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Glass magic - La donna di sabbia: eLit
Glass magic - La donna di sabbia: eLit
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E-book413 pagine5 ore

Glass magic - La donna di sabbia: eLit

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Info su questo ebook

GLASS SERIES

Dopo aver affrontato la prova del fuoco per salvare Yelena e tutta Sitia, per Opale è giunta l'ora di mettere alla prova il proprio coraggio. Qualcuno ha sabotato i globi di vetro dei Danzatempesta, seminando morte e distruzione, e lei, con il suo talento unico, è la sola a poterli aiutare. Al suo fianco in questa missione disperata ci sono il cupo Kade e l'allegro, solare Ulrick. I due sembrano contendersi il cuore di Opale, ma proprio colui che sembra più vicino a conquistarlo si rivela in combutta con un misterioso e crudele personaggio che torna dal tragico passato di Opale.

LinguaItaliano
Data di uscita30 set 2016
ISBN9788858959138
Glass magic - La donna di sabbia: eLit

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    Anteprima del libro

    Glass magic - La donna di sabbia - Maria V. Snyder

    successivo.

    1

    Una vampata di aria rovente mi investì quando entrai nella vetreria. Il calore e l'odore di carbone che bruciava mi avvolsero in un abbraccio confortante. Mi fermai per prendere fiato nell'aria densa. Il ruggito delle fornaci suonava dolce come la voce di mia madre.

    «Opale!» gridò Aydan al di sopra del rumore, gesticolando con la mano nodosa. «Hai intenzione di startene lì tutto il giorno? Abbiamo del lavoro da fare.»

    Mi affrettai a raggiungerlo. Lavorare in mezzo al calore aveva trasformato i suoi capelli grigi in una matassa crespa, e il sudiciume gli striava le mani. Fece una smorfia di dolore quando sedette al bancone da lavoro, massaggiandosi con il pugno il fondoschiena.

    «Sei stato di nuovo a spalare carbone» lo rimproverai. Lui cercò di fare l'innocente, ma prima che potesse mentire domandai: «Cos'è successo al tuo apprendista?».

    «Se l'è data a gambe non appena si è accorto di quanto è dura mutare il fuoco in ghiaccio» sbuffò Aydan.

    «Bene, adesso ci sono io.»

    «Sei in ritardo.»

    «Mi dispiace, avevo un... esame.» Sospirai. Un altro frustrante tentativo senza frutto. Non solo non ero riuscita ad accendere il fuoco, ma avevo rovesciato le candele, schizzando cera calda sui vestiti della mia compagna di classe Pazia e scottandole la pelle. La sua costosa tunica di seta era rovinata. Lei aveva sbuffato sdegnosa quando mi ero offerta di ripagarle la camicia. Niente di nuovo. L'ostilità di Pazia era il motivo ricorrente che aveva segnato tutti i miei quattro anni al Mastio. Perché avrei dovuto aspettarmi che l'ultimo fosse in qualche modo diverso?

    Dopo aver iniziato il quinto anno di lezioni al Mastio dei Maghi, avevo sperato di riuscire a fare di più con la mia magia. Le capacità di Pazia erano talmente cresciute da quando eravamo sedute fianco a fianco durante il primo corso, che i Maestri Maghi stavano considerando di ammetterla all'esame per il livello di Maestro.

    Io avevo imparato la storia di Sitia, la politica, l'arte di combattere e le varie applicazioni della magia, ma la mia capacità di attingere alla fonte del potere era ancora approssimativa. I dubbi divampavano, e la tormentosa sensazione di avere un'unica abilità magica mi si agitava nel petto. E sapere che gli altri studenti mi chiamavano la Meraviglia da un Trucco Solo minava la mia autostima.

    «Gelosia» aveva sentenziato Aydan quando gli avevo raccontato del nomignolo. «Tu hai salvato Sitia.»

    Pensai al giorno, più di quattro anni prima, in cui avevo aiutato l'ufficiale di collegamento Yelena a catturare quelle anime malvagie. Aveva fatto lei tutto il lavoro, io ero stata soltanto un canale.

    Avevo cercato di minimizzare il mio coinvolgimento, ma Aydan aveva insistito. «Tu sei un'eroina e quei bambini non riescono a sopportarlo.»

    Ricordare le sue parole mi fece sorridere. Chiamare bambini persone dai quindici ai vent'anni era tipico di Aydan, un burbero orgoglioso.

