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Con te oltre i limiti
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E-book306 pagine4 ore

Con te oltre i limiti

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Info su questo ebook

Questa non è la solita storia d'amore

Se pensi che questa sia una storia già sentita, ti stai sbagliando. La mia non è una storia d’amore… Almeno non la solita storia d’amore. Faccio l’avvocato e sono abituata a scoprire le cose, a portare alla luce i segreti, ma questa volta non ci sono riuscita. Ogni giorno River mi dà almeno dieci validi motivi per stargli lontano, e undici ragioni per cui non posso farlo. Il nostro rapporto doveva rimanere strettamente professionale, e io ci ho provato. Poi c’è Cole: dopo quattro anni di matrimonio, con lui tutto è cambiato. Non immaginavo che due persone che vivono insieme potessero sentirsi così distanti. Ma non sono pronta a rinunciare a lui. Un uomo sta cercando di farmi crollare. Un altro di vendicarsi. Entrambi mi stanno mentendo.

Un incontro magnetico
Un matrimonio in crisi
Lei non è pronta a rinunciare a nessuno dei due

«Una boccata d’aria fresca! Questa è una storia che parla di piacere e sensi di colpa. Non penserete più all’infedeltà nello stesso modo.»

«Una grande storia… Bellissimi personaggi. E che colpi di scena! Ho amato River Holtz! Non riuscivo a smettere di leggerlo.»

«Non so nemmeno da dove cominciare… Questo libro è stato incredibile! E mi ha incollato alle pagine fin dall’inizio. Ho cercato di indovinare come potesse evolvere la storia, ma ho sbagliato…»
Lisa De Jong
Vive nel Midwest, è sposata, è madre e ha a che fare con i numeri tutto il giorno. Per poter scrivere ha bisogno di una quantità folle di caffè e notti insonni, ma non ci rinuncerebbe mai. Le piace leggere, guardare il football e ascoltare la musica.
LinguaItaliano
Data di uscita13 lug 2017
ISBN9788822712653
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    Anteprima del libro

    Con te oltre i limiti - Lisa De Jong

    Capitolo 1

    «C ole!», grido, stringendo le dita intorno al bordo del tavolo. Esce lentamente, poi si spinge ancora dentro: non c’è niente di dolce o delicato in tutto questo .

    Durante i primissimi anni del nostro matrimonio faceva l’amore con me. Le sue labbra avrebbero sfiorato la mia pelle dalla testa ai piedi, e le sue mani avrebbero accarezzato l’interno delle mie cosce finché non avessi dolorosamente desiderato averlo dentro di me.

    Mi avrebbe stuzzicata.

    Mi avrebbe fatto mancare il respiro ancora prima di avvicinarsi al punto dove avevo più bisogno di lui.

    Sapeva esattamente quello che mi piaceva; era un’estasi folle. Era la ragione per cui mi affrettavo a rincasare dal lavoro ogni sera. Era una delle ragioni per cui avevo capito che era quello giusto: la nostra incredibile intesa sessuale si traduceva in ogni altro aspetto del nostro rapporto. Ogni centimetro di me si avvolgeva intorno a lui. Tutto: cuore, anima e corpo.

    Si spinge dentro di nuovo finché fa male, affondando la testa nell’incavo del mio collo.

    «Non smettere», gemo, facendo scivolare le dita fra noi. Ho davvero bisogno di venire. Quattro settimane e cinque giorni... ecco quanto è passato.

    Il sesso sta disertando la mia vita ultimamente, e lo fa ormai da qualche tempo.

    I suoi denti affondano nella mia pelle. «Non riesco a fermarmi, amore. Mi fai sentire così bene».

    «Cole, ti prego», lo scongiuro, strofinando le dita in cerchio. Se ha capito, ha deciso di ignorare il mio bisogno.

    Lo spinge fino in fondo. «Cristo, Marley», mormora contro la mia pelle mentre viene dentro di me.

    Il mio cuore sprofonda, ma il mio desiderio è bloccato, sospeso prima del culmine. I miei orgasmi sono diventati più rari di una luna piena. Fra meno di un’ora, saranno passate quattro settimane e sei giorni dall’ultima volta in cui ho provato la sensazione di venire intorno a lui.

    Il mio respiro è affannoso. Le mie dita ferme. La sua testa preme ancora contro il mio collo mentre le sue dita scivolano delicatamente lungo la mia schiena.

    «Ti ho fatto male?», sussurra contro la mia pelle. Non nel senso che intendi tu.

