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Finché amore non ci separi
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Finché amore non ci separi
E-book361 pagine4 ore

Finché amore non ci separi

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Info su questo ebook

Numero 1 nelle classifiche italiane

Amalia Berger è un affermato avvocato newyorkese, nota nel foro come “la regina di ghiaccio”. I ricchi genitori però le riservano da sempre poche attenzioni. Ryan, di origini irlandesi, è il maggiore di quattro figli maschi e la sua caotica famiglia gestisce un pub nel cuore della Grande Mela. I due si sono conosciuti alla scuola di legge di Yale, dove è nata la loro reciproca antipatia. Amalia è poi rimasta a New York, mentre Ryan ha fatto carriera a Chicago. Finché un giorno, l’offerta di un posto da vice procuratore lo riporta a New York. Il primo caso che si trova ad affrontare sembra davvero banale: l’arresto per guida in stato di ebbrezza di una ragazza dell’alta società. Ma quel che appare semplice si può complicare inaspettatamente, se per esempio l’avvocato difensore della ragazza è proprio quella Amalia Berger, che Ryan non vede da almeno dieci anni… Lo scontro in aula degenera a tal punto che il giudice condanna entrambi a una pena esemplare, che li costringerà a trascorrere parecchio tempo insieme. E cosa può accadere se due persone che si detestano sono costrette a collaborare?

Un’autrice da mezzo milione di copie
Vincitrice del Premio Bancarella
Numero 1 in classifica

«Di certo è già un caso. Il genere è luxury romance, tra finanza e castelli di famiglia.»
Panorama

«Anna Premoli è capace di tuffare il genere del rosa nazionale in suggestioni internazionali e ben piantate nello spirito del nostro tempo.»
la Repubblica

«Anna Premoli è uno spot vivente del self-publishing: dal web al Premio Bancarella con il suo romanzo d’esordio.»
Vanity Fair

Anna Premoli
È nata nel 1980 in Croazia e vive a Milano, dove si è laureata alla Bocconi. Lavora nel campo degli investimenti finanziari per una holding di partecipazioni. La scrittura è arrivata per caso, come “metodo antistress” durante la prima gravidanza. Ti prego lasciati odiare è stato il libro fenomeno del 2013: è stato per mesi ai primi posti nella classifica, i diritti cinematografici sono stati opzionati dalla Colorado Film e ha vinto il Premio Bancarella. I suoi romanzi sono tradotti in diversi Paesi. Con la Newton Compton ha pubblicato anche Come inciampare nel principe azzurro; Finché amore non ci separi; Tutti i difetti che amo di te; Un giorno perfetto per innamorarsi; L’amore non è mai una cosa semplice; L’importanza di chiamarti amore; È solo una storia d’amore; Un imprevisto chiamato amore e Non ho tempo per amarti.
LinguaItaliano
Data di uscita17 mar 2014
ISBN9788854166622
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    Anteprima del libro

    Finché amore non ci separi - Anna Premoli

    narrativa

    721

    Questo libro è un’opera di fantasia.

    Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono frutto dell’immaginazione

    dell’autrice o sono usati in maniera fittizia.

    Qualunque somiglianza con fatti, luoghi o persone,

    reali, viventi o defunte è del tutto casuale.

    Prima edizione ebook: maggio 2014

    © 2014 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-541-6662-2

    www.newtoncompton.com

    Anna Premoli

    Finché amore non ci separi

    Newton Compton editori

    OMINO-OTTIMO.tif

    A mia madre, che sospetto detesti i romanzi rosa,

    ma che ha sempre pensato che avrei dovuto fare l’avvocato

    Un avvocato farebbe qualsiasi cosa per vincere una causa. Direbbe persino la verità.

    Patrick Murray

    The first thing we do, let’s kill all the lawyers.

    Shakespeare, Henry VI

    Prologo

    Era cosa assolutamente risaputa presso tutti i circoli di bridge di una certa importanza della Grande Mela che Jacqueline Berger detestasse perdere.

    Dire che lo detestasse era cosa fin troppo lieve per l’ineguagliabile regina delle carte di Manhattan. Per sua fortuna, ma anche di quelli che in genere le sedevano accanto, le giornate storte di Jackie si contavano finora sulle dita di una mano.