    Mi batté sul braccio con un cannello. «Piantala di sognare a occhi aperti e prendimi un bolo.»

    Afferrai la canna da soffio e aprii il forno. Una luce intensa scaturì dalla fornace, come se all'interno vi fosse intrappolato un pezzo di sole. Rigirai l'estremità della canna nel vetro fuso e la scrollai in su e in giù, prelevando una palla simile a una caramella gommosa, cercando di fare in fretta per non bruciarmi ciglia e sopracciglia.

    Il bolo rosso ciliegia pulsava come se fosse vivo. Aydan soffiò attraverso la canna, poi coprì il foro. Una piccola bolla comparve nel vetro fuso. Appoggiando il tubo sui bracci metallici del suo bancone da mastro soffiatore, Aydan lo fece rotolare avanti e indietro, dando forma al vetro.

    Lo aiutai mentre creava un complicato vaso con una piega alla base, così che in effetti stava appoggiato sul fianco e tuttavia poteva ancora contenere acqua. Nelle sue mani, trasformare il vetro in arte sembrava facile. Adoravo le proprietà uniche del vetro fuso, che poteva essere modellato in oggetti così splendidi. Lavorammo per ore, ma il tempo volò.

    Quando finì la sua opera d'arte, Aydan si raddrizzò sulle gambe scricchiolanti e disse le parole che erano la ragione per cui ero andata ad aiutarlo dopo le lezioni. «Ora tocca a te.»

    Ci scambiammo di posto e lui prese un cannello. Mentre raccoglieva un bolo, io mi assicurai che gli arnesi di metallo posati sul bancone fossero nel posto giusto. Mancavano soltanto quel seccatore del mio fratello minore a dirmi di sbrigarmi, e la mia paziente sorella maggiore ad aiutarmi, per completare la sensazione di essere nella vetreria della mia famiglia.

    Sedere al bancone era familiare e rassicurante. Lì, e lì soltanto, avevo io il controllo. Le possibilità erano infinite e nessuno poteva dirmi che cosa fare.

    Tutti i pensieri svanirono quando Aydan posò la canna davanti a me. Il vetro si raffreddava in fretta e non avevo tempo di indugiare su nient'altro se non dare forma alla massa incandescente. Usando delle pinze metalliche, tirai e pizzicai finché la massa non si trasformò in una forma riconoscibile, dopodiché soffiai nell'estremità della canna. Il cuore del pezzo si accese come se fosse illuminato da un fuoco interno.

    Il mio unico trucco magico... la capacità di inserire un filo di magia dentro la statuetta di vetro. Solo i maghi potevano vedere la luce catturata.

    Aydan emise un fischio di apprezzamento per il pezzo finito. Tecnicamente la sua capacità di accendere fuochi con la magia faceva di lui un mago, ma dal momento che non possedeva nessun altro talento, non era stato invitato a studiare al Mastio. Non avrei dovuto essere ammessa nemmeno io. Avrei potuto creare i miei speciali animaletti di vetro a casa mia, a Booruby.

    «Accidenti, ragazza.» Aydan mi diede una pacca sulla schiena. «Quella è una copia sputata del falco codarossa di Maestro Gemmarosa! L'hai fatto per lei?»

    «Sì. Le serve un altro pezzo.» Non sapevo mai che cosa avrei creato quando mi sedevo al bancone, ma il tempo trascorso ad aiutare il Maestro Gemmarosa a prendersi cura del suo falco doveva avermi influenzata. Il nucleo ardeva e mi chiamava con un canto nostalgico. Ciascuna delle mie creazioni aveva una voce distintiva che mi risuonava dentro e che nessun altro poteva udire.

    «Vedi? Quello è un altro dei tuoi doni» disse Aydan posando il falco nel forno di ricottura perché potesse raffreddarsi lentamente. «Ora i maghi possono comunicare anche a grande distanza con questi tuoi animaletti.»

    «Solo quelli che possiedono il potere della comunicazione mentale» ribattei. Leggere la mente era un'altra capacità che mi mancava. A quelli che l'avevano, bastava tenere in mano uno dei miei animali e potevano parlarsi l'un l'altro tramite la magia intrappolata all'interno. Avrei ammesso di provare un certo orgoglio per la loro utilità, ma non me ne ero mai vantata. Non come Pazia, che esibiva ogni cosa che faceva.

