Questi due aspetti della vestemica (indumenti e ornamenti) sono destinati a sopravvivere nel tempo. L’impatto visivo di un gesto o di un movimento dura infatti solo il breve tempo in cui lo si compie; gli abiti e gli ornamenti, invece, si esibiscono per un tempo prolungato e quindi comunicano in maniera continuativa la propria immagine all’esterno. Questi segnali, che non necessitano di alcuno sforzo fisico al contrario dei movimenti del corpo, non scompariranno in futuro, ma si potranno modificare, come è sempre avvenuto, mantenendosi come elemento permanente per comunicare all’interno della nostra specie.

    Il sociologo canadese Erving Goffman ci insegna che il palco è una perfetta metafora per gli eventi sociali; nel suo libro La vita quotidiana come rappresentazione, sottolinea che gli esseri umani, per essere davvero efficaci e raggiungere i propri obiettivi, sono costretti a recitare in maniera diversa, a seconda dei differenti palchi in cui si svolge la commedia della vita.

    L’approccio alle relazioni sociali di Goffman è definito, appunto, drammaturgico e si basa su due aspetti: il primo è quello dei comportamenti di autopresentazione, che servono a comunicare la propria immagine all’altro (la camminata, la cura dell’aspetto, il vestiario e gli accessori); il secondo è l’uso di azioni non verbali, che hanno un significato particolare definito dalla cultura e compreso da un gruppo ristretto di individui.

    Quindi, per Goffman, da un lato ci sforziamo di comunicare all’esterno l’immagine desiderata, e allo stesso tempo cerchiamo di instaurare relazioni, anche sulla base di codici di comportamento non verbale attesi e condivisi, considerando il fatto che viviamo in un mondo non solo fisico, ma soprattutto sociale.

    Un altro importante contributo dato dalla sociologia alla comunicazione non verbale, è quello dell’interazionismo simbolico del sociologo e psicologo statunitense George Herbert Mead. Questo approccio si focalizza sulla creazione di significati soggettivi nelle azioni umane, mettendo in evidenza il relativismo culturale e sociale delle regole che disciplinano una società piuttosto che un’altra. Questa teoria microsociologica si occupa principalmente delle interazioni sociali che avvengono tra le persone nella vita di tutti i giorni.

    Secondo l’autore, gli esseri umani agiscono come se fossero su un palco, mettendo in atto simbolismi di autorappresentazione e altri di condivisione della realtà intesa come prodotto sociale. I significati veicolati da questi simboli vengono continuamente costruiti e rimodellati sulla base delle proprie esperienze e dalle proprie interpretazioni dell’ambiente, al di là di quella parte necessaria di senso comune che è fondamentale per la costituzione e il mantenimento dell’equilibrio e della convivenza nella società.

    In tutte le società esiste un controllo sociale più o meno forte. Questo è più visibile nelle piccole comunità, in cui la devianza (intesa a tutto campo, dalla semplice difformità di costumi e di comportamento, fino alla forma estrema della criminalità) viene naturalmente scoraggiata dal semplice fatto che ognuno è controllato a vista dagli altri membri della comunità, con il conseguente rischio di essere criticato o addirittura estromesso dalla stessa collettività.

    Questo controllo sociale, che nelle grandi metropoli arriva però quasi a scomparire (con il conseguente aumento del tasso di criminalità, organizzata o meno), crea nei singoli individui delle aspettative legate al comportamento, al ruolo e al contesto in cui si trovano; pensiamo a quanti scenari diversi attraversiamo nel corso della nostra giornata e a quanti palchi in cui cambiamo ruoli e comportamenti.

    Ogni azione sociale è figlia di un certo tipo di adattamento all’ambiente che ci circonda; ambiente composto da tradizioni millenarie, culture e credenze secolari, ma anche dagli stili di vita e dalle esperienze quotidiane degli individui.

