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Trappole di carta
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E-book205 pagine2 ore

Trappole di carta

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Info su questo ebook

La parabola di Ted, giovanotto squattrinato che assurge all’olimpo degli scrittori noti e ben pagati, è l’archetipo del sogno americano. Sogno o incubo? Di sicuro un percorso costellato di trappole.
di Sandro Dettori
Ted Achab trascorre le giornate tra la biblioteca dove fa il custode e un modesto appartamento alla periferia di New York. Con la speranza di dare un corso diverso alla propria vita e diventare uno scrittore di successo, scrive un romanzo sulla condizione degli homeless, i diseredati che in molte città americane ne popolano le periferie.
Come in una favola, il suo libro incontra il favore di un’importante casa editrice che lo pubblica e lo promuove con un’insolita e grandiosa campagna pubblicitaria.
Dopo breve tempo, però, Ted comprende che i disegni del potente editore nascondono affari poco chiari e che anche altri personaggi di contorno perseguono scopi diversi e non tutti leciti.
Il giovane, che per primo aveva mentito sulla genesi del proprio lavoro, giorno dopo giorno si ritrova coinvolto in un intrigo che, oltre a minare il rapporto con la moglie che ama, lo vede incriminato per omicidio, un’accusa dalla quale gli sarà difficile difendersi.
Una parabola, la sua, che lo farà riflettere sulle trappole nelle quali può cadere chi cerca il successo.
LinguaItaliano
Data di uscita8 feb 2021
ISBN9791220261791
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    Anteprima del libro

    Trappole di carta - Sandro Dettori

    Einstein

    Prologo

    Erano passati sei mesi da quando Ted aveva spedito il suo romanzo Homeless a una dozzina di editori, e per lui erano stati come una serie infinita di giorni passati in una sala d’attesa. Quante volte aveva camminato avanti e indietro nel corridoio di casa, buio e intasato di oggetti di poco valore, oppure era rimasto seduto per ore in un angolo a imprecare, sfogliando bollette da pagare o consultando l’estratto conto in cui le voci in negativo superavano di gran lunga le entrate del mese.

    Non riusciva a digerire l’idea che gli editori fossero diventati così scaltri da chiedere contributi economici agli esordienti, ripagandoli con la stampa di poche decine di copie, che gli autori dovevano poi promuovere e vendere in prima persona. Era fermamente convinto che il talentodovesse essere riconosciuto e apprezzato, non mercificato pochi centesimi a pagina. Sognava a occhi aperti il momento in cui quegli editori si sarebbero mangiati il fegato per aver cestinato il suo best seller, e lui li avrebbe derisi pubblicamente. Bisognava, però, saper attendere, e per il momento la sua vita era fatta di barattoli di fagioli e cartocci di Tony’s, la pizzeria italiana sotto casa che ancora gli faceva credito.

    Nonostante tutte le ingiunzioni inviate, la società dei telefoni non aveva ancora staccato la linea e quando si era sentito uno squillo risuonare in cucina, Grace si era bloccata con la pizza tra i denti, indecisa se masticarla o sputarla, mentre lui, fissando l’apparecchio che sembrava sobbalzare sul tavolino di finto noce, aveva pensato soltanto a un sollecito per qualche bolletta ancora da pagare.

    «Mister Achab?» Alla domanda, Ted aveva balbettato un timido sì e la donna all’altro capo del filo aveva proseguito: «Rimanga in linea, prego.»

    In seguito Ted avrebbe ricordato solo a tratti la conversazione che era seguita poiché, ascoltate poche parole, si era ritrovato in uno stato di totale confusione. Posato il ricevitore si era alzato per raggiungere Grace che, aiutata da un generoso sorso di birra, era riuscita a mandare giù il boccone di pizza, lasciando il resto a freddarsi sulla carta di Tony’s.

    «Mi sembra quasi impossibile… ma a questa donna è piaciuto il mio romanzo e dice che sarà pubblicato.»

    In preda a una sorta di incredulità mista a eccitazione e commozione, Ted non era riuscito a proseguire oltre e, una volta poggiate le mani sulle spalle di lei, aveva cominciato a baciarle i capelli prima di nasconderci dentro il viso, piangendo in silenzio.

    «Questa donna… chi? Dai, racconta, non tenermi sulle spine!»

