Svezzamento veg: Alimentazione complementare tradizionale e autosvezzamento Con ricette a base vegetale dai 6 mesi in poi, ottime anche per mamma e papà
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Anteprima del libro
Svezzamento veg - Alessandra Tosatti
Azul)
Prima Parte
1.
Perché e quando introdurre i cibi solidi?
Le nostre bisnonne non avrebbero mai immaginato che, un giorno, si sarebbe trattato il tema dello svezzamento attraverso libri, incontri, convegni medici e gruppi social! Ai loro tempi l’introduzione dei cibi solidi rappresentava una normale tappa della vita del bambino, vissuta con serenità e semplicità, offrendo ciò che si aveva a disposizione in casa, senza porsi il problema dell’adeguatezza. Oggi, invece, se da una parte le conoscenze scientifiche ci hanno offerto nuove e utili informazioni su come e quanto nutrire il bimbo per farlo crescere bene e in salute, sui cibi più o meno adatti a lui e sulle implicazioni psicologiche e affettive del passaggio dall’alimentazione esclusivamente lattea a quella solida, dall’altra l’eccesso di informazioni ha reso questo percorso carico di aspettative e di regole da rispettare sotto la supervisione del pediatra. Tutto ciò non ha fatto altro che trasformare lo svezzamento in un’esperienza vissuta troppo spesso con ansia e preoccupazione da parte dei genitori e, indirettamente, dal bambino, il quale percepisce le emozioni che ruotano intorno al momento del suo pasto. Cerchiamo allora di capire cos’è lo svezzamento, per riportarlo alla sua funzione naturale di graduale distacco dal nutrimento materno verso l’alimentazione e la vita dell’adulto.
Con il termine svezzamento (detto anche divezzamento o slattamento) definiamo il momento in cui nell’alimentazione del bimbo iniziano a essere introdotti alimenti diversi dal latte. Questo sostantivo però, entrato nel gergo comune anche di pediatri e operatori sanitari, non rappresenta ciò che avviene in questa fase della vita di ogni bambino. Infatti, parlare di svezzamento presuppone che ci sia un vizio da togliere che, nel caso del lattante, sarebbe rappresentato dal seno materno e, più in generale, dalla poppata. Sappiamo bene però che il bimbo dipende dal seno o dal biberon, almeno per i primi 6 mesi di vita, periodo nel quale il latte è il suo unico nutrimento. Quindi, per il bambino succhiare non rappresenta un vizio, ma una necessità: è la sua unica fonte di vita! Riteniamo dunque più corretto parlare di alimentazione complementare
, dato che si introducono alimenti che completano/complementano il latte, ma che di certo non vanno immediatamente a sostituirlo!
In questo testo cerchiamo di dare la preferenza all’uso del termine alimentazione complementare
, ma concedeteci anche l’uso meno appropriato di svezzamento
!
L’introduzione dei cibi complementari è un percorso lento e graduale durante il quale il bambino raggiungerà la capacità di nutrirsi autonomamente, senza dipendere strettamente dalla madre, arrivando all’acquisizione del modello dietetico familiare. In questo periodo di transizione il latte materno o il formulato rappresentano ancora la principale fonte di nutrienti per tutto il primo anno di vita, poiché soddisfano fino al 70% dei fabbisogni del bimbo; nel corso del secondo anno gli alimenti solidi diventeranno gradualmente preponderanti dal punto di vista degli apporti nutritivi, ma il latte potrà ancora fornire oltre il 30% dei nutrienti.
Il passaggio all’alimentazione solida comporta un nuovo tipo di relazione tra mamma e figlio: non più lo stretto contatto fisico non verbale, ma un progressivo distacco verso l’autonomia del bimbo, che inizierà a esprimersi con nuovi strumenti, dalle espressioni del viso ad atteggiamenti di entusiasmo o rifiuto verso ciò che ha nel piatto. Approfondiremo gli aspetti psicologici ed emotivi in un capitolo dedicato.
Perché è necessario introdurre gli alimenti complementari?
L’allattamento esclusivo per i primi sei mesi di vita è in grado di assicurare al bambino una crescita e una salute ottimali. Tuttavia, a partire da questa età, per soddisfare il crescente fabbisogno nutrizionale dell’organismo in rapida crescita l’alimentazione esclusivamente lattea del bambino può non essere più sufficiente all’apporto corretto di energia, macro e micronutrienti. Per questo, a un certo punto, va integrata con cibi complementari. In questa fase il bimbo matura delle abilità neuromotorie e le funzioni digestive e renali che gli consentono di assumere gli alimenti diversi dal latte consumati comunemente dagli adulti. L’introduzione dei cibi solidi non ha solo una valenza nutritiva, ma coincide con una fase della crescita, compresa tra i 6 mesi e i 2 anni, particolarmente significativa per la promozione della salute nel mediolungo termine. Una corretta alimentazione complementare rappresenta quindi il primo strumento preventivo per la salute dell’adulto, poiché promuove fin dall’infanzia il corretto sviluppo metabolico e neurofisiologico.
