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Il club dello shopping - Shopping mania
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E-book826 pagine11 ore

Il club dello shopping - Shopping mania

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Info su questo ebook

2 romanzi all'insegna del glamour e dello shopping ad oltranza

Tutti avrebbero bisogno di una personal shopper

Nel suo lavoro di personal shopper per un raffinato negozio di abbigliamento londinese, Annie Valentine si occupa di trasformare e reinventare l’immagine dei propri clienti dalla testa ai piedi.
Dinamica, vivace e divertente, Annie risolve qualsiasi problema ed è in grado di soddisfare chiunque… eccetto se stessa. Infatti, nonostante sia un’impegnatissima madre single in carriera che deve gestire, oltre al lavoro, l’irascibile figlia adolescente Lana e il timido e problematico Owen, Annie percepisce un vuoto nel suo guardaroba, pardon, nella sua vita: le manca un fidanzato. Trovare il partner perfetto non è certo come comprare un paio di scarpe! Dopo tante fatiche, la nostra eroina incontra finalmente Ed, un uomo meraviglioso. Ma è una donna che non si accontenta mai, e anche dopo aver sistemato la sua disastrosa vita sentimentale, sente il bisogno di rimettersi in gioco, professionalmente questa volta… Passo dopo passo, accessorio dopo accessorio, seguiremo la nostra incorreggibile fashion addicted nelle sue esilaranti avventure. E chissà se riuscirà a conciliare le esigenze della famiglia con gli imperativi della moda…

Due bestseller in un unico volume: un’offerta irresistibile per tutte le fanatiche dello shopping

«Lo shopping per superare una delusione d’amore.»
la Repubblica

«Storia del vuoto nel guardaroba sentimentale di una personal shopper, indecisa tra un marito classico intramontabile o un fidanzato in saldo.»
Il Giornale

«Con stile ironico e intelligente, il romanzo di Carmen Reid affronta un tema d’interesse universale, la difficoltà di trovare la persona giusta per condividere la vita, attraverso le vicende di una personal shopper e madre single.»
Adn Kronos


Carmen Reid
Scozzese, ha studiato a Londra, dove ha lavorato come giornalista. Attualmente vive a Glasgow con il marito e i figli e si dedica a tempo pieno alla scrittura. La Newton Compton ha pubblicato con successo Il club dello shopping, Shopping Mania e Shopping con le amiche, le avventure di Annie Valentine.
LinguaItaliano
Data di uscita16 dic 2013
ISBN9788854158184
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    Anteprima del libro

    Il club dello shopping - Shopping mania - Carmen Reid

    IL CLUB DELLO SHOPPING

    CAPITOLO UNO

    La prima delle nuove tenute primaverili di Svetlana:

    Abito in vibrante porpora, verde e bianco (Pucci);

    Cintura scamosciata verde acceso (Pucci);

    Stivali porpora con tacco a spillo (Manolo);

    Cappotto bianco di cashmere (MaxMara);

    Borsetta verde (Chloé).

    Costo totale: 2.800 sterline.

    «Sexy, ma con classe».

    Annie Valentine, personal shopper capo in quel paradiso di negozio a cinque piani che è il The Store a Londra (un nome semplice fa sempre molto, molto più effetto), guardò Svetlana Wisneski uscire da dietro le tende di velluto fucsia del camerino. La moglie del miliardario con un abito di seta in jersey che le metteva in risalto le curve e un tacco di sette centimetri e mezzo giganteggiava come una bionda wonderwoman.

    L’effetto era da togliere il fiato, ma Annie, che superava sempre le sue aspettative di vendita mensili e si assicurava immancabilmente il bonus del 10% per il maggior fatturato complessivo, capì subito lo sguardo leggermente scontento sul viso dagli zigomi alti e notevolmente rifatto della sua cliente VIP.

    «Non ti va bene, cara?», le chiese Annie, «Non ricorda abbastanza la primavera, gli agnellini che saltellano, i cappelli colorati o un aprile a Parigi?».

    Svetlana scosse gravemente la testa.

    «Niente paura… non temere… qui troveremo quel che tu vuoi avere…», canticchiò Annie, muovendosi rapida tra gli espositori carichi di abiti favolosi – Chloé, Missoni, Temperley, Gucci, Versace –, la maggior parte talmente nuovi da essere ancora avvolti nell’involucro di plastica. Afferrò un altro bellissimo vestito e propose: «Mmm… che ne dici di Pucci? Questo sarebbe delizioso».

    «Prrrroviamo», rispose Svetlana con la sua voce profonda.

    Nessuno se ne andava dopo due ore di attenzioni da parte di Annie se non con la tenuta perfetta – anzi, il più delle volte con le tenute perfette – sganciando tre, quattro e anche cinque volte la cifra che aveva preventivato di spendere, perché lei con i suoi consigli pratici e diretti, elargiti in un perfetto accento londinese, sapeva essere irresistibilmente convincente.

    Annie comprava per clienti, amici e per se stessa con lo zelo spietato di un agente di Wall Street al suo ultimo giorno di prova.

    Per questa professionista d’alto livello niente costituiva un problema: perlustrava tutti gli splendenti angoli bianchi del The Store fino a quelli più nascosti per trovare esattamente l’articolo giusto e conosceva tutte le collezioni di ogni stilista, anche i più commerciali infradito.

    «Solo per te, ricordatelo!», questa indaffarata e infaticabile meraviglia di lavoratrice poteva reperire un cappotto direttamente dall’atelier, indurre grazie al fascino scontrosi calzolai italiani a disfarsi dell’ultimo esemplare n. 41 di un particolare modello e arrivare perfino, in caso d’emergenza, a concludere un accordo con la minuscola boutique di Brighton che aveva l’unica altra taglia 44 di quel dato vestito.

    La cliente di quel pomeriggio, la statuaria Svetlana, andava tenuta cara. Sposata con il più ricco e tondo (sia di pancia che di faccia) russo di Londra, era una delle poche acquirenti che avevano diritto a essere riaccompagnate a casa gratis in limousine con il portabagagli pieno di acquisti.

    Quel giorno dei primi di febbraio i classici saldi invernali erano praticamente finiti e la nuova sgargiante collezione primaverile si era infine fatta strada nelle sue sfumature di pallidissimo giallo limone, rosa confetto, verde, verde e ancora più verde, porpora e blu cielo. Svetlana era andata a rifornirsi il prima possibile per la nuova stagione perché voleva essere tra i primi a scegliere il meglio.

    Per quasi un’ora Annie aveva accompagnato questa importante cliente e la sua tozza assistente Olga in giro per tutti gli sfavillanti piani del negozio, iniziando dall’abbagliante salone dei cosmetici dove gli assistenti avevano tirato fuori ciprie, tester e campioncini, esaltando le delizie dei nuovi e freschissimi colori primaverili.

    Mentre Svetlana si era lasciata truccare e fare la manicure con sontuosità, Olga aveva definito con asprezza lo scintillante smalto color carne quasi invisibile ed esageratamente caro.

    «Lavora per lui», aveva sussurrato Svetlana ad Annie quando Olga si era allontanata.

    «Per chi?», le aveva chiesto la personal shopper, intuendo già la risposta.

    «Faccione-da-luna-piena», se ne era uscita Svetlana a bassa voce mentre si guardava allo specchio con il nuovo ombretto Ocean Spray e il rossetto Blossom n. 5. «Lui pensa che io spenda troppo e lei mi spia».

    «Ma no!», le aveva assicurato Annie, anche se, con suo profondo rammarico, non sapeva niente della vita da moglie-trofeo, mentre Svetlana era già al suo terzo e più ricco matrimonio. Aveva cambiato i mariti come le altre donne rinnovano le case e per Annie era chiaro che se voleva qualche consiglio su come trovare un uomo ricco (e, ragazzi!, se ne aveva bisogno, proprio quella mattina era arrivato l’estratto conto delle carte di credito: da piangere!), questa era la donna a cui chiederlo. Sarebbe mica bastata la domanda giusta al momento giusto per avviare la conversazione? Erano salite con l’ascensore in vetro fino a quel paradiso della moda dal pavimento in marmo bianco dove gli abiti stavano appesi e illuminati preziosamente come opere d’arte… e costavano altrettanto.