    «Puah! È pur sempre una delle scoperte più importanti degli ultimi anni. Smettila di essere così modesta. Ecco...» Mi tese una pala. «... metti altro carbone nella fornace, non voglio che la temperatura cali di colpo durante la notte.»

    Fine del discorsetto d'incoraggiamento. Raccolsi lo speciale carbone bianco e lo aggiunsi al fuoco che ardeva sotto la fornace. Dal momento che Aydan vendeva i suoi pezzi in vetro come arte, gliene serviva soltanto una; la sua era una piccola bottega a confronto delle otto fornaci della mia famiglia.

    Quando ebbi finito, gli abiti si erano appiccicati alla pelle sudata e ciocche di capelli mi aderivano alla faccia. La polvere di carbone mi grattava in gola.

    «Puoi aiutarmi a miscelare?» chiese Aydan prima che potessi andarmene.

    «Solo se prometti di assumere un nuovo apprendista domani.»

    Lui mugugnò e borbottò, ma acconsentì. Mescolammo sabbie che provenivano da diverse parti di Sitia secondo una ricetta segreta sviluppata generazioni prima. Il composto doveva essere addizionato con cenere di soda e calce prima di poter essere fuso in vetro.

    Mentre cercavo di indurre Aydan a rivelarmi da dove venisse la sabbia rosata, arrivò un messaggero dal Mastio, uno studente del primo anno che arricciò il naso al calore.

    «Opale Cowan?» domandò.

    Io annuii e lui sbuffò. «Finalmente! Ho frugato tutta la Cittadella per trovarti. Ti vogliono al Mastio.»

    «Perché?»

    «Non so.»

    «Chi mi vuole?»

    Il ragazzo irradiò contentezza come fosse il mio fratello minore che annunciava la mia imminente punizione da parte dei nostri genitori. «I Maestri Maghi.»

    Dovevo essere in guai grossi. Non c'era altro motivo per cui i Maestri potessero mandarmi a chiamare. Mentre correvo dietro al messaggero – un tipo ambizioso, se faceva commissioni per i Maestri al suo primo anno, e che aveva già deciso che non valeva la pena parlarmi – pensai al disastro di quella mattina con Pazia. Lei desiderava farmi espellere fin dal primo giorno. Forse alla fine ci era riuscita.

    Ci affrettammo per le strade della Cittadella. Dopo quattro anni, la struttura della città mi sbalordiva ancora. Tutti gli edifici erano stati costruiti con lastre di marmo bianco striate di venature verdi. Se fossi stata sola, avrei strisciato le mani sulle pareti mentre camminavo, fantasticando di creare una città di vetro.

    Invece oltrepassai di corsa le costruzioni mentre il colore vivido impallidiva via via che il cielo si faceva buio. Le guardie del Mastio ci fecero cenno di entrare... un altro cattivo segno.

    Salimmo i gradini due alla volta per raggiungere l'edificio amministrativo. Il campus del Mastio, con le quattro imponenti torri, era annidato nell'angolo nordorientale della Cittadella. All'interno, gli edifici erano stati costruiti con una varietà di marmi colorati e legni duri.

    I blocchi pesca e gialli dell'amministrazione di solito mi rilassavano, ma non quel giorno. Il messaggero mi abbandonò all'ingresso della sala riunioni dei Maestri. Accaldata per la corsa, avrei voluto togliermi il mantello, ma avevo la camicia macchiata di sudore e i calzoni da lavoro. Mi strofinai la faccia, tentando di togliere la sporcizia e mi raccolsi i lunghi capelli in una crocchia ordinata.

    Prima che bussassi, mi venne in mente un'altra possibile ragione per la mia convocazione: mi ero trattenuta troppo alla vetreria e avevo perso le lezioni serali di equitazione. Nell'ultimo anno di istruzione al Mastio, la classe degli apprendisti imparava ad accudire i cavalli e a cavalcare, in vista di quando ci saremmo diplomati come maghi e avremmo dovuto viaggiare per le terre degli undici clan di Sitia, per portare aiuto dove necessario.

    Forse il Mastro Stalliere aveva riferito ai Maestri della mia assenza. L'idea di affrontare i tre maghi e il Mastro Stalliere insieme mi fece rabbrividire. Voltai le spalle alla porta, cercando una via di fuga, ma il battente si aprì.

    «Non esitare, bambina. Non sei nei guai» disse Primo Mago, Bain Buonsangue, facendomi segno di seguirlo nella sala.

