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Circolo vizioso (eLit): eLit
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E-book336 pagine4 ore

Circolo vizioso (eLit): eLit

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Info su questo ebook

Nicole Loring non riesce a rassegnarsi: secondo lei suo fratello non si è suicidato, ma è stato ucciso. Inoltre, sicuramente la scomparsa del nipotino è legata alla sua morte atroce. Non sapendo a chi rivolgersi, è costretta ad accettare l’aiuto di un investigatore molto premuroso, anche troppo... Roman MacKenna ha già abbastanza guai per conto suo, a causa di una situazione familiare dolorosa. Però quando la bella Nicole viene coinvolta in un misterioso suicidio e aggredita, lui non può fare a meno di gettarsi a capofitto in un caso dai sordidi risvolti. I due seguiranno una scia di perversione e morte senza sapere dove li porterà...



ROMANZO INEDITO
LinguaItaliano
Data di uscita5 dic 2018
ISBN9788858995624
Circolo vizioso (eLit): eLit

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    Anteprima del libro

    Circolo vizioso (eLit) - Helen R. Myers

    successivo.

    Prologo

    Era stanca morta e si sentiva crollare per il sonno. Avrebbe voluto sbattere la porta e tirare le scarpe in aria con un calcio, ma per rispetto nei confronti di suo fratello Nicole Loring entrò in punta di piedi nell'appartamento di Jay. Il risultato delle vendite di quel giorno presso la casa d'aste Van Dorn, la più prestigiosa di Dallas, era stato un successo insperato. Le offerte per diversi pezzi battuti erano state decisamente superiori alle aspettative e c'era stata una strenua battaglia per aggiudicarsi gli oggetti più preziosi e particolari. Per questo motivo a Nicole faceva male la gola, come se avesse ingoiato carta vetrata per tutta la sera, e aveva i piedi in fiamme come se qualcuno avesse infilato una sigaretta accesa in ogni scarpa.

    Non desiderava altro che infilarsi tra le lenzuola e dormire fino a mezzogiorno. Purtroppo il giorno dopo lei sarebbe dovuta tornare al lavoro alle nove, per occuparsi di un'asta privata da tenere al telefono. Van Dorn aveva acquistato una Harley Davidson degli anni Settanta che era appartenuta a una celebrità hollywoodiana recentemente scomparsa. Nicole aveva avvisato con discrezione un numero limitato di collezionisti stranieri appassionati di moto, tutti abbastanza facoltosi da assicurare alla casa d'aste una sostanziosa commissione sulla vendita.

    Nicole aveva bisogno di riposo per essere in forma il giorno dopo. Tuttavia per la seconda notte di seguito non avrebbe dormito nel suo letto e questo la disturbava non poco. Il giorno prima c'era stato un incendio nello stabile in cui viveva, sviluppatosi per un corto circuito. Per fortuna le fiamme avevano danneggiato il suo appartamento solo marginalmente, ma poiché il fumo e i vapori tossici si erano diffusi attraverso l'impianto di aria condizionata che collegava tutti gli appartamenti, sarebbero passati diversi giorni prima che l'appartamento di Nicole potesse tornare a essere abitabile. Nel frattempo, suo fratello Jay le aveva offerto la sua ospitalità, che però era limitata al divano.

    Non le fu necessario accendere la luce in soggiorno. Jay aveva lasciato acceso il neon sopra il fornello in cucina e il leggero chiarore che si diffondeva nella stanza accanto era sufficiente perché Nicole vedesse dove metteva i piedi. La sua testa dolorante e gli occhi che bruciavano non avrebbero sopportato una luminosità più intensa.

    Posò la borsetta da sera e le chiavi sul tavolino, si tolse le scarpe e decise di controllare se suo fratello stesse dormendo. In caso contrario avrebbero potuto bere un bicchiere di latte insieme e fare quattro chiacchiere, giusto per rilassarsi prima di mettersi a letto.

    Camminando senza far rumore lungo il corridoio, si avvicinò alla camera di Jay. La porta era chiusa, cosa che la stupì non poco. Proprio il giorno prima Jay l'aveva avvertita scherzosamente che non aveva la benché minima intenzione di cambiare le proprie abitudini a causa della sua presenza. Avrebbe continuato a dormire nudo e a lasciare la porta aperta di notte. In ogni caso, Nicole sarebbe stata costretta ad attraversare la sua camera per andare in bagno. Lei aveva accolto la notizia con una scrollata di spalle. Ormai aveva fatto il callo ai suoi comportamenti a dir poco bizzarri, considerato anche che nella casa di famiglia non erano abituali atteggiamenti più ortodossi. Già da tempo Nicole sapeva che sua madre allungava con la vodka il succo d'arancia a colazione...