    Se una cliente fosse stata così folle da mostrarsi meravigliata davanti all’astronomica cifra del prezzo, la migliore addetta agli acquisti avrebbe esordito: «Ma è un pezzo unico. Favoloso nella qualità. Lo porterà per anni». Quella condiscendente, invece, avrebbe inarcato le sopracciglia e chiesto: «Oh, troppo caro per la signora?», in un modo che ad Annie faceva venir voglia di urlare: come se tu te lo potessi permettere! Ma poi le ragazze lì se li compravano i vestiti, eccome! Usavano gli sconti per il personale, portavano al massimo il limite delle proprie carte di credito e convivevano in sovraffollati miniappartamenti solo per poter vestire McQueen e Jimmy Choo quando uscivano la sera.

    Non aveva senso ma era senza dubbio molto glamour.

    Una volta che Svetlana ebbe finito di esaminare la nuova collezione degli stilisti che di solito preferiva – Yves Saint Laurent e Givenchy per mettersi in ghingheri, Donna Karan per le occasioni piú casual –, Annie aveva provato a guidarla in diverse e più colorate direzioni: Missoni, Pucci, Matthew Williamson.

    Ma la moglie del miliardario aveva scorso mestamente tutti gli espositori, dichiarando: «No, no… mah… forse… non so se a Igor piacerà.

    Lui li vuole sexy, ma con classe, sempre con classe». Come se, nei due anni in cui avevano fatto shopping insieme, Annie non se ne fosse resa conto: Sexy, ma con classe era un mantra per Svetlana.

    Annie Valentine non era certo una fan delle ricche mogli pigre, compiacenti e viziate che regolarmente vestiva, ma aveva cominciato a capire che Svetlana costituiva un’eccezione: il matrimonio era la sua carriera.

    Dava cene bisettimanali e cocktail mensili, andava a infiniti ricevimenti d’affari e poteva sostenere affascinanti conversazioni per delle ore, appariva sempre impeccabilmente elegante, e tutto questo a beneficio di Igor e del suo impero. Svetlana doveva organizzare un intero staff: cuochi, governanti, donne delle pulizie e cameriere; e aveva cinque case da arredare, rinnovare e decorare, in tre paesi diversi. Essere la signora Igor Wisneski era chiaramente un lavoro impegnativo e a tempo pieno! Ma come aveva confessato una volta ad Annie – sempre mentre Olga era lontana –, si stava avvicinando ai 35 anni e necessitava di tutto l’aiuto possibile per mantenere la propria posizione.

    Anche se era alta, bionda naturale e mozzafiato, oltre che la madre dei due eredi del magnate del petrolio, nonostante un lifting facciale estremamente accurato e un baldanzoso aumento del seno, il suo status di moglie fighissima non era mai da dare per scontato.

    Annie sapeva che la ex miss Ucraina lavorava senza sosta per mantenere vivo l’interesse di Faccione-da-luna-piena, sottoponendosi a un estenuante allenamento quotidiano con un esperto di arti marziali, a lavande intestinali ogni quindici giorni e a qualsiasi altro tipo di trattamenti di bellezza più o meno invasivi.

    Una volta, indicando le lievi increspature sulle proprie guance, le aveva definite rughe da pompini, ruotando significativamente gli occhi.

    Adesso stava di fronte ad Annie con un’espressione ben più soddisfatta perché si rendeva conto di essere davvero uno schianto nel suo Pucci avvitato con cintura.

    Tenendo le mani sui fianchi stretti, Svetlana si scrutò seriamente nello specchio a tre facce, dichiarando infine: «Mi piace», che nel suo tono grave e pensieroso era la massima approvazione che poteva concedere.

    «Non so perché ogni volta dubito delle tue idee, Annnah», (non aveva mai colto l’accento giusto di Annie), «tu hai sempre, assolutissimamente, ragione».

    «Con quel vestito ci vuole un cappotto chiaro», le assicurò la sua commessa personale. «Ne ho uno con un taglio bellissimo, di cashmere bianco, lungo fino alle ginocchia. Te lo faccio portare subito insieme a una nuova Chloé – solo per stamattina – da farti oscillare al braccio». Annie strizzò l’occhio alla sua cliente che, esattamente come lei, non riusciva a resistere davanti a una favolosa, morbida borsa di pelle, tintinnante con catenelle, fibbie dorate e l’ultimo imperdibile logo.

    Per fortuna, al contrario di lei, Svetlana non si tirava mai indietro davanti al cartellino a quattro cifre.

    «Ehm… scusate l’interruzione». Paula, l’altra personal shopper del giorno, fece capolino dalla tenda che separava il suo settore da quello di Annie.

    Quest’ultima scosse la testa e inarcò le sopracciglia, chiedendo: «È urgente?».

    «Hanno superato la tua offerta per quella Miss Selfridge d’epoca…», esordì Paula.

    Sebbene quel giorno avesse chiesto alla collega di controllare la sua asta su internet, questa non era una notizia abbastanza importante da farle lasciare Svetlana proprio mentre stava pensando a delle nuove borse.

    «Grazie, ma non preoccuparti», rispose Annie, e Paula, con un fruscio dei suoi quaranta centimetri di extension (di veri capelli asiatici!), accuratamente pettinati in centinaia di minuscole treccine ognuna con una perlina cucita in fondo, se ne andò.

    Svetlana aveva deciso con fermezza per tre abiti da sera, cinque vestiti da giorno, due completi pantalone, un cappotto, quattro paia di scarpe e due borse. Aveva ancora qualche dubbio sugli stivali Manolo, su un vestito da ballo e su qualcosa per rallegrare Olga quando Paula comparve di nuovo dalla tenda.

    «Aiuto!», sillabò muta ad Annie, che emise un breve sospiro. Sospettava si trattasse della nuova cliente di Paula. La ragazza non era male nel suo lavoro, solo giovane (24 anni), inesperta, e così ossessionata dalla moda che non riusciva a convertire ciò che era hot in quello che poteva davvero andare bene per qualcuno.

    Avrebbe tranquillamente infilato a un avvocato ben piantato di 54 anni un Juicy Couture e delle ciabatte borchiate d’oro solo perché Be’, oggi si usa così, quindi facciamolo!.

    Di solito Annie cercava di assicurarsi che le sue clienti fossero della varietà che sarebbe andata bene per il programma Fashion Police: magre come un grissino e in cerca d’aiuto da parte di un esperto per combinare un baby doll con una gonna a tulipano e cinture da gaucho con zeppe di sughero; ma quel pomeriggio Annie aveva Svetlana, per cui a Paula era toccata Martha Cooper, una nuova cliente.

    «Mi puoi scusare solo per pochi minuti?», chiese Annie a Svetlana, che si stava girando da una parte e dall’altra davanti allo specchio per decidere se la borsa nella mano sinistra si intonasse meglio al cappotto di quella nella mano destra.

    «Ma cerrrrto».

    «La verde, senza dubbio», fece Annie seguendo Paula nell’atrio tappezzato color crema.

    E lì vide Martha. Molto alta, scompostamente più vicina ai quaranta che ai trenta, era venuta per un consulto nell’universale tenuta delle mamme casalinghe molto occupate: jeans slavati, maglietta slavata, faccia slavata, capelli lunghi con una ricrescita di dieci centimetri, scarpe da ginnastica verdi e per finire il suo tocco personale, un parka grigio davvero vergognoso. Non c’era da meravigliarsi che Paula fosse stata colta dal panico.

    Per un attimo Annie pensò che una tale mancanza di cura verso il proprio aspetto, la moda e tutto ciò che gli altri potevano pensare di te era quasi da invidiare, ma poi s’immaginò come sarebbe stata senza tacchi, rossetto rosso, fondotinta e le mèche bionde… e il momento passò subito.

    «Ciao Marta, sono Annie Valentine, piacere di conoscerti». La personal shopper porse la mano alla cliente concedendole il suo più rassicurante sorriso. «Hai già dato un’occhiata in giro?»

    «Mmm… sì… e adesso sono ancora più preoccupata», rispose Martha.

    Annie era abituata a vestire tutti i tipi di donna: mogli e fidanzate dei calciatori, ricche signore, figlie benestanti, pezzi grossi della finanza, esperte di moda e, naturalmente, donne che avevano palesemente smarrito la retta via. Ma era da tempo che non vedeva un caso tanto disperato nel suo emporio. Povera Martha! Aveva vagato per i piani, girato i cartellini dei prezzi senza trovare alcun senso nei complicatissimi capi di vestiario e adesso eccola lì, davanti a una delle commesse più glamour che avesse mai incontrato: Paula, snella ed elegante come una giovane Naomi Campbell, con due chiappe sode da poterci schiacciare delle noci e unghione color porpora. Anche se Annie appariva un po’ più normale, era comunque estremamente curata ed elegante: di un biondo splendente (in origine color topo), con un trucco professionale e le sopracciglia perfette, la French Manicure, una leggera abbronzatura e i tacchi alti, vestita con gusto e del tutto convincente nel persuadere un’infinità di donne, e occasionalmente uomini, a disfarsi di una notevole somma di denaro nello sforzo di apparire più attraenti e alla moda.