È in questa particolare fase della storia del bimbo che viene perfezionata l’esperienza gustativa iniziata nella vita uterina, quando ha avuto modo di conoscere i sapori dei cibi presenti nella dieta materna. Ora ha finalmente la possibilità di cimentarsi personalmente, di sentirli attraverso le proprie papille gustative, di vederli, toccarli e annusarli, stimolando anche gli altri organi di senso. Con la conoscenza dei cibi solidi il piccolo potrà sviluppare le sue preferenze alimentari attraverso un percorso emozionale unico, basato su stimoli ed esperienze che, insieme alla genetica e all’ambiente sociale, getteranno le basi per l’acquisizione delle corrette abitudini alimentari che si manterranno fino all’età adulta.
L’alimentazione complementare darà anche l’opportunità ai genitori di diventare il modello alimentare di riferimento, adeguando la dieta della famiglia alle nuove esigenze. Nel caso si scelga uno svezzamento vegetariano, è fondamentale che i genitori possiedano le indicazioni per realizzare una corretta dieta veg, che prevede pasti bilanciati, cibi vari e integri, cioè come appena colti e non sottoposti a eccessive trasformazioni industriali, preferendo il consumo di prodotti freschi, locali, di stagione e possibilmente biologici, cucinati in modo semplice ma allo stesso tempo saporito. La scelta veg permetterà di avere un’attenzione particolare anche per gli animali, l’ambiente e le risorse che domani saranno ereditate dai nostri figli. Tuttavia, come vedremo, uno svezzamento vegetariano non ben pianificato potrebbe esporre il bimbo a squilibri nutrizionali per eccesso o per difetto, con inevitabili ripercussioni sullo stato di salute che si trascineranno tutta la vita.
Quando è il momento di introdurli?
I diversi organismi e le società scientifiche nazionali e internazionali (es.: OMS, EFSA, UNICEF, Unione Europea, ESPGHAN, Accademia Americana di Pediatria, Ministero della Salute) concordano nel riconoscere l’età dei 6 mesi compiuti come il momento più appropriato per l’introduzione di alimenti complementari al latte. Fino a questa età, il latte materno rappresenta l’alimento ideale ed esclusivo per il lattante, grazie a una composizione nutrizionale che lo rende equilibrato e completo, assicurando al bimbo crescita, sviluppo e salute ottimali. Solo in pochi casi le specifiche esigenze nutrizionali e di crescita possono giustificare un’alimentazione complementare più precoce, che comunque non dovrebbe essere iniziata prima della 17a settimana né oltre la 26 a.
Secondo le indicazioni dell’OMS, il vizio
dell’allattamento va poi sostenuto e proseguito almeno fino ai due anni, quando il latte materno è ancora ricco di nutrienti e molecole bioattive, ma non ci sono preclusioni per continuarlo anche oltre questa età, fino a quando madre e figlio riterranno giunto il momento di smettere. Non vi sono attualmente motivazioni scientifiche per scoraggiare l’allattamento prolungato e non sono neppure state evidenziate conseguenze psicologiche negative per la madre o il bambino, anzi, si osserva una migliore socializzazione e un corretto sviluppo psicologico.
Intorno ai 6 mesi il bimbo inizia a manifestare quelle competenze neuromotorie che lo rendono pronto all’incontro con gli alimenti solidi. Iniziare precocemente l’alimentazione complementare potrebbe significare spingere il bambino a fare qualcosa per cui non è realmente pronto. Prima dei 4 mesi le difese immunitarie a livello intestinale, le funzioni digestive, renali e metaboliche non sono ancora mature per gestire alimenti diversi dal latte, esponendo il bambino a possibili reazioni alimentari avverse e al malassorbimento dei macro e micronutrienti.
L’alimentazione complementare precoce sembra associarsi a un aumento del rischio di sviluppare sovrappeso e obesità perché, nonostante l’introduzione precoce e l’accettazione degli alimenti diversi dal latte, il bimbo potrebbe poppare ancora spesso alla ricerca del contatto fisico e psicologico con la madre. In questo modo, l’apporto calorico giornaliero potrebbe essere eccessivo. I 6 mesi rappresentano quindi un momento indicativo che va però adattato al singolo bambino: alcuni possono avere sviluppato delle capacità motorie precocemente, mentre altri a 6 mesi non sono ancora in grado di stare seduti; alcuni bambini possono aver bisogno di iniziare l’alimentazione complementare tra i 4 e i 6 mesi se ritenuto opportuno dal pediatra, sulla base dell’andamento delle curve di crescita e di eventuali rischi nutrizionali legati alla storia perinatale e clinica del bambino, mentre molti altri si accontentano
del latte materno ben oltre i 6 mesi!
