Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Riunione di famiglia
Riunione di famiglia
Riunione di famiglia
E-book390 pagine5 ore

Riunione di famiglia

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

«Una storia credibile, autentica e irresistibile.» Irish Independent

In occasione del ventennale del diploma è stata organizzata una riunione tra ex alunni. Le sorelle Plunkett, però, hanno le loro ragioni per non voler partecipare… Caroline è una stilista di successo. Con i suoi lavori a maglia è riuscita a costruirsi la carriera che desiderava e divide il suo tempo tra l’Inghilterra e l’Italia, dove vive il suo compagno. Per quel che la riguarda, preferisce seppellire i ricordi della scuola e quel che le è successo il giorno in cui l’ha lasciata. Eleanor, d’altra parte, è diventata irriconoscibile. Non è più la ragazza spigliata e divertente di un tempo. Ha un figlio che a malapena le rivolge la parola e il suo matrimonio è in crisi. Rivangare i bei tempi andati è proprio l’ultima cosa di cui ha voglia. Ma quando Caroline riceve una lettera inaspettata un po’ di tempo prima del giorno previsto per l’incontro, i ricordi cominciano a riaffiorare. Le due sorelle riusciranno a trovare il coraggio di tornare nella cittadina in cui sono cresciute e affrontare il passato?

Un’autrice pubblicata in 10 Paesi
Il tempo riesce a guarire qualunque ferita

«L’autrice riesce a scavare fino al cuore dei nostri sbagli più intimi e presentarceli come di fronte a uno specchio… Credibile, autentico e irresistibile.»
Irish Independent

«Un libro che scalda il cuore.»
Woman’s Way

«Una lettura che fa pensare, profonda e di grande ispirazione. Roisin Meaney è una scrittrice davvero brava.»
Sheila O’Flanagan
Roisin Meaney
è nata a Listowel, ma dopo aver vissuto negli Stati Uniti, in Canada, in Africa e in giro per l’Europa è tornata a Limerick, nella sua Irlanda. Ha pubblicato diversi bestseller, tra i quali Cose incredibili che facciamo per amore, Un’estate così e Cupcake Club, pubblicati in Italia dalla Newton Compton.
LinguaItaliano
Data di uscita12 dic 2018
ISBN9788822728753
Riunione di famiglia

Correlato a Riunione di famiglia

Titoli di questa serie (100)

Visualizza altri

Ebook correlati

Narrativa generale per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Riunione di famiglia

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Riunione di famiglia - Roisin Meaney

    2160

    Titolo originale: The Reunion

    Copyright © 2016 Roisin Meaney

    Traduzione dall’inglese di Elena Papaleo

    Prima edizione ebook: marzo 2019

    © 2019 Newton Compton editori s.r.l., Roma

    ISBN 978-88-227-2875-3

    www.newtoncompton.com

    Realizzazione a cura di Librofficina

    Roisin Meaney

    Riunione di famiglia

    Indice

    Eleanor

    Caroline

    Prima parte

    Eleanor

    Caroline

    Eleanor

    Caroline

    Eleanor

    Caroline

    Eleanor

    Caroline

    Eleanor

    Caroline

    Eleanor

    Caroline

    Eleanor

    Caroline

    Eleanor

    Caroline

    Seconda parte

    Eleanor

    Caroline

    Eleanor

    Caroline

    Eleanor

    Caroline

    Eleanor

    Caroline

    Eleanor

    Caroline

    Eleanor

    Il ritrovo scolastico

    Caroline

    Eleanor

    Caroline

    Eleanor

    Ringraziamenti

    In ricordo di Olivia e John

    Settembre 2015

    Alle diplomate del 1995

    Il preside e il personale scolastico della Saint Finian sono lieti di invitarvi alla riunione di classe a vent’anni dal diploma che si terrà sabato 10 ottobre alle 19:30 all’Abbey Lodge Hotel. Aperitivo compreso.

    È gradita conferma entro il 26 settembre.

    Eleanor

    «Mi servono dieci euro».

    Si volta dal lavello ed eccolo, accigliato, all’altro lato della stanza. Quando è stata l’ultima volta che lo ha visto sorridere?