    Ormai Martha doveva essersi convinta di non essere nel posto giusto, ma in un episodio di Che cosa non indossare.

    «Oggi ti divertirai moltissimo con noi», esordì Annie sorridendo in modo veramente sincero, ma continuando a tenerle la mano perché non ci ripensasse.

    In realtà la personal shopper adorava le acquirenti come Martha.

    Bisognava andarci piano con i più sobri vestiti che erano al The Store, ma queste clienti erano sempre le più grate e quelle che rimanevano fedeli più a lungo, perché lei le aiutava a capire tutto quello che una donna doveva sapere – auspicabilmente a vent’anni, ma categoricamente entro i trenta – sulla propria immagine.

    Entro i trent’anni, secondo Annie, ogni donna avrebbe dovuto dedicare le ore nel camerino a capire i colori, le forme e i tagli che le stavano bene. Collo rotondo o a V? Gonna fino al ginocchio o più lunga? Cinture alte o basse? Sfumature di rosso e arancione o blu e viola? Entro i trent’anni, ogni donna avrebbe anche dovuto comprendere il potere di un grande accessorio e aver fissato le basi del suo stile personale.

    Chi poi sapeva meglio vestirsi afferrava anche l’importanza degli oggetti caratteristici della singola persona: come la giacca sportiva blu della principessa Diana, le camice con il fiocco della signora Thatcher, il bustino di Posh Spice e i jeans bianchi di Liz Hurley.

    Erano questi i segreti, le lezioni su come vestirsi, che Annie poteva rivelare.

    «Bella alta!», disse a Martha senza mezzi termini.

    «Ci sono pro e contro…», fu la risposta di quest’ultima. «Le maniche…», fece indicandosi il gomito, «e le cinture degli abiti mi arrivano sempre sotto le ascelle», gesticolò.

    «Non preoccuparti, troveremo una soluzione. Seguimi nel boudoir».

    Alla fine la cliente mollò la mano di Annie, fidandosi di seguirla.

    Nel cuore dell’area riservata allo shopping su misura, in una stanza ventilata dai vetri opachi, Annie e Martha si sedettero sul divano di velluto fucsia per una chiacchierata preliminare, mentre Paula si aggirava nelle vicinanze.

    «Dunque, quanti anni hanno i tuoi figli?», domandò Annie, senza neanche bisogno di chiederle se ne avesse.

    «Oh… Sei, cinque e due appena compiuti».

    «Devi essere molto occupata», convenne la prima.

    «Devo essere pazza!», fu la risposta della seconda.

    «E stai per tornare a lavoro?», fu la domanda successiva di Annie dato che quella era la ragione principale per la quale madri turbate di bambini piccoli apparivano in negozio nel panico più totale.

    «Già… il primo lavoro dopo sette anni. Tre giorni alla settimana nel reparto personale… Niente che possa riciclare da prima che nascessero i bambini… e non ho più la minima idea di cosa vesta la gente in ufficio. Sembra tutto cardigan, gonne scintillanti e tacchi alti». Martha concluse la sua spiegazione piagnucolando: «Aiuto!»

    «OK. Bene…», Annie si stava già strofinando le mani. Sarebbe stato facile, per non dire un piacere, rimettere le cose a posto. Martha era alta, ancora una taglia 44, e con gli abiti giusti e un po’ di cura e attenzione la sua ripulitura sarebbe stata un successo. Non si sarebbe riconosciuta neanche lei.

    «Per oggi la tua guida è Paula, quindi», Annie lanciò a Paula il suo sguardo fai attenzione, «ti aiuterà a comprare non un tailleur pantalone.

    No, no! Troooppo superato! Ma pantaloni che cadano bene e che ti donino. Io consiglierei qualcosa sul grigio, a sigaretta – né troppo stretti, né troppo larghi –, poi una giacca svasata, corta, intonata, ma non dello stesso colore, assolutamente moderna e con un solo bottone. OK? «Quindi dovrai trovare delle scarpe da giorno della tua misura, che ti piacciano e stiano bene con il completo. Però Martha, non ti sono concessi né il marrone né il nero e non voglio neanche sentir nominare il blu navy. Mi spiace, ma queste sono le regole!», disse strizzandole l’occhio in modo da non apparire troppo autoritaria. «Vada per il dorato, il verde, il viola, il rosso, l’arancione, il giallo… qualcosa di carino, insomma. In fondo, chi ha bisogno del nero? «Poi, una volta che avrai le scarpe», proseguì, «devi trovare tre top strepitosi che stiano bene con i pantaloni, la giacca e le scarpe. Tre sono il minimo. E non essere pigra, qui vi facciamo lavorare. Infine, la tua ultima missione di oggi sarà, naturalmente se accetti, di trovare una gonna colorata, che vada bene con tutti e tre i top, le scarpe e la giacca corta. OK? Ci siamo?».

    Martha e Paula annuirono obbedienti.

    «In questo modo, ti assicuro che sarai magnificamente vestita per l’ufficio tutti i santi giorni. Certo se poi vuoi guardare impermeabili, ombrelli, stivali e cardigan… o i trucchi», accentuò palesemente l’ultima parola, «Paula ti aiuterà, ma prima di tutto procurati le cose basilari.

    Puoi sempre tornare a trovarci quando vuoi, anzi ne saremmo felici. Sai, noi siamo un po’ come il dentista: vi vogliamo vedere per check-up regolari.

    «Ora… solo un’ultima cosa, cara, poi devo davvero tornare di corsa dall’altra cliente, come pensi di… mmm… acconciare i capelli per il lavoro?», Annie aveva attentamente ponderato la questione e deciso che questo era il modo più garbato per dire: Donna, per l’amor del cielo, fatti fare un taglio e un colore decenti! «Acconciarmi i capelli? Acconciarmi… ?», Martha ripeté la parola come se le suonasse straniera, «I capelli?».

    Annie annuì incoraggiante, ma non si aspettava la confessione che ne seguì.

    La donna inspirò profondamente e poi si lasciò sfuggire: «Tutto quello che vorrei è essere libera dai pidocchi abbastanza a lungo da ricordarmi di prendere un appuntamento e riuscire ad andare effettivamente dal parrucchiere».

    «Oh! Oh no!», Annie, che una volta aveva avuto a che fare con un caso simile sulla testa di suo figlio, almeno provava un po’ di compassione, ma Paula era indietreggiata di parecchi passi e adesso sembrava che volesse scappare dalla stanza urlando.

    «Oh, adesso sono pulita», si affrettò ad aggiungere Martha, intuendo che lo staff del The Store non era abituato a parlare di pidocchi quanto il suo gruppo di mamme e bambini.

    «Avevo dimenticato i pidocchi», disse Annie, cercando di resistere alla tentazione di grattarsi la testa al solo pensiero. «I miei figli sono grandi ormai. Be’… dunque… meglio che tu ti faccia il taglio il prima possibile, prima che ricompaiano. D’accordo!», Annie doveva assolutamente tornare da Svetlana. «Via, tutte e due! E fatemi dare un’occhiata al risultato finale!».

    «E ora cosa c’è?!», volle sapere Annie quando venti minuti dopo Paula era di nuovo nel suo settore. «Non posso fare il tuo lavoro per te!», sibilò iniziando a perdere la pazienza.

    «Donna è nel tuo ufficio!», rispose Paula stizzosa.

    «Cosa?!», questa non era affatto una buona notizia. Annie cercava di incontrare quella strega del suo capo il meno possibile, ma c’erano parecchi giorni al mese, che annotava accuratamente in agenda, nei quali Donna era una pazza ormonalmente isterica da evitare a tutti i costi.

    «È entrata nel tuo computer!», la avvertì Paula.

    Non c’era niente da fare, Annie doveva andare, e proprio adesso che aveva finalmente iniziato a punzecchiare Svetlana per qualche consiglio gratuito su un nuovo marito.

    «Sono mortificata, mi dispiace tanto», si scusò Annie con le russe.

    «Si è verificato un piccolissimo problema che devo assolutamente risolvere».

