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Cerniera lampo
Cerniera lampo
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E-book202 pagine2 ore

Cerniera lampo

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Info su questo ebook

"Un romanzo che fa sorridere e riflettere" (Giuseppe Culicchia)
Nel 1994, in un istituto professionale di una città di provincia, si incrociano i destini di due adolescenti agli antipodi, Dino e Teo, di una professoressa di arte, Lara, e del marito Gianfranco, un ex carabiniere con velleità letterarie. Una serie di casualità, come i dentini di una cerniera lampo quando si incastrano nel cursore, si uniranno tra loro per stringere e stritolare in maniera imprevista e imprevedibile uno dei protagonisti.
“Cerniera lampo” utilizza con disinvoltura un’esuberante varietà di linguaggi e stili per restituire una galleria grottesca della popolazione scolastica, un microcosmo che ben rappresenta una società caotica, tanto ridicola quanto insidiosa. Al di fuori delle mura dell’istituto, tra genitori distratti, estremismi politici, paninoteche, rassegne cinematografiche, discoteche, prime pulsioni sessuali, ambizioni artistiche e l’onnipresente televisione a monopolizzare i sogni e gli incubi, la maturità sembra ancora lontana anni luce, non solo per i ragazzi, ma anche per gli adulti, in un mondo il cui senso appare inafferrabile.
LinguaItaliano
Data di uscita5 giu 2020
ISBN9788876068201
Cerniera lampo

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    Anteprima del libro

    Cerniera lampo - Luca Raimondi

    Luca Raimondi & Joe Schittino

    Cerniera lampo

    Edizioni Il Foglio

    Narrativa

    Direttore: Gordiano Lupi

    www.ilfoglioletterario.it

    Via Boccioni, 28 - 57025 Piombino (LI)

    © Edizioni Il Foglio - 2016

    1a Edizione – Giugno 2016

    ISBN CARTACEO 9788876066184

    In copertina | Foto di Luca Morreale ©

    Elaborazione grafica e impaginazione | shangrya@libero.it

    UUID: 02cd321e-0576-4266-bfd3-258aca0a072d

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice dei contenuti

    1

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    Nota degli autori

    Sul binario dentato

    della cerniera lampo

    a lunga percorrenza,

    simile a una piccola motrice

    lo zip sibila come un brivido

    toccando alte velocità e

    lascia dietro di sé l'abisso

    del corpo denudato che sgomenta

    l'ammiratore di paesaggi.

    VALENTINO ZEICHEN,

    C erniera lampo

    Dalla mia gabbia guardavo fuori, ma non c’era più nulla da vedere.

    GIUSEPPE CULICCHIA,

    Tutti giù per terra

    1

    Teo Nitschoij, un ragazzotto solitario con diciassette anni sulle spalle, rincasò prima del solito. Chiuse la porta con delicatezza, si sfilò il cappotto e guardò di sbieco il vecchio pendolo in fondo al corridoio.

    Le diciotto e cinquanta.

    Volse lo sguardo al suo orologio da polso e, con disappunto, constatò che il pendolo si era nuovamente fermato, sempre alla stessa ora. Chissà che non fosse una memoria di altri piani di esistenza o un avvertimento dall’aldilà, chissà cosa mai era accaduto in passato o sarebbe accaduto in futuro a quell’ora.

    Si diresse quindi verso la cucina, penetrò fra le pile di piatti sporchi, afferrò la sedia più vicina alla finestra e se ne servì per raggiungere il cimelio, quel pendolo che da tempo immemorabile lo perseguitava con il suo ciclico frastuono e il cui meccanismo, alquanto arrugginito, di tanto in tanto manifestava i segni della sua dolorosa senilità. Stavolta le lancette avevano cessato di girare circa due ore prima del rientro di Teo: tornarono a girare dopo il suo ennesimo intervento. Dopodiché, non rimase altro che cambiare l’acqua al pesce.