    «Dieci euro», ripete lui, un filino più lentamente, in modo che anche quella ritardata di sua madre possa capire. La cosa non le sfugge.

    «Per cosa?»

    «Un libro. Per la scuola».

    «Un libro? Pensavo li avessimo presi tutti».

    Un millisecondo di silenzio, pieno d’irritazione. Strabordante d’irritazione. «Una dispensa. Di storia».

    «Una dispensa? Perché non era nell’elenco?».

    Lui spinge di colpo indietro la sedia che striscia sulle mattonelle. Quello stridio la fa trasalire. «Lascia perdere», dice, e aggiunge qualcos’altro che non riesce a sentire.

    Esce senza permetterle di replicare e senza chiudersi bene la porta alle spalle. Lo sente correre su per le scale, come fa sempre, salendo tre o quattro gradini alla volta, con quelle gambe lunghe che non ha preso né da lei né dal padre. Così finirà per svegliare Gordon, che non va mai a letto prima dell’una di notte.

    I soldi glieli darà, certo. Magari servono davvero per la dispensa, come dice lui, e non vuole mettergli i bastoni tra le ruote con la nuova scuola così presto. O forse li userà per tutt’altro, magari per comprarsi le sigarette di cui puzza, anche se è convinto che lei non se ne accorga, o per l’alcol che forse ha già assaggiato. Si stupirebbe del contrario. In fondo, lei aveva poco più di quattordici anni la prima volta che aveva provato il sidro: si ricorda ancora quant’era stato eccitante, e quel bruciore aspro e proibito.

    Spera che non si sia invischiato in qualcosa di peggio. Sa così poco di lui. È come se ci fosse un burrone a dividerli.

    Si asciuga le mani sul grembiule e tenta di nuovo di stringere il rubinetto dell’acqua calda che perde. Va cambiata la guarnizione, e lo sa, ma ha paura a farlo da sola. Gordon continua a promettere che lo sistemerà, e lei sta ancora aspettando. La prossima volta che lo vede, lo chiederà a Mike, due case più in là. Un idraulico in pensione come lui lo farebbe a occhi chiusi. E Gordon non se ne accorgerebbe nemmeno.

    Prende il portafoglio dalla borsa e trova due banconote da cinque euro. Le piega e le posa con cura sul bordo del piatto bianco con i resti della colazione di Jacob: una macchia di tuorlo d’uovo e la crosta ricurva del pane tostato.

    Mentre lo aspetta, spilluzzica le briciole dalla tovaglia, bianca come le stoviglie e inamidata. Le piace una tavola ben apparecchiata, un retaggio dei giorni in cui lavorava da Fennellys, e poi lavare e stirare i panni la tiene impegnata.

    Spalma del burro sulle croste di pane lasciate da Jacob e le mangia una dopo l’altra, in piedi al lavello. Sorseggia il caffè tiepido e osserva la lancetta dei secondi dell’orologio appeso alla parete girare silenziosamente. Alla radio il conduttore si concede qualche battutina penosamente priva di humour con la ragazza dell’osservatorio del traffico. La musica che mette su non è male… Se solo lei riuscisse a ignorare le chiacchiere nel mezzo.

    Sente il rumore dello sciacquone al piano di sopra, e subito dopo la porta del bagno che si spalanca. Non si è lavato le mani, è pronta a scommetterci. Lo sente fare baccano nella sua stanza, aprire e sbattere i cassetti. È davvero ironico come qualcuno così parco di parole, e così silenzioso quand’è con lei, riesca a essere tanto rumoroso in altri modi.

    D’altronde, con suo padre si confida senza problemi.

    Porta i piatti al lavello e strofina via i rimasugli d’uovo. Le piace rigovernare, la sensazione dell’acqua calda e saponosa sulla pelle, e come brillano dopo le stoviglie. Passa un dito sul piatto umido solo per il piacere di sentirlo cigolare. Tira via il tappo del lavello e osserva l’acqua vorticare via.

    «Vieni a prenderli», grida, quando lo sente correre giù per le scale. Di certo non ha intenzione di portarglieli.

