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Daniel Jung
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E-book208 pagine3 ore

Daniel Jung

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Info su questo ebook

«Immagina due uomini che rappresentano ognuno un partito del nostro paese, che si fanno guerra, non coscienti del fatto che questi governano in comune accordo tra loro. Poi c’è un uomo, libero da ogni pensiero parziale, non perché questo sospetti qualcosa, è semplicemente libero e non condizionato, e la sua esistenza sta nel spingersi oltre il pensiero comune, che è sempre il risultato dell’esperienza. Nulla lo appaga se non il proprio istinto, esso non merita comunque rispetto? Questa diffidenza deriva forse dalla paura di ammettere la grandezza di qualcun altro che va oltre i propri preconcetti? Cominciamo a dire che non serve sminuire gli altri a volte, ma per lo meno mettere in discussione ciò in cui crediamo, lasciando che questa certezza diventi un interrogativo, non possiamo sapere a cosa ci stiamo chiudendo se prima non lo conosciamo.» Daniel Jung è il sequel de "Lo spazio dei morti viventi".
LinguaItaliano
Data di uscita18 mag 2020
ISBN9788831674980
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    Anteprima del libro

    Daniel Jung - Vittorio Sarracino

    Indice

    Capitolo 1

    Capitolo 2

    Capitolo 3

    Capitolo 4

    Capitolo 5

    Capitolo 6

    Capitolo 7

    Capitolo 8

    Capitolo 9

    Capitolo 10

    Capitolo 11

    Capitolo 12

    Capitolo 13

    Capitolo 14

    Vittorio Sarracino

    Daniel Jung

    TITOLO | Daniel Jung

    AUTORE | Vittorio Sarracino

    ISBN | 978-88-31674-98-0

    APrima edizione digitale: 2020

    Questo libro è stato realizzato con PAGE di Youcanprint

    Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata costituisce violazione dei diritti dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla legge 633/1941.

    Vittorio Sarracino

    DANIEL JUNG

    Romanzo

    Capitolo 1

    Nella stanza buia e silenziosa si poteva sentire soltanto lo scorrere della matita su un foglio, la scrivania di legno massiccio era posta davanti alla finestra chiusa, ed era illuminata solo da una lampada bianca che dava una luce morbida e non disturbava la mia vista. I mobili circostanti erano invasi da libri profumati, che creavano una barriera capace di separare il rumore della pioggia che da giorni batteva sulla città, da questo piccolo mondo in cui vivevo ormai da qualche anno. L’appartamento non era molto grande, ma la vista su Igea da uno degli ultimi piani del grattacielo, era mozzafiato. Scelsi questa posizione per rimanere lontano dal chiasso della città, più vicino alle nuvole, forse le uniche a darmi un’ispirazione infinita nel mio lavoro di scrittore che tanto avevo sognato. Per un breve periodo tornai nella mia città d’origine, fu lì che ritrovai la mia passione e il motivo principale per cui ero partito tempo indietro; così decisi di tornare a Igea, pronto a realizzare il mio sogno. Una volta trovato l’appartamento che desideravo, cercai la casa editrice più adatta al tipo di lavoro che avevo in mente. Presentai le mie opere, e in poco tempo ebbi la fiducia del direttore, un uomo colto e creativo, che mi aiutò nei miei momenti più poveri d’idee, con le sue doti persuasive e incentivanti, qualità da ammirare per un uomo che aveva poco più di quarant’anni: giovane dentro e fuori.

    Andrea, il direttore, aveva ereditato una piccola fortuna dopo la morte del padre che non aveva mai conosciuto. Forse fu questa mancanza che lo fece avvicinare giovanissimo alla letteratura, dove prima trovò rifugio come lettore, poi come scrittore; nei suoi libri non mancavano i vari riferimenti all’infanzia continuando a cercare una figura che non trovò mai.

    Circa quindici anni prima, ebbe la possibilità di aprire la sua casa editrice.

    Oltre a pubblicare i propri libri, lanciò validi scrittori promettenti, trovando così la sua fortuna.

    Chiamò la sua casa editrice come il suo libro più bello, La nuova scrittura, una raccolta di poesie dove si raccontava l’amore, con una scrittura così semplice e spontanea, da creare inconsapevolmente sinonimi che diventarono in poco tempo di dominio pubblico, e la critica lo apprezzò molto. Fu la sua storia e le sue opere a farmi avvicinare a lui e a corteggiare la sua casa editrice; in pochissimi anni pubblicò molte delle mie opere, racconti brevi e romanzi. L’ultimo su cui stavo lavorando era un romanzo socio-politico, i fatti accaduti qualche anno prima furono fonte d’ispirazione per me, e negli ultimi tempi riaffioravano i ricordi, soprattutto riguardanti la morte del mio amico Elia. Fu proprio in questo strano periodo, che tutto tornò lentamente alla ribalta.

