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101 cose da fare nelle Marche almeno una volta nella vita
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E-book462 pagine4 ore

101 cose da fare nelle Marche almeno una volta nella vita

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Info su questo ebook

Dagli Appennini all’Adriatico, attraversando l’Italia centrale. Le Marche hanno la fortuna di accogliere un territorio eterogeneo che va dalle montagne dell’entroterra fino al mare, con una costa a sua volta variegata, ricca di spiagge basse come pure di riviere scoscese e promontori rocciosi. E poi riserve naturali, colline, castelli, rocche, laghi e santuari. Per non parlare di arte, cultura e storia: dalle architetture di Urbino, autentica perla tra le città rinascimentali, a quelle di Jesi, che diede i natali a Federico II di Svevia, l’imperatore del Sacro Romano Impero soprannominato stupor mundi. E poi la tradizione eno-gastronomica: dai vincisgrassi alle olive all’ascolana, dallo stoccafisso al ciauscolo, senza dimenticare il brodetto e il mosciolo selvatico di Portonovo! Di giorno c’è da perdersi in escursioni di ogni tipo, attività in riva al mare, percorsi alla riscoperta dell’artigianato locale: imparerete a fare cappelli di paglia, a lavorare il merletto o la ceramica e a produrvi da soli il vino di visciole. Potrete scendere nel ventre della terra alle Grotte di Frasassi e di notte immergervi nella movida, dalla Riviera delle Palme salendo fino alla storica Baia Imperiale di Gabicce. Lasciatevi prendere dalla passione di Paolo e Francesca tra le mura del castello di Gradara, abbuffatevi di tartufo ad Acqualagna, rabbrividite di paura nella Chiesa dei Morti di Urbania e andate a caccia di fate, streghe e regine nel Parco Nazionale dei Monti Sibillini. Poi riposatevi all’ombra di un albero, davanti a un paesaggio incantato, fatto di colline, montagne, mare e fortezze. Perché le Marche, come dice Dustin Hoffman, «le scoprirete all’infinito!».


Chiara Giacobelli

è nata ad Ancona nel 1983. Si è laureata in Scienze della Comunicazione e poi specializzata in Editoria, comunicazione multimediale e giornalismo, vincendo il Premio Raeli. Scrittrice e giornalista, è iscritta all’Ordine dal 2006. Dopo un’esperienza triennale presso il quotidiano «Corriere Adriatico» e molti lavori come addetta stampa, collabora ora con varie testate, fra cui «Non solo cinema» e «Prima Pagina». Scrive per diverse case editrici, cimentandosi in generi tra loro molto diversi. Vive tra Roma, Milano, Bologna e Ancona.
LinguaItaliano
Data di uscita16 dic 2013
ISBN9788854132788
101 cose da fare nelle Marche almeno una volta nella vita

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    101 cose da fare nelle Marche almeno una volta nella vita - Chiara Giacobelli

    81

    Prima edizione ebook: luglio 2011

    © 2011 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-541-3278-8

    www.newtoncompton.com

    Edizione elettronica realizzata da Gag srl

    Chiara Giacobelli

    101 cose da fare nelle Marche almeno una volta nella vita

    Illustrazioni di Antonio Bruno

    Newton Compton editori

    A me stessa

    INTRODUZIONE

    Se state leggendo queste righe, immagino che abbiate pescato tra gli scaffali di qualche libreria questa stravagante guida. Carina, d’accordo, colorata…

    Ma perché dovreste comprare un libro sulle cose da fare nelle Marche?!

    Be’, la risposta cambia decisamente a seconda del fatto che siate marchigiani o meno. Ipotizziamo che lo siate. Di guide turistiche alternative come questa, sulla vostra regione non ne sono mai state scritte. Serie, ufficiali, specifiche su qualche aspetto naturalistico o artistico, a bizzeffe. Così, mai.

