Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

La forza del male (eLit): eLit
La forza del male (eLit): eLit
La forza del male (eLit): eLit
E-book317 pagine4 ore

La forza del male (eLit): eLit

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Krewe of Hunters 5

Una vecchia leggenda racconta che nella stanza 207 del Longhorn Saloon, a San Antonio, una donna venne brutalmente uccisa e il suo assassino non fu mai trovato. Dopo oltre un secolo, nella stessa stanza di quello che ora è diventato un albergo, un’altra donna sparisce misteriosamente lasciando dietro di sé una scia di sangue, mentre nella cittadina texana vengono rinvenuti una serie di cadaveri irriconoscibili. A indagare su questi misteriosi omicidi, in apparenza scollegati, sono chiamati Logan Raintree, della polizia locale, e la fascinosa agente federale Kesley O’Brien, entrambi scelti per i loro "doni" particolari, grazie ai quali riescono a comunicare con l'aldilà. Ma scavare nel passato di un luogo malfamato e soprattutto portare a galla i segreti dei morti potrebbe rivelarsi fatale.
LinguaItaliano
Data di uscita1 feb 2019
ISBN9788858997895
La forza del male (eLit): eLit
Autore

Heather Graham

New York Times and USA Today bestselling author Heather Graham has written more than a hundred novels. She's a winner of the RWA's Lifetime Achievement Award, and the Thriller Writers' Silver Bullet. She is an active member of International Thriller Writers and Mystery Writers of America. For more information, check out her websites: TheOriginalHeatherGraham.com, eHeatherGraham.com, and HeatherGraham.tv. You can also find Heather on Facebook.

Autori correlati

Correlato a La forza del male (eLit)

Titoli di questa serie (5)

Visualizza altri

Ebook correlati

Narrativa romantica paranormale per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su La forza del male (eLit)

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    La forza del male (eLit) - Heather Graham

    978-88-5899-789-5

    Prologo

    Galveston Island, Texas

    Primavera 1835

    La luna era bellissima, quella sera, e Rose Langley ne ammirava lo splendore, mentre camminava a piedi nudi sulla spiaggia. Non sapeva a cosa fosse dovuto uno spettacolo del genere, sapeva solo che non l'aveva mai vista così. Era un'enorme, luminosissima mezzaluna crescente, ma nel buio se ne intravedeva anche l'altra metà, il baluginio di un'eco silenziosa. Un tempo, sarebbe potuta andare dal suo tutore, il signor Moreno, quel vecchietto saggio e dalla voce gentile, e chiedergli la causa di quel cielo tanto meraviglioso. Lui l'avrebbe osservato attentamente e le avrebbe spiegato, magari, che un qualche pianeta era allineato con la luna. O, forse, che si trattava di un'illusione provocata dalle nuvole o da goccioline sospese in aria che non erano cadute sotto forma di pioggia.

    Ma, naturalmente, non poteva più farlo. Aveva rinunciato al signor Moreno e a ogni altra parvenza di una vita decente e rispettabile quando si era convinta che suo padre fosse cattivo e irragionevole, dal momento che non riusciva a vedere in Taylor Grant l'uomo stupendo e industrioso che vedeva lei.

    Era scappata dalla sua lussuosa casa di New Orleans, certa che Taylor l'amasse e che avrebbero avuto una vita meravigliosa insieme.