    Ricompare sulla soglia e si ferma lì, con lo zaino ciondoloni su una spalla e il fianco che sporge leggermente in avanti. La fissa senza guardarla. Eccolo il mistero quattordicenne che lei e Gordon hanno creato.

    «I tuoi soldi», gli dice, e lui si avvicina al tavolo per prenderli.

    «Grazie». Se li infila nella tasca dei pantaloni.

    «Come va a scuola?», gli domanda. «Come ti trovi?»

    «Bene».

    Esce dalla cucina. Sente la porta d’ingresso chiudersi con un clic. «Ciao», dice, a nessuno. «E buona giornata».

    Appena potrà, suo figlio se ne andrà per sempre da quella casa, e probabilmente nello stesso modo brusco. E non tornerà a trovarla, a meno che non abbia bisogno di qualcosa. Lui e Gordon continueranno a vedersi, ma succederà altrove, in un posto dove lei non ci sarà.

    O magari lui e Gordon se ne andranno insieme. Quel pensiero è come un colpo di coltello. Lo scaccia con una gomitata.

    Asciuga i piatti e li ripone in pile ordinate nella credenza. Si appoggia al lavello e finisce il caffè, ormai freddo, mentre un raggio di sole sbiadito illumina il pulviscolo nell’aria, Hozier canta di rhythm and blues e Clarence passeggia sul davanzale, miagolando seccato. Povero vecchio Clarence, si è dimenticata un’altra volta di lui.

    L’invito per la riunione tra ex compagne di scuola è ancora là dove l’ha lasciato sul bancone. Rilegge quelle poche frasi per la seconda volta. Sono passati sul serio vent’anni? Chi sarà ora il preside? Non ne ha idea. Suor Carmody è morta, no? E da un bel pezzo, le pare. Deve averglielo detto suo padre… Teneva sempre d’occhio i necrologi, e lo fa ancora.

    Quando andava a scuola, Eleanor aveva imparato a conoscere bene l’ufficio di suor Carmody. Di solito la chiamavano quando qualche insegnante si lamentava – perché non aveva fatto i compiti o si era comportata in modo insolente –; una volta, però, verso la fine della scuola secondaria, fu perché qualcuno – un ficcanaso che non aveva niente di meglio da fare che telefonare a scuola per segnalarla – l’aveva vista uscire da un pub con Andrew e altri.

    I tuoi genitori ne resterebbero molto delusi, aveva detto suor Carmody, come se prendersi una piccola sbronza a sedici anni fosse il peggiore dei mali. E comunque quella poveretta conosceva solo una parte della storia.

    Ora la Saint Finian è diventata una scuola mista… glielo ha detto sua mamma. Otto o nove anni fa ha unito le forze con la Christian Brothers. E hanno fatto fuori anche le uniformi: quando va a trovare i suoi genitori, per strada non vede più casacche scozzesi. E probabilmente tra il personale non ci sono più né suore, né frati. La vocazione ormai è roba del passato, e la gente è restia a far parte di un’istituzione tossica.

    Sono passati vent’anni dal diploma, però: è incredibile. Quell’anno aveva compiuto diciott’anni, tre mesi dopo che sua sorella Caroline – più grande di lei, calma, sensibile e sempre immersa nei libri – ne aveva festeggiati diciannove, a maggio. Erano come il giorno e la notte, loro due. Le suore non riuscivano a credere che fossero sorelle, e c’era poco da biasimarle.

    Ma nonostante le differenze – o forse proprio per quello – non avevano mai avuto un battibecco, o qualcosa di grave, in tutta l’infanzia, la pubertà e l’adolescenza. Non erano legate, non nel modo in cui ci si aspetterebbe da due sorelle quasi coetanee, soprattutto dato che non avevano altri fratelli, ma non erano neppure nemiche.

    Per ironia della sorte, era stata Caroline, non Eleanor, a finire nei guai ad appena diciassette anni. Mamma l’aveva spedita in Inghilterra prima che disonorasse tutti quanti. E Eleanor, con sua sorpresa, aveva patito la mancanza della sorella maggiore.