    Una delle mie solite mattine, me ne stavo con la testa riversa sulla scrivania, sforzandomi di dormire ancora un po’. L’odore d’inchiostro ormai non mi dava più fastidio e la lampada al neon, rimasta accesa, cominciava ad abbassarsi più di quanto non lo fosse in origine, con i suoi pochissimi watt. Il suono del citofono irruppe nei miei sogni alterni.

    Ripresi conoscenza in qualche secondo. Compresi che il rumore del campanello non era parte del sogno, così mi alzai per andare ad aprire la porta. Superata la prima, accesi la luce del corridoio tappezzato di quadri e copertine di libri incorniciati. Appoggiai l’indice nel rilevatore di impronte per un istante, lei si aprì. In quel lasso di tempo, mi resi conto che moribondo, persi la saggezza di controllare prima chi fosse. Mentre la porta si apriva a una velocità media da destra verso sinistra, nella penombra rilevai la figura di un uomo di un metro e ottanta circa, con un cappellino in testa e guanti bianchi, che brillavano in contrasto con il completo nero.

    La luce rivelò il colore dei suoi capelli color carota, era proprio lui! Il silenzioso autista di Dimitri Illigh, che imponente stava alle spalle del suo pilota, quando con un passo faticoso venne in avanti dicendo: «Daniel, è un piacere rivederti, adesso sì che mi rivolgerò a un adulto!»

    Lo osservai con stupore, l’uomo più potente del mondo appariva stanco, con il fisico prosciugato, un viso al tramonto, incupito da capelli fin troppo bianchi. In soli sette anni non poteva essersi trasformato tanto, e i miei occhi non furono capaci di celare i miei pensieri, tanto da fargli dire il perché, senza aver ricevuto una domanda.

    «Purtroppo, una malattia degenerativa non ha paura di nessuno.»

    Non risposi, mi limitai a invitarli in casa. Il signor Illigh venne in avanti, accompagnandosi con il bastone, il massiccio pomello all’estremità era una grossa pietra, probabilmente di cristallo, che andava a perdersi nello stelo in argento, ricoperto da strani simboli ovunque.

    «Accomodatevi!» dissi loro indicando il comodo divano di legno, posto su di un lussuoso tappeto d’altri tempi.

    «Che buon gusto Daniel, il profumo dei mobili antichi mi ricorda la mia infanzia ingenua e viziata. A proposito, complimenti per i tuoi libri!» esclamò.

    «Ciò che è accaduto sette anni fa, mi ha aiutato molto!»

    Illigh, incredibilmente commosso, orgoglioso di essere in parte l’artefice di questa crescita, rivelò: «Quando da mio fratello ho saputo che nel suo movimento era apparso un giovane di nome Daniel Jung, discendente del grande Viktor Jung, qualcosa è cambiato, in te ho rivisto nascere lo spirito di tuo nonno, che per me fu come un padre. Noi ovviamente già conoscevamo la triste vicenda che colpì i tuoi genitori mentre frequentavi i primi anni di scuola; dopo quell’incidente, non potendosi occupare di un bambino, pensò di affidarti a un istituto. Coprì ampiamente le spese per farti crescere sano e istruito, ti lasciò dei risparmi e anche un appartamento, insomma, una solida base su cui partire, ha fatto molto per te, nonostante tutti i suoi impegni e la distanza.»

    Ancora una volta, mi ritrovai a parlare con lo stesso uomo che pareva divertirsi a raccontare ciò che sapeva, facendolo sempre al momento giusto, per una chiara ragione, dandomi l’idea che volesse provocarmi.

    Così, con non poco nervosismo, risposi: «Hai la strana abitudine di dire ciò che sai solo quando più ti fa comodo, per manipolare gli eventi a tuo favore.»

    Lui evitò di entrare in contrasto, intelligentemente, invece, sottolineò come risposi bene a quegli eventi.

    «Questo non toglie il valore e il coraggio delle tue gesta, tantomeno toglie nulla alla tua intelligenza, anzi, volevo che tutto questo rivelasse le capacità che ti appartengono per discendenza! È vero, alcuni fatti sono stati un po’ forzati, ma tutto ciò ha dato ossatura all’uomo che sei adesso! Non sei stato scelto a caso, ma ti sei fatto notare con le tue idee.»