    «Non preoccuparti», la rassicurò Svetlana. «Tanto qui abbiamo finito.

    È tutto deciso. Adesso ci prepariamo per andare».

    «OK, ci vediamo tra un minuto», fece Annie mentre si precipitava fuori dal camerino verso l’ufficio senza finestre, grande quanto una scatola di fiammiferi, che ospitava la sua scrivania, i suoi schedari, il computer dell’azienda, ma soprattutto il suo portatile, che proprio adesso era connesso alla linea del negozio e alla sua pagina eBay.

    Annie faceva la personal shopper al The Store di giorno. Ma oltre a questo si barcamenava tra consulenze private a domicilio tramite il suo servizio Vèstiti per esprimerti e le contrattazioni su eBay attraverso la postazione Annie V, con la quale faceva ottimi affari mettendo in vendita oggetti firmati nuovi di zecca con ancora il cartellino, nuovi, quasi nuovi e di seconda mano o d’epoca. Da dove li prendeva? Dagli sconti per lo staff, dagli espositori dei saldi dell’emporio, dagli scaffali delle occasioni di altri negozi, dai rivenditori di cianfrusaglie, dalle aste di beneficenza e da altri siti internet. Annie aveva la stoffa del venditore e un gran fiuto per gli affari e per le rivendite proficue.

    Di suo non comprava mai a prezzo pieno: non un taglio di capelli (dal parrucchiere utilizzava sempre i super sconti sulle anticipazioni), né una scatoletta di fagioli (sapeva cosa c’era in offerta in tutti i supermercati e Cash and Carry nel raggio di dodici chilometri da casa sua), né un auto (SECONDA MANO! PUOI RISPARMIARE! FANTASTICO AFFARE!).

    Ed era generosa: non si teneva per sé quello che sapeva, ma ne beneficiavano anche amici e parenti. Tutti quelli che la conoscevano bene a casa avevano la credenza piena di pomodori in scatola, griglie usa e getta, biglietti di Natale, scatoloni enormi di autoreggenti color carne… e ogni sorta di altra mercanzia che lei gli aveva fatto avere a prezzi strepitosi.

    «Donna! Ciao!», Annie riuscì a recitare in modo passabile un saluto amichevole. «Scusa, ma al momento siamo entrambe molto occupate con due clienti, posso aiutarti in qualche modo?».

    La manager addetta alle vendite, nel campo della moda femminile ormai da cinque mesi, non mosse le unghie squadrate arancioni dalla tastiera. Continuò a digitare, con gli occhiali di Prada neri, fissando lo schermo di fronte a lei.

    Nonostante l’abito floreale di Issa che le fasciava il corpo snello, Donna, con i lunghi capelli corvini tirati indietro, sembrava pronta per uccidere.

    «L’Emporio online di Annie V», ringhiò. «Mio Dio, quanti articoli che riconosco. Ma questa non è una delle nostre ultime borse Mulberry? E, guarda un po’, sta per essere venduta a 150 sterline oltre il prezzo consigliato».

    «Me l’ha data una cliente che se n’è già stufata», spiegò Annie. «Sai quanto sono volubili alcune di loro. Guarda, Donna, è tutto più che regolare: posso perfino mostrarti la dichiarazione dei redditi».

    «Ma certo, Annie, ne sono sicura. C’è solo un piccolo problema». A quel punto Donna si girò per fulminarla e la sua fronte botulinosa fece del suo meglio per corrugarsi in un ammonimento severo, mentre Annie non poté fare a meno di meravigliarsi di nuovo che il suo capo non si facesse la ceretta a dei baffi così evidenti. Che fosse una cosa da lesbiche? «Lo stai facendo a lavoro», disse Donna seccata. «E ti avevo già avvertito al riguardo».

    «Già avvertito?». La serpe stava per caso insinuando che le precedenti conversazioni con Annie a proposito del suo lavoro su internet valevano come ammonimenti ufficiali? «Be’, ne abbiamo discusso molto, certo», ammise Annie, desiderando accanto a sé uno di quegli eccellenti avvocati cazzuti della TV americana.

    «E ti ho spiegato che non lo faccio a lavoro. Il computer è acceso, aperto sulla pagina web, ma ci do un’occhiata solo quando ho un attimo libero, sai, durante la pausa caffè… o mentre sgranocchio qualcosa per pranzo… Non interferisce minimamente con il lavoro.

    Perché non controlli le mie cifre di vendita per questo mese, Donna?», osò suggerire Annie. «Vieni a lamentarti solo se ci trovi qualche problema».

    «Non è solo una questione di cifre», ribatté Donna. «Dai il cattivo esempio agli altri dipendenti. Per cui eccoti questa...», tirò fuori una busta bianca e la porse ad Annie. «È una lettera di richiamo, così resta tutto nero su bianco».

    «Cosa!?!».

    Che falsa vacca intrigante! Fin dalla prima settimana Annie aveva capito che Donna era il tipo di manager che si sente minacciato più che sostenuto da un bravo membro dello staff. Ma anche se sospettava che il suo capo si sarebbe volentieri sbarazzata di lei, in modo da poter rimanere l’unica ape regina senza rivali, Annie confidava nel fatto che i suoi impressionanti risultati nelle vendite la proteggessero. Ora, con in mano la lettera di richiamo, non ne era più così sicura.

    «E Paula?», attaccò di nuovo Donna da un altro fronte. «Non fa la sua parte. Hai soltanto un altro mese per addestrarla come si deve o dovremo cercare qualcun altro».

    Considerando che Paula era stata scelta per la sua posizione da Donna, e Donna soltanto, questo non era molto giusto, ma Annie ormai non si aspettava niente di meno dalla sua dirigente.

    Il cellulare accanto al computer iniziò a squillare. La personal shopper ne aveva due e, dato che questo era quello che usava per gli affari, le venne un colpo al cuore quando Donna lo afferrò abbaiando: «Pronto?», nell’apparecchio.

    «Sì… aha… oh davvero?... Be’, molto interessante… No. Le dirò di richiamarla». Donna chiuse il telefono e guardò Annie: «Era il tuo agente immobiliare. Ti vuole parlare di una nuova opportunità d’investimento molto eccitante. Ti suggerisco di richiamarlo quando avrai letto il tuo richiamo e finito la giornata di lavoro». Lo sguardo fulminante che le lanciò insieme a quelle parole non lasciavano spazio ad alcun fraintendimento.

    Proprio in quel momento, Svetlana comparve sulla porta dell’ufficio: «Annnah, noi siamo pronte», disse richiedendo immediata attenzione.

    «Puoi far sì che tutto venga portato sul retro? Io e Olga raggiungeremo la macchina».

    Annie baciò le due russe quattro volte, secondo la loro usanza, e le ringraziò profusamente della visita. Nello stesso modo venne ricambiata.

    Svetlana, come se notasse Donna per la prima volta, le chiese: «Lei è il capo di Annnah?».

    Quando questa annuì bruscamente in risposta, la miliardaria si entusiasmò: «È meravigliosa. La migliore stylist di tutta Londra. Davvero.

    La tratti bene, perché se mai dovesse lasciare il The Store, io me ne andrò con lei».

    Donna s’incupì, ma fece del suo meglio per sfornare un sorriso.

    Quindi, ringraziando Annie con un piccolo gesto disteso, Svetlana le porse la borsa firmata Chloé della passata stagione con queste parole: «Non la voglio più. Prendila, per i tuoi affari: ammiro molto la tua intraprendenza».

    «No, no cara, grazie, ma davvero non posso…», cominciò Annie.

    «Ma certo che puoi», insistette Svetlana, «e dentro c’è qualcosa per te, Annnah: informazioni speciali, perché è arrivato il momento che tu ti trovi un nuovo marito. Non fa bene stare da sole per troppo tempo.

    Annie non fece in tempo neanche a dirle grazie che Svetlana era sgusciata via dal negozio verso la limousine stracarica e la sua lussuosa vita a Mayfair.

    Era una gioia guardare l’espressione di puro panico sul volto di Donna, che però non si trattenne dallo sparare: «Che cliché ambulante è quella!».

    CAPITOLO DUE

    Becca Wolstonecroft al ricevimento-genitori:

    Maglietta grigia (M&S);

    Pile rosa (M&S);

    Pantaloni di cotone (originariamente neri) grigi (Gap);

    Intimo (una volta bianco) grigio (M&S);

    Calzini corti neri (del marito);

    In un maldestro tentativo di nascondere il tutto:

    pelliccia finta color crema (regalo di Natale di sei anni prima).