    «Sto bene», mento, sporgendomi in avanti per baciargli la spalla.

    Mi afferra le natiche, facendomi scivolare giù dal tavolo. I suoi occhi socchiusi fissano in fondo ai miei. Lo stesso sguardo che aveva il giorno in cui ci siamo detti lo voglio... Lo vedo, c’è ancora. Non è sparito completamente, ma il modo in cui lo dimostra, quello sì che è scomparso. Come faccio a riaverlo?

    Si china verso di me, mi bacia la punta del naso e ciascun angolo della bocca, poi mi sfiora velocemente le labbra.

    «Ti amo», dice piano, allontanandosi.

    «Io di più». L’ho detto per anni, ma ultimamente mi chiedo se ci credo davvero.

    «Impossibile».

    Sistema la spallina della mia camicia da notte sulla spalla e tira su l’elastico dei suoi boxer, così siamo entrambi coperti.

    «Dovrò andare fuori città per qualche giorno. So che avevo promesso che non avrei fatto altri viaggi questo mese, ma...»

    «Hai un cliente che ha bisogno d’aiuto ed è un’emergenza», lo interrompo io, desiderando con tutta me stessa di voltarmi e lasciare la stanza. È sempre la stessa scusa, ancora e ancora.

    Mi prende le guance fra le mani calde. «Mi dispiace, davvero, davvero tanto».

    «Ma questa settimana...». Trattengo le lacrime.

    «Lo so. Ho provato a tirarmene fuori, ma sono l’unico che ha una conoscenza diretta di questo caso». Con i polpastrelli dei pollici accarezza i cerchi gonfi sotto i miei occhi. È giusto che sia lui a provare a farli andare via, visto che è quello che li ha messi lì.

    «Che giorno?», chiede, dato che non parlo.

    «Giovedì», rispondo annaspando, con il labbro inferiore che trema. Sette mesi sono lunghi da passare quando si cerca di rimanere incinta, e che mio marito non sia mai nei paraggi quando ne ho bisogno non aiuta.

    «Magari saremo fortunati e succederà dopo stanotte», dice, tirandomi a sé, al suo corpo caldo.

    Premo i palmi delle mani contro il suo petto, cerco di mettere fra noi più distanza possibile.

    «Sono tre giorni, Cole. Avevi promesso...».

    Mi stringe forte fra le braccia, rendendo impossibile la fuga.

    «Prometto», sussurra al mio orecchio, «prometto che se non succede questo mese, sarò qui per il prossimo. So quanto significa per te».

    Caccio indietro le lacrime che minacciano di tracciare un sentiero lungo le mie guance. «Lo sai?».

    Allenta la presa appena il necessario da potermi guardare negli occhi. «Lo voglio anch’io. Se non ci credi, allora perché siamo qui a parlarne?».

    In tutta risposta mi stringo nelle spalle, incapace di trovare le parole giuste. Non so nemmeno da dove iniziare, ma non è così che avevo immaginato questa serata.

    Si china per baciarmi sulle labbra. «Ti penserò ogni istante».

    Dubito anche di questo.

    «Perché non cominci a prepararti per la notte? Io devo fare una telefonata veloce, poi ti raggiungo».

    Senza un’altra parola, scivolo via fra lui e il tavolo. Dopo essermi lavata il viso e i denti, mi rannicchio nel mio lato del letto, perfettamente consapevole che mi addormenterò prima che lui mi raggiunga. Promettere e mantenere non contano molto per lui. Non come una volta.

    «Ti mancherò?», mi chiede il mattino dopo. Le sue braccia mi circondano mentre mi verso la prima tazza di caffè.

    «Mi manchi sempre», rispondo sincera, appoggiando le mani sulle sue.

    «Oggi avevo un appuntamento in ufficio, ho bisogno che te ne occupi tu. Un cliente nuovo».

    «Fammi un riassunto in trenta secondi», dico, con le sue labbra premute nell’incavo del mio collo.

    «Non so ancora molto di lui. Beatrice mi ha detto che è in città per cercare di chiudere un affare, un edificio vuoto del centro da far diventare un nuovo ristorante, una specie di locale. Gli ha già detto che io non ci sarei stato, ma che mia moglie sarebbe stata più che capace di gestire la cosa». Fa una pausa e ritratta. «A dire il vero, lei ha detto anche più capace di gestire la cosa. Non so che genere di tangenti le passi alle mie spalle, ma evidentemente funzionano», mi prende in giro, mentre le sue labbra calde cominciano a risalire lungo il mio collo.