    Peccato però che la signora Berger si stesse accingendo a perdere sonoramente per ben due giorni di fila. E in tanti anni, nessuno ricordava che fosse mai accaduto.

    «Maledizione! Non è possibile!», esclamò l’arzilla signora dai capelli bianchi e dalla piega perfetta, con uno scatto d’ira per nulla celato, facendo quasi volare le carte accanto a lei.

    «Cosa c’è? Non è serata?», si intromise subito Jessica Stein, seduta alla sua sinistra. Jessica era la moglie del vecchio giudice Stein, nonché acerrima nemica di Jackie, da sempre. Il loro era un antagonismo nato più o meno in occasione del ballo delle debuttanti del 1949 e divampato in quello che poi era passato alla storia come il duello delle due rose. Nemmeno si fosse trattato della guerra tra Sudisti e Nordisti.

    Certo, a vederle ora, nessuno avrebbe mai potuto sospettare quanta rabbia e quanto veleno fossero stati sputati dalle due dame più influenti dall’alta società. Ma tant’è. Un tempo le mogli di gente importante avevano ben pochi stimoli se non quello di combattersi in maniera più o meno aperta. Si trattava di un passatempo piuttosto comune. Senza contare che una volta presa l’abitudine, era davvero difficile cambiare atteggiamento. Specie a ottantadue anni.

    «Se le mie capacità di calcolo non mi hanno abbandonato, questa è la seconda serata di fila che perdi», rimarcò ancora la signora Stein, tanto per enfatizzare l’eccezionalità dell’evento, che pure non sfuggiva ai presenti.

    Al tavolo del bridge scese un silenzio tombale: nessuno osava fiatare in attesa di una reazione da parte di Jackie. Che invece sorprese tutti con una sonora risata. Buona parte della sua fama nasceva dalla sua imprevedibilità e le dispiaceva non vivere all’altezza delle aspettative. Soprattutto nelle giornate storte.

    «Non dire sciocchezze, le tue doti matematiche sono sempre state alquanto discutibili. E poi lo sanno tutti, io non perdo mai due volte di fila». Il tono – solo apparentemente leggero – non ammetteva repliche. O almeno non da parte dei più timorosi.

    «La memoria inizia a vacillare, cara?», chiese la signora Stein, fingendosi premurosa e sorvolando sulle insinuazioni per nulla velate dell’avversaria. Lei e la matematica non erano mai andate d’accordo e il fatto era talmente noto che non c’era da stupirsi che le persone lo sottolineassero in continuazione. Ma dove non arrivavano le naturali inclinazioni, spesso arrivava l’ostinazione. E, in quella, Jessica Stein non aveva pari al mondo.

    «La mia memoria gode di ottima salute. E tu lo sai», rispose glaciale Jackie.

    «Allora ammetti che hai perso! Due giorni di fila!», scandì battagliera l’altra.

    La signora Berger si rivolse alla giocatrice che le era seduta di fronte. «Addison, cara, ho per caso perso ieri?», chiese serafica e padrona della situazione. L’apparente domanda, pronunciata con tanta innocenza, era però accompagnata da uno sguardo determinato, che solo pochi ingenui avrebbero potuto ignorare. La signora McLean non era di certo tra quelli.

    «Non credo proprio…», rispose Addison McLean vaga, fingendo di ricordare qualcosa. Non a caso era la moglie di un politico. Negare e non ricordare mai niente. In fondo non facevano tutti così?

    «Ecco. Ieri non ho perso!», esclamò quindi sicura Jackie, intenzionata a continuare il gioco. Era già stato sprecato del tempo prezioso per la sua rimonta.

    Ma Jessica Stein non era donna da farsi intimidire facilmente. «Oh, sì invece! Hai perso. Hai perso!», sibilò irritata, rendendosi conto di essere stata incastrata.

    «Qui però non se lo ricorda nessuno, vero?», ribatté calma Jackie, prendendo il mazzo di carte per mischiarlo.

    Persa l’occasione di punzecchiare ancora l’avversaria, Jessica si decise per una mossa disperata. «Be’, con tutte queste giornate storte nel gioco, vorrà dire che ora avrai finalmente fortuna in amore…».