    Cercava di pensare solo alla luna e al suo incanto, anche se le giungevano le voci degli uomini dal Covo dei pirati, un nome appropriato per un saloon a Galveston Island, i cui primi coloni erano stati i pirati di Lafitte. Lafitte era morto da tempo, ma al bancone sedeva ancora qualche vecchio reduce dell'era dei pirati, e non facevano che bere, imprecare e blaterare di quando comandavano gli spagnoli, poi i francesi, poi di nuovo gli spagnoli, e dell'imminente indipendenza del Texas. Non parlavano d'altro. Galveston era ora un porto in espansione, che offriva molte occasioni di guadagni illeciti. Forse alcuni degli uomini sarebbero partiti e avrebbero imbracciato le armi per il Texas, ma, per lo più, si trattava di viscidi miscredenti che passavano tutto il giorno a sbevazzare. E avevano coinvolto anche Taylor, che, non avendo i soldi per bere, li aveva convinti a pagarlo per i servizi offerti da Rose, dicendole che, tanto, sarebbero svenuti non appena fossero stati soli con lei. Spesso succedeva, purtroppo non sempre abbastanza in fretta. Fece una smorfia di disgusto, contemplando la luna. La facevano sentire lurida e il loro fetore le rimaneva appiccicato addosso anche dopo che erano svenuti: non se ne andava neppure quando si immergeva nelle acque della baia.

    Le arrivavano le risate, le imprecazioni, i commenti sboccati e qualche volta anche le risatine stridule delle puttane del saloon, donne per lo più vecchie e logorate dalla vita, che si rovesciavano addosso litri di profumo e accettavano qualche soldo o un bicchierino di whisky o rum in cambio di un servizietto veloce.

    E Taylor l'aveva trasformata in una di loro.

    Le lacrime le pungevano gli occhi. Cercava di fingere di non aver mai lasciato casa sua e di essere solo una giovane donna come tante, che passeggiava sotto quello stranissimo chiaro di luna. Ma non serviva a nulla e il dolore che sentiva dentro non si placava.

    Amava ancora Taylor. Nonostante tutto quello che le aveva fatto. Che scema!

    «Rose!»

    L'emozione nella voce la indusse a voltarsi: Taylor era uscito dal saloon e le stava correndo incontro con gli occhi che brillavano e quasi senza fiato.

    Ma ormai il suo entusiasmo non la contagiava più.

    «Che c'è, Taylor?» gli chiese.

    «Finalmente ho giocato la partita che ci tirerà fuori da questo buco. Rose, amore mio, guarda qua!»

    Le mostrò un anello.

    Rose si ricordava dei gioielli, di quelli veri, come la croce che suo padre le aveva comprato durante un viaggio d'affari in Italia o i bellissimi orecchini di perla a goccia che la madre le aveva regalato per il suo quattordicesimo compleanno. Non ne aveva mai posseduti di grandiosi, solo qualche oggetto d'oro e con gemme semipreziose che poteva piacere a una giovane ereditiera in una piantagione.

    Però un po' se ne intendeva e quell'anello non era solo un bell'oggetto, ma valeva quanto l'intera piantagione di suo padre. La strana luce della luna faceva brillare il diamante sfaccettato nel raffinato castone d'oro; la pietra era almeno da cinque carati, se non di più.

    Inoltre, pareva avere vita propria: le sembrava quasi che quel meraviglioso scintillio le bruciasse la mano.

    Rose guardò Taylor. Era rimasto a bere tutto il giorno, eppure pareva sobrio. Aveva uno sguardo tenero negli occhi azzurri e le labbra, poco pronunciate, al pari della mascella, erano incurvate in un sorrisetto insicuro e pieno d'amore.

    Nonostante tutto quello che le aveva fatto, la amava ancora e molto.

    «Come l'hai avuto?» gli chiese.

    «Mi sono messo a giocare a poker, ma gli altri piano piano se ne sono andati con le loro vincite ed è rimasto solo il vecchio Marley, sai quel vecchio decrepito che dice di aver fatto parte dell'equipaggio di Lafitte. Ebbene, ha messo sul tavolo questo, dicendo che Lafitte in persona lo chiamava il Diamante di Galveston e che un tempo era appartenuto agli Asburgo. Viene da una nave spagnola che Lafitte saccheggiò prima della guerra del 1812. Marley giura che sia stato Lafitte stesso a darglielo anche se è più probabile che lo abbia rubato, ma chi se ne frega. L'aveva lui... e ora è nostro. È la nostra chiave per la salvezza. Possiamo andare ovunque. Non dovrai più andare con quei vecchi bastardi, e non dormiremo più sulla spiaggia. Possiamo sposarci, comprare dei cavalli, unirci ai texani e richiedere delle terre...»

