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Matrimonio fra le dune: Harmony Collezione
Matrimonio fra le dune: Harmony Collezione
Matrimonio fra le dune: Harmony Collezione
E-book164 pagine2 ore

Matrimonio fra le dune: Harmony Collezione

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Info su questo ebook

Forti, passionali e tanto sexy quanto spregiudicati. Sono tre indomiti principi del deserto alle prese con le loro ribelli future spose.



Il compito dello sceicco Khalil al Hasim è molto semplice: deve scortare la bella Layla Addison e consegnarla nelle mani del suo futuro sposo. Ma una volta scoperta la verità su quel matrimonio, decide di salvarla dal destino che l'aspetta e finisce con il chiederle a sua volta di sposarlo. Layla è incapace di resistere al selvaggio fascino di Khalil, tuttavia scopre che il principe sa anche essere un uomo arrogante e con la detestabile tendenza al comando. Non sarà per caso caduta dalla padella nella brace?
LinguaItaliano
Data di uscita9 feb 2018
ISBN9788858977637
Matrimonio fra le dune: Harmony Collezione
Autore

Sandra Marton

Tra le autrici piuù amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Matrimonio fra le dune - Sandra Marton

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    The Sheikh’s Wayward Wife

    Harlequin Mills & Boon Modern Romance

    © 2008 Sandra Myles

    Traduzione di Velia De Magistris

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2012 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5897-763-7

    1

    Dal terrazzo del salone delle feste osservava la spiaggia deserta e il mare. Una falce di luna era sospesa nel cielo, una scimitarra che brillava nella notte scura punteggiata di stelle.

    Dalla portafinestra alle sue spalle proveniva l’eco del chiacchiericcio e della musica. Era solo.

    Solo e annoiato.

    La notte era bella, la vista incantevole, ma Khalil si era recato ad Al Ankhara per affari, non per piacere. E, fino al quel momento, l’argomento affari non era stato neanche sfiorato.

    Conosceva come le sue tasche tutto ciò che lo circondava. L’imponente palazzo in stile moresco. La sabbia bianca. L’oceano sconfinato. Era nato lì, non solo ad Al Ankhara, ma in quella reggia. La leggenda narrava che il suo paese fosse antico come il mare, eterno come il deserto. Una volta era stato patria di guerrieri, ora combatteva per trovare una collocazione in un presente che mutava troppo in fretta.

    Khalil era come sospeso fra due mondi. Il suo cuore sarebbe rimasto per sempre lì, in quella terra aspra eppure bellissima, ma la sua vita era a New York, dove abitava da oltre dieci anni.

    Era arrivato quella stessa mattina, chiamato da suo padre per quello che il genitore aveva definito un urgente affare di stato. La notizia era giunta nel momento meno opportuno ma Khalil, per quanto non desse grande importanza al suo ruolo in famiglia, credeva che fosse dovere di un figlio mostrare rispetto verso il proprio padre. Soprattutto se il padre in questione era un sultano.

    Aveva letto la convocazione via e-mail e, dopo una breve esitazione, aveva dato ordine al suo pilota di prepararsi alla partenza, lasciando in sospeso un contratto multimilionario e una nuova amante nel suo letto. Diverse ore dopo era sceso dalla scaletta del suo jet privato, pronto praticamente a tutto... E invece era stato accolto come se il suo ritorno a casa non fosse altro che una semplice visita di cortesia.

    Lo sceicco Khalil al Kadar, Principe di Al Ankhara, protettore del suo popolo, erede al trono del Leone e della Spada e, per quanto ne sapeva, possessore di almeno un’altra mezza dozzina di titoli nobiliari, affondò le mani nelle tasche dei pantaloni e si lasciò andare a un sospiro di frustrazione.

    Suo padre, accompagnato dalla solita corte di ministri, lo aveva salutato con calore. «Eccellente, figlio mio» aveva detto. «Non hai perso tempo.»

    «Ovviamente no, padre» aveva replicato lui. «Il tuo messaggio parlava di urgenza

    «Vero» aveva confermato il sultano. «Ora, però, ho altre faccende di cui occuparmi.»

    «Ma...»

    «Ma ti spiegherò tutto fra poco» aveva concluso il sultano prima di allontanarsi.

    Il fra poco si era trasformato in ore e, con il passare del tempo, la curiosità di Khalil si era mutata in irritazione. Il suo umore non era certo migliorato quando il segretario personale di suo padre aveva bussato alla porta del suo appartamento per informarlo che il sultano lo avrebbe incontrato durante il banchetto previsto per quella sera.