    Jackie alzò gli occhi al cielo. «Jess, non dire sciocchezze. Sono vedova da oltre dieci anni!», rispose davvero spazientita. Nel loro caso, arrivare a toccare questioni private in modo tanto familiare significava avere toccato il fondo.

    «Appunto! Dieci anni! Non sei stufa di non avere qualcuno che ti porti al cinema o al ristorante?»

    «Perché, il giudice Stein ti porta al cinema?», domandò Jackie davvero sorpresa. Il vecchio spilorcio non le sembrava affatto tipo da attività ludiche. Sospettava che avesse scelto la carriera di giudice solo perché gli permetteva di mettere in imbarazzo gli altri. Nella sofferenza altrui, lui sguazzava meglio di un’anguilla.

    «Certo che no… è un giudice. I giudici non sprecano mica il loro tempo al cinema!», precisò Jessica stupita, tanto riteneva che fosse ovvio.

    «Be’, gli avvocati per fortuna lo fanno. Quindi io, a differenza di te, al cinema vado eccome. Con mia nipote», precisò fiera Jackie.

    «Chi, Amalia?», esclamò quasi scioccata la signora Stein, strabuzzando gli occhi.

    «Ho un’altra nipote per caso?», chiese come se avesse a che fare con una bambina.

    Ma l’altra non fece molto caso al tono provocatorio della domanda. «Sempre single?», s’informò invece sottovoce, ma con un’espressione che la diceva lunga.

    «Sempre single», dovette ammettere suo malgrado Jackie, muovendosi nervosa sulla sedia.

    «Quindi non ha funzionato con quel giovane che le avete presentato?», si intromise Addison, che trovava quasi offensivo il non immischiarsi in un discorso di gossip. Non a caso era considerata da tutti la regina del pettegolezzo. L’unica che sembrava poco interessata alle loro chiacchiere era la signora Watt, seduta alla destra di Jackie. Ma lei non faceva davvero testo: era infatti capace di passare interi pomeriggi seduta al tavolo da gioco, senza proferire una sola parola. Jackie reputava quindi che fosse perfetta per bilanciare in qualche modo Jessica. Non che fosse davvero possibile farlo fino in fondo: la signora Stein era fastidiosa non solo per due, ma anzi per tre.

    «Purtroppo no…», borbottò a denti stretti Jackie.

    «Ancora single a trentatré anni? Ma dico io, quando mai pensa di mettere al mondo dei figli!», si finse davvero preoccupata la signora Stein. Aveva dalla sua l’indiscutibile vantaggio di aver già visto sposarsi tutti i suoi nipoti. Almeno su quel fronte risultava inattaccabile.

    «Non lo so…», ammise infine Jackie. Quello era un argomento su cui non poteva proprio barare. Purtroppo.

    «Non ci sono poi così tanti buoni partiti ebrei a New York. A quell’età i migliori sono stati tutti presi», bisbigliò al suo fianco Jessica, come se si trattasse di un segreto di stato.

    «Hai ragione», confermò Addison con voce grave e uno sguardo adatto a cause ben più impegnative dello stato sentimentale di Amalia Berger.

    «Be’, vorrà dire che cederò questa mia improvvisa fortuna in amore a mia nipote, nella speranza che incontri finalmente la persona giusta», disse Jackie e si fermò a riflettere. «Insomma, le basterebbe incontrare un uomo che non scappi subito», si affrettò poi a specificare. Mai essere troppo ingordi e pretendere la luna. Meglio un passo alla volta.

    «Ma lo sai che Amalia li fa fuggire tutti… e a gambe levate!», le ricordò la sua amica Addison. A forza di osservazioni simili avrebbe corso il serio rischio di essere depennata dalla lista ben selezionata delle amicizie della signora Berger.

    Jackie sospirò amaramente. «Rammolliti…», rifletté a voce alta.

    «In effetti per uscire con tua nipote ci vuole una spina dorsale di ferro», commentò Jessica, che venne fulminata all’istante dal ben noto sguardo assassino.

    «Mia nipote è solo una giovane donna che non vuole accontentarsi», rimarcò.