    Le sue mani si aprono sul mio stomaco piatto, poi lentamente scendono, afferrano l’orlo della mia lunga maglietta bianca. Il cotone sfrega contro le mie cosce fino a quando le sue mani trovano il mio sedere nudo e lo palpano. «Forse potremmo fare un bambino proprio adesso... prima che io vada», sussurra al lobo del mio orecchio.

    Le sue mani si allontanano dal mio stomaco, viaggiano verso i miei seni esposti. Ansimo mentre mi pizzica i capezzoli.

    «Lasciati andare, amore», mi dice, spingendomi avanti finché la mia guancia incontra il freddo del granito. Spinge le mutandine giù fino alle ginocchia, sento il rumore della sua cerniera. Senza esitare, è dentro di me, entra ed esce con il vigore di un cavernicolo.

    Voglio toccarlo, baciarlo, fare l’amore come lo facevamo una volta, ma adesso è così. L’ultimo anno dei nostri quattro di matrimonio è stato così.

    «Ti mancherò, amore?», chiede, afferrandomi la coda di cavallo. Quella sensazione. Il fremito. È quasi sufficiente a farmi raggiungere il culmine tanto sfuggente.

    «Sì!», urlo, in grado a malapena di riprendere fiato. «Toccami, Cole. Ho bisogno che mi tocchi».

    Le sue labbra calde disegnano una mappa invisibile lungo la mia schiena. «Come vuoi che ti tocchi... eh? Dimmelo».

    «Voglio venire. Ti prego fammi venire». Trova il punto tumido fra le mie gambe, lo sfrega delicatamente tracciando piccoli cerchi mentre il ritmo dei suoi colpi aumenta. È diventata una gara a chi ci arriverà prima. Aumenta ancora, e so che è vicino.

    Spinge. La pressione dentro di me aumenta.

    Chiudo stretti gli occhi, faccio del meglio per restare concentrata sul momento, per pensare soltanto al modo in cui mi riempie. Lo immagino senza camicia, che mi blocca contro il muro con le sue braccia forti strette attorno alla mia vita. Immagino che siamo a letto, il suo corpo completamente nudo che copre il mio con un ritmo continuo.

    Sono sull’orlo dell’euforia totale, ma lui è molto più vicino. Con un’ultima spinta si lascia andare, grugnisce alle mie spalle mentre le sue mani affondano nella mia schiena. Le sue dita abbandonano il punto in mezzo alle mie gambe, e io sussulto.

    Lo sa cosa mi sta facendo? O non facendo?

    «Farei meglio ad andare adesso», dice aiutandomi a sollevarmi dal tavolo.

    «Sì, faresti meglio», rispondo, facendo tutto il possibile per non guardarlo negli occhi. Sa leggermi come un libro aperto, per bambini, di quelli facili, e non abbiamo il tempo per rovistare nel disastro che siamo diventati prima che lui schizzi via per il suo prossimo viaggio. Mi sposta i capelli dalle spalle e mi bacia dietro al collo.

    «Devo prepararmi per il lavoro», annuncio, con un’occhiata all’orologio del microonde.

    Mi fa voltare fra le sue braccia, togliendomi la possibilità di non incontrare i suoi occhi. Se vede la tristezza nei miei, non dà segno di accorgersene. Mi afferra per i fianchi, tirandomi a sé per un ultimo, lungo bacio. Vorrei che mi toccasse così ogni volta... con questa tenerezza, questo amore.

    «A venerdì, amore».

    Do alle mie labbra la forma di un sorriso, anche se un po’ forzato. «Comportati bene», lo ammonisco.

    «Non è di me che dobbiamo preoccuparci». Mi fa l’occhiolino e lascia la presa.

    «Stanotte, dopo un po’ di vino con le ragazze, mi rannicchierò sul divano a guardare uno di quei programmi sui delitti veramente accaduti. Poi me ne starò a letto con la tua vecchia mazza di legno, a immaginare che ogni rumorino sia un intruso incappucciato venuto a strangolarmi, o a tagliarmi a pezzettini».

    Ride. «Chiudi la porta e inserisci l’allarme. Starai benone». Guarda il suo orologio. «Va bene, adesso devo proprio andare, o perderò il volo».

    «Fai attenzione», dico, sollevandomi sulle punte per baciarlo sulla punta del naso.