    Canticchiando La marseillaise, immerse la faccia nel flusso gelido di acqua corrente, sbattendo violentemente il naso contro la punta del rubinetto. Cacciò un porcamiseria e, asciugatosi, si squadrò allo specchio e si lamentò di un pestifero brufolo affioratogli proprio in mezzo alla fronte. I brufoli erano la più grande disperazione di Teo. Che, d’altronde, non aveva − o credeva di non avere − altre grandi disperazioni, almeno a livello fisico. Che dire infatti di un bel giovanotto con la fronte ampia e dolcemente arcuata, occhi verdi e piccoli, naso ben dritto, labbra sottili e pallide e mento pronunciato?

    Si riaffacciò sul corridoio giusto in tempo per captare lo squillo del telefono. Si interrogò sul da farsi, poi preferì ignorare il fastidioso segnale, ché sicuramente si trattava di una delle tante petulanti amiche di sua madre.

    Trascinò le gambe − stanche a causa del lungo vagare per gli stretti vicoli di Ortygia − verso il provvidenziale divano. Teo aveva un’irrefrenabile passione: camminare. Ogni pomeriggio usciva di casa un’ora dopo essersi nutrito e rientrava poco prima di ricominciare a nutrirsi. Cosa mai facesse durante questo lungo arco di tempo, lo sapevano, forse, solo le sue scarpe, i suoi consunti mocassini di cuoio, lacerati dai chilometri percorsi. Credeva nella passeggiata come un cattolico crede nella santità dei buchi nelle mani di un padrepio, solo che un cattolico si reca a messa la domenica, Teo si recava nelle strettoie di Ortygia tutti i giorni. Esplorava anfratti dimenticati, vicoli ciechi abitati da vecchie prostitute e da soggetti poco raccomandabili. Entrava, lui ateo, in chiesette danneggiate dai frequenti terremoti e acciaccate dall’umidità, si inoltrava nei meandri della Giudecca, dalle vie ancora più contorte, invase da odori, tanfi e puzze dei più disparati, che riportavano indietro la memoria − ma non quella ancor giovane di Teo − a un passato indefinito, quando affascinanti leggende marinare passavano da bocca a orecchio, dai pescatori più anziani agli aitanti apprendisti.

    Teo Nitschoij frequentava l’Istituto Professionale Alberghiero di Stato Timoleonte pur non avendo la benché minima intenzione di intraprendere alcuna carriera nell’ambito turistico. Studiava dunque il minimo indispensabile, quel tanto che bastava per strappare la sufficienza. Non era mai stato rimandato in alcuna materia, forse perché riusciva a ottenere una disinteressata simpatia da parte dei professori: costoro gli perdonavano spesso le sue frequenti negligenze, apprezzandolo anche per il suo impegno parallelo al conservatorio. Lì Teo si esercitava a suonare il trombone (era infatti il primo trombone nella banda comunale di Ortygia), strumento di cui era fiero e sul quale aveva scritto anche un trattato dal titolo un po’ ampolloso, La poétique du trombone à coulisse et à pistons. che ogni tanto traeva fuori dal cassetto. Lo rileggeva, correggeva qualche periodo e lo nascondeva nuovamente, promettendosi di sottoporlo un giorno a un editore. Magari avrebbe potuto stamparlo a proprie spese; o meglio, a spese dei genitori. Molti grandi autori in fondo hanno esordito a spese del padre.

    Teo sprofondò sul divano. Si accorse di aver dimenticato qualcosa di fondamentale: il telecomando. Scannerizzò la stanza e lo individuò giusto sopra il Dio Televisore. Pertanto dovette rassegnarsi alla crudele separazione dall’adorato divano e spinse a gran fatica i piedi verso la meta. Lanciò uno sguardo al di là dell’ampio finestrone e scorse sulla strada un battibecco tra due manzi bardati con sciarpe colorate. Starnazzavano rabbiosamente, cercando di imporre le proprie opinioni su episodi da moviola. Al che Teo, che di calcio sa quel poco che basta per odiarlo, serrò la finestra. Si girò indietro malamente, spostò il piede e il baricentro lo tradì, zavorrandolo al suolo. Era stanco, decisamente. Facendo leva sulle braccia, si rimise in piedi, si palpò il culo dolorante e riprese il suo pellegrinaggio verso il telecomando. Dopo averlo afferrato, tornò a sdraiarsi e lo schermo televisivo s’illuminò di nuova vita.