    «Ai nostri tempi una trentatreenne era tutt’altro che giovane. Non capisco questa moda attuale di definire per forza tutti giovani. Apri il giornale e leggi sciocchezze come un giovane quarantenne… ma giovane chi?», puntualizzò Jessica perché a tutti fosse chiaro come la pensava.

    Jackie però preferì non dare il via a una nuova discussione e se ne stette stranamente zitta.

    «Amalia lavora troppo», si affrettò a specificare ancora Jessica, che invece non voleva proprio mollare l’argomento, «lavora decisamente troppo. Chi mai sposerebbe un avvocato così agguerrito? Cielo, tua nipote ha da ridire su tutto! E poi, con tutti quei soldi! Ma scusa, perché si ostina ancora a lavorare? Ha un fondo fiduciario abbastanza cospicuo da sovvenzionare qualche piccolo Stato in difficoltà!».

    «Lavora perché le piace. Dice che si diverte», la difese in fretta Jackie, che però si sentiva sempre più a disagio.

    «Appunto. Si diverte a litigare. Ti sembra normale?», insistette l’altra.

    Jackie si appoggiò stanca alla sedia. «Forse dovrebbe conoscere qualcuno che faccia la sua stessa professione. Un avvocato, almeno, avrebbe comprensione per la sua sete di ribattere su tutto. Solo che in questa benedetta città, così piccola, gli avvocati si conoscono ormai tutti. E se non ha incontrato ancora nessuno…».

    «Quasi tutti», precisò la signora Stein, illuminandosi all’improvviso in volto e interrompendo l’altra. «Mio marito mi ha riferito che c’è un nuovo vice procuratore distrettuale in arrivo!».

    Al tavolo si fermarono tutti. Persino la Watt alzò un sopracciglio.

    «Ma come fai a saperlo?», chiese Addison curiosa.

    «Cielo, cara, ma i giudici in pensione sanno sempre tutto! Come impieghi la giornata se non sparli del mondo della legge?». Il ragionamento non faceva una piega. Le altre annuirono con convinzione.

    «E questo nuovo vice procuratore è ebreo?», si affrettò a chiedere Jackie, rianimata da nuova speranza.

    E qui Jessica Stein sfoggiò il suo primo vero sorriso di vittoria della serata. Perché ormai era chiaro che aveva la situazione in pugno. «Oh no, cara. È irlandese», svelò gioiosa, mentre guardava Jackie Berger sbiancare. «Assolutamente, cattolicissimamente irlandese».

    Capitolo 1

    Amalia Berger non credeva di certo alla cattiva sorte, ma quella giornata stava iniziando ad assumere contorni davvero inquietanti.

    Primo, non aveva sentito la sveglia. Cosa assurda, ma sfortunatamente possibile, se si possedeva una di quelle nuove sveglie infernali che avevano la presunzione di farti alzare dal letto senza traumi e con un suono dolce. E visto che il maledetto suono soave di onde del mare o altre stramberie simili pareva essere udibile solo dai cani o dai pipistrelli, non c’era da stupirsi che l’essere umano fosse condannato al ritardo.

    Sveglia da cambiare a tutti i costi!

    Una volta alzatasi, la sfortuna aveva però continuato a perseguitarla. Aveva inciampato, non sapeva come, nel tappeto, sbattendo in modo maldestro l’alluce nell’unico spigolo presente nella camera da letto, pensata dall’arredatore senza angoli. Davvero molto Feng Shui. Anche se pareva essergliene sfuggito uno…

    Così, ora, l’armonia della camera era incrinata dalla piccola macchia di sangue sul dannato tappeto bianco. Piccola, certo, ma comunque ben visibile, visto il candore che regnava sovrano.

    Ma perché mai aveva accettato di comprare un tappeto bianco sapendo bene che sarebbe stata costretta a camminarci sopra?

    La triste verità era che quando si pagava un arredatore di alto livello, si finiva poi per vivere in una casa che non ti rispecchiava affatto, perché per un arredatore il cliente non ha mai ragione. L’architetto è dio, il cliente è solo quello che finanzia le sue mille esuberanze – o genio creativo – come amano definirlo gli addetti del settore. Guai a pretendere di avere in casa oggetti utili, colpevoli solo di avere un design non tanto accattivante, o tappeti sui quali lo sporco si sarebbe potuto mimetizzare. Molto meglio una distesa di bianco che di anno in anno, nonostante i costosissimi lavaggi a secco, tendeva ad assumere un orribile colore grigiastro.