    «Il Texas sta entrando in guerra, Taylor. Dobbiamo andarcene da qui stanotte stessa, prima che qualcuno sappia che abbiamo l'anello.» Rose comprendeva l'entusiasmo del compagno, ma, nonostante fosse bellissima, sentiva che in quella gemma c'era qualcosa che non le piaceva. Voleva andare via di lì e venderla al più presto, a qualsiasi prezzo, purché fossero soldi sufficienti per lasciare quel posto. Era quella la cosa più importante, scappare. Lasciare la misera stanzetta che avevano potuto permettersi e fuggire lungo la spiaggia. Anche il suo entusiasmo cresceva, e con esso un senso di pericolo.

    Era il diamante? La stava avvertendo o mettendole paura?

    «Gli altri non ne sanno niente e poi credono che l'anello sia maledetto» rispose Taylor, «a quanto pare, la principessa, o chiunque lo possedesse, è morta giovane. Ho qualche altro soldo da parte, possiamo prenderci dei cavalli e andare via. Partiremo all'alba. E se non potremo comprarci delle terre, andremo a est, in Virginia, o magari fino a New York!»

    Per un attimo la strana luna sembrò inondarli della propria luce, come una sorta di benedizione.

    Poi udirono delle voci concitate provenire dal saloon.

    «Che succede, Taylor?» sussurrò.

    Degli uomini correvano verso di loro. Rose fece per arretrare, ma non poteva fuggire da nessuna parte: era un'isola quella e per miglia non c'erano che sabbia e felci.

    Nessun posto dove scappare.

    «Eccolo là, prendiamo quel bastardo!» gridò uno degli uomini.

    Taylor le diede l'anello e lei lo prese. Sapeva che, se era quello che quegli uomini cercavano, l'avrebbero spogliata con la forza e perquisita, lì sulla spiaggia. Quindi finse di sistemarsi un ciuffo ribelle e si nascose il gioiello nella crocchia.

    Il cuore le batteva all'impazzata. Dal saloon erano usciti cinque uomini: Matt Meyer, famoso per aver fatto lo scalpo a diversi indiani nel Tennessee, e i suoi scagnozzi, rudi uomini di frontiera che, sebbene non fossero al massimo della forma, non avevano perso la loro propensione alla brutalità.

    Rose fece un passo avanti. «Cosa succede, signori?» domandò superando Taylor e pregando che non passassero subito a menare le mani.

    Meyer la prese per le spalle e la scaraventò nella sabbia. «Baro!» gridò all'indirizzo di Taylor. «Dove sono il mio orologio e la sua catena, eh?»

    «Che?» strillò Taylor. «Io non baro e non ho né il tuo orologio né la catena. Te lo giuro, te lo giuro su quanto c'è di più sacro e...»

    «Ragazzi» sibilò Meyer.

    Gli scagnozzi si avventarono su Taylor, gli strapparono i vestiti e lo picchiarono a sangue, lasciandolo nudo e mezzo morto sulla spiaggia. Rose gridò spaventata, ma il suo tentativo di intromettersi fu subito fermato da un manrovescio che la fece ricadere a terra frastornata.

    «Non ce l'ha» riferì uno degli scagnozzi a Meyer.

    E a quel punto, ovviamente, si rivolsero a Rose.

    «Diceva la verità!» gridò la donna, furente e disperata. Si alzò faticosamente in piedi e si erse con tutta la fierezza che aveva ancora in corpo. «Non ha il tuo orologio né la catena e nemmeno io.» Sapeva che il suo discorso non sarebbe servito a niente ed era preoccupata a morte per Taylor, riverso nella sabbia, nudo e sanguinante. Dopo averlo udito gemere una volta, ora taceva immobile.

    «L'avete ucciso!» accusò Meyer.