    Con i ricciuti capelli grigi scompigliati e una lunga palandrana azzurra, il vecchio sembrava tutto tranne che il mago più potente di Sitia. In effetti, il contegno severo di Terzo Mago Irys Gemmarosa suggeriva un potere maggiore rispetto al viso avvizzito di Maestro Buonsangue. D'altra parte, se qualcuno avesse incrociato per strada Secondo Mago Zitora Cowan, non avrebbe mai immaginato che la giovane donna possedesse talento sufficiente per sostenere l'esame per il livello di Maestro.

    Seduti attorno a un tavolo ovale, i tre Maestri mi fissarono. Soffocai l'istinto di nascondermi. Dopotutto, Maestro Buonsangue aveva detto che non ero nei guai.

    «Siedi, bambina» disse Primo Mago.

    Mi appollaiai sul bordo della sedia. Zitora mi sorrise e mi rilassai un po'. Eravamo entrambe del Clan Cowan, e tra i suoi numerosi impegni lei trovava sempre un po' di tempo per parlare con me. Forse perché aveva soltanto venticinque anni, appena sei anni più di me.

    Guardai in giro per la stanza. Mappe di Sitia e di Ixia decoravano le pareti, e un'enorme carta geografica con i lembi che pendevano dai lati copriva il tavolo di mogano.

    «Abbiamo una missione per te» annunciò Zitora. Si era raccolta i capelli color miele in una treccia elaborata la cui estremità le arrivava ai fianchi, e con cui giocherellava, attorcigliandosela attorno e tra le dita.

    Una missione per i Maestri! Mi sporsi in avanti.

    «I globi di vetro dei Danzatempesta da qualche tempo si rompono» disse Maestro Gemmarosa.

    «Oh.» Mi rilassai sulla sedia. Non era una missione di magia.

    «Sai quanto sono importanti quei globi, bambina?» chiese Maestro Buonsangue.

    Ricordai le lezioni sul Clan Danzatempesta. I loro maghi, chiamati Danzatori delle Tempeste, avevano la capacità unica di incanalare l'energia di una tempesta dentro un globo. Così facendo riuscivano ad ammansire i venti assassini e la pioggia, e immagazzinavano una fonte di energia per le altre attività del clan. «Molto importanti.»

    «E questo è un periodo critico dell'anno. Durante la stagione fresca, le tempeste dal Mare di Giada sono più frequenti e forti» disse Zitora.

    «Ma il clan non ha mastri vetrai? Certo loro potranno risolvere il problema.»

    «Il vecchio vetraio è morto, bambina. Quelli rimasti sono stati sì addestrati per fabbricare i globi, ma il vetro è difettoso. Tu devi aiutarli a trovare e correggere il problema.»

    Perché io? Stavo ancora imparando. «Dovreste mandare un maestro vetraio. Mio padre...»

    «È a Booruby con tutti gli altri esperti, ma...» Maestro Gemmarosa fece una pausa. «Il problema potrebbe non essere nel vetro. È possibile che il vecchio vetraio usasse la magia quando modellava i globi. Forse una magia simile alla tua.»

    Il cuore mi si fuse nel petto come se l'avessero gettato in una fornace. Gli eventi si erano scaldati troppo e troppo in fretta, e i risultati potevano avere delle crepe. Lavoravo con il vetro fin da quando riuscivo a ricordare, e tuttavia c'era ancora così tanto da imparare. «Quando... quando partiamo?»

    «Oggi» rispose Zitora.

    La mia agitazione dovette essere evidente.

    «Il tempo è essenziale, bambina.» Il tono di Maestro Buonsangue diventò triste. «Quando un globo si infrange, uccide un Danzatore.»

    2

    Guardai Maestro Buonsangue a bocca aperta. Nel clan non nascevano molti Danzatori delle Tempeste, e perderne anche uno solo poteva pregiudicare l'equilibrio della zona occidentale di Sitia. «Quanti?»

    «Due. La prima volta il clan pensò fosse un caso fortuito; dopo la seconda, però, hanno smesso di danzare.»

    L'ansia mi divampò nello stomaco. Una sola violenta tempesta avrebbe potuto spazzare via i quattro clan le cui terre costeggiavano il Mare di Giada, lasciandosi dietro una desolazione. Era una responsabilità enorme. Probabilmente ero in grado di gestire dei problemi con il vetro, ma con la magia...

    «Va' a preparare le tue cose, bambina. Partirai non appena sarai pronta. Zitora verrà con te.»