    Scommettiamo che anche se siete i marchigiani più esperti della regione non avete visto e fatto tutto quello che viene proposto in questa guida? Perché qui dentro di idee banali non ne troverete! Leggende, aneddoti, curiosità, persino assurdità, tantissime. Dalla natura all’enogastronomia, dall’arte alla storia, dalle feste popolari alle tradizioni, le Marche che leggerete tra queste pagine sono decisamente inedite, inesplorate, alternative.

    E se invece non siete marchigiani? Be’, di motivi per scoprire questa piccola regione al centro dell’Italia ce ne sono un’infinità! Qui mi viene in aiuto persino l’«Aarp», il famosissimo magazine americano che qualche tempo fa ha definito le Marche «la nuova Florida», inserendole tra i paradisi terrestri che vale la pena di visitare almeno una volta nella vita.

    In fondo, abbiamo il mare, le montagne e le colline. Laghi, parchi naturali, spiagge incantevoli e scorci suggestivi. Deteniamo il primato per il numero di teatri storici e ci classifichiamo ai primi posti per quanto riguarda i Borghi più Belli d’Italia, le Bandiere Blu e quelle Arancioni. Come se non bastasse, abbiamo dato i natali a Giacomo Leopardi, Dante Ferretti e Maria Montessori, a Neri Marcorè e a Giovanni Allevi, a Beniamino Gigli, Giovanni Battista Pergolesi, Gaspare Spontini, Gioachino Rossini e persino all’imperatore Federico II!

    E poi, cosa forse più importante di tutto il resto, siamo una regione facilissima da raggiungere da ogni dove e con ogni mezzo. Per una vacanza di diversi giorni, oppure per un semplice weekend fuori porta: rilassante, divertente e magari romantico. Sì, perché ad Ancona il sole non si limita a sorgere sul mare, ci tramonta anche. Eh già, noi marchigiani L’Infinito ce lo abbiamo proprio nel cuore!

      1.

    INTRUFOLARSI NEL CENTRO STORICO DI ANCONA, LA CITTÀ DOVE IL SOLE SORGE E TRAMONTA SUL MARE

    Quando nel IV secolo a.C. uno sparuto gruppetto di greci, dopo aver lasciato Siracusa per avventurarsi a esplorare la costa dell’Adriatico, rimase a bocca aperta trovandosi di fronte il bellissimo promontorio del Conero, con il suo golfo naturale alle pendici, la seconda cosa che pensò di fare (la prima fu molto probabilmente un bagno ristoratore tra le acque cristalline) fu di fondarci una città. E così nacque Ancona, oggi capoluogo di regione, il cui nome in greco (Ankon) significa gomito.

    Sempre lo stesso sparuto gruppetto di greci, appartenenti alla stirpe dei dori, pensò bene di impostare l’intera struttura del nuovo centro urbano come se fosse un’acropoli (da qui l’appellativo di città dorica), progettata architettonicamente per essere apprezzata soprattutto dal mare. Non c’è dubbio quindi che una delle più belle viste di Ancona sia proprio quella di cui gode chi arriva attraccando al porto.

    Io però ne consiglierei anche un’altra. Uscendo dall’autostrada al casello di Ancona nord, invece di prendere la classica superstrada oppure la statale, da Falconara Marittima seguite i cartelli per il Parco Zoo. A un certo punto si imbocca la cosiddetta strada di Barcaglione: voltandovi verso sinistra, lasciate spaziare lo sguardo lungo l’intero litorale, fino al porto di Ancona e al promontorio del Conero. Si resta senza parole prima ancora di arrivare in città.

    Se è vero che fin dall’antichità Ancona si è distinta per gli intensi scambi commerciali, lo spirito d’indipendenza degli abitanti e le numerose personalità illustri ospitate, tuttavia ciò che più di ogni altra cosa contribuisce da sempre a renderla così affascinante è la conformazione naturale del tutto particolare.