    Dalla bettola giunse di nuovo del rumore. Altri uomini ne uscirono, attirati da quella rissa sulla spiaggia.

    «Prendete la puttana e andiamocene» ordinò Meyer ai suoi uomini.

    «Aspettate! Non potete lasciarlo qui» li supplicò Rose. «Potrebbe essere ancora vivo.»

    Meyer era un omone alto e forte, sulla quarantina, le si avvicinò e l'attirò a sé. «Come ci sei finita con questo patetico rifiuto umano, tu che ti dai tante arie da bella del Sud, eh?» Sorrise lascivo. «Controllerò più tardi se hai tu la mia roba. Andiamo, ragazzi. È tempo di lasciare quest'isola e andare verso l'interno. Se davvero ci sarà una guerra, noi ne faremo parte. Quanto a te, cara miss Rose bella-del-Sud... credo che d'ora in avanti sarai la mia puttana.»

    «Lasciami andare, bastardo!» Doveva guadagnare tempo. La gente stava uscendo dal saloon e lei doveva dire loro che Taylor era innocente e che quegli uomini l'avevano quasi ammazzato. Un conto era azzuffarsi o persino sparare a qualcuno... ma mettersi in tanti contro uno solo e pestarlo a sangue...

    Ma Meyer sollevò di nuovo il braccio e la colpì con una tale forza che sarebbe caduta, se lui non l'avesse sorretta. La testa le girava mentre lui se la caricava in spalla. Cercò di liberarsi e protestare, ma nelle orecchie le rimbombava la voce di Meyer: «Se vuoi che il tuo uomo abbia una possibilità, allora sta' zitta. Sei mia ora, Rose. Eh, sì, miss Rose, sei mia. Pensa alla gloria! Noi combatteremo per il Texas!». E scoppiò a ridere.

    Per il Texas.

    Rose combatteva per liberarsi dalla sua stretta, si sollevò poggiandosi sulle sue spalle e, di nuovo, per un attimo scorse la luna. O meglio le lune perché adesso le pareva che ce ne fossero dieci in cielo, tutte crescenti e straordinariamente belle.

    Poi scomparvero e il mondo attorno a lei si fece nero, ma poteva ancora sentire la gemma bruciare sulla pelle, attraverso la crocchia.

    Meyer e i suoi non sapevano avesse il diamante, eppure quella pietra maledetta aveva già distrutto la sua vita.

    1

    San Antonio, Texas

    Aprile

    Logan Raintree era appena uscito di casa e si dirigeva verso la propria auto quando un enorme coso nero gli tagliò la strada con una tale impetuosità da scuotere l'aria. Si fermò di colpo non riuscendo in un primo momento a capire che diavolo fosse.

    E poi lo vide. Il coso era un uccello, uno, si rese conto subito, di notevoli dimensioni, un falco pellegrino con un'apertura alare di quasi un metro.

    E aveva appena ucciso un piccione.

    Non c'era più nulla da fare per la povera preda: il falco gli aveva già strappato l'ala sinistra e anche spezzato il collo, ponendo fine alle sue sofferenze.

    Logan e il falco rimasero lì a fissarsi per alcuni secondi.

    Non era la prima volta che vedeva un uccello di quella specie attaccare e sapeva bene che erano tenaci come una ghiandaia e forti come una lince rossa.

    Avevano anche gli artigli e il becco dei loro antichissimi predecessori, i raptor, che un tempo imperversavano per mare e per terra. Potevano accecare un uomo o ridurgli la faccia a brandelli.

    Logan rimase immobile e mantenne la posizione, mentre ricambiava lo sguardo gelido e pensoso del rapace. C'era qualcosa in quegli occhi, qualcosa che ricordava il più violento dei generali o il più impietoso dei sovrani, qualcosa che sembrava dire tocca la mia preda e ti uccido.

    Ciò nonostante Logan non arretrò, anzi, non si mosse affatto.