    «E quante guardie mi accompagneranno, questa volta?» sospirò lei.

    L'intera popolazione del Mastio conosceva la riluttanza di Zitora a essere accompagnata da guardie nelle sue missioni. Dal momento che aveva passato l'esame di Maestro solo cinque anni prima, molti maghi la vedevano ancora come un'apprendista, e non come il secondo mago più potente di Sitia. Inoltre, in seguito agli orribili eventi che avevano portato alla morte di Roze Pietrapiuma, il precedente Primo Mago, i Consiglieri erano diventati iperprotettivi nei confronti dei tre Maestri restanti.

    «Sarete sole» rispose Maestro Gemmarosa. «Potrete viaggiare più veloci.»

    Zitora si alzò con un impeto di energia. «Partiremo entro un'ora.»

    «Contattaci se vi serve aiuto. Opale, hai finito il mio nuovo animale di vetro?»

    «Sì. È nella vetreria di Aydan. Penso ti piacerà.»

    «Li adoro tutti. È un peccato che perdano la scintilla dopo un po'.» Maestro Gemmarosa si fece pensierosa. «Ma ha senso. Contengono una quantità limitata di magia, che una volta usata finisce.»

    Maestro Buonsangue accarezzò la mappa davanti a sé, mentre il suo sguardo si posava su di me. «Ti stiamo cercando un apprendista, anche se finora non abbiamo avuto fortuna. Il Consiglio ci sta tormentando perché condividiamo i tuoi meravigliosi... messaggeri di vetro.»

    Al momento li facevo soltanto io, per i Maestri e per i maghi in missione. In ogni cittadina c'era almeno un mago che aveva in dotazione uno dei miei animali di vetro.

    «Sarebbe utile se trovassimo qualcun altro in grado di riprodurre la sua abilità» concordò Maestro Gemmarosa.

    La mia abilità. Al singolare. La Meraviglia a Trucco Unico. Avrei dovuto essere contenta del mio ruolo, ma avevo visto i prodigi che la magia può operare e volevo di più. La magia e il vetro avevano molto in comune. Entrambi erano fluidi. Entrambi possedevano un infinito potenziale per essere modellati e usati in vari modi. Io bramavo condurre a me la magia e filarla in una meraviglia.

    «Andiamo.» Zitora si diresse alla porta e io mi affrettai a seguirla.

    L'oscurità avvolgeva il campus, e l'odore di legna che bruciava aleggiava nell'aria. I viali deserti riflettevano il debole chiarore lunare.

    «Va' a prenderti un cambio d'abiti e le poche cose essenziali. Compreremo il cibo che ci serve lungo la strada. Ci vediamo al fienile. Hai un cavallo, vero?»

    «Sì, ma ho appena iniziato le lezioni.»

    «Che cavallo è?»

    «Una giumenta chiazzata di nome Quartz.»

    «Il cavallo di razza Semedisabbia? Come hai fatto ad avere questa fortuna?»

    «Yelena era in visita al Mastio quando arrivò il nuovo branco e disse al Mastro Stalliere di riservare Quartz per me.»

    Zitora rise. «E Yelena è l'unica persona che il Mastro Stalliere ascolta, quando si tratta di cavalli. Ci sono vantaggi nascosti, quando si salva la vita a qualcuno.»

    E quando la storia si era diffusa per il campus come grani di sabbia nel vento, avevo perso le poche conoscenze che avevo, per gelosia. Yelena era il vero eroe di Sitia e di Ixia. Se solo rivolgeva la parola a uno studente, si macchinava sulle implicazioni per settimane.

    «Non preoccuparti se non sei pratica di cavalli. Quartz seguirà Sudi. Tutto quello che ti occorre è restare in sella.» Fece per andare, poi si bloccò. «Opale, passa dall'armeria prima di venire al fienile. È ora di cambiare i tuoi sai da allenamento con quelli veri.»

    «Tredici pollici o quindici?» chiese con impazienza il capitano Marrok, nuovo Maestro d'Armi del Mastio. Mi strattonò in fuori il braccio e mi misurò dal polso al gomito. «Tredici dovrebbe andare.»

    Frugò nell'armeria. Spade pendevano dalle pareti e lance scintillavano nelle rastrelliere. Frecce stavano allineate come soldati, e nell'aria aleggiava un sentore metallico di sudore e cuoio.