    Khalil scosse la testa. Quanto urgente poteva essere il problema, se era possibile discuterne in un enorme salone dove si aggiravano almeno duecento ospiti?

    Aveva fatto del suo meglio per comportarsi bene durante la cena, ma onestamente la sua pazienza si era ormai esaurita. Così si era scusato ed era uscito dalla sala per passeggiare sul terrazzo, controllare decine di volte l’orologio, chiedersi cosa stesse succedendo e...

    Che cos’era?

    Una figura era emersa dalle ombre che circondavano il palazzo e si stava dirigendo a passo svelto verso la spiaggia. Chi poteva essere? Era notte inoltrata e quella era la spiaggia privata della famiglia reale, sorvegliata da militari ventiquattr’ore al giorno.

    Uno degli ospiti? No. La figura era coperta da una scura tunica maschile, mentre gli uomini presenti in sala indossavano tutti giacca e cravatta.

    Khalil si avvicinò alla balaustra. Non poteva trattarsi di un uomo, si rese conto. La figura era troppo snella. Un ragazzo, allora. Uno dei servitori forse, ma tutti i dipendenti del palazzo sapevano che il sultano non concedeva loro l’accesso alla sua spiaggia.

    Il ragazzo aveva raggiunto il posto dove sabbia e mare si incontravano. Khalil socchiuse gli occhi. Era la sua immaginazione, o c’era tensione nella sua postura, rigidità nei suoi movimenti?

    Lo sconosciuto avanzò di un passo. Le onde gli lambirono le caviglie, poi le gambe.

    Che diavolo pensava di fare? Domanda inutile, perché il ragazzo continuava a inoltrarsi in mare, un mare profondo già a pochi passi dalla riva e habitat di squali affamati.

    Khalil borbottò un’imprecazione, scavalcò la ringhiera con un balzo atletico e corse verso la battigia.

    Layla era sgattaiolata fuori dall’harem con il cuore che le batteva così forte da indurla a credere che chiunque avrebbe potuto sentirlo. Era sorpresa di essere arrivata sin lì. I suoi carcerieri non si erano resi conto della sua fuga. Oh, certamente loro non si definivano carcerieri. Le due donne che non la perdevano mai di vista avrebbero dovuto essere, secondo quanto aveva affermato suo padre, le sue damigelle, mentre l’uomo massiccio dal viso sfregiato, Ahmet, una sorta di guardia del corpo.

    «Al Ankhara può sembrare una terra da sogno, ma non lo è» aveva sentenziato suo padre. «Hai bisogno di protezione.»

    Almeno in questo aveva ragione. Al Ankhara, con le sue moschee e gli edifici in stile moresco, appariva agli occhi di un turista come l’illustrazione di un libro di favole, ma la realtà era ben diversa. Quanto le era accaduto durante gli ultimi giorni ne era una dimostrazione.

    Il suo unico pensiero era stato quello di fuggire. Ma come?

    Lei e le sue cosiddette damigelle erano alloggiate in una costruzione adiacente al palazzo. Un tempo doveva essere stata molto bella, ma adesso i pavimenti di marmo erano rovinati e i tappeti consumati dagli anni. Le finestre che affacciavano su una spiaggia erano sbarrate. La porta di accesso alla reggia era chiusa a chiave. Quella che dava sulla spiaggia era assicurata con un catenaccio ormai arrugginito.

    In altre parole, era in trappola.

    Poi, poco prima del tramonto, un colpo di fortuna. Una nave era apparsa. Be’, molto più che una semplice nave, uno yacht. Aveva ancorato al largo, ma quanto poteva contare quella distanza per una donna ridotta alla disperazione?

    Layla si era posta il problema di come raggiungere l’imbarcazione. Aveva trovato un fermaglio per capelli. Un fermaglio molto grande, di rame. O forse d’oro, per quel che ne capiva. Un fermaglio che, in ogni caso, avrebbe potuto usare per forzare il catenaccio una volta che i suoi guardiani fossero andati a dormire.

    Così lo aveva nascosto in una crepa del muro e aveva aspettato.

    Le donne le avevano portato la cena. Lei non aveva toccato cibo. Le damigelle erano passate poi al solito rituale del bagno. Giunto il momento di farle indossare la camicia da notte, Layla aveva fatto capire loro di aver freddo.