    Guardo allontanarsi il suo corpo muscoloso avvolto in un completo elegante, lo vedo uscire dalla porta d’ingresso mentre incrocio le braccia sulla pancia. Il nostro matrimonio potrebbe davvero sopportare un bambino, ora come ora?

    Capitolo 2

    «M arley, sono contenta che tu sia qui», annuncia Beatrice mentre supero la sua scrivania. «River Holtz ha già chiamato tre volte questa mattina per sapere a che ora puoi riceverlo ».

    Beatrice fa parte dello studio fin da quando lo abbiamo rilevato, dopo la morte del padre di Cole, qualche anno fa. In effetti, credo sia stata la segretaria di Robert Mason per vent’anni anche prima del nostro arrivo. Sa quello che fa.

    «Chi è River Holtz?», domando, scartabellando fra una nuova pila di corrispondenza.

    «Tuo marito non te l’ha detto? È in città e vuole lavorare con voi a una nuova acquisizione. Per un locale, se non ricordo male».

    «Ah, sì, me ne ha parlato. A che ora vuole che ci incontriamo?».

    Il suo naso si arriccia leggermente mentre spinge in su gli occhiali. «Questo è più o meno il motivo per cui sono contenta che tu sia qui».

    «Sputa fuori, Beatrice».

    Sospira. «Ti sta aspettando nel tuo ufficio. E non so se te ne ho già parlato, ma non è un tipo molto paziente».

    «Cazzo», borbotto sottovoce mentre mi sistemo il tubino nero senza maniche e sposto i miei lunghi capelli biondi dal viso. «Abbiamo un fascicolo su di lui?».

    Mi passa una cartellina sottile. «Questo è tutto quello che sono riuscita a trovare», dice, fissandomi nello stesso modo in cui mi fissava mia madre quando ero troppo silenziosa a tavola e quando tornavo molto prima del coprifuoco.

    «Stai bene, Marley?»

    «Perché?»

    «È la prima volta che ti sento dire una parolaccia in tutti gli anni che ti conosco», risponde placida. È brava nel suo lavoro, non perché sia la più svelta alla tastiera o perché lavori più ore degli altri, ma perché esamina ogni cosa intorno a sé. Sa cosa serve che sia fatto ancora prima che glielo chiediamo... probabilmente ci conosce più di quanto conosciamo noi stessi.

    «Sono solo stanca», rispondo, scacciando via le emozioni deprimenti che credevo di aver lasciato a casa questa mattina. Il nostro rapporto si può ancora sistemare... deve essere così.

    Comincio ad avvicinarmi alla pesante porta in mogano, aperta quanto basta a concedermi una buona occhiata al mio inatteso ospite mattutino.

    «Ehi, Marley», mi chiama piano Beatrice da dietro.

    Mi volto, seccata. Non tanto da lei, ma dall’avere un uomo nel mio ufficio di cui ancora non so un cazzo, e prima di aver bevuto il mio caffè. Cole questa mattina mi ha letteralmente fottuta. «Cosa c’è?»

    «Probabilmente non è come ti aspetti».

    Rovescio gli occhi, dicendo: «Non aspettavo nessuno questa mattina. Ho due deposizioni a cui lavorare. Ha scelto il giorno sbagliato per passare a trovarci».

    Arriccia di nuovo il naso. «Non è quello che intendevo».

    «Dai, spiega», dico, spostando lo sguardo fra lei e la porta.

    «Potrebbe essere appena uscito di galera a giudicare dall’aspetto». Si ferma, sorridendo appena. «Però sa come riempire un paio di pantaloni. Se riesci a dargli un’occhiata da dietro...»

    «Beatrice!», esclamo con il tono di voce più basso possibile ma che mi permetta comunque di tenere il punto. Lei alza le mani in segno di resa.

    Senza un’altra parola, do un’ultima occhiata al mio vestito e apro la porta del mio ufficio d’angolo. Probabilmente il più bello dello studio.

    Rimango a bocca aperta alla vista dell’uomo in piedi alla mia finestra, che scruta dall’alto le strade della città. Ha il sedere del calciatore professionista, che è probabilmente il motivo per cui Beatrice ha fatto quel commento sui pantaloni. Le maniche della camicia bianca e perfettamente stirata sono arrotolate ai gomiti, lasciando in bella mostra una serie di tatuaggi che arrivano fino alle nocche delle dita. Decisamente non il mio cliente tipico.