    Si presenta infatti come un intricato sali e scendi di colline, spiagge, rupi e vallate, la cui insolita forma a gomito determina un fenomeno rarissimo nel resto d’Italia: l’alba e il tramonto sul mare.

    Se è bel tempo e il clima è mite, non potete quindi perdervi l’esperienza di sentirvi capovolti e di lasciarvi confondere il senso dell’orientamento, guardando per una volta il sole tramontare a est.

    In realtà ovviamente non è così, si tratta di un effetto ottico dovuto alla posizione geografica della città e alla sua struttura. Ma mentre vi trovate lì, di fronte a quella palla di fuoco che scende sul mare fino a incontrarlo e a scomparire in esso, cercate di dimenticare la geografia e l’astronomia, per lasciarvi invece intrappolare da un prodigioso incanto della natura.

    Attenzione però, perché il fenomeno non è visibile da qualunque belvedere. Vi consiglio un paio di posizioni strategiche: la prima è il duomo, sul colle Guasco; la seconda il Faro vecchio, in cima al colle dei Cappuccini.

    Per raggiungerli, vale la pena di camminare un po’ intrufolandosi nel cuore storico della città. Passeggiando tra vicoli, archi e colonne, vi sembrerà prima di esservi persi in qualche meandro di Venezia, poi di essere finiti nell’antica Roma, quindi di star vivendo il periodo d’oro del Rinascimento e infine di essere tornati indietro nel tempo all’epoca del Medioevo.

    Ancona presenta infatti un miscuglio di stili architettonici da far girare la testa, dovuto ai suoi molteplici passati. L’itinerario della Venezia gotica comprende, per esempio, via della Loggia con la loggia dei Mercanti, la chiesa di San Francesco alle Scale e quella di Sant’Agostino; mentre la presenza romana trapela imponente dalle mura dell’arco di Traiano e dell’anfiteatro. Quanto al Medioevo, lo ritroviamo nelle architetture di palazzo del Senato e palazzo degli Anziani, come pure in Santa Maria della Piazza. Un discorso a parte va poi fatto a proposito di Luigi Vanvitelli, che per la città dorica realizzò il Lazzaretto, l’arco Clementino e la facciata della Chiesa del Gesù.

    Dunque, percorrendo vicoli (corso Mazzini, detto Vecchio, o vicolo degli Orefici), dissetandovi alla fontana delle Tredici Cannelle, gustando tipicità locali a Bontà delle Marche e magari facendo una capatina al Museo Archeologico Nazionale (all’interno di palazzo Ferretti), raggiungete con calma il duomo, oppure il Faro vecchio, all’ora del tramonto. E non pensate ad altro, se non a diventare un tutt’uno con il sole, con il mare e con ciò che vi circonda.

      2.

    BACIARSI NEGLI ANGOLI PIÙ ROMANTICI DEL CAPOLUOGO DI REGIONE

    Guardare il tramonto sul mare ai piedi di un faro in disuso, costruito in cima a un colle intriso di verde, è sicuramente un’esperienza alquanto romantica. Tuttavia, i luoghi di Ancona in cui collezionare momenti d’amore sono molti di più. Guai a perdersene qualcuno!

    Del duomo di San Ciriaco abbiamo già parlato, ma non si è ancora detto che di notte esso è persino più suggestivo rispetto all’ora del tramonto.

    Quando il buio scende sulla città, dal colle Guasco si può inseguire con lo sguardo la costa illuminata fino a chilometri di distanza. Dall’alto, nel silenzio della sera, si assiste allo spettacolo del porto cittadino, che qualche metro più in basso si muove discreto e tranquillo.

    Lo stesso duomo, con i suoi mille anni di storia sulle spalle e i suoi leoni di marmo accarezzati dalle calde luci artificiali, conferisce al luogo un’atmosfera intima e raccolta. Insomma, baciarsi a San Ciriaco è un’esperienza da provare. Ancora di più, quella di baciarsi al Passetto.