    Amalia cercò di consolarsi promettendosi di cambiare quanto prima il tappeto. Doveva solo ricordarsi di farlo sparire di nascosto da tutti. In particolare dal suo arredatore, che pareva avere il controllo persino di quello che veniva gettato nell’immondizia di quella città.

    Ancora dolorante, entrò in cucina, ma come era immaginabile il caffè in cialde era finito. Peccato che fosse l’unico in grado di preparare da sola. Ma a quel punto della mattinata Amalia era davvero pronta al peggio. In un certo senso si sarebbe quasi stupita di trovare una capsula nascosta da qualche parte. Giornate simili iniziavano male e finivano malissimo. Pura logica.

    Ok, niente caffè, andava benissimo anche così, si ripeté mentre si vestiva in fretta e furia: pantaloni neri, camicia di seta azzurro cielo e giacca nera. Si infilò a fatica, a causa del dito dolorante, le sue amate Louboutin nere con tacco alto, e controllò l’ora per cercare di capire quanto dovesse far affidamento sul teletrasporto per arrivare in tempo in tribunale. A quel punto trovare un taxi era questione di vita o di morte. Prese quindi borsa e telefono, accingendosi a chiudere in fretta la porta di casa.

    Aveva ancora le chiavi in mano quando il cellulare squillò nella borsa, facendola sobbalzare. In genere Amalia adorava chiacchierare con sua nonna, ma non di prima mattina, e non quando era in così drammatico ritardo.

    «Nonna, non posso», le disse senza mezzi termini percorrendo la rampa di scale zoppicando.

    «Ma è importante!», si lamentò Jackie dall’altra parte del telefono. «Non sai cosa ho scoperto ieri!».

    «Dov’eri ieri sera?», fece finta di interessarsi Amalia, uscendo in strada e guardandosi in giro alla ricerca di un taxi. Era ovvio che non ce ne fosse nemmeno uno all’orizzonte.

    «Al circolo del bridge», le spiegò Jackie paziente, come si fa con i bambini.

    «Ah, già. Il bridge…», ripeté Amalia con un tono di lieve derisione. O forse non così lieve.

    Non che fosse contraria agli hobby di sua nonna, ma cielo, cosa mai poteva aver scoperto di così importante durante una noiosissima partita? La più giovane delle sue amiche doveva avere circa cento anni. Almeno! Sedute in quattro attorno a quel tavolo rischiavano di rappresentare un’intera era geologica. Con tutto il rispetto parlando.

    «Riconosco il tono, cara mia…», l’ammonì Jackie seria.

    «Nonna, è solo il tono di una donna esasperata perché in ritardo. Davvero, ora non ho proprio tempo. Ti chiamo verso l’ora di pranzo per sentire questa tua chicca».

    «Fai pure come vuoi. Sappi però che i discorsi che si fanno al tavolo del bridge sono più seri di quelli che affrontate voi avvocatoni nelle vostre aule».

    Non che ci volesse molto, ma mai ammetterlo davanti ad altri. Amalia si abbandonò a una risata. «Ma va’? E di cosa si discute? Del procuratore distrettuale?», chiese ironica, immaginando invece discorsi sulla moda o l’ultima stagione teatrale. Era pronta a scommettere che la scelta del colore tendenza dell’anno avesse occupato più di un loro pomeriggio.

    «Certo che no!», rispose Jackie, facendo comparire un sorrisetto beffardo sulla bocca di sua nipote. «Parliamo soprattutto di vice procuratori».

    A quel punto Amalia si bloccò di colpo, decisa a finirla con le scemenze. Non aveva più voglia di scherzare. E pensare che si vantava di avere un eccellente senso dell’umorismo. «Nonna, ti chiamo dopo», la liquidò con un tono che non ammetteva repliche.

    Jackie decise saggiamente di non insistere oltre. «Ok, fai pure come vuoi. Ma io ti avevo avvisato!». E così dicendo riattaccò seccata.