    Mi schiarisco la gola, attirando la sua attenzione. Spalanco gli occhi, ma riesco velocemente a ritrovare il controllo. Ha gli occhi chiarissimi, quasi di vetro. È difficile staccare lo sguardo da quegli occhi. «Come posso aiutarla, signor Holtz?», domando, facendo il giro per sedermi dietro alla mia scrivania. Avrò bisogno di qualcosa a cui aggrapparmi.

    Mette una mano in tasca, mentre le dita dell’altra corrono sulle sue labbra rosa e perfette. «Ho un affare che ho bisogno di chiudere piuttosto in fretta. Speravo di lavorare con Cole, ma ho sentito che è opportunamente fuori città».

    Non si è spostato dalla finestra, perciò è perfettamente allineato alla mia sedia; il modo in cui il suo sguardo passa dalle mie gambe ai miei occhi non mi sfugge.

    «Perché tanta fretta?», chiedo, afferrando una penna per prendere nota.

    «Quando voglio qualcosa, la prendo. Questa proprietà è speciale, e so di non essere l’unico a essere interessato».

    Indico una delle sedie davanti alla mia scrivania. «Le spiace sedersi, così possiamo discutere qualche dettaglio?».

    Fa una smorfia e si avvicina alla mia scrivania. I palmi delle sue mani si posano sul bordo, chinandosi si fa più vicino. I suoi capelli castano chiaro cadono in avanti, riportando la mia attenzione su quegli occhi. «Non mi piace che mi si dica cosa fare».

    «Io ho chiesto», ribatto, mordendo l’estremità della mia penna.

    Si siede sul bordo della scrivania, a meno di un metro da me. «Voglio sedermi qui. Ora, cosa hai bisogno di sapere?».

    Mi stai prendendo per il culo. Chiamo al telefono Beatrice.

    «Sì, signora Mason?»

    «Portami del caffè. Tanto caffè».

    «Ne vorrei uno anch’io», dice River, prima che Beatrice abbia modo di rispondere.

    «Arriva subito», dice prima di chiudere la chiamata.

    «Prima di tutto mi serve l’indirizzo di questa proprietà», dico, riportando l’attenzione su di lui.

    Prende una busta gialla e la getta sulla scrivania. «È tutto là dentro».

    «E il venditore?», domando.

    «C’è anche quello».

    «Allora a cosa le servo? Ci sono gli agenti immobiliari per queste cose, no?». Ho gli occhi fissi sulla porta. Se Beatrice non porta subito il caffè, potrei iniziare a dare di matto.

    «La proprietà non ha la destinazione d’uso per ospitare un locale notturno. Quello che voglio fare io è gestire un ristorante nelle prime ore serali, e poi trasformarlo nel locale più fico della città. E tu sarai quella che lo farà succedere». Il modo in cui i muscoli delle sue cosce pulsano sotto i pantaloni distrae.

    «Può prendere una sedia, per cortesia?».

    Afferra una matita dalla mia scrivania, se la rigira fra le dita. Neanche cinque secondi dopo la spezza. «Sto bene così. E poi, la vista è migliore da qui». I suoi occhi salgono lungo le mie gambe e si fermano sul mio seno per una frazione di secondo, prima di trovare finalmente i miei.

    «Non so se ho tempo per il suo caso». Per lo più è una bugia.

    «Ma lo farai. Cole mi ha promesso che se ne sarebbe occupato lui, e lui non è qui».

    Inforco gli occhiali da lettura e apro la busta. «Mi dia qualche ora per dare un’occhiata e preparerò la documentazione per il consiglio comunale. Posso richiamarla quando avrò qualcosa?».

    Quando non risponde, alzo lo sguardo e lo trovo a fissarmi, il pollice che scorre lungo il labbro inferiore. Distrae più di quanto vorrei ammettere.

    «Sei sicura di essere sposata con Cole Mason?»

    «Per quanto ne so. Hai un problema con questa cosa?». Ghigna. Che stronzo arrogante. «No. È solo che mi pare che lui si meriti di peggio... e tu di meglio».

    «C’è questa linea», comincio, muovendo le dita fra noi.

    «Non ti è permesso oltrepassarla».

    Ride. «Non ci stavo provando. Posso avere ogni donna che voglio, ogni notte in cui la voglio. Un’avvocatessa sposata non rientra nella mia lista». Torno a fissare le carte prima che abbia l’opportunità di leggere la mia reazione. Un’avvocatessa non deve far parte nemmeno dei primi posti della lista di Cole, ultimamente.

    «Puoi andartene adesso», annuncio, senza disturbarmi ad alzare lo sguardo.