    Percorrendo viale della Vittoria, si capisce di essere arrivati a destinazione quando si scorge davanti a sé un alto monumento dalla forma cilindrica. Oggi il Passetto, con due ampie scalinate che si affacciano sul mare e che permettono di scendere fino a bagnarsi i piedi nell’acqua, è uno dei posti più romantici del capoluogo marchigiano.

    Tuttavia per molti secoli, ben prima che fosse realizzato il Monumento ai Caduti per opera di Guido Cirilli nel 1932, la rupe a strapiombo sul mare fungeva solo da passaggio (o da stradello), utilizzato dai pescatori per raggiungere le proprie imbarcazioni.

    Anno dopo anno, pescata dopo pescata, qualcuno si fece venire un’idea geniale per proteggere dalle intemperie le barche, all’epoca così importanti per la sussistenza propria e della città intera. Nella roccia dell’alta costa si pensò così di scavare qualche buco dentro cui infilare le imbarcazioni per tenerle al sicuro. Scava che ti scava, oggi le grotte sono diventate centinaia e rappresentano una delle più curiose particolarità di Ancona.

    Se quindi, partendo da un bacio in cima al Passetto e continuando con un altro seduti sull’imponente scalinata, vi venisse voglia di terminare la passeggiata romantica scendendo fino alla spiaggia per ascoltare le onde del mare infrangersi a riva, non dimenticate di voltarvi verso il monte e di assistere allo spettacolo delle mille e una grotta.

    Se qualcuna è ancora un po’ grezza, altre sono ormai diventate delle vere e proprie casette, in cui i pescatori, detti in anconetano grottaroli, mangiano, riposano, fanno feste e giocano a carte. C’è chi ha messo lucine colorate e chi ha installato le casse dello stereo, chi ha allestito gli interni con candele profumate e chi ha persino pensato a un numero civico in ceramica.

    Un altro luogo incantato in cui perdersi in effusioni è poi il leggendario parco del Cardeto, oggi rinominato parco Scataglini in onore dell’omonimo poeta anconetano scomparso nel 1994. Un po’ selvaggio e un po’ isolato, polmone verde a pochi passi dal centro storico, rappresenta una delle più affascinanti location doriche non solo per incontri romantici, ma anche per concerti, appuntamenti letterari ed eventi di vario tipo.

    Altre chicche per indimenticabili momenti di coccole sono poi il parco della Cittadella, in particolare se si entra dall’ingresso originario di via Torrioni; il molo della lanterna rossa raggiungibile a piedi attraverso una caratteristica striscia di terra e scogli dove dimorano centinaia di gatti; il parco di Posatora, dalla cui altezza si domina l’intera città; infine, il belvedere Casanova, appena sotto la Cittadella e sopra il Lazzaretto, così nominato per aver visto più volte, in passato, l’arrivo di Casanova.

    Si narra infatti che ad Ancona il libertino veneziano consumò alcune delle sue più focose storie d’amore. Tra queste, quella con una bellissima cantante che, per non farsi riconoscere e quindi arrestare, si mascherò da uomo imbrogliando tutti, senza tuttavia riuscire a ingannare il re della passione in persona.

    Fu così che proprio nelle Marche Casanova conobbe il suo grande amore (ehm… uno dei tanti!).

      3.

    ABBUFFARSI CON LO STOCCAFISSO ALL’ANCONITANA

    Se è vero che l’occhio vuole la sua parte, che dire dello stomaco? Non va certo trascurato, specie se vi trovate nella città più famosa delle Marche (e forse del centro Italia) per la cucina dello stoccafisso!

    Per capire l’importanza di Ancona a tale proposito, basti pensare alle lontane isole Lofoten (in Norvegia), patria dello stoccafisso. Lassù i magazzini sono quotidianamente pieni zeppi di questo particolare alimento, che da lì parte per raggiungere i fornelli dell’intero pianeta. Lo stocco è diviso e imballato in linea di massima per nazione o per zona geografica, a eccezione di una qualità specifica: la nostra, che si chiama appunto Stockfish Ancona.