    Ma cosa diavolo stava succedendo quel giorno? Amalia si guardò incredula in giro. Di un taxi libero ancora nemmeno l’ombra, ma quello era il rischio che si correva a vivere nell’East Village: i taxi al mattino non abbondavano come nell’Upper East Side, dove era radicata saldamente tutta la sua famiglia. Da secoli e secoli, forse prima ancora dell’arrivo dei padri fondatori. Si vedeva che erano arrivati con i vichinghi per non rischiare di doversi mischiare con la plebe ed evitare così la successiva ressa secolare. Cosa non si faceva per accaparrarsi l’appartamento con la vista migliore…

    Così Amalia scelse l’unica opzione che ancora le rimaneva, un atto di rappresaglia che avrebbe di certo fatto rigirare nella tomba generazioni e generazioni di Berger, e che in realtà aveva già compiuto in passato come piccolo gesto di ribellione nei confronti della sua famiglia. Gli altri comuni mortali provocavano i propri genitori con tatuaggi e piercing non meglio precisati, a lei invece bastò decidere di prendere la metro.

    Per fortuna, perché per quanto amasse procurare l’orticaria ai suoi, in realtà gli aghi proprio non poteva soffrirli.

    Arrivò in tribunale con un ritardo oggettivamente fastidioso. Persino per un avvocato. E non stiamo parlando di una categoria nota per spaccare il secondo.

    Quando aprì le porte dell’aula, rossa in viso, il giudice Wyatt era piuttosto seccato e deciso a fargliela pagare. Le era chiaro di essere spacciata ancor prima che il supremo imperatore dell’aula aprisse bocca per riprenderla davanti ai sudditi. I suoi occhi avevano infatti assunto un’espressione glaciale, che avrebbe di certo fatto fuggire avvocati meno esperti o solo più condizionabili. Meno male che quella seduta era solo l’ufficializzazione di un patteggiamento deciso da tempo, altrimenti sarebbero stati dolori.

    «Oh, la signorina Berger ci onora della sua presenza!», esclamò il giudice, quasi oltraggiato, appoggiandosi sulla sedia.

    «Chiedo scusa vostro onore», provò a dire Amalia, cercando di riprendere il controllo della propria voce e tornando a respirare normalmente, dopo lo sprint di poco prima. Nuovo record olimpico di corsa sui trampoli con alluce dolorante, per la cronaca…

    «La puntualità non è un optional, avvocato!», l’ammonì per nulla deciso a mollare.

    «Me ne rendo conto. E chiedo scusa ancora una volta», ripeté con voce ferma. Era davvero il caso di perdere altri dieci minuti a discutere per un piccolo ritardo?

    Alla sua sinistra era già seduta Liz, la figlia appena maggiorenne di uno dei suoi più importanti clienti, che era stata arrestata qualche giorno prima per guida in stato di ebbrezza. Si stava arrotolando una ciocca di capelli sul dito, come se fosse dal parrucchiere e non in un’aula di tribunale. Ragazzina annoiata e prepotente, ma non c’era altro da fare se non tirarla fuori dai pasticci.

    «Ora che l’avvocato Berger ha chiesto ripetutamente scusa alla corte…», iniziò a borbottare il giudice Wyatt, bloccandosi però quasi subito. «Mi scusi, ma qual è il motivo di questo suo oltraggioso ritardo?», le domandò ispirato da nuova ira.

    Oltraggioso… Non esageriamo, pensò.

    Amalia cercò di mostrarsi impassibile e di mantenere la calma. «Non ho sentito la sveglia», rispose. Le era chiaro quanto poco plausibile apparisse la sua scusa. Ma se la verità spesso risulta banale, questo non ci autorizza certo a renderla più epica. E Amalia non se la sentiva di peggiorare ancor di più la situazione. Anche se, riflettendoci meglio e osservando l’espressione di Wyatt…

    «Non ha sentito la sveglia? Davvero? Non trova nulla di più originale da inventarsi? E io che pensavo che gli avvocati fossero pieni di immaginazione!», si lamentò il giudice, seccato per la scusa non di suo gradimento. Una banale sveglia non gli dava però molti appigli per insistere con la ramanzina.