    Dopodiché niente era più stato lo stesso. Quando era tornata a casa, Caroline era innegabilmente cambiata. Era ancora calma, la studentessa modello di sempre, eppure c’era qualcosa di diverso in lei. Non era più il suo posto, non riusciva più a stare bene né a casa, né a scuola. E appena aveva potuto, se n’era scappata in Inghilterra. Non vedeva l’ora di tornarci.

    Ovviamente lei e Eleanor sono rimaste in contatto. Si sentono per telefono grossomodo una volta a settimana. Certo, le loro conversazioni non sono esattamente profonde e significative; somigliano più alle chiacchiere che si fanno nella sala d’attesa dal medico. Comunque, quello che conta è che non si sono perse di vista, non hanno lasciato che le loro vite prendessero strade diverse.

    Vent’anni: Eleanor non riesce ancora a capacitarsene. Tutti i suoi progetti, il futuro che si era immaginata a sedici anni. Niente era andato come previsto; niente era andato come si era aspettata una volta finita la scuola.

    Era cominciata bene, però. Quando ha sposato Gordon Fennellys, aveva vent’anni ed era pazza di lui. Era alta un metro e sessantatré scalza, e pesava cinquantaquattro chili, etto più etto meno. Aveva una pancia piatta e tonica, le cosce snelle e le curve dove necessario.

    In quei giorni viveva in jeans attillati taglia quaranta e magliette succinte, o maglioni che le fasciavano il corpo e abiti che ne mettevano in mostra la silhouette. Poteva mangiare quello che voleva e non fare esercizio fisico, tanto non ingrassava. Era fortunata, lo dicevano tutti.

    Poi erano arrivate due gravidanze, una dietro l’altra, e aveva iniziato a ingrassare in maniera esponenziale. Non c’era da stupirsi: era felice, innamorata, sapeva cucinare bene, e aveva un marito che se la cavava eccome ai fornelli, e a cui non fregava niente di quel che diceva la bilancia quando lei ci saliva sopra. Ma alla nascita della secondogenita era arrivata a settantasei chili: quindi, per quanto felice, aveva deciso che era giunto il momento di darci un taglio. Aveva cominciato a provare a perdere la ciccia in più.

    E più o meno ce l’aveva fatta.

    All’inizio del luglio 2002, dieci mesi dopo aver dato alla luce la figlia numero due, pesava meno di cinquantasette chili. E non le importava granché se la pancia non era piatta come un tempo e le cosce erano un tantino più flaccide. Era la madre di due bambini: ne aveva tutto il diritto.

    Poi, il 5 luglio di quell’anno, qualche settimana prima del suo venticinquesimo compleanno, Eleanor Plunkett Fennelly si era vista crollare il mondo addosso e aveva smesso di preoccuparsi del peso e di tutto il resto… e aveva riacquistato tutto il grasso perso, insieme a molto altro.

    Chissà come sarebbe presentarsi al ritrovo con le vecchie compagne di scuola, con l’aspetto che ha ora! Chissà quante occhiate pietose e incredule, e quante teste si sarebbero voltate al suo arrivo, con tutto quel carico di ipertensione, colesterolo e maggior rischio di cardiopatie e ictus! Per non parlare poi degli sguardi puntati addosso delle compagne tutte agghindate con abiti a sacco e belle scarpe. Ah, be’, quelle le indossa anche Eleanor: i piedi sono l’unica parte del corpo che non è andata completamente a rotoli… Il guaio è che non riesce a calzarle a lungo.

    Il preside e il personale scolastico sono lieti di invitarvi.

    Apre la porta sul retro e Clarence salta giù dal davanzale, entra quatto quatto, con il suo miagolio gutturale, e le si struscia contro le caviglie mentre tenta di attraversare la stanza. Uno di questi giorni la farà inciampare: cadrà e si romperà un’anca, e lui le zampetterà sopra per arrivare al cibo. Per qualche strano motivo, però, gli vuole bene, a quel vecchio scroccone. È onesto, non gliene importa un fico secco di nessuno e pensa solo a se stesso, mentre attraversa a passo felpato le sue sette vite con un solo chiodo fisso in testa.