    Conosceva bene il carattere degli uccelli così come di molti altri animali. Se scappava, il rapace lo avrebbe attaccato, anche solo per assicurarsi che si tenesse lontano dalla sua preda. Se avanzava, naturalmente, l'avrebbe attaccato per proteggerla. Quindi, doveva solo rimanere immobile e tranquillo. Il falco avrebbe rispettato le distanze e alla fine se ne sarebbe andato col proprio bottino.

    E invece restava lì e fissò Logan per un altro minuto buono, quindi rovesciò la testa all'indietro e lanciò un forte richiamo. Poi fece un passo verso di lui.

    Nonostante quel gesto di sfida, lui pensò che la miglior soluzione fosse comunque di restare fermo.

    «Non ho niente contro di te, fratello» sussurrò.

    Il falco gridò ancora, quindi tornò al piccione, guardò di nuovo Logan, strappò anche l'altra ala, la sputò e si rimise a fissarlo.

    Che strano, pensò lui: non solo era la prima volta che un falco pellegrino atterrava nel giardino di casa sua, ma era anche la prima volta che cercava rogne.

    Muovendosi lentamente per non allarmare il rapace, si portò la mano al cinturone da cui pendeva la sua Colt45. Non era sua intenzione fare di proposito del male a un animale, ma non voleva neppure finire accecato da un uccello con troppo testosterone.

    Quasi avesse intuito a cosa serviva la pistola, il falco fece un saltello all'indietro.

    Logan prese la mira. «Non voglio farti del male, fratello falco, ma se mi forzi la mano...»

    L'animale parve capire ogni singola parola. Lanciò un altro grido roco, agguantò il piccione e si alzò in volo, scomparendo verso ovest, seguito dallo sguardo attento di Logan.

    Stupito da quel curioso incontro, scosse il capo e tornò a dirigersi verso l'auto.

    Ma fatto un passo, si fermò di nuovo, aggrottando la fronte.

    All'improvviso gli parve di trovarsi nel bel mezzo di un film di Alfred Hitchcock.

    Gli uccelli.

    Ce ne erano ovunque: sui cornicioni di casa, a terra, sugli alberi, ovunque, persino sul tettuccio e sul cofano della sua auto. Pareva che l'intera avifauna autoctona del Texas si fosse data appuntamento lì e ogni esemplare lo fissava. C'erano ghiandaie, colombe, gracole, merli, corvi e persino qualche uccello marino e un pellicano al centro del suo prato.

    Assurdo. Era osservato e perseguitato da uno stormo di uccelli.

    Riprese a camminare e un passero si scostò svolazzando di lato. Proseguì tra il frullio di ali degli uccelli più piccoli che parevano fargli strada. Quando finalmente raggiunse il veicolo, aprì lentamente la portiera, si sedette al volante e la richiuse. Avviò il motore e sentì che gli uccelli sopra il tettuccio prendevano il volo.

    Uscì piano dal vialetto e si alzò un turbinio confuso di ali nere. Sbatté gli occhi e, quando li riaprì, erano spariti.

    Tutti quanti.

    Si voltò a osservare la sua casa nello stile delle vecchie missioni spagnole, chiedendosi se non avesse avuto una visione. Eppure era riuscito a raggiungere la macchina. Ma no, non si era trattato di una visione perché quelle le aveva soltanto in sogno, quando dormiva, e di solito le allontanava con una risata. Il popolo di suo padre credeva che i sogni fossero presagi mentre il nonno materno, lo psichiatra e filosofo William Douglas, credeva che sogni o visioni non fossero altro che questioni mentali. Era convinto che paure e ansie creassero nella mente umana dei mondi alternativi che servivano per risolvere certi conflitti emotivi.

    Ma in questo caso l'approccio non contava molto. Aveva visto quello che aveva visto e non era stato né una visione né un sogno.

    Era comunque piuttosto bizzarro che fosse successo proprio mentre si apprestava a incontrare Jackson Crow, agente dell'FBI e capo della tanto famigerata quanto celebre Compagnia dei Cacciatori.