    «C’è ancora una cosa».

    «Sto ascoltando», sospiro.

    «Inaugurano un locale questa sera. Il tizio che lo gestisce ha avuto una trafila simile con il comune. Ho pensato che sarebbe utile se voi due ne parlaste».

    Torno ad alzare lo sguardo, ma non a lungo. Non riesco a individuarlo, ma c’è qualcosa nel modo che ha di guardarmi. Non mi piace. «Lasciami il suo numero e gli chiederò di mettermi in contatto con il suo legale».

    «Stai sempre a fissare il vuoto sulla tua scrivania quando hai un cliente pagante nel tuo ufficio?», domanda con una voce più rauca di quella usata finora.

    Mi sta sfidando.

    Accetto la sfida. Per la prima volta, lo fisso abbastanza a lungo da vedere il colore dei suoi occhi: un azzurro così chiaro e luminoso da farmi pensare a un raggio laser.

    «Lo faccio quando il cliente non ha un appuntamento». Lo sguardo laser si stringe su di me, scruta per intero il mio corpo. «È un bene che tu non sia il mio tipo».

    «E come mai?».

    Si china in avanti, ancora più vicino. «Non avrò la tentazione di scoparti. Non mi va proprio di assumere un altro legale».

    Mi cade la mascella. Beatrice sceglie questo esatto momento per entrare con due tazze fumanti di caffè. I suoi occhi agganciano i miei. Se dopo tutti questi anni non si accorge di quanto disperatamente voglio quest’uomo fuori di qui, allora non sta prestando sufficiente attenzione.

    «Signora Mason», dice, e intanto appoggia le tazze sulla mia scrivania. «L’appuntamento delle nove e trenta la sta aspettando».

    Sorrido. È proprio brava. «Grazie. Avvisa pure che qui avrò finito in un paio di minuti».

    «Sarà fatto». Il suo sguardo incontra il mio un’ultima volta mentre raggiunge la porta. Mi fa l’occhiolino. Quella donna non deve assolutamente andare in pensione. Mai.

    La mia attenzione torna immediatamente al mio cliente.

    «Sei grezzo».

    «Vedi, sai già tutto quello che c’è da sapere su di me». Le sue labbra rosa premono contro la tazza di caffè nero. «Comunque non te lo lascio il suo numero. Tu vieni con me stanotte».

    Assolutamente no!

    «Ho degli impegni».

    «Cancellali».

    Rido forte, girando sulla sedia. «Il mio lavoro si fa in ufficio o nelle aule dei tribunali. Le regole sono regole, non farò strappi per te».

    Si avvicina ancora di più. Mi ritraggo nella sedia.

    «Ti pagherò il doppio della tariffa normale», mi intima.

    «Non sono una prostituta, signor Holtz». Ci sono stati altri clienti che hanno messo alla prova la mia pazienza – la maggior parte a dire il vero – ma nessuno si è mai comportato in questo modo. Ho lavorato in un piccolo studio, subito dopo la laurea, dove avevo a che fare con criminali di basso profilo. Il tipo di casi con cui potevamo guadagnare qualche soldo senza dover fare chissà quali scoperte. Alcuni di quegli uomini mi fissavano, specialmente se erano rimasti in carcere per più di qualche giorno. River Holtz è diverso. Sbandiera potere e denaro.

    «Tuo marito mi ha detto che sei la migliore. Io voglio il meglio, e ho intenzione di pagarlo», aggiunge, ammorbidendo la sua espressione. Probabilmente il suo bell’aspetto da ribelle l’ha aiutato.

    Riesco praticamente a sentire Cole dirgli quelle cose al telefono... sento la sua voce. Risveglia qualche ricordo di questa mattina, ma li seppellisco in fretta.

    «Mio marito è un uomo intelligente».

    «Dimostramelo», dice, ovviamente per stuzzicarmi.

    Cole mi sentirà stasera. Mi ha messo in una situazione di disagio tale da non essere nemmeno divertente.

    «Dove e a che ora?».

    Un angolo delle sue labbra si piega: ha vinto. «Vengo a prenderti alle dieci».

    «Le dieci?», domando, quasi cascando giù dalla sedia. Domani le udienze cominciano alle otto.

    «È quello che ho detto. Con lui ci incontreremo alle dieci e mezza, dopo l’inaugurazione». Gli passo un pezzo di carta e una penna.

    «Scrivi l’indirizzo. Ci vediamo là».

    «Ho detto che passo

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