    Clarence non era stato programmato, è comparso e basta.

    Una mattina si era autoinvitato in cucina, mentre Eleanor si trovava in giardino a stendere i panni. Quando era rientrata, lo aveva trovato dentro che si lavava il musetto, ignorandola, finché lei non aveva preso un po’ di carne dal frigo e gliel’aveva posata sul pavimento. Erano passati sei anni da quel momento, e lui continua a farsi vivo due o tre volte al giorno.

    Prima se ne occupava Jacob – è stato lui a dargli il nome – ma, una volta entrato nella pubertà, ha perso interesse per il gatto e ormai, quando le loro strade si incrociano, gli presta poca attenzione. Vorrebbe un cane, almeno a sentire Gordon, ma Eleanor proprio non ce la fa ad accettare l’idea di un’altra creatura in giro per casa. Riesce giusto a occuparsi di Clarence.

    Agita le crocchette nel piattino sbeccato che usa come ciotola e, a giudicare da come il gatto ci si avvicina, anzi ci si tuffa, spingendole via la mano con il testone, viene da pensare che non mangi da una settimana. Una manciatina della grandezza di un topo, dice il veterinario, è più che sufficiente… ma Clarence fiuta il piattino come in cerca del secondo. Be’, con lui intorno Eleanor non è l’unica cicciona in casa: forse è per questo che le piace.

    Attacca l’invito al frigo con una calamita su cui è scritto

    AMO CUCINARE CON IL VINO. A VOLTE LO METTO PURE NEL CIBO

    . Un pensierino divertente che Caroline ha portato loro quando hanno aperto Fennellys, l’anno in cui si sono sposati, e che ormai è sullo sportello del frigo da diciassette anni. A maggio del 2002, quando hanno ottenuto la stella Michelin, Caroline ha regalato loro un decanter di cristallo da Avoca: un’altra calamita non avrebbe certo reso giustizia a un riconoscimento tanto ambito.

    La riunione delle ex alunne è fissata per il 10 ottobre, mancano meno di sei settimane. Cerchia la data con un evidenziatore, così tanto per fare, sul calendario appeso vicino alla porta. Non ci andrà, neanche per idea. Lascia ricadere a posto la pagina di settembre e il numero dodici la fissa intensamente. Mancano cinque giorni.

    Lo supererà. Come sempre.

    Torna a pensare a Jacob, alla sua seconda settimana alla scuola secondaria. Sarà senz’altro dura per lui essere quello nuovo, quello che si deve inserire in un gruppo che ha già passato insieme due anni. E i ragazzi a quell’età non sono il massimo nel farti sentire il benvenuto.

    Qualche mese prima dell’estate, Gordon ha detto che avrebbero dovuto toglierlo dal collegio. Le rette sono rovinose. Dobbiamo risparmiare.

    Un fulmine a ciel sereno. Sapeva che il ristorante stava attraversando un periodo di vacche magre, ma era proprio necessario far trasferire Jacob? Frequentava da due anni una scuola con convitto a ottanta chilometri da lì, e tornava a casa il fine settimana in autobus. Là sembrava abbastanza felice e, sotto sotto, per Eleanor era più semplice non averlo sempre intorno… E ora dovevano sradicarlo, appena prima di concludere la scuola secondaria.

    Però cosa poteva fare lei, se secondo Gordon non potevano permettersi quella retta? E poi sarebbe stato un bene, si era detta, vivere insieme a tempo pieno. Magari avrebbero rincollato i pezzi di quello che si era rotto tra loro.

    Finora non è cambiato molto. Jacob torna a casa di pomeriggio, si prepara un tramezzino e sparisce. Su in camera sua, o in giro con quei pochi amici con cui è rimasto in contatto dalla scuola primaria. Si fa rivedere per cena, alle sette; mangia con Eleanor praticamente in silenzio… È impossibile scambiare quattro chiacchiere con lui: tutti i suoi tentativi non l’hanno portata da nessuna parte… e lui se la svigna il prima possibile.