    Costo totale: 220 sterline.

    «Santo cielo! Quanto?!».

    Poco prima dell’orario di chiusura Annie lasciò il The Store con due lussuose borse su una sola spalla: la sua Chloé color zucca con all’interno quella di Svetlana, infilata in un involucro protettivo di panno.

    Non aveva ancora deciso se tenersela o venderla.

    Sull’altra spalla aveva un enorme borsone porta-tutto pieno degli altri tesori della giornata: tre contenitori di plastica con gli avanzi della mensa per la cena, otto bottiglie d’olio per il viso Clarins (ormai superato), dodici rossetti Estée Lauder (della scorsa stagione), un paio di pantaloni da uomo (danneggiati), comprati a quattro soldi, che avrebbe sistemato da sé e rivenduto come nuovi di zecca.

    La lettera di Donna, nella quale era scritto che l’avrebbe licenziata per qualsiasi altra attività irregolare era stata accartocciata con rabbia dopo la lettura. Adesso era sommersa sotto tutte le altre cose, perché Annie non voleva neanche pensare a come sarebbe stata la sua vita senza il lavoro al negozio. Lei era l’unico sostentamento della famiglia.

    Certo, lavorava assai duramente per arrotondare lo stipendio, ma se Donna la spingeva giù dalla fune, sotto non avrebbe avuto nessuna rete di protezione.

    Il cellulare personale iniziò a squillare con la suoneria di Guerre stellari in versione rap, perché suo figlio Owen di nove anni l’aveva modificata ancora una volta. All’altro capo della linea c’era la sua quattor… quasi quindicenne figlia Lana (quello che ti ritrovi a 35 anni quando a 20 pensi che i bambini siano taaaanto carini e sei perdutamente innamorata).

    «Ciao Lana», rispose Annie, «me lo volevi ricordare, vero? Ma non l’ho dimenticato, sul serio. Ci sto andando, e alle 19:15 sarò al tavolino con il coordinatore di classe. Certo, certo, te lo giuro sulla mia vita.

    Non sarò in ritardo», assicurò alla figlia, «promesso».

    «E mi farai uscire da quella cosa della beneficenza, vero?», disse Lana con una vocetta piagnucolosa. «Dillo all’insegnante di Owen».

    «Ci penserò», le rispose Annie, senza promettere nulla di più.

    Trotterellò a passo svelto, su sei centimetri di tacco, verso la stazione della metropolitana, passando davanti a quel tipo di insulti alla moda che le faceva venir voglia di fermare la gente per strada e dire: «Tesoro, quei pantaloni aderenti? Infilati negli stivali, poi? Farebbero apparire grassa anche Kate Moss. Su di te sembrano una lotta tra due porcellini che tentano di scappare».

    «Un gilet di pelliccia, cara??? Tre anni dopo che tutti gli altri sono stati aboliti?».

    Annie si stava dirigendo verso Highgate, una delle zone più vecchie e carine di Londra nord, dove finalmente viveva. Questo piccolo borgo era nato centinaia di anni prima e ancora adesso aveva il lastricato in pietra e importanti case georgiane con finestre di vetro arrotondate e rami di quercia incurvati. Anche se ora era attraversato da uno stradone sempre intasato dal traffico, Highgate sapeva sempre di villaggio (ad Annie venne in mente il tono dell’agente immobiliare) . Sulla strada principale c’erano dei negozi veri e un supermercato Tesco, banche e agenzie immobiliari. La gente ci si trasferiva, si innamorava del posto e tendeva a rimanervi, contribuendo a renderlo più amichevole di molti altri quartieri di Londra.

    Annie aveva sempre desiderato viverci, nonostante i prezzi esagerati, ed era riuscita a permettersi, grazie al suo personalissimo programma di sviluppo immobiliare, l’appartamentino con tre stanze dove viveva stipata con i figli.

    Prova della sua costante operosità era il fatto che si fosse trasferita otto volte negli ultimi dieci anni, per non parlare del suo odio di rimanere fissa in un posto. Comprava sempre case malridotte, bettole che nessun altro voleva, e le risistemava usando manodopera a basso costo, le sue basilari, ma instancabili, doti fai-da-te e, soprattutto, la sua infallibile abilità di far fruttare le occasioni per poi trasferirsi in un posto sempre migliore e più vicino a quello dei suoi sogni.

    Tappeti marci, bagni ammuffiti, tetti dissestati e finestre sbatacchianti, ratti infestanti e sporco incrostato: niente di tutto questo la spaventava più, c’era passata ed era sopravvissuta con onore.

    Nel suo attuale appartamento, si era concessa soltanto un favoloso (e assai scontato) bagno in roccia calcarea, completo di vasca tonda e doccia con sauna; adesso si apprestava a venderlo col massimo profitto in primavera e a spostarsi nel prossimo da restaurare, anche se le sarebbe dispiaciuto davvero tanto dire addio alla sauna. Be’, effettivamente sarebbe stato doloroso lasciare tutto l’appartamento, per innumerevoli ragioni, e sospettava anche che non sarebbe stato facile convincere i ragazzi che era una buona cosa… ma, che le piacesse o no, aveva bisogno di soldi.

    Dalla fermata della metropolitana di Highgate si diresse, ticchettando sul lastricato, non verso casa, ma all’esclusiva scuola privata che frequentavano i suoi figli – la St Vincent.

    Mandare i ragazzi alla St Vincent pagando 2.000 sterline al mese era ciò che manteneva Annie concentrata nelle sue giornate di trattazioni, consulenze e vendite. La maggiore di tre sorelle, era stata cresciuta, in un angolo molto meno invitante di Londra, da una madre single eterna lavoratrice che aveva mandato le figlie alle scuole pubbliche, sia elementari che medie, finché non avevano raggiunto tutte e tre i critici 14 anni. A quel punto, Fern la callista (anche se lei preferiva farsi chiamare podologa) aveva usato gli straordinari, i risparmi e la naturale intelligenza delle sue ragazze per assicurare loro un posto alla costosissima Francis Holland School, dove non solo avrebbero ricevuto un’istruzione ma anche una lucidatina.

    Per Annie quella scuola era stata la terra promessa, una sorta di Santo Graal: un posto da sogno per persone ricche ed eleganti, dove era riuscita a entrare per un pelo. Certo, aveva dovuto subire gli scherni dei compagni per il fatto di abitare nella parte sbagliata della città e per il suo accento non proprio raffinato. Ma, soprattutto, si era fatta una bella cerchia di amiche e sostenitrici perché era alla mano, astuta e figa, e perché conosceva un sacco di ragazzi.

    Quattro anni dopo aveva lasciato la scuola con molte qualità specifiche: le qualifiche necessarie per la scuola d’arte (e non quella medica, con grande delusione di Fern), la ferma convinzione che se mai avesse avuto dei figli sarebbero andati a una scuola del genere fin dal primo giorno, senza badare a spese, e infine, forse la cosa più importante, aveva imparato che bisognava sempre essere se stessi, perché la gente accetta molto di più le persone con i piedi per terra di quelle schizzate e che si danno un sacco di arie.

    «Ah, signora Valentine, che piacere vederla. Come andiamo?».

    Sulla porta principale il preside, il signor Ketteringham-Smith, dritto come un fuso e rigorosamente elegante nel suo completo grigio chiaro da ricevimento-genitori, salutava tutti di persona in un modo delizioso, tendente all’untuoso.

    «Benissimo, preside», lo rassicurò Annie con il suo sorriso migliore.

    «E lei? La vedo in forma».

    «Oh, be’… davvero?», il complimento lo mise in confusione.

    «Assolutamente, potrebbe giocare nella nazionale di rugby». Bisogna ammettere che con questo si era spinta un tantino oltre, ma almeno non c’era Lana che sarebbe morta dalla vergogna a vedere la madre flirtare col preside.

    «Mmm… be’… mi piace darmi da fare», replicò l’uomo.

    Annie si trattenne dal rispondere in modo civettuolo perché anche se il giorno del ricevimento-genitori si potevano incontrare moltissimi uomini interessanti nei corridoi della St Vincent, il pressoché calvo signor Ketteringham-Smith non era uno di questi.

    Annie Valentine aveva un debole per i padri, e forse era comprensibile.

    Be’, innanzitutto, non ne aveva quasi avuto uno. A chi aveva donato il proprio cuore Fern? A un capitano di navi mercantili. Che errore madornale! Ma vi rendete conto? Il pericolo era già nel nome.