    Dimitri, manipolatore d’esperienza, non si mostrava offeso per le mie parole, tantomeno cercava di offendere l’intelligenza che lui mi attribuiva, cercando di difendersi. Mi voleva ad ogni costo dalla sua parte, e il suo modo di ammettere i suoi errori era farmi notare come questi fossero serviti al mio sviluppo.

    «Dimitri, perché sei venuto qua?»

    Il capo del governo si piegò verso il suo bastone alzandosi in piedi, mentre il suo autista si precipitò immediatamente per aiutarlo. Rifiutando di essere sostenuto dal suo dipendente, s’incamminò a fatica verso la finestra, posta alla destra del divano che aveva abbandonato, rivolse lo sguardo verso il cielo scuro, come i pensieri che sembravano tormentarlo e disse: «È successo un bel disastro, e questo ne ha provocato un altro peggiore. Qualche settimana fa, la mia Illigh Space era come di routine in una regione della terra morta, per liberarci di un numero considerevole di zombi, improvvisamente è precipitata, non so il motivo, probabilmente un guasto a uno dei motori, o addirittura si parla di una gran forza magnetica che l’ha divorata. In pochi giorni ho formato una squadra per il recupero, soldati e meccanici specializzati, sono rientrati pochi giorni dopo senza alcun risultato, decimati e feriti. Tentando disperatamente di sistemare l’Illigh Space per riportarmela, sono stati aggrediti da quei luridi morti viventi. Oltre ai pochi che sono riusciti miracolosamente a tornare, la maggior parte di loro sono rimasti laggiù, e forse sono ancora vivi e uno di questi è Virgilio.»

    Da anni non sentivo nominare il nome del mercenario a me tanto caro, e saperlo laggiù, così in pericolo, fu una notizia che mi lasciò immobile, impotente.

    «Che cosa speri di ricavare dal fatto che io lo sappia? Non sono mica un salvatore!»

    Illigh si voltò verso di me con sguardo di rimprovero. «Non devo ricordarti cosa ha fatto per te quell’uomo; a giorni metterò in piedi una squadra infallibile, capitanata dal migliore dei miei uomini, conto anche su di te!»

    A questo invito risposi incredulo: «Che stai farneticando? Non ho né l’autorità, né l’addestramento per capeggiare uomini più preparati di me!»

    Dimitri interruppe immediatamente il mio sfogo obiettivo e saggio: «Saranno pure preparati, e in più alcuni conoscono quelle terre, ma nessuno di loro porta il tuo nome, non sono capaci di paragonarsi a un’opposizione senza avere un fucile in mano; come può un mercenario vincere una guerra se guidato da un altro mercenario? Serve testa ragazzo mio! Ti sto dando un’altra possibilità, ma a questa non esiste rifiuto, non abbandonarti ai tuoi libri, quelli che leggono le tue pagine lo sentono, non puoi mentirgli, continua a costruire il tuo nome e a raccontarne le gesta, allora sì che arriverai al cuore delle persone!»

    Senz’altro, lui possedeva una personalità senza paragoni, chiunque sarebbe caduto al fascino di un uomo così autoritario e convincente; questa volta il suo carisma toccò anche me. Disse inoltre che al momento giusto mi avrebbe fatto prelevare da casa dal suo fedelissimo autista, mi lasciò il suo contatto e mi disse che avremmo potuto sentirci soltanto tramite messaggi, poiché egli era muto. Poi si alzò con fatica dal divano e se ne andò via con lui, con il silenzio di chi è stanco di parlare, alla ricerca forse di qualcuno all’altezza di ereditare il suo potere.

    Alcuni minuti dopo, decisi di chiamare il mio amico Matías per raccontargli l’incredibile vicenda, ultimamente ci si vedeva poco, perché io ero molto occupato con il mio lavoro, mentre lui era totalmente dedito alla bellissima famiglia che aveva creato. Sua figlia aveva quasi un anno, e la mia proposta di farlo venire via con me, che avevo pensato su due piedi, avrebbe certamente trovato un rifiuto, perché mai avrebbe rischiato di affrontare una missione così pericolosa, con la possibilità di perdere ciò che di più bello aveva. Fu come sempre felice di sentirmi, e rimase anche lui sconvolto per quanto successo e preoccupato per Virgilio, ma come avevo pensato, questo non bastò a convincerlo a venire via con me, anzi cercò di convincermi a non intraprendere il viaggio e a mantenere gli occhi aperti, aggiornandolo quando possibile sugli eventi. Conclusa la telefonata, passai del tempo a guardare fuori dalla finestra, come a cercare consigli da ogni goccia che cadeva, ma senza trovarne alcuno. La presenza del mio amico Matías mi avrebbe supportato parecchio, ma certo non era un buon motivo per fermarmi, nonostante le paure pensai a Virgilio, lui così forte e sicuro, abbandonato a una terra, troppo pericolosa anche per lui.