    Ci furono lacrime e sorrisi da parte di entrambi, poi fiumi di parole e timidi progetti accompagnati da scrosci di risa.

    Aveva mirato in alto, Ted, e dall’alto era arrivata la risposta desiderata e difficile da ottenere. Una delle case editrici più importanti degli States aveva deciso di investire su di lui, un talentuoso sconosciuto che aveva osato portare alla ribalta uno dei peggiori mali delle moderne società industriali: la condizione degli ultimi, i diseredati che vivono nei meandri della città alla ricerca di cibo e avanzi d’ogni genere, invisibili perché nessuno li vuole vedere, gli scarti della società che si preferiscono ignorare piuttosto che aiutare.

     Gli homeless.

    1

    «Giovanotto, da quello che mi dici mi è sembrato di capire che neppure tu credevi che ti rispondessimo e, aggiungo io, era molto saggio da parte tua non avere molte speranze, dato il tuo curriculum vuoto di esperienze letterarie, e non soltanto di quelle.»

    «Beh no, in realtà io un po’ ci speravo, com’era giusto che fosse, anche se ero consapevole di quanto sarebbe stato difficile riuscire anche solo a farmi leggere.»

    La donna dietro la scrivania aveva sorriso mostrandogli simpatia. Con un dito aveva grattato via un invisibile granello di polvere dal lucido ripiano in legno di quercia, poi, dopo aver premuto un pulsante, si era messa in attesa della segretaria, la quale non tardò ad arrivare.

    «Janet, portaci qualcosa da bere e non disturbarci per un po’», disse la donna, poi, prima che la ragazza se ne andasse, aggiunse: «Dimenticavo, tesoro, avverti Bill di tenersi pronto, dopo avrò bisogno di lui.» Appagata dalla propria efficienza, sorrise nuovamente a Ted. «Adesso parlami del tuo romanzo. Tra quelli che qui dentro contano, io sono stata la prima a leggerlo e ti assicuro che è stato come se qualcuno mi avesse dato un pugno nello stomaco. Come ti è venuta in mente, l’idea?»

    Ted aveva fatto alcune ricerche su Vivien Scott, la direttrice editoriale che aveva dinanzi, scoprendo che, all’interno della Cage Group Editions, era considerata il numero due. Dal proprio ufficio al 46° piano della Cage tower poteva spedirlo all’inferno oppure mandarlo diritto in paradiso, che poi erano gli uffici al 48° piano dove regnava il capo assoluto, il grande Alan Cage. Era una donna sulla cinquantina ancora piuttosto piacente e con belle gambe, come lui aveva notato quando, al suo arrivo, gli era andata incontro. Adesso, seduto sul lato opposto della scrivania, ne osservava il viso, il cui trucco sapiente nascondeva le prime rughe; gli occhi erano appena velati dagli occhiali assicurati a una catenella. Vivien Scott era divorziata e senza figli e si diceva in giro che fosse piuttosto spregiudicata nei suoi rapporti con l’altro sesso.

    Ted iniziò a parlare, dapprima con voce incerta ma quasi subito divenuta sicura.

    «Prima di dover lasciare la St. John’s University, i miei studi mi avevano portato a contatto con i più bassi livelli di vita a cui, per motivi diversi, può arrivare un essere umano. Mi sono ricordato di questo, quando ho deciso di tentare la via della scrittura, dopo essermi convinto che senza una laurea non avevo molte speranze di trovare un lavoro.»

    «La strada che stai tentando, però, non è certo facile e tu, anche se scrivi abbastanza bene, devi migliorare ancora molto.»

    «È vero, ma la vorrei percorrere aiutandomi con le mie esperienze di vita. Non sono tante, lo so, ma ho disponibili soltanto quelle.»

    «Tu pensi che sia stato sufficiente vedere come vivono gli homeless e parlare con due o tre di loro, ascoltando le cazzate che inventano per qualche dollaro mentre cercano di fotterti il portafogli?»

    «Non ho solamente parlato con loro. Per due mesi ci ho vissuto insieme…» la pausa che seguì era stata studiata ad arte, «perché anche io sono stato un homeless

    Posato di colpo il bicchiere che la silenziosa Janet aveva servito poco prima, Vivien si sporse in avanti per capire meglio.

    «Che hai fatto, tu?»

    «In verità è stata un’idea di Grace, mia moglie, dopo aver letto e cestinato ogni cartella che scrivevo.»