    Teo era un autentico esperto di zapping, si librava veloce su miriadi di frequenze, percepiva e memorizzava, sublimandole, centinaia di immagini di spot pubblicitari: un maestro nello scegliere i momenti più interessanti di ogni programma in onda.

    Adesso la sua attenzione è attratta da una scultorea signora intenta a scegliere un detersivo tra i circa duecento a disposizione in un enorme supermercato. Per un attimo la vista di Teo si annebbia, come se qualcuno avesse steso un velo lattiginoso sulle sue pupille. Ha un capogiro, si dibatte come se avesse mangiato qualcosa di indigesto. Riavutosi da quell’attimo di smarrimento, il suo sguardo torna sul televisore, dove la signora è ancora presa dalla ricerca affannosa del prodotto migliore, circondata da una moltitudine di distinti commessi che la esortano a compiere scelte contrastanti.

    La signora è confusa. Sul volto è dipinto un sorriso angosciato e i suoi occhi sfavillano, impauriti dalla grande quantità di fustini che le ruotano intorno. Come in una danza convulsa, come in un rito bacchico, la poveretta è aggredita dall’esercito dei detersivi, che la sovrastano indisturbati. Aggrovigliata tra i commessi invasati, si divincola con enorme sforzo e, grondante sudore, si dà a una fuga precipitosa verso la cassa, inseguita, oltre che dai detersivi, anche da tutti gli altri prodotti del reparto. Riesce a raggiungere un’altra donna grassottella, rintanata dietro un registratore di cassa. La signora deposita le mani sudate sul rullo scorrevole, urlando a squarciagola come un grande chihuahua in procinto di essere sgozzato. La cassiera non la degna di uno sguardo, che invece rivolge verso le pagine di un romanzetto rosa. La signora si volta indietro e trova davanti a sé un plotone di esecuzione formato da due file parallele di fustini di detersivi. Non imbracciano alcun fucile, tuttavia sembrano poter ovviare a questa mancanza.

    − Quanto pago? − chiede con enfasi la signora.

    La cassiera distoglie lo sguardo dal tascabile di Barbara Cartland e lo dirige verso la cliente, con sommo disappunto per il fatto che la stessa ha osato interrompere l’attimo in cui Lord Orsett soffoca con un bacio appassionato le ultime parole d’amore di Kelda.

    − Mi mancano poche righe, attenda un po’ − borbotta la cassiera con una calma che sembra infinita.

    La signora, ormai in lacrime, viene giustiziata sommariamente mentre Lord Orsett, nell’ultima riga, bacia di nuovo Kelda e mentre Teo risolleva le proprie palpebre appesantite e si stiracchia, si accorge che si è fatto molto tardi, che ha dormito e forse sognato.

    Dei rumori confusi provennero dalla cucina. I suoi genitori erano già rientrati e stavano preparando la cena.

    Il telefono.

    − Rispondo io.

    − No, io.

    − Ma sicuramente cercano me.

    − Ho detto che rispondo io.

    − Lascia allora che risponda Teo.

    − Teo, rispondi!

    Teo, dal profondo del suo animo, maledisse i genitori. Sospinse verso l’alto la schiena, si guardò rapidamente intorno, sollevò in alto un piede, gli fece compiere veloci piroette, quindi, con fare fulmineo, scagliò feroce la sua scarpa contro il gatto che stava sopraggiungendo.

    Le sue braccia si impegnarono a sollevare il resto del corpo e le sue natiche abbandonarono il giaciglio. Finalmente era in perfetta posizione verticale. Si lanciò dunque nel corridoio, come una locomotiva in corsa, per sollevare la cornetta in tempo utile.