    San Antonio era... diversa, ecco. Semplicemente diversa.

    Kelsey O'Brien guardò fuori dalla finestra della cucina del Longhorn, da cui si scorgevano le mura della vecchia missione nota come Fort Alamo. La città ferveva di attività, il clima primaverile era caldo e gradevole, e le persone che aveva incontrato finora erano amichevoli e cordiali.

    Eppure si sentiva ancora un pesce fuor d'acqua, perché in effetti era quello che le mancava: l'acqua.

    Era a San Antonio da tre giorni ed erano stati giorni piacevoli perché era una bella città. Kelsey aveva anche un cugino che viveva lì, Sean Cameron, che lavorava per una ditta di effetti speciali e, al momento, si trovava da qualche parte nel deserto a tentare di ricreare Fort Alamo com'era un tempo per girare un documentario.

    Era lieta che una sua vecchia compagna di campeggio, Sandy Holly, avesse acquistato l'antica locanda ed ex saloon in cui alloggiava. Certo, Sandy la faceva sentire un po' meno pesce fuor d'acqua, ma era strano non essere più a due passi sia dall'Oceano Atlantico sia dal Golfo del Messico. Nel corso della sua vita, a parte il campeggio estivo e gli anni del college, aveva sempre vissuto nell'arcipelago delle Florida Keys, dove di acqua ce n'era e tanta. Ovviamente lì c'era il fiume e infatti Kelsey adorava la zona attorno a esso, il Riverwalk, con tutti i suoi bei ristorantini e i negozi. E poi la città era molto interessante anche da un punto di vista storico.

    Solo che era diversa e le ci sarebbe voluto un po' ad abituarsi. In realtà non sapeva ancora cosa ci facesse lì e se vi sarebbe rimasta a lungo. Avrebbe potuto trattenersi per poco oppure trasferircisi per assumere un nuovo incarico.

    Era un'ufficale dell'U.S. Marshals Service, e le poteva dunque essere richiesto di andare ovunque. Aveva viaggiato molto in vita sua, tuttavia... l'idea di potersi trasferire lì, di costruirsi una nuova vita le sembrava strano... non certo qualcosa che avrebbe scelto di fare. D'altra parte la possibilità era reale e in fondo lei lo aveva sempre saputo. Aveva svolto l'addestramento a Miami e, in virtù della sua familiarità con Key West dove era cresciuta, era stata assegnata lì, assieme a un solo altro collega, Trent Fisher. Aveva occupato quella posizione per due anni e si era trovata molto bene con Fisher. Quando occorreva, facevano rapporto all'ufficio di Miami e qualche volta il loro supervisore si recava a controllare. Key West era piccola e, a dispetto delle possibili frizioni fra le varie forze dell'ordine, era riuscita a stabilire in fretta ottimi rapporti sia con la polizia locale, sia con la guardia costiera, sia con le altre agenzie federali e statali con cui aveva a che fare. Poi un giorno...

    Un giorno si era ritrovata lì. Ancora si domandava come mai il suo supervisore Archie Lawrence fosse stato tanto vago.

    «Vedrai, ti piacerà un sacco» le aveva detto. «Vai a questo incontro. Poi avrai due settimane di tempo per decidere cosa ne pensi dell'offerta che ti verrà fatta. Insomma, niente è ancora deciso.»

    «Mi date una vacanza perché io possa ricevere un'offerta di lavoro e rifletterci su?» Non sembrava il tipico modus operandi del governo. «Di che offerta si tratta?» aveva chiesto.

    «Lo saprai all'incontro.»

    E non erano servite né insistenza né lusinghe per fargli scucire qualche dettaglio in più, posto che ne sapesse qualcosa. «Quello che incontrerai è un agente dell'FBI e potresti avere l'occasione di passare a loro» le aveva spiegato. «Non posso dirti altro.»

    «Perché? Non voglio cambiare lavoro!»