    Mi massaggiai i muscoli seguendo con un dito le cicatrici delle bruciature. Uno dei vantaggi di lavorare con il vetro erano le braccia forti, ma i muscoli limitavano la mia flessibilità quando combattevo. Alla fine del primo anno, il Maestro d'Armi aveva deciso che, anche se riuscivo a maneggiare un bastone di legno come un pontello di ferro, ero troppo lenta. Mi diede la stessa valutazione con la spada e con la lancia.

    Avevo trovato per caso i sai mentre aiutavo a riordinare dopo una lezione. Assomigliavano a spade corte, ma invece di una lama piatta, l'arma aveva un corpo principale spesso mezzo pollice vicino all'elsa e un quarto di pollice sulla punta, arrotondato ma con otto facce piatte. Solo la punta era aguzza. Il Maestro d'Armi era elettrizzato quando li avevo scoperti, e aveva proclamato che erano l'arma perfetta per me in quanto richiedevano forza di braccio e destrezza di mano.

    «Tieni, prova questi. Se sono troppo pesanti, te ne troverò un paio più leggero.» Il Maestro d'Armi mi porse due sai, uno per mano. Il metallo argenteo scintillava come appena lucidato. La guardia a forma di U era rivolta verso la punta, cosicché l'arma assomigliava a un tridente con la barra centrale molto prolungata.

    Provai qualche parata e stoccata per saggiare la maneggevolezza dell'arma. «Sono più pesanti di quelli da addestramento» osservai.

    «Troppo pesanti? Avevo cominciato ad aggiungere peso a quelli che usi per le esercitazioni, ma i Maestri hanno fretta. È sempre così» sbuffò.

    «Vanno bene.»

    «Fai pratica più spesso che puoi. Potrebbe servirti fare aperture più lunghe nel mantello, così puoi impugnarli più in fretta.» Frugò in una grossa cassa in un angolo dell'armeria e ne tolse un cinturone con due corti foderi. «Indossa questo quando te li porti dietro. Ai cavalli non piace venire punzecchiati con le estremità. Non è bello neanche per le tue gambe.»

    Lo ringraziai e corsi verso le scuderie. A ogni passo, le nuove armi che avevo agganciato alla cintura sembravano diventare più pesanti. Avrei dovuto usarle? Avrei saputo difendermi? Sempre più, avevo l'impressione di essere stata strappata da una fornace prima di aver raggiunto la temperatura giusta.

    Quando arrivai, Zitora stava aiutando il Mastro Stalliere a sellare Quartz. Alla debole luce della lanterna, le macchie brunorossastre sul manto del cavallo apparivano nere mentre le parti bianche sembravano grigie. Nitrì per salutarmi e io le accarezzai il naso. Il muso era marrone tranne per la macchia bianca tra gli occhi. Già sellata, Sudi, la giumenta roana di Zitora, scalpitava impaziente.

    Il Mastro Stalliere mi porse le redini di Quartz. «Domani sarai indolenzita e la situazione peggiorerà nei giorni seguenti. Fermati spesso per stirare i muscoli e far riposare la schiena.»

    «Non ci sarà tempo» disse Zitora montando Sudi.

    «Perché non ne sono sorpreso? Precipitarsi in missione prima di essere adeguatamente addestrati sta diventando la procedura normale, ultimamente» borbottò sottovoce il Mastro Stalliere scuotendo il capo, e si avviò verso gli stalli dei cavalli, controllando i secchi dell'acqua.

    «Hai una radice di dioscorea?» mi domandò Zitora. «Aiuterà con il dolore.»

    «Non mi serve. Quanto potrà essere forte?»

    Fu molto peggio del previsto. Dopo tre giorni avevo la schiena a pezzi, i muscoli delle gambe mi bruciavano, e avevo la mente annebbiata.

    Zitora impose un'andatura mortale. Ci fermavamo solo per mangiare, accudire e far riposare i cavalli, e dormire poche ore, che non riuscivano ad alleviare la stanchezza. Ricordi di un altro viaggio del genere tormentavano il mio sonno: la notte in cui Maestro Gemmarosa mi aveva svegliato e issato sul suo cavallo prima che potessi capire cosa stava succedendo. Durante quei frenetici cinque giorni, mi ero aggrappata alla consapevolezza che mia sorella aveva bisogno di me. Era l'unica cosa che sapevo, ma era stata sufficiente per ignorare il dolore.