D’altra parte, però, non vi sono benefici neppure dall’introduzione ritardata dei cibi complementari, poiché ciò potrebbe favorire deficit caloriconutrizionali, con ritardi di crescita e maggiore difficoltà da parte del bimbo ad accettare i nuovi alimenti.
Sulla base di queste indicazioni, che definiscono dei comportamenti corretti ma non impongono delle regole, ogni genitore saprà riconoscere il momento più adatto per il proprio bambino, in considerazione delle esigenze e delle tappe evolutive raggiunte.
In particolare, si dovrà valutare:
•Richiesta di cibo più frequente: sembra che il latte non riesca a saziare il bimbo come una volta e gli intervalli tra le poppate si accorciano…
•La perdita del riflesso di estrusione, per il quale con la lingua viene spinto fuori dalla bocca ciò che ha una consistenza diversa dal latte. Se ancora presente, i genitori potrebbero interpretare questo comportamento come un rifiuto volontario del cibo, ma in realtà il bimbo non è pronto a trattenerlo in bocca e continua a prevalere il meccanismo di suzione che fa aspirare
qualsiasi cosa, aumentando la probabilità che i cibi vadano di traverso. La perdita del riflesso di estrusione permette di distinguere la fase orale, che inizia intorno ai 4 mesi e per la quale i piccoli portano alla bocca qualsiasi cosa entri nel loro campo visivo, da un reale interesse per il cibo.
•Lo sviluppo psicomotorio, che si raggiunge intorno ai 5-6 mesi e che permette al bimbo di stare seduto autonomamente, mantenendo la testa ben diritta sul tronco.
•La capacità di coordinare occhi, mani e bocca per localizzare il cibo, afferrarlo e portarlo alla bocca.
•La capacità di deglutire il cibo.
Possiamo concludere che il momento preciso in cui iniziare la conoscenza degli alimenti complementari è individuale e dipende dal bambino ma, mediamente, cade in un periodo finestra tra i 5 e gli 8 mesi, nel quale il bimbo sviluppa le abilità che abbiamo visto essere necessarie per un corretto approccio ai cibi solidi. Ogni bimbo è originale e presenta tempi diversi nello sviluppo delle capacità psicofisiche, che non sempre sottostanno in modo rigido alle linee guida! Il bimbo accetterà facilmente i nuovi cibi se il suo sviluppo psicomotorio sarà adeguato alle nuove attività che dovrà svolgere.
Ci auguriamo che ogni mamma, ogni papà e ogni bambino possano vivere il passaggio dall’alimentazione esclusivamente lattea a quella solida con il giusto stato d’animo: non ansia, stress e sconforto, ma piuttosto entusiasmo, stupore ed emozioni positive che nascono dalla condivisione dei pasti, dai piccoli progressi quotidiani, dai tentativi, ma anche dai fallimenti e dalle gioie che ogni nuovo viaggio porta con sé! Intanto, la mamma riuscirà ad accettare questa fase di distacco nutritivo
rispettando i tempi che le consentono di viverla con serenità.
Quanto cibo offrire?
Iniziate offrendo piccoli assaggi per aumentare la quantità gradualmente, man mano che il bimbo accetta questa novità nella sua vita. Le porzioni consumate dai lattanti sono minori di quelle immaginate dai genitori e normalmente non coincidono con le quantità riportate nelle tabelle generiche dei pediatri!
In generale:
•Non bisogna mai forzare il bambino a mangiare se non ha voglia o a finire il piatto se non ha più appetito. Questo impedirebbe al bimbo di sviluppare la propria capacità di autoregolazione dell’appetito. Ascoltatelo! Sa quando ha fame e quando è sazio.
•Offrire cibi sani e vari. Gli alimenti utilizzati nell’alimentazione complementare possono essere specifici e preparati appositamente per il lattante (alimenti di transizione), come previsto nel metodo di svezzamento tradizionale, oppure possono essere gli stessi alimenti utilizzati dalla famiglia e condivisi con gli altri membri. In quest’ultimo caso i cibi degli adulti possono essere resi più idonei alle competenze neuromotorie del singolo bimbo (schiacciati, sminuzzati, frullati ecc.) e possono essere combinati in modo da aumentare la densità nutrizionale del pasto. In generale i cibi dell’alimentazione complementare dovrebbero essere ricchi di energia, di proteine e di nutrienti come ferro, calcio, vitamine. Preferite prodotti locali preparati in un modo gradito al bimbo, facili da manipolare e da masticare.