    «Ascolta, tesoro, la proposta viene dalle alte sfere, ed è piuttosto insolito... dovresti gioire di fronte a due diverse agenzie federali che collaborano amichevolmente.» Aveva sospirato alzando gli occhi al cielo. «E comunque nessuno vuole forzarti a cambiare. Ti viene offerta una possibilità, ma sei libera di rifiutare, davvero. Se non ti piace, ti riprendi le tue cose e torni qui al tuo vecchio lavoro senza problemi. Quindi, smettila di farmi domande e di starmi tra i piedi. Avrai un sacco di cose da fare e organizzare» aveva concluso con uno dei suoi sorrisetti sghembi.

    Archie le piaceva, lo considerava un buon capo. Era sempre molto affabile, però, quando serviva, sapeva sputare ordini più velocemente ed efficacemente del più duro dei sergenti istruttori.

    A volte, si chiedeva cosa Archie pensasse davvero di lei. Era brava nel suo lavoro anche se i suoi metodi erano spesso insoliti. Per fortuna molti criminali erano ancora sessisti e non credevano che una donna potesse metterli in riga, sparare come un cecchino e ammanettarli in men che non si dica. Eppure, in molti casi, Archie l'aveva guardata storto: per esempio quando neppure lei sapeva spiegare da dove le fosse venuta l'intuizione per individuare un carico di droga, il covo di qualche criminale o un cadavere. Si chiedeva se Archie un po' non ci sperasse, che lei cambiasse lavoro.

    Di lì a poco avrebbe incontrato un agente dell'FBI che le avrebbe fatto un'offerta. Offerta che, con ogni probabilità, aveva a che fare con le grandi doti che aveva dimostrato in due anni di servizio e, data la particolarità delle doti, era normale che più agenzie governative collaborassero. Una parte di lei aveva una gran voglia di dire loro che, se avesse voluto lavorare con l'FBI, avrebbe fatto domanda lì. Ma in fondo era anche curiosa e non voleva mettere in difficoltà nessuno, era solo tutto quel mistero a infastidirla.

    Le forze dell'ordine tendono notoriamente a collaborare poco fra di loro, una cosa piuttosto triste considerando che tutti lavorano per lo stesso scopo. Era per questo che il suo lavoro a Key West le piaceva: c'erano tante cose di cui occuparsi, ma erano pochi ed era facile andare d'accordo. Sull'acqua viaggiavano enormi quantitativi di droga e sia i colleghi della guardia costiera sia quelli della polizia locale erano oberati di lavoro. Perciò gli sbirri di Key West adoravano gli sceriffi federali. Era una situazione idilliaca in cui la polizia di Stato, la polizia della contea di Monroe, la guardia costiera e il loro ufficio collaboravano, tanto che non era raro che, dopo il lavoro, si ritrovassero a bere una birra tutti insieme in Duval Street o in qualche posto lontano dalle solite mete turistiche.

    Kelsey aveva frequentato l'università a Miami e fatto uno stage con gli sceriffi federali, per cui aveva deciso presto cosa sarebbe voluta diventare e si era sempre aspettata di restare in Florida.

    Pensare di trasferirsi in Texas era decisamente... strano.

    Non che avesse qualcosa contro il Texas, ovviamente; il problema era l'acqua: sebbene a San Antonio avessero un fiume, non avevano il mare.

    Guardò l'orologio. L'incontro sarebbe stato di lì a due ore.

    Guardò di nuovo dalla finestra e sobbalzò trovandosi di fronte un enorme corvo che si era posato sul davanzale esterno... e che la fissava. Mosse una mano per scacciarlo, ma quello non se ne andò e continuò a osservarla.

    Poi picchiettò il vetro col becco.

    Stava per fare un passo indietro, ma all'ultimo si bloccò. «Ehi, sono uno sceriffo federale e non ho certo intenzione di farmi intimidire da un corvo!» dichiarò.

    «Che succede?»

    Kelsey si voltò

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1