    Le donne avevano riso. D’altra parte, tutto di lei suscitava la loro ilarità. I capelli biondi. Gli occhi azzurri. La carnagione chiara e persino il suo fisico snello. Il fatto che lei avesse dichiarato di sentire freddo quando la temperatura aveva raggiunto vette da record, le aveva addirittura fatte sbellicare dalle risate. Le avevano comunque dato una tunica pesante al posto della camicia da notte e l’avevano accompagnata nella sua stanza.

    Layla aveva atteso di non sentire più suoni eccetto il russare di Ahmet e, armata del suo fermacapelli, in qualche modo era riuscita a far saltare il catenaccio.

    Avrebbe voluto correre verso la spiaggia ma, per non dare nell’occhio, si era costretta ad avanzare lentamente.

    E ora finalmente era sulla battigia. Mosse qualche passo nell’acqua, verso il largo, ma, all’improvviso, qualcosa la fermò.

    Qualcosa di grande. Di imponente.

    Un uomo.

    Forti braccia l’afferrarono per le spalle. La sollevarono in aria. Layla urlò, per la rabbia più che per la paura. Come aveva fatto Ahmet a riacciuffarla così velocemente?

    Ma non era Ahmet.

    Il corpo contro il quale premeva il suo era forte e snello, non certo coperto da strati di grasso come quello del guardiano. Le braccia che la stringevano erano muscolose. Persino l’odore della pelle era diverso: il suo orrendo carceriere puzzava di sudore, mentre l’uomo che la teneva sospesa a mezz’aria profumava di mare e di una costosa ed esclusiva colonia.

    Dunque ora non sarebbe stata consegnata a un grasso bandito in cerca di moglie, pensò Layla sconcertata mentre continuava a dibattersi, ma stava per essere violentata da uno sconosciuto con un buon profumo...

    Smise di pensare e gridò.

    L’urlo acuto lo assordò per un istante.

    Una donna? Quella creatura che si dimenava con la furia di un gatto selvatico non era un ragazzo, si rese conto Khalil. Era una donna.

    Una donna in tutto e per tutto.

    Su quello non esistevano dubbi. Il cappuccio della tunica era scivolato e i lunghi capelli le erano ricaduti sul viso. In quella posizione, il fondoschiena di lei praticamente aderiva al suo bassoventre. Nel tentativo di trattenerla, le aveva messo le mani sui seni.

    Cosa diavolo stava succedendo?

    Di una sola cosa era sicuro: non era quello il momento per trovare una risposta alla domanda. La sconosciuta stava cercando di liberarsi con tutte le sue forze. Bene, l’avrebbe accontentata non appena avesse smesso di tentare di ucciderlo. D’accordo, forse uccidere era un’esagerazione, ma lei continuava a colpirlo con i gomiti nello stomaco e con i talloni sugli stinchi.

    E quel fondoschiena. Piccolo, sodo, elegante. Era praticamente incollato a lui e... Dannazione, il suo corpo stava reagendo.

    «Bass!» esclamò Khalil, ma sarebbe stato di maggior efficacia intimare a una tigre di fermarsi. «Shismak?» provò ancora, ma non ottenne risposta. D’altra parte, chi avrebbe dato quell’informazione in un momento simile? Tuttavia, gli era sembrato logico chiederle chi fosse.

    Non importava. Importava invece che si stavano ancora agitando fra le onde, lei nel tentativo di liberarsi, lui nel tentativo di trattenerla. E soprattutto nel tentativo di impedirsi di reagire alle continue sollecitazioni cui era sottoposta una parte ben precisa del suo corpo.

    Il che lo stava portando a dimenticare i dettagli più importanti. La donna era un’intrusa. Era sulla spiaggia privata della famiglia reale. Come ci era arrivata, e come aveva fatto a eludere la sorveglianza? La sua intenzione era quella di fare un bagno a mezzanotte, o di togliersi la vita?

    Il risuonare di passi concitati alle sue spalle lo indusse a voltarsi. Khalil scorse due donne massicce e una specie di energumeno che correvano verso di loro.

    L’uomo brandiva una sciabola. «Getta l’arma!» gli ordinò Khalil in arabo.

    Il tizio si fermò, lo guardò, impallidì e cadde in ginocchio, subito imitato dalle due donne.

    Per qualche istante nessuno si mosse, nemmeno la donna che stringeva fra le braccia. Bene, pensò Khalil, lasciandola finalmente andare. Poi riprese a rivolgersi ai tre nuovi arrivati con un fiume di parole.

    Parole che Layla, però, non capiva. E soprattutto non capiva perché i suoi carcerieri si fossero prostrati faccia a terra davanti al folle

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