    L’azione sociale è figlia, prima di tutto, dell’adattamento dell’uomo all’ambiente, e per questo motivo viene appresa in modo naturale dagli abitanti di uno specifico luogo. Va detto però che i consigli dati in questo libro sono di ordine generale e andrebbero sempre soppesati tenendo conto della personalità, propria e altrui, e delle particolarità del contesto in cui ci si trova. Osservare ed essere osservati modifica la qualità e la quantità delle nostre relazioni con altri individui; se in maniera positiva o negativa dipende da molteplici fattori, che non è semplice elencare.

    Va sempre ricordato che un singolo gesto non può essere preso come prova schiacciante per interpretare un tipo di comportamento in una certa situazione; va piuttosto considerato come un semplice indizio e bisogna invece sforzarsi di valutare la presenza anche di altri segnali in grado di rafforzare o meno un’opinione sul comportamento altrui.

    Normalmente chiunque riesce a percepire, seppur in maniera vaga e confusa, le sensazioni provocate dal linguaggio del corpo dell’altro; spesso capita di ascoltare frasi come «Non so perché, ma con te mi trovo a mio agio», oppure «Quella persona a pelle mi dà fastidio». Con molta probabilità queste intuizioni sono corrette e sufficienti per capire quali sensazioni ci provoca una persona in una certa situazione.

    Lo studioso del linguaggio del corpo va però oltre questa sensazione comunemente percepita; va ad analizzare e comprendere i singoli gesti e le relazioni tra questi e l’ambiente, per dare loro una motivazione all’interno di strutture di senso compiuto.

    Coloro che si dedicano all’osservazione dell’essere umano (siano essi medici, sociologi, psicologi o artisti) non lo fanno solamente per soddisfare una curiosità o per piacere personale. Il termine osservatore appare in questi casi riduttivo, infatti andrebbe usato il termine scopritore, per meglio sottolineare quell’idea di ricerca di senso, che non è fine a se stessa, ma che porta al progresso delle scienze (sociali e non) e all’arricchimento di un bagaglio utile all’uomo e al mondo per vivere e convivere in condizioni sempre migliori.

    Non credo che chi studia i comportamenti dell’uomo o il linguaggio del corpo lo faccia per avere in qualche modo più strumenti per dominare o controllare gli altri; credo invece che l’interesse per l’essere umano nasca piuttosto da una necessità di conoscere se stessi prima ancora di conoscere gli altri.

    Avvicinarsi alla comunicazione non verbale serve sia per capire il significato profondo del comportamento umano, sia per stare meglio in relazione con gli altri nelle diverse situazioni della nostra vita quotidiana, tenendo anche conto delle nostre differenti personalità.

    Con il proposito che le pagine che seguono possano aiutarvi a vivere meglio, vi auguro una buona lettura.

    AMORE, AMICIZIA E TEMPO LIBERO

    1. È QUI LA FESTA?

    Una delle occasioni più adatte per conoscere nuove persone è andare a una festa. Ce ne sono di vari tipi, partendo dalle celebrazioni aziendali più o meno formali, fino ad arrivare ai party più scatenati. Il fattore che accomuna tutte queste situazioni è la socialità: quando si sceglie di parteciparvi, ci si rende disponibili ad accettare il contatto altrui e ci si espone in uno spazio pubblico d’incontro con altre persone.

    Oltre che a possibili nuove e simpatiche amicizie, spesso l’attenzione è rivolta alle persone che ci possono attrarre sessualmente; tra giochi di sguardi e avvicinamenti si intravede spesso l’opportunità di una nuova conquista. Utilizzare il giusto approccio può sicuramente aumentare le probabilità di successo.

    Non bastano le parole giuste e gli argomenti divertenti: tra i fattori decisivi c’è quello della cnv ; spesso un corretto approccio con il corpo risulta più convincente di tante parole.

    È utile in queste prime pagine comprendere il reale impatto del Linguaggio del Corpo nella comunicazione tra gli esseri umani. Lo psicologo Albert Mehrabian, negli anni Sessanta, stabilì che all’interno della comunicazione tra due persone l’aspetto non verbale era più importante di quello verbale.

    Secondo i suoi studi, durante

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