    «Che ci vuole fare, certe volte la realtà può essere estremamente prevedibile», gli fece eco Amalia, per nulla intimorita.

    Il giudice Wyatt era sempre stato una sua spina nel fianco. In fondo non poteva pretendere di essere simpatica a tutti. Solo che quel giorno sembrava davvero incattivito, in maniera più evidente del solito.

    «Comunque, siamo qui per un patteggiamento…», si decise finalmente a riprendere il discorso il giudice, sistemandosi gli occhiali sul lungo naso appuntito. Poi prese il foglio che il segretario aveva fatto comparire davanti a lui e si mise a leggere, iniziando pian piano a sorridere. E tutti sapevano che il giudice Wyatt era un tipo che non sorrideva. Mai.

    «Novità interessanti, vedo. L’ufficio del procuratore rifiuta il patteggiamento», lesse ad alta voce, come se avesse in mano una qualunque lista della spesa e si fosse dimenticato di prendere i pomodori per l’insalata.

    «Cosa?», esclamò Amalia, scattando in piedi pur essendosi appena seduta. «Ma non può rifiutarlo! Ci abbiamo messo giorni per trovare un accordo!», si lamentò.

    Poi si voltò come una furia verso il banco alla sua destra, per capire chi dell’ufficio del procuratore si fosse bevuto il cervello: perché era ovvio che qualcuno avesse davvero esagerato con il caffè corretto quella mattina. Solo che al banco dell’accusa sedeva un uomo dall’aspetto dannatamente familiare, che nulla avrebbe dovuto avere a che fare con la procura newyorkese.

    «Oh cielo…», si lasciò sfuggire, mentre con gli occhi ispezionava con maniacale cura prima il viso e poi il corpo di qualcuno troppo simile a Ryan O’Moore. Decisamente troppo simile.

    Ma non poteva trattarsi di lui, perché Ryan viveva a Chicago, l’ultima volta che l’aveva sentito nominare. Lo sapeva a mille miglia da lì.

    «Ciao Amalia», la salutò invece lui con una voce profonda, confermando i suoi timori. A quanto pareva quello era Ryan O’Moore in persona! O il fratello gemello, purtroppo per lei.

    «Ah, vedo che vi conoscete», s’intromise subito il giudice, desideroso di prendere parte agli eventi. Nessun giudice amava passare in secondo piano e Wyatt ancora meno degli altri. «Allora signor vice procuratore, visto che lei e l’avvocato Berger siete amici, a quanto pare, sono sicuro che sistemerete la vicenda anche da soli. Propongo di aggiornarci tra tre giorni. E non fatemi più perdere tempo!», li liquidò in tutta fretta, desideroso di passare alla prossima causa.

    «Ma… e il vice procuratore Height?», balbettò Amalia tra lo sbalordito e l’indignato.

    Wyatt si abbassò di nuovo gli occhiali con fare annoiato. «Ma non li leggete i giornali, voi avvocati? Height si è dimesso! Motivi imprecisati…». E nel dirlo assunse un’espressione eloquente, che era un significativo commento alla storia delle dimissioni lampo del precedente vice procuratore.

    «Avevamo comunque un accordo…», provò a rilanciare Amalia, che non era pronta a darsi per vinta.

    «Temo che fosse un tantino generoso», s’intromise il nuovo vice procuratore. Il bastardo stentava a nascondere lo sbocciare di un sorriso, mentre lo diceva.

    Amalia lo fucilò con lo sguardo. «Generoso un corno», borbottò con tono gelido, del tutto disinteressata a mantenere le apparenze.

    «Avvocati, posso gentilmente pregarvi di condurre questa nuova, inutile diatriba fuori dalla mia aula? Siete pregati di tornare fra tre giorni. Con un accordo raggiunto, oppure mi costringerete a decidere per voi. Avvocato Berger, mi permetta un consiglio amichevole: non mi faccia decidere, lo dico per il suo bene».

    Amalia si trovò bloccata, immobile, con la bocca spalancata, senza parole, in un misto di esasperazione, incredulità e rabbia repressa, che rischiavano di farla esplodere come un bollitore surriscaldato.