    «Prima di allora avevi provato a fare qualcosa di simile?»

    «No, ma quando i fagioli in scatola cominciano a rimanerti sullo stomaco, capisci che è arrivata l’ora di farti venire qualche altra idea.»

    «E così?»

    «Così sono andato da un rigattiere e ho comprato qualche vecchio straccio da mettere addosso. Per due giorni ho strofinato le mani sui tronchi degli alberi per farle diventare ruvide, poi le ho infilate nella terra perché le unghie si rompessero e fossero sudicie. I capelli li ho tinti di grigio; la barba incolta e l’aver smesso di lavarmi i denti mi avevano reso inavvicinabile anche a Grace che, dopo avermi spinto a farlo, cominciava a nutrire qualche dubbio. Tutto ciò non era sufficiente, però, perché ancora non mi sentivo uno di loro: avevo troppa forza nelle braccia e nelle gambe. Allora ho cominciato a mangiare a giorni alterni soltanto qualche avanzo di pizza e a bere birra scadente per rendere l’alito ancora peggiore. Infine, ho preso un paio di vecchi occhiali e ne ho strofinato le lenti con carta abrasiva al fine di renderli opachi e vivere nelle medesime condizioni di un vecchio quasi cieco. Ero finalmente pronto.»

    «Affascinante, veramente affascinante! Continua.» Vivien, che si era seduta accanto a Ted, lo invitò a proseguire, dandogli una piccola stretta al ginocchio, un gesto complice e un po’ intimo.

    «Aspettai la prima notte di pioggia e mi gettai all’avventura.»

    «Perché la pioggia?»

    «Vedo che ancora non ha capito. Io volevo parlare degli homeless, ma non avrei scritto niente di vero senza provare ciò che quei poveretti vivono ogni giorno e notte della loro disgraziata esistenza. Solo e quasi cieco, alla mercé dei più esperti, spesso ladri o comunque poco raccomandabili, dovevo cavarmela in quella palude che è New York, quella che fino allora avevo osservato unicamente da dietro il vetro di un bar o dai finestrini di un’auto. Le assicuro che nel mio libro ho descritto soltanto in parte quello che ho visto, quello che ho visto fare, quello che ho fatto anche io. Due mesi orribili senza avere alcuna notizia di mia moglie e senza che lei potesse averne di me, tanto che il giorno che ho considerato finita la mia esperienza e sono tornato a casa stava per urlare credendo fossi un estraneo.»

    Ted continuò a rispondere alle molte domande di Vivien e quando lei fece entrare nella stanza l’uomo che aveva convocato all’inizio del colloquio, guardò l’orologio sulla scrivania e si rese conto che si trovava lì da quasi due ore. La donna gli presentò Bill Pence come un aiuto indispensabile per le prime necessità dei giorni successivi, in attesa che il grande Alan Cage riuscisse a trovare un minuto per riceverlo.

    Erano appena usciti, Ted felice e soddisfatto quasi avesse vinto il primo premio al Powerball, l’altro impettito come a una parata militare, quando Vivien digitò un numero sul proprio cellulare.

    «Alan? È appena andato via. Un ragazzo ingenuo e pieno di fantasia, uno che, come hai visto anche tu, ha un curriculum esiguo ma scrive in modo abbastanza decente.» Rimase in silenzio tamburellando le unghie laccate di rosso sulla scrivania, poi riprese a parlare. «Sì, una settimana dovrebbe essere sufficiente e dopo che lo avrai incontrato potremo essere operativi. Penso che ci sarà molto utile, per quello che ha scritto e per come lo ha fatto.»

    «Soprattutto per quello che ha scritto», ribatté Alan Cage prima di chiudere la conversazione.

    2

    Appena scesi dal taxi, Ted e Grace Achab si unirono agli invitati che si accalcavano all’ingresso della celebre libreria. Nonostante il parere contrario di sua moglie, lui aveva rifiutato l’offerta che l’editore gli aveva fatto di una macchina con autista perché, grazie al proprio anonimato, voleva assaporare l’aria di attesa che si respira alle presentazioni dei libri, ma questa volta da protagonista, come aveva sempre sognato.