    Per distrarmi, mi concentrai sui problemi dei Danzatempesta. Avevamo lasciato la Cittadella dalla porta sud, dirigendoci prima verso sudovest fino a raggiungere il confine delle terre dei Danzatempesta, e poi a ovest. Zitora sperava di raggiungere la costa in altri tre giorni. Di quando in quando le preoccupazioni riguardo alla missione prendevano il sopravvento, e i dubbi mi angosciavano. Se in quella storia era in gioco la magia, io non avrei potuto fare nulla e avremmo soltanto sprecato del tempo prezioso.

    La notte del quarto giorno ci fermammo a un mercato nella Valle del Tuono. Zitora comprò una radice di dioscorea per me e riuscì a darmela senza gongolare. Al posto suo, mio fratello se ne sarebbe andato in giro con un'espressione da te l'avevo detto per settimane.

    Gli ambulanti vendevano le solite verdure, frutta e carni, ma su un paio di tavoli era ammucchiata una strana erba. Alta circa tre piedi, aveva foglie pelose e divise in foglioline.

    «È indaco» spiegò Zitora quando la interrogai. «Si usa per produrre inchiostro, una delle attività dei Danzatempesta. Realizzano anche oggetti in ferro come i sai che porti alla cintura.»

    E raccoglievano tempeste. Clan indaffarato, pensai.

    Masticai il tubero mentre facevamo in fretta le nostre compere. Mi sarebbe piaciuto trattenermi a guardare gli oggetti in vetro, ma lo sfinimento segnava il viso a cuore di Zitora, ricordandomi che il nostro non era un viaggio di piacere. Forse avremmo potuto fermarci al ritorno.

    Dopo aver sistemato le provviste fresche nelle bisacce, montammo. Mi aspettavo l'ormai familiare scossa di protesta dei miei muscoli maltrattati, ma con mia sorpresa non venne.

    Negli occhi gialli di Secondo Mago si accese una luce allegra.

    «Grazie per la radice, Zit... ehm, Maestro Cowan.»

    Il suo buonumore svanì e io mi rimproverai quel lapsus. Era inflessibile sul fatto che gli studenti la chiamassero Maestro Cowan. Sapevamo tutti della sua frustrazione per l'atteggiamento disinvolto con cui la trattavano. Ma lei era così dolce. Quando mi aveva notato e aveva ricordato dettagli della mia vita, avevo desiderato confidarmi con lei e diventare la sua migliore amica.

    Sospirò. «Chiamami Zitora. Non dovrei aspettarmi rispetto se non me lo sono guadagnato.»

    «Non si tratta di questo.»

    «Che cosa intendi dire?»

    Sentendomi come se avessi fuso più vetro di quanto riuscissi a maneggiarne, cercai le parole giuste. «Per gli studenti sarai sempre Zitora. Non... intimidisci abbastanza. Non hai l'atteggiamento severo di Maestro Gemmarosa o la saggezza da libro ambulante di Maestro Buonsangue. Puoi chiederci di chiamarti Maestro, ma non sentiamo il titolo nel cuore.» Il suo fastidio minacciava di trasformarsi in collera, così mi affrettai a proseguire. «Tu invece sei... avvicinabile. Qualcuno con cui confidarsi, da cui andare quando abbiamo problemi. Se tutti i Maestri fossero inavvicinabili, l'ambiente del campus sarebbe insopportabile.» Quando lei non rispose, aggiunsi: «Ma è una mia impressione. Potrei sbagliarmi». Avevo bisogno di imparare a tenere la bocca chiusa.

    Senza una parola, Zitora spronò Sudi al galoppo. Visto? Era troppo buona per rimbrottarmi. Maestro Gemmarosa mi avrebbe spedito a lavare i pavimenti delle cucine per una settimana. Tuttavia, quando infine ci fermammo a dormire, sul far del mattino, e io cercai di mettermi comoda sul duro scisto, pensai che la sua scelta di un sito per la sosta potesse essere una rappresaglia per il mio commento.

    Zitora restò accanto al fuoco, ma notò che mi torcevo nelle coperte. «È tutto così.» Indicò il terreno. «Da qui in poi.»

    «Così come?»

    «Scisto. Strati e strati. Pochi luoghi lisci, altri solcati da spaccature o ridotti in ghiaia. Tutto quello che ti vedrai sotto i piedi sarà un brutto grigio finché non raggiungeremo la costa. Si chiama Le Spianate. Niente alberi. Qualche cespuglio. Poi... Be', Le Scogliere davanti al mare sono spettacolari. Incisi dal vento e dall'acqua, i pilastri di scisto sono scolpiti in bellissime forme e arcate.» Tornò a fissare il fuoco. «Dormi, Opale. Hai bisogno di riposo.»