    Arrivare alla nuova scuola è una bella scarpinata. È dall’altra parte di Galway, perché Gordon era fortemente contrario alla Christian Brothers là vicino. Lo capiresti, aveva detto a Eleanor, se ci fossi andata. E così ogni mattina Jacob prende un autobus, su cui rimonta al pomeriggio per tornare a casa, e finora non si è lamentato.

    O almeno non con lei. Quando glielo domanda, risponde che va tutto bene. Comunque neppure Gordon ha riferito niente, perciò è possibile che il cambiamento stia procedendo davvero nella maniera giusta.

    La mattinata trascorre come di consueto. Gordon fa la sua comparsa intorno alle dieci. Si prepara il caffè e si abbrustolisce il pane a lievitazione naturale, mentre Eleanor carica la lavatrice nella lavanderia, toglie la cenere dal camino in salotto, svuota i vari cestini della spazzatura e controlla il frigo per vedere cosa manca.

    Il marito legge il giornale e mangia, il tutto al volo. Se ne va prima delle dieci e mezza, gridandole Ciao dal corridoio. Eleanor non ricorda nemmeno quando è stata l’ultima volta che l’ha salutata con un bacio, né quando l’ha baciata in generale.

    Circa un’ora dopo, mentre infila la spina del bollitore per fare ancora un po’ di caffè, le squilla il telefonino. Segue la suoneria e lo trova sul portapane. Legge il nome del marito sullo schermo.

    «Mi serve una camicia pulita», le dice. «Questa me la sono imbrattata d’inchiostro».

    «Passo a portartela», gli risponde e solleva il coperchio del portapane per darci una sbirciatina dentro.

    «Non serve, mando Keith. Sarà lì tra venti minuti».

    Non la vuole al ristorante: scaccia via quel pensiero, prima che le si radichi in testa. «Mi è arrivato un invito», si affretta a dirgli prima che abbia il tempo di riattaccare. «Un incontro tra compagne di scuola dopo vent’anni». Mentre parla, stacca un pezzo di crosta da quello che resta del pane a lievitazione naturale.

    «Bene». Dal tono assente capisce che è impegnato in qualcos’altro, come controllare il menu del pranzo o dare un’occhiata alle prenotazioni per la cena.

    «Non ci andrò», continua. «Riderebbero se mi vedessero ora».

    «Fa’ come credi», risponde lui. «Be’, meglio che mi dia una mossa».

    Eleanor sente il minuscolo clic di quando riattacca. Non può biasimarlo. È stata lei ad allontanarlo, ad allontanare entrambi, e ora sono fuori dalla sua portata. Non è rimasto niente di quello che avevano lei e Gordon, niente a parte Jacob a tenerli insieme, finché durerà.

    Spalma del burro sul pezzo di pane e lo mastica in silenzio mentre Paloma Faith canta alla radio. Eleanor l’ha vista non molto tempo fa in qualche videoclip, tutta capelli biondi e rossetto rosso. Un vero bocconcino.

    Si pulisce le briciole dalle mani, si slaccia il grembiule e lo appoggia alla spalliera di una sedia. Mentre sale a cercare una camicia pulita e a mettersi un po’ di rossetto per Keith, pensa di dare un colpo di telefono a sua sorella.

    O magari aspetterà domani.

    Caroline

    L’ultima volta che era stata all’Abbey Lodge Hotel era il maggio del 2000. Aveva ventiquattro anni da una settimana, un’abbronzatura finta e un vestito verde che si era cucita da sola. Delle forcine con strass ai capelli e un velo di ombretto dorato alle palpebre.

    Ti trovo bene, le aveva detto. Senza dubbio rinvigorito da qualche bicchiere di Harvey Wallbanger, o da qualsiasi intruglio avesse scelto al bancone dei cocktail. Era appostato vicino al bagno delle signore, e sua moglie Sophie era abbastanza lontana da non poter sentire. Caroline riusciva a vederla. Era di fianco al tavolo del buffet, impegnata a parlare con Eleanor, che doveva ancora raccontare a tutti di essere incinta di Jacob, e con la vedova Lee, che abitava due case in là rispetto a quella dei Plunkett, e il cui unico figlio Douglas, Dougie, sarebbe morto di lì a sedici mesi.