    Dunque, la prima cosa che viene da chiedersi è: ma cosa c’entra una città situata a metà dell’Italia con un pesce nordico che ben si guarda dal gironzolare in acque adriatiche?

    Quasi tutti i marchigiani sanno a grandi linee che cos’è lo stoccafisso all’anconitana, pochi ne conoscono però i retroscena. Per dare una risposta a questo quesito, occorre tornare indietro nel tempo, tra il XV e il XVI secolo, periodo di grandi scambi commerciali.

    All’epoca, le stive delle navi che solcavano i mari erano piene di stoccafisso (che altro non è se non merluzzo essiccato al sole) perché, a differenza di altri cibi, può essere conservato con facilità. Lo stocco cominciò così a fare la sua apparizione nelle Marche, dove, tutto sommato, venne accolto bene: era una buona merce di scambio, si manteneva per lungo tempo ed era anche un ottimo nutrimento.

    Pian piano la presenza dello stoccafisso nella città dorica si andò consolidando, specie dopo il concilio di Trento, che emanò rigidi protocolli per il rispetto delle vigilie e della Quaresima. Anche la decisione dell’armatore fiammingo Baldassare Van de Goes di stabilirsi ad Ancona fece la sua parte.

    Certo è che a prima vista non si tratta esattamente del pesce più invitante del mondo: secco, duro e puzzolente. Le donne anconetane, però, quando lo videro sbarcare dalle navi non si persero d’animo, anzi! Ogni occasione era buona per scambiarsi consigli culinari e per sperimentare nuove ricette. Fu così che, secolo dopo secolo, nacque il celebre piatto che oggi chiamiamo stoccafisso all’anconitana.

    Ben sappiamo che la cucina è un’attività creativa, un’arte a tutti gli effetti. Viene da sé quindi che ognuno abbia il proprio modo di esprimersi ai fornelli e che la ricetta per prepararlo non sia uguale per tutti.

    Di ristoranti in cui mangiarne un buon piatto Ancona è piena, potete sbizzarrirvi quanto volete. Se però la vostra intenzione è quella di assaggiare il vero stoccafisso all’anconitana, come lo cucinavano una volta, la tradizione vuole che dobbiate regalarvi una cena alla trattoria La Moretta.

    Situata in piazza del Plebiscito (ex piazza del Papa), in pieno centro storico, La Moretta è il ristorante di Ancona per eccellenza, aperto dal 1897, cioè da quando Santa Magrini in Bilò, una bellissima donna mora detta appunto la moretta, decise di mettersi in cucina per offrire ad anconetani e turisti lo stoccafisso cotto secondo la sua preziosa ricetta.

    In poco tempo, La Moretta divenne punto di riferimento fondamentale per chiunque volesse mangiare un prelibato stoccafisso all’anconitana: Folco Quilici, il maestro Riccardo Muti, il professor Zichichi, Placido Domingo, Dario Fo, Pupi Avati e Zucchero sono solo alcuni degli affezionati clienti del ristorante, oggi gestito dal nipote Corrado Bilò.

    Quanto alla ricetta, sveliamo l’arcano. Il segreto sta, al contrario di quanto si potrebbe pensare, nella semplicità degli ingredienti e della cottura.

    Per prima cosa, lo stoccafisso deve stare a bagno a lungo, anche fino a dieci giorni, al fine di riprendere la sua dimensione naturale e di perdere il cattivo odore che lo caratterizza. Va quindi cotto a strati per circa un’ora e mezza insieme a: un trito di sedano, carote, aglio, rosmarino, capperi e acciughe; patate; pomodoro fresco di stagione; olive; olio extravergine; vino Verdicchio; un goccio di latte per amalgamare il tutto.