    Improvvisamente un suono soffocato la bloccò. Le era parso un gemito di natura inequivocabile. Per un attimo si disse che si era sbagliata, ma il cigolio ritmico delle molle del letto le fece cambiare idea. L'incredulità di Nicole si trasformò in indignazione quando un altro gemito fu seguito da un mormorio indecifrabile e da un'esclamazione di chiaro apprezzamento.

    Quando Jay si era offerto di ospitarla lei si era mostrata preoccupata perché la sua presenza avrebbe potuto disturbarlo, ma lui l'aveva rassicurata con enfasi che non avrebbe dovuto temere di essere invadente. Dopo tutte le sue proteste, ora suo fratello le sbatteva in faccia i suoi amplessi in modo così rumoroso, senza riguardo? Nicole si disse che avrebbe fatto meglio ad andare in albergo. Come avrebbe fatto ad andare in bagno a lavarsi senza causare un certo imbarazzo a se stessa e ai due focosi amanti?

    Lei e Jay erano sempre stati molto affezionati e tra loro c'era un buon rapporto e una grande confidenza. D'altra parte quello era davvero troppo, si disse Nicole. In effetti non era arrabbiata con il fratello, anzi, in cuor suo era contenta che almeno lui avesse una vita sessuale degna di questo nome. Il suo unico appunto era che avrebbe potuto usare maggiore discrezione o fare qualcosa di più tranquillo, senza tante acrobazie e gemiti entusiastici. A un certo punto le era parso addirittura che i suoni soffocati fossero più di protesta che di soddisfazione. Forse Jay avrebbe fatto meglio a prodigarsi di meno.

    Rassegnata, tornò sui suoi passi e si lasciò cadere sul divano. Con un po' di fortuna, la ragazza di Jay se ne sarebbe andata dopo l'esibizione ginnica. Oppure lui l'aveva sentita rientrare e le avrebbe lasciato via libera non appena avesse finito.

    Nicole decise di aspettare e si sdraiò sul divano, poi chiuse gli occhi. Non doveva mancare molto alla fine, perché i cigolii del letto si erano intensificati e il volume dei gemiti era aumentato, fino a trasformarsi in una serie di gorgoglii ed esclamazioni strozzate.

    Finalmente arrivò il silenzio e Nicole fece un respiro profondo. Di lì a poco, la porta si sarebbe finalmente aperta e la compagna di Jay se ne sarebbe andata. Per evitare a tutti l'imbarazzo di fare le presentazioni dopo quello che aveva sentito, decise di fingere di essere addormentata. Aspettando di dirne quattro a Jay non appena fosse uscito dall'alcova, Nicole chiuse gli occhi e tese l'orecchio, in attesa.

    Quando aprì gli occhi, vide subito la luce del sole che filtrava attraverso le tende accostate. Balzò a sedere sul divano di scatto e lanciò un'occhiata all'orologio. Erano le otto e un quarto. Come aveva fatto ad addormentarsi di sasso? Era tardissimo!, pensò.

    «Povera me, se non mi do una mossa sono finita...» brontolò mentre si alzava vacillando. Non sarebbe mai riuscita ad arrivare in ufficio in tempo, si disse sconsolata.

    Si ravviò i capelli con le mani e si affrettò verso la camera di suo fratello, ma si fermò di colpo vedendo che la porta era ancora chiusa. Evidentemente Jay aveva avuto una notte brava e stava recuperando le forze dopo aver dato il meglio di sé. Nicole si disse che doveva essere veramente stanca se era piombata nel sonno e non aveva più sentito la colonna sonora dell'esibizione di suo fratello. Sapendo che anche lui si sarebbe dovuto alzare, bussò senza tanti complimenti, sperando che la ragazza se ne fosse andata nel frattempo.

    «Ehi, Romeo, se ci sei batti un colpo! Posso entrare? Devo andare in bagno e poi correre al lavoro prima che Max mi scanni.»

    Nicole tacque e rimase in attesa per qualche istante, ma non ricevette alcuna risposta da parte di suo fratello.