    La povera signora Lee, che si vantava con chiunque di Dougie e del bel lavoro che era riuscito a procurarsi a New York, e mostrava la cartolina che il figlio le aveva mandato dei grattacieli argentei mostruosamente alti dove si trovava il suo ufficio. Al novantaquattresimo piano, diceva, e indicava il cerchio rosso che il figlio aveva tracciato attorno a una fila di minuscole finestre. Immaginatevi come deve essere stare lassù ogni giorno. C’era da provare compassione per la signora Lee, che anni prima aveva insegnato a Caroline a suonare il piano, o almeno ci aveva provato. Eleanor, ovviamente, si era rifiutata di prendere qualsiasi tipo di lezione di musica.

    Allora, come stai?, le aveva chiesto, ancora bello a cinquantaquattro anni, con la camicia bianca, l’abito nero, il farfallino rosso e il cocktail cullato nella mano curatissima che sette anni prima si era fatta strada tra la sua biancheria. La stessa mano con cui un quarto d’ora dopo aveva tirato fuori dal portafoglio venti sterline, ringraziandola per aver badato Nadine e promettendole che Sophie si sarebbe rifatta viva al loro ritorno dalla Francia. Calmo e imperturbabile, come se niente fosse, come se non avesse compiuto alcuna deviazione mentre la riaccompagnava a casa dei suoi genitori. Come se non avesse fatto nulla, quando aveva parcheggiato l’auto. Invece l’aveva fatto eccome.

    Allora, come stai?, aveva avuto la faccia tosta di chiederle. Nonostante le avesse voltato le spalle, quando era andata da lui in lacrime a sei settimane dall’accaduto, nonostante i suoi rifiuti, le insinuazioni e le minacce che le aveva urlato contro, i soldi che le aveva lanciato addosso, come se bastassero quelli a risolvere tutto.

    Non sono affari tuoi, gli aveva risposto, stando ben attenta a non sfiorarlo col vestito, e se ne era andata dritta al bagno delle signore, mentre sua madre batteva una forchetta contro un bicchiere affinché tutti facessero silenzio e ascoltassero il discorso che lei aveva scritto per suo marito. Le nozze d’argento, venticinque anni di lei che diceva a lui che cosa fare. Venticinque anni di partite a golf, tornei di tennis e due vacanze all’estero ogni dodici mesi, e mai un accenno di scandalo. Un quarto di secolo di vita da famigliola felice, salvo il periodo in cui Caroline, per un esaurimento nervoso, aveva dovuto trascorrere buona parte dell’anno lontana da loro.

    Solo che ovviamente il motivo non era quello. Il motivo era Jasper D’Arcy, e tutto quello che era venuto dopo. Ora, comunque, le cose vanno meglio, quasi tutte. A dire il vero, vanno più che meglio.

    Quasi tutte.

    Lascia cadere l’invito sulla specchiera e si spruzza sui polsi e dietro alle orecchie un po’ di profumo al talco floreale preso in Italia. L’aroma la fa ripensare a Matteo, come sempre. Mettine un po’ qui, le sussurrerebbe, e qui. Quel birbante…

    È martedì. Tra tre giorni lo vedrà. Sorride allo specchio mentre posa la boccetta. Ancora quattro giorni e spruzzerà profumo in ben altri punti.

    Osserva un’altra volta l’invito. Aperitivo compreso, dice. Saranno spiedini di cubetti di formaggio gommoso e chicchi d’uva. E ali di pollo, più ossa che carne. E pomodorini con qualcos’altro all’interno e uova sode, divise a metà, rannicchiate sotto a un po’ di maionese ingiallita.

    Aperitivo. Non cacciano i soldi neppure per una vera cena.

    Non ci andrà, ovvio. È fuori discussione. Butta l’invito nel secchiello che usa come pattumiera. Lo ha tinto di rosso e ci ha attaccato sopra delle decalcomanie a fiori. Hai sbagliato mestiere, le aveva detto Florence quando lo aveva visto. Avresti dovuto essere una hippy.

    Le squilla il telefonino. Il nome di sua sorella sullo schermo rievoca lo stesso miscuglio di senso di colpa e irritazione da anni.