    Ero troppo stanca per domandarmi se avesse usato la magia su di me. Per una volta, però, la mia immaginazione iperattiva e i ricordi passati non invasero i miei sogni.

    Il mio sonno rimase beato finché una punta aguzza non mi punse la gola.

    3

    «Alzati lentamente» ordinò l'uomo. «Niente mosse brusche. E tieni le mani dove posso vederle.»

    Difficile contraddire un bandito armato. Mi sedetti e spinsi via le coperte. L'uomo fece un passo indietro mentre mi alzavo. La punta della sua spada si abbassò, allentando la morsa d'acciaio del panico che mi serrava il cuore. Esalai un respiro tremolante.

    La sua camicia e i calzoni erano macchiettati in una gamma di grigi, bianco e nero, e così pure cappuccio e maschera, della stessa stoffa. Vividi occhi azzurri mi fissavano.

    Una risata attirò la mia attenzione. Zitora stava davanti a tre persone, anche loro vestite in tessuto mimetico grigio. Le puntavano contro le spade. Interessante, notai, Secondo Mago non aveva un'aria così dolce, adesso.

    «È così?» chiese sbalordito l'uomo più vicino a Zitora. «Il Consiglio manda due studenti ad aiutare i Danzatempesta?» Ridacchiò. «Che cosa siete... apprendisti? No, non ditemelo... tu sei una novellina.» Puntò la lama verso di me. «E tu sei un'apprendista.» La lama tornò a ondeggiare verso Zitora.

    Avevo dormito con il mantello addosso e sotto l'indumento sentivo pesare i sai che portavo alla vita. Zitora aveva insistito perché restassi armata sempre. La sua spada era per terra lì vicino. Avrei potuto infilare le mani nelle false tasche del mantello ed estrarre le armi.

    Cercai un segnale da Zitora. La sua espressione intenta mi ammonì di aspettare.

    «Che cosa volete?» domandò.

    «Impedirvi di aiutare i Danzatori, ma adesso sto pensando di lasciarvi andare. Probabilmente farete più male che bene.» Il capo ridacchiò di nuovo, irritandomi i nervi come se gargarizzasse vetri rotti.

    L'uomo che mi aveva svegliato mi afferrò la mano. Mostrò al capo le mie cicatrici. «Questa lavora il vetro. Dobbiamo attenerci al piano.» Mi lasciò andare.

    «Ahi. Non posso ammazzare due ragazzine» replicò il capo. La parola ammazzare mi fece scorrere dentro un fiotto rovente di paura.

    «Questa qui è un mago» disse una donna indicando Zitora.

    «È troppo forte per te?» la sbeffeggiò il capo.

    La donna si irrigidì. «L'abbiamo saldamente sotto controllo.» Guardò la persona accanto a sé.

    Attraverso la nebbia della paura, mi resi conto che Zitora non aveva mosso altro che la bocca da quando mi ero svegliata.

    «Ed eccoci tutti pronti per un grande scontro» disse il capo, scoppiando a ridere.

    «Perché volete impedirci di aiutare i Danzatori?» domandò Zitora.

    L'ira arrossò le orecchie del capo. «Vogliamo che loro...»

    «Chiudi il becco» lo rimproverò Occhi Azzurri. «Meno si dice, meglio è. Concludiamo la missione prima che qualcuno ci scopra.»

    Forse il tizio che rideva non era il capo, pensai. Un'intelligente intensità irradiava da Occhi Azzurri.

    «Potremmo portarcele dietro» suggerì la donna. «Chiedere un riscatto.»

    «No» dissi con forza. Il mio scatto veemente sorprese me quanto gli aggressori. Preferivo morire che essere di nuovo vittima di un rapimento.

    «Ultima opportunità per dirci perché siete qui» annunciò Zitora. Il tono era di autorità.

    Le risposero risatine. Solo Occhi Azzurri prese in considerazione le sue parole. La sua mano si serrò sulla spada.

    «Il vantaggio di apparire così giovane è che vengo costantemente sottovalutata.» Zitora alzò le braccia, avvertendomi che avrebbe usato la magia.

    La paura mi trafisse. Sarei riuscita a combattere o sarei stata troppo terrorizzata per muovermi?

    Questa volta le risate non

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