•Riproporre più volte anche i cibi inizialmente rifiutati, per favorirne l’accettabilità. Nell’infanzia la preferenza verso un dato cibo è direttamente proporzionale alla frequenza delle precedenti esposizioni a quel cibo (questo meccanismo non è più presente negli adulti): è quindi opportuno ripresentare più volte, con pazienza, un alimento inizialmente rifiutato. Dopo un tempo variabile da bambino a bambino, ma che può richiedere fino a 20 tentativi, vedrete che si avrà una sua graduale accettazione. Il tutto va però fatto in modo gentile, senza imposizioni o minacce!
•Evitare restrizioni e costrizioni su tipo e quantità dei cibi. Il corretto approccio al cibo presuppone che questo non venga mai utilizzato con fini diversi da quelli nutrizionali: il cibo non è uno strumento di ricatto, premio o punizione e i genitori non devono mai forzare, rimproverare o cercare di persuadere il bimbo con lo scopo di fargli mangiare cosa e quanto ritengono opportuno… Negli anni, questo atteggiamento favorirebbe l’uso del cibo come strumento per soddisfare qualsiasi disagio e difficoltà affettiva.
•Offrire ai bambini un modello di alimentazione salutare: il gusto del bimbo si basa su una componente innata e una che viene invece educata fin dall’infanzia attraverso la conoscenza e l’accettazione di molteplici sapori, colori e consistenze.
Infine, ricordate che l’adeguatezza dell’alimentazione complementare deriva da ciò che il bambino mangia in un certo periodo, non tanto dal singolo pasto o dai cibi mangiati o non mangiati, e va valutata tenendo conto della crescita, dello sviluppo e dello stato di salute del bimbo.
Allora, partiamo alla scoperta dell’alimentazione complementare veg!
2.
È possibile crescere bimbi vegetariani?
Negli ultimi anni stiamo assistendo al progressivo aumento del numero di italiani che scelgono un’alimentazione a base vegetale, limitando o evitando totalmente i prodotti di origine animale. Si definiscono diete latto-ovo-vegetariane quelle che escludono il consumo della carne di qualsiasi tipo di animale ma ammettono i prodotti animali indiretti, come latticini e uova. La dieta vegana si basa esclusivamente sull’uso dei cibi vegetali, rifiutando qualsiasi prodotto di origine animale o che li contenga tra gli ingredienti.
I dati EURISPES del 2016 indicano che in Italia i vegetariani sono l’8% della popolazione, pari a circa 5 milioni di persone. Parallelamente alla diffusione dei vegetariani, sta aumentando anche il numero dei bambini ai quali viene proposta una dieta a base vegetale fin dalla primissima infanzia. Questo dipende dal fatto che i genitori sono sempre più consapevoli degli effetti che le scelte alimentari hanno a livello di prevenzione, impatto ambientale, salute e benessere degli altri esseri viventi, animali compresi. Ecco allora che nel momento in cui si ha la responsabilità di crescere una nuova vita e di tutelare il mondo in cui vivrà, la decisione di offrire una dieta priva, o quasi, di alimenti di origine animale diventa per molti genitori la scelta obbligata.
Tuttavia, esiste ancora molta diffidenza verso l’opportunità di seguire un’alimentazione di questo tipo nell’infanzia; diffidenza motivata dalla convinzione che una dieta priva di alimenti di origine animale sia nutrizionalmente inadeguata nell’età pediatrica e incapace di fornire l’energia e i nutrienti necessari alla crescita armoniosa, ai processi fisiologici e alla sopravvivenza del bambino. Purtroppo, pregiudizi e stereotipi sono molto diffusi anche tra medici, pediatri ed educatori, che dovrebbero per primi avere a cuore la salute e il benessere del bambino, documentandosi adeguatamente per poter promuovere le scelte migliori a questo scopo. Ad alimentare queste resistenze culturali, oltre alla mancanza di informazioni corrette tra i professionisti della salute – che spesso non sono aggiornati sulle evidenze a favore dell’alimentazione veg nell’infanzia – si aggiungono i casi di bambini malnutriti di cui periodicamente leggiamo sulle prime pagine dei giornali. Approfondendo le vicende, si scopre che i bimbi non erano neppure vegani o che i genitori si affidavano a improvvisati esperti di alimentazione
, ottenendo consigli non affidabili e non aderenti alle linee guida e per questo azzardati e pericolosi. Di fatto, però, questi casi mediatici danneggiano l’immagine di tutti quei genitori che con serietà e responsabilità crescono in perfetta salute i loro figli attraverso una dieta vegetale ben bilanciata. Al contrario, diete scorrette durante i primi mesi e anni di vita del bimbo possono esporlo a squilibri nutrizionali che si manifestano in tempi diversi:
•Nel breve termine: l’apporto insufficiente di latte materno o artificiale o l’uso di sostituzioni non adeguate (es.: succo d’uva, bevande di mandorle autoprodotte, latte animale) possono portare, nel giro di poche settimane o mesi, all’arresto della crescita e al calo ponderale,