    Mick Mitchell non c’era mai. E non faceva il pendolare a un’ora di distanza, ma dall’altra parte del mondo: in posti come Hong Kong e Rio de Janeiro. Nel poco tempo che stava a casa, voleva continuare a comandare, cosa che faceva imbestialire Fern, la quale, quando lui non c’era, era abituata a fare tutto da sola. Ma quello che infine fece affondare la nave fu la palese esistenza di altre donne in altri porti, testimoniata dalle frequenti e massicce dosi di antibiotici che Mitchell buttava giù.

    Il padre di Owen e Lana, Roddy Valentine – malizioso e divertente, celtico rubacuori dai capelli corvini – se l’era cavata molto meglio con la famiglia, all’inizio. Ma in fondo era un attore, sempre in giro, e nonostante le sue rassicurazioni Annie non era riuscita a smettere di pensare alla possibilità che ci fossero altre donne. Ad ogni modo niente l’aveva preparata alla brusca e scioccante fine del proprio matrimonio. A quella irrevocabile rottura e a quel totale sfacelo.

    Roddy era diventato acqua passata e lei aveva dovuto farsene una ragione, superare la cosa, usare ogni grammo di coraggio per tenere se stessa e i suoi due figli a galla e andare avanti.

    Come fosse successo era una storia che non amava raccontare, con la quale in qualche luogo appartato del suo cervello forse nemmeno credeva. Perfino adesso non poteva sentire il suo nome all’improvviso senza sussultare. Sebbene Roddy se ne fosse andato ormai da due anni e mezzo, la maggior parte delle mattine lei si svegliava e guardava ancora l’altro lato del letto in cerca del suo bel marito, convinta per un attimo che fosse stato solo un brutto sogno.

    Uno scolaro le porse un volantino e lei lo lesse rapidamente, controllando l’ordine degli eventi e le stanze nelle quali si sarebbe dovuta recare.

    Un’ora e mezzo sarebbe stata dedicata agli incontri con i coordinatori di classe, poi toccava al discorso del preside e alle recite. Qualcuno avrebbe notato se tagliava la corda prima dell’evento principale? «Ciao Annie, come stai?», la grassottella madre di quattro ragazzi, Becca Wolstonecroft, faccia amichevole e ricci biondi, le stava trotterellando incontro. Annie non aveva ancora capito se per mandare i quattro figli a quella scuola fosse clamorosamente ricca o clamorosamente al verde.

    «Ma stai benissimo – come sempre», esordì Becca baciandola sulle guance.

    «Oh, come sei gentile», fu la risposta di Annie. «Forse ti ci vogliono un paio di occhiali nuovi, cara».

    «No, no. Anzi, è arrivato il momento che tu dia qualche consiglio anche a me. Guardami!», Becca abbassò il mento sul petto e allargò le braccia, «Sembro terribilmente una proletaria».

    Annie soffocò la risatina che questa frase meritava. Non solo perché era divertente, ma perché, effettivamente, no, una finta pelliccia bionda lunga fino alle ginocchia forse non era la mise migliore per il tozzo fisico di Becca.

    «Non essere sciocca», insistette l’esperta di moda, «è morbida e… così…», cercò di sforzarsi…, «calda».

    «Be’, certo, allora una calda e morbida proletaria», esclamò l’amica.

    «OK, va bene, sei libera giovedì sera?», domandò Annie.

    «No», rispose l’altra incerta.

    «Il prossimo giovedì, dunque».

    «Mmm?», Becca sembrava confusa.

    Annie aveva già tirato fuori dalla borsa l’agendina rosa in finto coccodrillo – non si trovava bene con quelle elettroniche, ne aveva rotte troppe in passato. E non le piaceva neanche lasciare il bigliettino da visita aspettando che la richiamassero: non lo faceva mai nessuno, un appuntamento andava preso finché avevi la persona in pugno, e lei non se ne andava mai dagli incontri alla St Vincent senza aver catturato almeno una nuova cliente.

    «Il prossimo giovedì», cominciò Annie. «Vengo a riordinarti l’armadio, scegliendo cosa devi tenere e cos’è da buttare. Spiegandoti nel dettaglio, con delle immagini, cosa comprare e dove trovare quello di cui hai bisogno per essere sicura, d’ora in avanti, di apparire sempre strepitosa».

    Becca non sembrava molto convinta: «Mmm… sì… e quanto prendi? "

    «Probabilmente solo poco di più di quel che vale la tua attuale tenuta», la prese in giro Annie.

    «E quanto pensi che sia?», Becca guardò giù verso il suo cappotto peloso.

    «Dunque… tutto compreso, anche le scarpe M&S… 220 sterline?», tirò a indovinare.

    «Mio Dio, quanto?!», Becca sembrava sinceramente sbigottita.

    «Dai, ti farò un prezzo da amica», la rassicurò Annie. «Basterà un giro col carrello al reparto alimentare di M&S».

    «Mmm, be’…».

    «Senti, io ti segno a matita e poi qualche giorno prima ti telefono per confermare, qual è il tuo numero?»

    «OK, d’accordo». Becca si rianimò, di sicuro illudendosi che al telefono sarebbe riuscita a prendere tempo. Invece Annie si segnò allegra il numero, sapendo perfettamente che quel giorno l’avrebbe spuntata.

    «Insomma», Becca si buttò su un altro argomento, «per prima cosa mi voglio togliere il pensiero dell’insegnante di Eric. Andiamo da Godzilla insieme?»

    «No, zitta!», l’ammonì l’amica. «O finirò per chiamarla in quel modo mentre le stringo la mano».

    L’attuale coordinatrice didattica di Lana, e quindi anche di Eric, era la virago della scuola: quel tipo di dragone che ruggisce solo per il gusto di farlo e a cui piace far scappare via i ragazzini terrorizzati.

    «Eric!», Becca chiamò suo marito, Eric senior, un uomo dalla faccia rossa in completo gessato. «Da questa parte. Iniziamo».

    Al piano di sopra i corridoi e le aule brulicavano di genitori che guardavano i quadri appesi al muro («Oh mio Dio, Jessamy sta dimostrando un talento naturale, guarda i colpi di pennello. Per le vacanze estive dovremmo portarla a Firenze. Vedrai che trarrà ispirazione dai grandi maestri»); sfogliavano taccuini e libri di testo («Isaac è semplicemente geniale in matematica… guarda qua, non ha sbagliato una virgola. Ogni centesimo delle lezioni pomeridiane di Kumon è stato ben speso»); aspettavano il proprio turno di parlare con gli insegnanti («George pensa già di essere adatto per Oxford o Cambridge… è vero, compirà dieci anni ad aprile… ma legge già Dickens. Oh? Henry è alle prese con James Joyce?»).

    Alla St Vincent i genitori erano sempre molto, ma molto interessati a come andavano i propri figli a scuola e non perdevano occasione per un resoconto dei loro progressi.

    «Jill!», Annie picchiò sulla spalla di una delle mamme, che di recente era diventata sua cliente. «Ma guardati! Stai da dio». Sorrise, apprezzando l’amica da capo a piedi e notando l’impermeabile caramello che avevano comprato insieme, il bellissimo foulard di velluto appena stretto al collo, e l’audace fard di Bobbi Brown.

    Ricambiando il sorriso, Jill disse solo: «Grazie», come le aveva insegnato Annie: «Un grazie è sufficiente, basta con seeh, questo straccetto? oppure ho preso la prima cosa che mi è capitata o ancora figurati, mentre venivo qua sono passata per un ginepraio… o qualsiasi altra cosa eri abituata a rispondere ai complimenti».

    Dopo alcuni minuti di conversazione, Jill puntò il dito con nonchalance e sussurrò ad Annie: «Ecco Tor! Tor Fleming. L’hanno fregata di brutto col divorzio: Richard si tiene la casa, ha ottenuto la custodia congiunta di Angela assicurandosi le migliori settimane di vacanze e a Tor non spettano neanche gli alimenti. Che batosta. Sembra proprio sul punto di crollare. Guardala: non c’è nessuno che abbia più bisogno di te, Annie».

    Annie seguì con discrezione il dito di Jill fino alla madre di una compagna di classe di Lana. Povera Tor. Il suo esausto viso smunto stava sospeso tra una sformata giacca a vento azzurra e uno sciatto caschetto marrone con una tragica ricrescita grigia. Peggio ancora, Richard – alto, bello e imponente, indossava un costoso impermeabile blu navy e teneva in mano un elegante ombrello di quelli grandi – l’aveva distanziata di parecchi passi e osservava attentamente un quadro appeso al muro con troppo interesse. Di sicuro avevano deciso di mettere Angela davanti a tutto e venire al ricevimento insieme.