    − Sono Giorgio.

    Giorgio Calvo: suo compagno di banco, alto e longilineo, dall’espressione spavalda e sicura, l’unica persona che aggravava l’importo della bolletta per telefonare quotidianamente a Teo. Le loro conversazioni non erano altro che tempi supplementari inerenti ciò che avevano vissuto la mattina, a scuola.

    − Carissimo... − esclamò Teo.

    − Eccomi qua, fratello.

    − Che mi racconti?

    Biancaneve ti va bene? – Giorgio gettò una risata imbecille.

    − Benissimo.

    − La protagonista perfetta è quella bonazza della professoressa Cuisi.

    La madre di Teo gli si avvicinò e con un cenno cercò di informarsi su chi fosse al telefono. Era contenta di sapere che non si trattava né dell’agenzia immobiliare, né del commercialista. Tornò in cucina mentre un odore di cipolle fritte inondava l’appartamento.

    − Lavora sodo, la prof – constatò Teo.

    − Sodo, certo, come il suo culo.

    − Tenta di andare al passo con il programma ministeriale.

    − Ci prova. È veramente vergognoso. Oggi ha piazzato un bel quattro a Gervasi: quello credeva ancora di trovarsi di fronte a quel vecchio rudere del professore Fortuna.

    − Gervasi è uno sprovveduto.

    − Ma studia più di noi.

    − Appunto per questo è uno sprovveduto.

    Giorgio sembrava sorridere, dall’altro capo del telefono, e disse: − Siamo nei guai, quella è talmente tignosa che ci farà pelo e contropelo alle interrogazioni e un sei sarà grasso che cola.

    I due rimasero in silenzio, come onorando le proprie salme.

    La professoressa Lara Cuisi.

    2

    La professoressa Lara Cuisi.

    Sono un ragazzo di diciotto anni e mi definisco tremendamente simpatico e affascinante. Ogni mattina, guardandomi allo specchio, non posso non congratularmi con Madre Natura per avermi creato, conferendomi tali straordinarie virtù che, badate bene, non si limitano a un viso da sballo. Come non rimanere impietriti dal mio sguardo fiammeggiante che la Gorgone Medusa mi invidierebbe? E la mia voce, sì, la mia voce che tutte le ragazze adorano ascoltare quando si barcamena tra afflati lirici e battute di merda.

    Dice a mio proposito Thomas Mann:

    ...bello come un giovane dio che dalle profondità del cielo e del mare abbandona l’elemento e fugge... uno spettacolo che suggeriva fantasie mitiche, qualcosa come una leggenda poetica degli antichi tempi che narri l’origine della forma e la nascita degli dei.

    Ho casualmente trovato, copiato e incollato questa citazione che, oh meraviglia, mi rappresenta per filo e per segno. Grazie, Thomas! Potrei dire di essere quasi commosso, ma non è mia abitudine commuovermi.

    Mi chiamo Dino Armicula.

    È una gran bella giornata, sono seduto al Foro Italico e un venticello fresco trasporta verso una meta sconosciuta le ingiallite pagine del giornale che pochi attimi fa ho terminato di appallottolare. Il giornale risaliva al 1970 e in prima pagina si stagliava netto nel suo nero su bianco, o meglio, su giallo, il risultato di una famosa partita di calcio: Brasile-Italia 4-1. L’ho ritrovato tra le scartoffie ammucchiate nel vecchio appartamento di mia nonna, disordinata collezionista di un casino di carta straccia. Aveva comprato quella copia del giornale nel 1970 e per tutti quegli anni l’aveva conservata nel fondo d’una cassapanca.

    Mia nonna ha cessato di collezionare carta straccia quando ha cessato di vivere.

    Dieci giorni fa.

    Mio padre intende bruciare tutte quelle inutili riviste, cosicché sono stato costretto a fare una rapida selezione e a salvarne qualcuna, giusto per ricordo.

    Perché dunque ho appallottolato

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