    «Vieni Liz», disse alla sua assistita, che almeno aveva il buon senso di apparire lievemente preoccupata, per la prima volta da quando era iniziata tutta quella storia. Forse c’era ancora speranza per lei.

    Amalia riprese in mano i fogli che aveva preparato pochi minuti prima e li ripose nervosa nella ventiquattrore di pelle nera. Doveva assolutamente riprendere il controllo della situazione prima di ritrovarsi faccia a faccia con Ryan O’Moore una seconda volta. Ma come sarebbe riuscita a superare un trauma simile? Ryan O’Moore nuovo vice procuratore? Solo in un film dell’orrore!

    Lui però le si parò subito davanti, non lasciandole molto tempo per metabolizzare la novità. D’altronde giocare sporco era sempre stata una sua caratteristica, anche ai tempi dell’università.

    «Tutto bene Amalia?», le domandò, osservandola mentre lottava per chiudere la borsa.

    Il risultato fu che si guadagnò l’ennesimo sguardo gelido da quegli occhi di ghiaccio, che tanto tempo prima le avevano permesso di guadagnarsi la nomea di reginetta delle nevi.

    «Tutto benissimo», sibilò lei livida. Quell’uomo mandava al diavolo il suo patteggiamento e osava persino fingersi amichevole? La pressione di Amalia stava aumentando di secondo in secondo.

    «Per il patteggiamento…», chiarì lui con un tono fin troppo comprensivo. Si trattava certo di una presa in giro. «Cena questa sera?», le propose come se fosse una richiesta normale.

    Amalia inspirò profondamente, come se le avesse chiesto di bere del veleno. «Scusami?», sibilò.

    Ryan scoppiò a ridere di fronte alla sua reazione istintiva.

    «Ah, ti stai prendendo gioco di me. Ahah…», gli disse tagliente. Era palese che lo trovasse simpatico come il mal di pancia dopo un’indigestione.

    «Vuoi venire in procura oppure passo io dal tuo ufficio?», le domandò lui, cercando di rimanere serio questa volta.

    A quanto pareva non c’era altra via d’uscita. «Passa pure da me. Ma domani pomeriggio. Oggi ho troppo da fare». Doveva cercare di riprendere il controllo delle sue facoltà mentali e sospettava che avrebbe impiegato parecchie ore.

    Ryan osò farle l’occhiolino. «Immagino tu abbia bisogno di tempo per abituarti all’idea», la provocò, mostrando di aver subito intuito la sua tattica.

    «Di cosa? Della tua presenza a New York?», gli domandò sarcastica, appoggiando le braccia sui fianchi con aria bellicosa.

    «Be’ sì, capisco che la mia presenza possa essere una… sorpresa…», osò replicare.

    La loro conversazione venne ancora una volta interrotta dal giudice Wyatt. «Cortesemente, potreste parlare delle varie formalità fuori da questa aula e lasciarci lavorare?», li riprese burbero.

    Amalia raccolse borsa e giacca e si incamminò verso l’uscita. «Ryan, detto tra di noi, era meglio se te ne stavi a Chicago».

    E con quella frase inforcò la porta, scomparendo dalla vista ma lasciando dietro di sé una scia di intenso profumo.

    «Conosci Amalia Berger?», chiese il giovane tirocinante al nuovo vice procuratore, mentre si stavano incamminando in direzione dell’ufficio.

    «Più o meno», confermò a stento l’altro, non molto intenzionato a parlarne.

    «Lei però conosce te. Sapeva che arrivavi da Chicago», gli fece presente Alex.

    Ryan sorrise della tenacia del giovanotto, che mostrava promettenti doti di osservatore, e si sforzò di superare almeno in parte la naturale riservatezza. «Abbiamo frequentato la stessa scuola di legge», gli svelò.

    «Wow, allora la conosci bene!».

    Bene? Chi mai avrebbe potuto dire di conoscere bene Amalia Berger?

    «L’ho incrociata a corsi e feste per un po’ di anni», ammise senza addentrarsi in altri racconti inutili. Potevano solo servire a creare pettegolezzi e l’ultima cosa di cui aveva bisogno un nuovo arrivato in un ufficio era far circolare storielle

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