    Annie si gettò in avanti, sorpassando Richard, ed esclamò con calore: «Tor! Come stai? Sono secoli che non ci vediamo, devi assolutamente venire a fare un salto…».

    Ben presto toccò ad Annie prendere posto davanti alla coordinatrice di Lana, la temuta e severissima cinquantenne signorina Gordanza.

    Dopo un rapido saluto, l’insegnante rivolse subito l’attenzione alle tre pagine di annotazioni dattiloscritte che aveva sulla scrivania a proposito di sua figlia – e non eravamo ancora a metà semestre.

    «Be’, signora Valentine, senza dubbio ci sono state delle difficoltà con Lana prima di Natale», iniziò la virago, aggiustandosi gli occhiali di quarzo color porpora sul naso aquilino troppo incipriato.

    Delle difficoltà era un eufemismo. Durante tutta la prima parte del semestre Lana e il suo gruppo di amiche si erano spronate l’un l’altra a fare scherzi sempre più pericolosi e audaci, come il pesce crudo lasciato nascosto nelle aule per tutto il weekend o lo spettacolare sabotaggio degli ottoni dell’orchestra scolastica con la melassa: il concerto di Natale era arrivato a una conclusione alquanto appiccicosa.

    Ne era seguito un interrogatorio stile servizi segreti con il preside, vari insegnanti, Lana, le sue cinque amiche e i relativi genitori. Le ragazze erano state punite e avevano lasciato la scuola per le vacanze natalizie diffidate. Una volta rientrate a gennaio, le attendeva un’astuta punizione: Lana adesso si occupava, con le altre, della raccolta fondi di beneficenza, anche se stava ancora tentando di svignarsela.

    «Ora la scuola le piace molto di più», stava dicendo Annie alla signorina Gordanza. «Questo semestre mi ha promesso di ricominciare per bene tutto da capo e sembra ci stia riuscendo. Si impegna molto per conseguire il diploma del biennio…», ma perfino alle sue orecchie la propria affermazione era apparsa molto più entusiastica di come l’avrebbe detta Lana.

    «La terrò accuratamente d’occhio», rispose l’insegnante mentre Annie si era fissata sul suo sgargiante rossetto fucsia. Era il tipo di sottile linea rosa che non avrebbe capitolato nemmeno di fonte a una notte passata a dormire con la bocca appiccicata al cuscino. Forse la signorina tutte le mattine si svegliava con quella stessa boccuccia stretta color fucsia.

    «Certo, e lo farò anch’io», Annie assicurò a Godzilla, spostando l’attenzione sul medaglione d’oro che l’insegnante indossava come parte integrante della tenuta nazionale delle virago sui cinquant’anni: una gonna a pieghe blu navy e un dolce vita d’acrilico, stretto sopra l’ampio petto che finiva per fare da trampolino al medaglione.

    Però qualche consiglio per cambiare non l’avrebbe voluto lo stesso, vero? «Ci sono… voglio dire… Lana è destinata ad avere qualche problema per via di… mmm… suo padre», continuò la signorina Gordanza imbarazzata. «Ma sono certa che la scuola potrà far fronte a tutto».

    «Sì, certo…», le rispose Annie gentilmente, «Sono sicura che tutti abbiamo dei problemi, signorina Godzil… zanza». Pensò di essersela cavata.

    «C’è così tanta gente che mi chiama in quel modo che sto pensando di cambiare nome», aggiunse la professoressa con tono seccato, senza alzare gli occhi dal foglio con le annotazioni.

    «Mi perdoni», all’improvviso Annie si sentì mortificata e di dieci anni più vecchia. «Scusi, non volevo…».

    «Non si preoccupi. Passiamo alle materie scelte da Lana?».

    Alle elementari il nuovo coordinatore di classe di Owen era il professore di musica, il signor Leon. Un nuovo acquisto della scuola, già molto popolare e, a quanto pareva, non solo tra gli alunni. Alcune mamme mostravano uno strano luccichio negli occhi, molto significativo, ed erano perfino state viste arrossire in sua presenza. Ma Annie, che ormai l’aveva incontrato un bel po’ di volte, non riusciva proprio a coglierne il fascino. Lo considerava indubbiamente un insegnante simpatico e devoto al lavoro, ma faceva un po’ troppo l’eccentrico fricchettone inglese perché lei lo trovasse interessante.

    Aspettando il proprio turno in corridoio, Annie poteva sentire di sfuggita gli ansiosi genitori prima di lei: «Marcus è eccezionalmente bravo», stava facendo presente la madre al professore. «Vogliamo essere sicuri che sia teso al massimo delle sue possibilità».

    «Be’, sfortunatamente non teniamo più uno stendino a scuola, signora Gillingham, ma vedrò quali altre idee farmi venire», rispose il signor Leon, provocando prima il silenzio e poi un confuso risolino da parte della signora.

    Quando toccò a lei, Annie entrò per trovare l’insegnante seduto sul bordo della scrivania che canticchiava allegramente.

    «Signora Valentine! Venga avanti. Qualsiasi suggerimento per torturare i bambini è ben accolto».

    Distese le braccia, si alzò in piedi, provò a passarsi una mano fra i capelli ma rimase bloccato nel tentativo, quindi ci rinunciò e indicò le due sedie accanto alla sua. Con un tuffo al cuore Annie si rese conto che alla St Vincent i genitori tendevano a venire in coppia.

    «Che ne pensa del violino?», chiese il signor Leon, mettendosi seduto e incrociando di nuovo le braccia. I vestiti che aveva scelto quel pomeriggio per apparire elegante lo facevano sembrare teso e per niente a suo agio. Bisognava convenire che lo sforzo non era stato eccessivo.

    Si era solo tenuto il look eccentrico del fricchettone: pantaloni di velluto a coste sdruciti, infelicemente appaiati a due pesanti scarponcini da trekking marroni e a una stretta giacca di tweed così pelosa che Annie si stava domandando quando avrebbe iniziato ad abbaiare.

    Aveva sganciato il primo bottone della camicia e la cravatta era ridotta a un minuscolo nodo accartocciato, in contrasto con le spalle ampie, la faccia abbronzata e la spettacolare massa di capelli. Sembrava che fosse sceso da una montagna e si fosse infilato i primi abiti che aveva trovato. Emanava anche un odore curioso: un misto di umido, fumo e perfino acqua stagnante.

    «Cosa penso del violino?», ripeté Annie domandandosi se si fosse persa l’inizio della conversazione.

    «Dovremmo far suonare il violino a Owen. È bravissimo col pianoforte.

    Praticamente riesce a suonare qualsiasi strumento a lezione, ha nove anni, l’età perfetta per iniziare e un buon orecchio, davvero molto buono. Inoltre», continuò, «cerchiamo disperatamente nuovi violini da reclutare nelle nostre file. Tre se ne andranno alla fine di quest’anno».

    Annie dovette presumere che si riferisse ai membri dell’orchestra della scuola.

    «Signor Leon», iniziò.

    «Ed», la interruppe lui. «La prego, mi chiami Ed».

    Poi si girò dall’altra parte e si frugò nelle tasche, facendo appena in tempo a starnutire portentosamente nel fazzoletto di cotone sgualcito.

    «Be’, salute. Dove ti sei preso quel brutto raffreddore, Ed?»

    «Sono appena tornato dalla quinta manifestazione di Orienteering sul massiccio dello Snowdown». Si soffiò il naso con forza. «Molto divertente».

    «Non fa un po’ freddino per il campeggio?», adesso l’odore di pantano le era chiaro.

    «I ragazzi stavano all’ostello della gioventù, ma per me nessun problema: ho l’attrezzatura polare».

    «Ah, OK…», Questo dorme all’aperto a febbraio?! Lo dicevo io: pazzo, eccentrico fricchettone. «Credimi, Ed, non c’è verso che né io né riusciamo a convincere Owen a suonare il violino. Zero! Forse non sei riuscito a parlargliene» – questo era il suo modo gentile di presentare l’acuta e, a volte, paralizzante timidezza di suo figlio – «ma ti assicuro che il ragazzo amante del rap, distruttore di kit del piccolo chimico, il super-figo con lo skate che conosco io non suonerà mai qualcosa di così sfigato e da checca come il violino».

    «Io suono il violino», la informò Ed.