    Appena li vide arrivare, John Visel si fece loro incontro agitando una mano nel timore di non essere riconosciuto. Lo avevano incontrato tempo prima, era l’uomo di fiducia del potente Alan Cage, l’editore che poteva creare uno scrittore dal nulla oppure affossarlo con un solo gesto, novello Cesare dell’impero editoriale. John, un uomo piuttosto piacente, alto, magro e sulla quarantina, nella gerarchia delle società di Cage non contava niente; si limitava a eseguire per il grand’uomo i lavori umili ma utili oppure quelli sporchi, vedendo tutto ma fingendo di non sapere mai niente, così come si richiede dallo schiavo di un monarca. Li guidò fino all’ingresso sul retro, in modo da raggiungere indisturbati la sala della presentazione. Grace strinse la mano del marito, fredda come il marmo, lo guardò dritto negli occhi e gli chiese a mezza voce: «Come ti senti?» Ted rimase in silenzio per qualche secondo, poi disse due parole soltanto, tuttavia sufficienti a esprimere le sue sensazioni: «In trance.»

    Sostarono un momento sull’uscio dell’ampio salone, già stipato di persone raccolte in piccoli gruppi, poi John guidò Ted al tavolo dove già si trovava Alan Cage attorniato da alcuni suoi collaboratori, mentre una graziosa hostess indicava a Grace una poltrona al centro della prima fila, per buona parte occupata da donne eleganti nei loro abiti firmati.

    La moglie di Ted non passò certo inosservata, coi suoi capelli biondo platino e il suo vestito aderente, piuttosto scollato e poco adatto a essere indossato di pomeriggio ma molto gradito agli uomini, che presero a fissarla con insistenza. Grace era una bella ragazza che riusciva sempre ad attirare l’attenzione per via della sensualità che mostrava senza imbarazzo e al suo ingresso ci fu nella sala un controllato mormorio di commento.

    «Sono la signora Cage, cara, ma tu chiamami pure Lisette, lo preferisco.» La bella donna che le sedeva accanto le strinse la mano, poi, con un gesto confidenziale, le scostò i capelli scoprendo così gli orecchini che indossava. «Che splendore cara, sono antichi vero?» Di fronte a tanta familiarità, Grace si limitò a un sì con la testa, pensando che mai le avrebbe confidato che si trattava degli ultimi gioielli che ancora non aveva venduto per poter mangiare.

    Figlia del senatore Daniel Gordon, Grace aveva conosciuto tempi migliori. Cresciuta in una lussuosa residenza dell’Upper East Side, aveva frequentato scuole e università adatti all’unica erede di una discreta fortuna e alla morte della madre, avvenuta in un incidente aereo, si era trovata a essere l’unica donna nella vita dell’adorato papà, che aveva preferito farla crescere in un mondo dove tutto le era dovuto perché tutto aveva un prezzo e, a lui, i dollari non mancavano di sicuro. Dall’università aveva ricavato poco, non una laurea come sperava il padre ma soltanto buona cultura e, per lei la cosa più importante, la conoscenza con Ted, il capitano della squadra di football, bello e ambito da tutte le ragazze.

    Il giovane, oltre a essere solo al mondo, era povero e aveva potuto proseguire la sua istruzione solo grazie alle borse di studio per meriti sportivi che fin dai tempi del liceo lo avevano supportato. Al secondo anno del corso universitario, però, un grave incidente a una gamba aveva scritto la parola fine alla sua carriera sportiva e alla concessione dei sussidi, costringendolo ad abbandonare gli studi. L’indigenza che ne era sopravvenuta non era servita a dividere i due ragazzi e anche i tentativi paterni per separarli erano naufragati miseramente, e così, vista la loro testardaggine, il senatore aveva suo malgrado accettato il matrimonio, nella speranza che prima o poi un utile divorzio ne avrebbe scritto la parola fine.

    Non era stato però il matrimonio a finire, bensì il patrimonio, quello del senatore, travolto dalla crisi economica mondiale e da numerose inchieste per corruzione.

    A volte la vita presenta cambiamenti repentini, ma quello che era avvenuto nella famiglia Gordon era stato peggio di uno tsunami. Nel giro di pochi mesi tutti erano stati travolti dallo scandalo, Daniel Gordon ne era uscito subito – in una cassa di alluminio dopo essersi sparato in bocca – ma i due giovani, che avevano cercato di restare aggrappati a qualche ramo rappresentato dalle persone di fiducia del morto, avevano scoperto la debolezza di quegli stessi rami e il loro coinvolgimento nella corruzione e

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