    «Pronto», risponde e sente quell’orribile tono allegro che assume sempre la sua voce quando parla con Eleanor.

    «Hai ricevuto l’invito per la riunione delle ex studentesse?»

    «Sì, stamattina».

    «Il mio è arrivato ieri. Ci andrai?»

    «Probabilmente no». Certo che no. No e poi no.

    «Nemmeno io. Neppure per tutto l’oro del mondo!».

    Non c’è da stupirsi. Eleanor non ha più una vita sociale, a meno che Gordon non le chieda qualcosa per Fennellys… ma, da quanto ne sa, non succede da un po’. Eleanor non fa più niente di divertente.

    Caroline, però, deve essere gentile: tra quattro giorni sarà il quattordicesimo compleanno di Beth. «Come vanno le cose? Come stai, El?»

    «Bene». Un attimo di silenzio. «Lo sai».

    Ma Caroline non lo sa, perché sua figlia non è caduta in una piscina ancora prima di compiere un anno. Per quanto ne sa, il suo, un maschio, è ancora vivo, ed è là fuori da qualche parte. A marzo ha compiuto ventuno anni, ormai è un uomo… E lei spera ancora ardentemente che prima o poi decida di cercarla.

    «Perché non vieni a trovarmi?», le chiede, come fa spesso. «Potresti restare per un paio di notti. Non andrò in Italia fino a venerdì sera. Ci farebbe piacere averti qui». Per un attimo si odia per quella bugia – a Florence non piacerebbe affatto – ma comunque è una bugia innocua, perché Eleanor non accetta mai l’invito.

    «Ora no, magari un’altra volta. Grazie».

    Sempre la solita risposta, e nessuna delle due chiarisce mai quando sarà questa prossima volta.

    Caroline lascia spazio al silenzio e si volta per guardare fuori dalla finestrella quadrata della camera da letto. Un cielo grigio stucco anche oggi, ancora niente estate di San Martino, nessuna consolazione per un luglio penoso e un agosto appena migliore. Grazie a Dio esiste l’Italia, con il suo cielo azzurro sconfinato e il sole che splende quando deve splendere. Settembre è magico in Italia. Ripensa a Matteo e sorride di nuovo.

    «Come sta Jacob?», domanda. «Com’è la nuova scuola?».

    Il sospiro di sua sorella le si riversa nell’orecchio. «Oh, tutto bene… Penso. Non mi racconta niente».

    «Normale a quell’età», risponde Caroline, quando sanno tutt’e due che l’età non c’entra nulla.

    «Ieri mi ha chiesto dieci euro. Per una dispensa, dice, ma prima dell’estate abbiamo comprato tutti i libri sulla lista».

    «Se ne saranno dimenticato uno».

    «Mmm».

    Le dispiace per Jacob, il figlio che non è annegato, e che è stato praticamente abbandonato da sua madre quando è morta Beth. Povero Jacob, che si è ritrovato nel mezzo di quella tragedia, troppo giovane per capire cosa fosse successo, ma che da allora ne subisce le ripercussioni.

    «Comunque, digli che lo saluta la sua madrina. E Gordon come sta?»

    «Oh, lui… uguale». La voce svanisce un po’, come se si fosse voltata per evitare la domanda. Aveva vent’anni quando lo ha sposato, e Gordon più del doppio, quarantadue. Invecchia bene, però, malgrado il carico di tristezza che la vita ha riservato a lui e a Eleanor. Il viso gradevolmente trascurato, e un sorriso malinconico che conquista.

    Si tira avanti, aveva risposto, l’ultima volta che Caroline gli aveva chiesto come andasse Fennellys… L’anno scorso, però, hanno perso la preziosa stella Michelin, e un mesetto fa Eleanor le ha raccontato che non lontano dal loro ha aperto un altro ristorante. Finalmente si parla al passato della recessione, e la gente ha ritrovato il coraggio di avviare nuove attività.

    Comunque, Fennellys ha superato tempi bui, è sopravvissuto alla crisi quando gli altri fallivano. E di sicuro lo farà anche stavolta; di

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1