    «Oh… bene…».

    «Non si tratta solo di concerti», assicurò il professore. «Anche se sono splendidi. Ci sono anche la musica folk, le giga irlandesi, perfino il rock ’n roll».

    «No, non credo gli piaccia e non voglio forzarlo».

    «Ma io penso al violino come a una voce così personale, un modo di esprimersi...», esordì Ed.

    Ma Annie gli rammentò con garbo: «Owen ha una voce assolutamente perfetta di suo, che usa in maniera meravigliosa a casa e quando si trova davvero a suo agio con le persone. È compito di tutti noi aiutarlo a sentirsi altrettanto a suo agio a scuola».

    «Concordo in pieno», aggiunse svelto Ed, «ma è molto bravo con la musica e dovremmo incoraggiarlo. Qualsiasi sfogo creativo è una buona cosa per i bambini. Lo sa che con me Owen dice ben cinque parole al giorno (che è già un notevole progresso) e sto cercando, il più affabilmente possibile, di fargliele aumentare. Quindi, che ne pensa della chitarra?», suggerì Ed. «La chitarra è giusta».

    «Immagino di sì», rispose lei con cautela per paura di accondiscendere a qualcosa per sbaglio.

    «Bene, che sia, allora», fece Ed entusiasta. «Lezioni di chitarra!».

    Appunto.

    «Non so se lui vorrà avere…», era preoccupata che il super-timido Owen dovesse affrontare lezioni individuali con uno sconosciuto.

    «Sarei felice di dargliele io», tagliò corto Ed. «Anche a casa, se questo lo fa sentire più a suo agio. Non pensa che sarebbe una buona idea? Vedere me, il suo insegnante, in circostanze molto più normali e meno minacciose? Davvero, secondo me lo aiuterebbe a rilassarsi anche a scuola».

    «Mmm, be’…», Annie era riluttante. A parte quello che poteva pensarne Owen, lei non era convinta di volere questo omone peloso in giro per casa, con i suoi passi pesanti negli scarponi da trekking e l’odore di acqua stagnante.

    «Gli chieda cosa ne pensa», la esortò Ed, «poi la chiamo per sapere quando vi torna meglio. Mi dia il suo numero». Si frugò tutte le tasche della giacca ma non riuscì assolutamente a trovare niente di utile come foglio e penna. Cominciò a guardare sulla scrivania mentre Annie tirava fuori il cellulare e si preparava a mettere direttamente il numero in memoria, senza preoccuparsi di cercare pezzi di carta nella stanza.

    Una volta che si furono scambiati i numeri, Ed si sedette di nuovo e chiese: «Bene, e quindi la mia preferita delle Sei sciroppine sta bene, no?».

    Annie non aveva la più pallida idea di cosa stesse parlando.

    «Non erano abbastanza per le Mille melassine, quindi dal sabotaggio del concerto ho iniziato a pensare a loro come le Sei sciroppine… Lana», spiegò.

    «Ah, Lana! Sì, sta bene. Ma non è molto entusiasta di questa cosa della beneficenza», cominciò Annie.

    Perché fosse Ed Leon il professore responsabile della raccolta fondi per Annie rimaneva un mistero. Era ovvio che non era capace di trovare abbastanza fondi neanche per comprarsi un paio di pantaloni nuovi.

    «No?», inarcò le sopracciglia. «Be’, dovrà farci l’abitudine. È la sua punizione e a ogni modo penso che le faccia bene essere di nuovo coinvolta nelle attività della scuola, aveva iniziato ad allontanarsi da noi».

    «Sì… mmm… be’, potresti avere ragione».

    «Ho un’idea per la raccolta fondi che potrebbe rendergliela più interessante», aggiunse il professore: «potremmo provare a organizzare un’asta di beneficenza online. Le Sei sciroppine dovranno rintracciare ogni sorta di articolo da rifilare poi su internet e ci sarà una piccola gara interna tra chi raccoglierà più soldi. Le dovrebbe piacere, no?».

    Annie non trattenne un sorriso. Visto che Lana era già una promettente rivenditrice su eBay, questo sarebbe stato proprio pane per i suoi denti.

    «Le piacerà da matti. Ma la tenga d’occhio. Non appena si annoia tende a diventare disobbediente. Renda tutto parecchio difficile e molto interessante o tenga gli occhi bene aperti».

    «Senz’altro. Ora, come le tornerebbe il giovedì per le lezioni di chitarra?», Ed non aveva alcuna intenzione di mollare.

    «Prima di tutto devo vedere cosa ne pensa Owen».

    «Sì, è giusto. Dunque, immagino che dovremmo parlare anche del suo rendimento scolastico, no?».

    «Signora Valentine?».

    Con un sobbalzo, Annie si sentì battere sulla spalla. Era ad appena tre metri da una porta laterale semi nascosta, certa di essere riuscita a evitare il concerto. Ma ora pareva proprio che l’avessero scoperta.

    Voltandosi, vide dietro di sé la figura alta e snella dell’amministratore della scuola.

    «Oh, salve signor Cartledge, stavo solo… Temo di dover andar via presto. Che peccato». Per enfasi si picchiettò l’orologio al polso (Cartier – comprato su eBay, di terza mano, forse da un ricettatore).

    «Solo una cosa, signora Valentine, speravo d’incontrarla». Abbassò la voce: «Be’, in poche parole…».

    Sentendosi vacillare, Annie capì cosa l’altro stava per dire.

    «Il suo assegno per le tasse di questo semestre è stato respinto», la informò il signor Cartledge.

    Era stato un rischio comprare il bagno in roccia calcarea e la doccia con la sauna così a ridosso del Natale. Sembrava proprio che avrebbe dovuto mettere in vendita l’appartamento prima del previsto.

    «Voi accettate carte di credito, vero?», chiese Annie, pensando al giochino di prestigio che avrebbe dovuto fare. Sapeva bene che cinque delle sue carte erano pericolosamente vicine al limite, ma c’era la sesta, quella solo per le emergenze: le avrebbe concesso un piccolissimo spazio di manovra.

    «Così, però, applichiamo un contributo dell’1%», rispose l’amministratore.

    «Non si preoccupi, credo che farò così, solo per questa volta!».

    Cercò di apparire il più allegra possibile.

    «No… mmm… non è che c’è qualche problema?»

    «No, no», insistette lei, «solo qualche… movimento di liquidi… una situazione da chiarire sulla disponibilità», mentì.

    Si sarebbe semplicemente servita della carta per le emergenze e, be’, avrebbe lavorato di più, cercando di fare vendite extra di giorno, trovando qualche altra consulenza a domicilio, rifilando più roba su internet.

    Non è che fosse la prima volta che si destreggiava tra i problemi economici.

    La maggior parte delle volte in cui Annie si gestiva da sola, era tutto OK. Per lo più riusciva a cavarsela. Ma c’erano dei momenti in cui lo odiava, non lo tollerava proprio e sentiva che non l’avrebbe sopportato un giorno di più.

    In questi casi, era sicura che avere accanto qualcuno, un partner qualsiasi, sarebbe stato meglio che essere da sola. Un sostegno, un appoggio, era tutto quello che chiedeva, non doveva pagarle il mutuo (anche se OK, un piccolo contributo sarebbe stato utile), bastava che fosse qualcuno da cui tornare, che facesse i massaggini al collo bene come Roddy. Qualcuno che le ricordasse con tono rassicurante, come avrebbe fatto lui: «Ehi, è solo denaro. Ogni giorno ne stampano un po’ di più».

    Una volta fuori, Annie strizzò gli occhi e poi se li asciugò accuratamente. Nessuno che non avesse guardato molto, ma molto da vicino si sarebbe accorto della minima sbavatura.

    Aprì la borsa e vi frugò dentro alla ricerca di due confetti di chewing gum. Se li mise in bocca e cominciò a masticare. A volte bastava l’esplosione di menta in fondo alla gola per scacciare completamente quella soffocante voglia di piangere.

    Si legò la cintura dell’impermeabile ben stretta in vita, tirò su il bavero, poi raddrizzò le spalle e alzò la testa. Un costoso e lucido trench di Valentino, anche se comprato di seconda mano su internet, era perfetto per far fronte a qualsiasi tipo di problema.

    OK, decise, avrebbe messo all’asta la borsa di Svetlana quella sera stessa e forse avrebbe dato un’occhiata alle curiose informazioni che la moglie del miliardario vi aveva lasciato dentro.

    CAPITOLO TRE

    Dinah

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