    La cucina tradizionale vuole che venga servito su delle canne, un tempo utilizzate per non farlo attaccare al fondo della pentola. L’aspetto è decisamente invitante!

    L’interesse di turisti e marchigiani stessi per lo stoccafisso all’anconitana è andato crescendo di anno in anno, tanto che nel 1997 è stata persino fondata l’Accademia dello stoccafisso all’anconitana, che ne cura ogni aspetto: dai corsi di cucina, alla promozione turistica.

    Inoltre, tutti gli anni a Portonovo si tiene in autunno la manifestazione Stoccafissando, interamente dedicata a questo piatto. A chiunque voglia saperne di più consiglio il libro Stoccafissando. Storia d’amore anconitana di Bruno Bravetti, dove potrete trovare la risposta a ogni vostra curiosità.

     4.

    ANDARE A TEATRO ALLE MUSE E INCONTRARE GLI ARTISTI DA STRABACCO

    È il teatro più grande dell’intera regione, quindi se trascorrete una serata ad Ancona l’esperienza delle Muse va decisamente fatta!

    Innanzitutto c’è da dire che conta più di cinquantamila spettatori all’anno, ospitando compagnie provenienti da ogni dove, una stagione concertistica curata dagli Amici della Musica - Guido Michelli, una stagione lirica e di balletto organizzata dalla Fondazione teatro delle Muse e infine una ricchissima stagione teatrale messa a punto dallo Stabile delle Marche.

    Se non vi bastassero questi motivi per varcare la soglia delle Muse, sappiate che una volta dentro esso vi stupirà! È stato infatti progettato come una grande piazza, in grado di contenere più di mille persone. Quanto al sipario, è unico in Europa, assolvendo a una funzione tecnica ed estetica insieme. Il fronte scenico infatti non è decorato attraverso pittura, ma figurato integralmente da un’epidermide metallica e da una scultura ad altorilievo in bronzo, che si articola all’interno di una nicchia nera. La scultura è firmata dal grande artista marchigiano Valeriano Trubbiani.

    Vi ho convinti? Bene, ne saranno contenti i marchigiani, che in passato per il teatro delle Muse hanno dato anima e corpo, fino ad arrivare a inaugurarlo ben due volte! La prima nel lontano 1827, con due opere di Rossini (l’Aureliano in Palmira e Ricciardo e Zoraide); la seconda nel 2002 dopo un lungo restauro, con un concerto della Filarmonica della Scala di Milano diretta da Riccardo Muti.

    Negli anni, hanno fatto il loro discreto passaggio al teatro delle Muse artisti di fama internazionale, compreso Totò. E qui viene il bello. Se siete fan di un particolare attore o musicista, vi do una dritta per tentare di beccarlo di soppiatto dopo lo spettacolo.

    Dovete sapere che, da tradizione, la maggior parte delle compagnie teatrali e degli artisti terminano la serata anconetana da Strabacco. Un po’ perché è uno dei pochi locali con la cucina aperta fino alle tre di notte, un po’ perché è sempre andato di moda nell’ambiente artistico, fatto sta che in tanti anni di attività Strabacco li ha visti passare (e cenare) quasi tutti. E anche oggi che il locale ha cambiato gestione, dopo la triste dipartita dello storico titolare Danilo Tornifoglia che lo aprì negli anni ’70, continua ad attrarre intorno a sé artisti e personalità di rilievo

    Tanto per raccontarne qualcuna buffa, Alessandro Gassman è stato più volte ospite dell’osteria e si è persino prestato a fare da regalo di compleanno vivente per una fan in visibilio! Giorgio Panariello è ormai un habitué, mentre Gigi Proietti improvvisa di tanto in tanto concertini di chitarra per pochi intimi. Francesco Renga da Strabacco ricevette persino la notizia che Ambra Angiolini era incinta.