    Capitolo 2

    Passò una settimana da quella visita, che passai tra pensieri e preoccupazioni e, anche sforzandomi, non ebbi la concentrazione necessaria per continuare a scrivere il mio libro, seppur questo fosse già terminato da qualche tempo nella mia testa, qualcosa mi diceva di aspettare. Con quale arroganza potevo pensare fino a poco tempo prima che il mio libro fosse colorato abbastanza da poter essere terminato frettolosamente, convinto che nulla intorno potesse ancora colpirmi, data la mia nota esperienza? Quelle pagine non sarebbero andate in cancrena, non c’era nulla da seppellire, né un morto da nascondere; accettai così il distacco, attendendo un momento più fertile. Durante la mattinata avevo ricevuto un messaggio dall’autista, con scritto che sarebbe passato a prendermi prima dell’ora di pranzo, così preparai la borsa con tutto il necessario, penna e quaderno compresi, e aspettai. Segnalò il suo arrivo con un altro messaggio, presi la mia borsa, mi assicurai un’ultima volta che in casa fosse tutto a posto e me ne andai, per tornare nel quartier generale di Dimitri Illigh, costruito un tempo da mio nonno, lo stesso posto dove lui adesso riposava in pace.

    Al mio arrivo, l’uomo uscì dalla macchina, facendomi capire con pochi semplici gesti che a sistemare la borsa ci avrebbe pensato lui; poi si affrettò ad aprirmi la portiera, dimostrando grande rispetto, in seguito tornò al suo volante, e partì. Arrivammo ai piedi della blindatissima fortezza di Illigh due ore dopo, la sorveglianza abbassò il ponte levatoio e dopo aver superato il confine d’acqua sotto di noi, raggiungemmo il cancello. Le forze armate lasciarono venire in avanti il ben noto autista e come d’abitudine verificarono i documenti e il mezzo, solo dopo ci lasciarono andare. Gli invalicabili cancelli in metallo si chiusero alle spalle della targa dell’auto, che il muto parcheggiò nei sotterranei del palazzo. Scesi dal mezzo prima che lui potesse occuparsi di aprirmi la portiera, quindi passò di fianco per raggiungere il portabagagli, prese la borsa e con un cenno m’invitò a seguirlo in quel parcheggio che si perdeva a vista d’occhio, e le lussuose macchine ferme, andavano a perdersi verso la linea scura lontana. Dopo oltre tre minuti di cammino, passati a pensare a dove fossimo diretti, l’autista decretò il punto di arrivo, posando la mano su un display posto di fianco, alle porte di un ascensore; e alcuni secondi dopo, le porte si aprirono. All’interno, il mio accompagnatore, si tolse il cappello di servizio dal troppo caldo che c’era, poi fece partire l’ascensore verso il basso, lasciandomi per un attimo perplesso, non potendo immaginare che oltre il parcheggio sotterraneo, si potesse scendere ancora più sotto.

    La fortezza era come un vecchio castello dei tempi antichi che nascondeva cunicoli, sotterranei e un velo di mistero. Sceso là sotto, ebbi la sensazione di sentirmi come un rifugiato nascosto in un bunker, ma per fortuna ben illuminato, le lampade Lec offrivano una luce naturale e rendevano confortevole il passaggio, che continuavo a percorrere rimanendo dietro all’autista. Il corridoio lungo e stretto terminava dopo poche decine di metri, e il rumore delle nostre scarpe rimbombava; non si udì nient’altro fino a quando non arrivammo davanti a un portone di vetro spesso, che non lasciava vedere oltre. Il mio accompagnatore rivolse lo sguardo verso l’alto, fissò una spia rossa, e la porta si aprì. Immediatamente fummo investiti da rumori insopportabili di spari, gente che correva, urlava e combatteva, un centinaio di soldati si stava allenando con grande agonismo e, alla nostra vista, si avvicinò un uomo con una divisa blu attillata, le maniche arrotolate fino ai gomiti e un cappello con la visiera, con una stringa nera che scivolava per pochi centimetri su un lato, per finire portava un grosso crocefisso in argento, ben visibile sotto la divisa aperta sul petto. Diede immediatamente l’impressione di essere un’autorità in quel luogo e non si lasciava scappare ogni minimo gesto scomposto fatto dagli uomini

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