    Su quale spettacolo vedere e cosa ordinare per cena, c’è da sbizzarrirsi. Sul sito www.teatrodellemuse.org potrete trovare gli aggiornamenti costanti degli spettacoli in previsione (compresi eventuali convegni, eventi o conferenze fuori programma), mentre il menu di Strabacco è ovviamente straricco di prelibatezze marchigiane. Suggerimento: prestate particolare attenzione ai piatti della memoria!

     5.

    RISCOPRIRE IL SENSO DEL TATTO AL MUSEO STATALE OMERO

    Parigi, Ancona e poche altre. Si contano sulle dita le città europee in cui esistono strutture museali tattili riconosciute. Di che cosa si tratta?

    Il Museo Tattile Statale Omero ha come obiettivo quello di permettere ai visitatori di toccare l’arte, esperienza esclusa (principalmente per motivi di sicurezza e di conservazione delle opere) da quasi tutti i tradizionali musei del mondo.

    L’idea di realizzare una struttura di questo tipo venne nel 1993 al professor Aldo Grassini insieme alla moglie Daniela, entrambi non vedenti e appassionati viaggiatori. I loro tour in giro per il mondo si concludevano sempre con la frustrazione di non poter toccare con mano l’arte: oltre a sentirne parlare da terzi infatti non erano in grado di fare altro, esclusi dal senso della vista. Come loro, prima della nascita di questa moderna tipologia di musei, anche tutti i bambini ciechi crescevano completamente distaccati dall’arte, imparandone i fondamenti a scuola solo attraverso quanto studiato sui libri. Fu così che, aiutati dall’Unione Italiana Ciechi, dal Comune di Ancona e dalla Regione Marche, Aldo e Daniela inaugurarono il primo museo tattile d’Italia, dove chiunque poteva finalmente entrare in contatto con le opere d’arte.

    La struttura fu sin dall’inizio pensata e allestita per tutti i tipi di pubblico. In breve tempo, il successo fu tale da richiamare più di dodicimila visitatori all’anno, provenienti da ogni parte d’Italia e anche dall’estero. Nel 1999 il Parlamento ne riconobbe la valenza unica a livello nazionale denominandolo Statale e nel 2003 Diego Della Valle ne divenne il principale testimonial.

    Perché fermarsi a visitare un museo di questo tipo è a mio parere una delle cose da fare nelle Marche almeno una volta nella vita? Intanto per la rarità e il valore di questo tipo di struttura. In secondo luogo, perché le visite animate e i laboratori messi a punto dagli organizzatori sono un’esperienza tanto utile quanto piacevole, per grandi e bambini.

    Durante la visita animata alle coppie di vedenti vengono consegnate delle mascherine, in modo da aiutarli a immedesimarsi e a sperimentare così in prima persona le modalità percettive. Si ha quindi la possibilità di aggirarsi tra le sale toccando le opere. Ne emergerà una consapevolezza dei sensi sconosciuta ai più.

    L’importanza del Museo Tattile Statale Omero va ben al di là della semplice presa di coscienza del tatto o della vista come organi sensoriali di cui l’essere umano è felicemente dotato. Esso si prefigge l’obiettivo di essere uno strumento di sensibilizzazione dell’opinione pubblica che passa attraverso l’esperienza dell’arte in prima persona. Infatti, una cosa è capire a livello teorico un non vedente e cercare di mettersi nei suoi panni con l’immaginazione, un’altra essere costretto a orientarsi nello spazio senza vedere, sperimentando sulla propria pelle le stesse sensazioni provate dai ciechi.

    Questa proposta artistica, rivolta in primis ai bambini e agli adolescenti ma non solo, ha quindi come fine ultimo l’integrazione delle persone portatrici di handicap nella società. Il valore dell’iniziativa è stato riconosciuto anche dalla certificazione ISO 9001:2008, concessa al museo per la progettazione e lo sviluppo di attività di promozione culturale e artistica.

    Mi raccomando, al termine della visita non

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