    «A proposito di scannare, sei solo?» Fece una pausa e tese l'orecchio, ma dietro l'uscio chiuso c'era il silenzio assoluto. «Jay, mi hai sentito? Chi dorme non piglia pesci!»

    Sulle spine, mise la mano sulla maniglia e si decise a girarla.

    «Jay, sto entrando» lo avvisò, aprendo la porta. «Sveglia, bello!»

    Nicole fece un solo passo.

    «Jay...» mormorò, atterrita.

    Il letto a due piazze era rivolto verso la porta. Benché le tende fossero tirate, c'era comunque abbastanza luce perché lei potesse vedere chiaramente la scena.

    Come la prima zaffata di odore nauseabondo le raggiunse le narici, la scena s'impresse nella sua mente in maniera pressoché indelebile, in tutto il suo orrore. Con un'esclamazione strozzata e un terribile sapore acre di bile in bocca, Nicole corse verso il bagno barcollando e s'inginocchiò davanti alla tazza appena in tempo.

    1

    La mattina successiva avrebbe sicuramente avuto un mal di testa tremendo e dei postumi di sbronza decisamente spiacevoli, ma in quel preciso momento non trovava un motivo sufficiente per preoccuparsene.

    Nicole bevve un altro sorso di champagne ghiacciato. Sapeva che Max aveva notato il modo avido, quasi autodistruttivo, in cui aveva tracannato un bicchiere dietro l'altro. Dopo tre settimane, forse quella sera la sua pazienza e la sua comprensione erano giunte al limite. Comunque Nicole avrebbe dovuto ringraziarlo per la sua capacità di sopportazione; in realtà gli stava facendo un favore alzando il gomito. Eccedere nel bere sicuramente era meno dannoso che prendere le pillole che le aveva prescritto il medico. I tranquillanti la trasformavano in uno zombie e le lasciavano l'elettroencefalogramma piatto per almeno due giorni. Sarebbe stato molto meglio avere a che fare con una Nicole ubriaca e in preda ad attacchi di panico che con una donna passiva dallo sguardo vacuo e dalla lingua impastata. Per una sera Max avrebbe potuto permettere alla sua brillante ed efficiente banditrice d'aste di bere qualche bicchiere di troppo al termine dell'orario di lavoro. Dopotutto se l'era meritato.

    Proprio quella sera la casa d'aste Van Dorn era riuscita a trovare degli acquirenti facoltosi per una serie di antichità e pezzi da collezione battuti all'asta durante una vendita solo per invito. Il giorno dopo i restanti articoli della proprietà Crown sarebbero stati venduti al pubblico. Max aveva organizzato una festa per pochi intimi per ringraziare la sua clientela di spicco per il prezioso contributo alla buona riuscita della vendita.

    Nicole sperava che gli invitati si sbrigassero a finire il contenuto dei loro bicchieri e si accomiatassero dal padrone di casa. Non era sicura di poter reggere sino alla fine della festa senza fare una pessima figura. Aveva già la forte tentazione di mettersi a gridare per scacciare gli ospiti. Solo il suo rispetto per Max le impediva di cedere a quell'impulso. Il suo datore di lavoro non sarebbe stato divertito da una simile scena e lei avrebbe finito per vergognarsene, una volta svaniti i fumi dell'alcol.

    Aveva bisogno d'aria per schiarirsi le idee, pensò. Sperando che la sua espressione non lasciasse trapelare il suo stordimento e la sua disperazione, fece un cenno a Carlyn, la sua assistente, per informarla che si sarebbe assentata un attimo. Passò vicino a un'enorme pianta in un'anfora antica e al centauro di bronzo, la statua preferita di Max, dirigendosi verso la portafinestra.

    Purtroppo due dei clienti più prestigiosi di Max le bloccavano la strada. Nicole temette fortemente che quei due la fermassero per chiederle qualche informazione tecnica sui pezzi che avevano appena acquistato. Considerato il livello di alcol che aveva in circolo, avrebbe potuto dire qualsiasi stupidaggine e rovinarsi così una volta per tutte la reputazione.

    Per fortuna non ci fu alcun incidente diplomatico. Con immenso sollievo, Nicole riuscì a passare, ricevendo un semplice cenno di saluto dai due uomini che si scostarono al suo passaggio. Mosè sicuramente non era stato più contento di lei quando si erano divise le acque del Mar Rosso.

    Nicole fece un sorriso, sforzandosi di assumere un'espressione serena, anche se il suo tormento era insostenibile. Come tutti, anche i due clienti sembravano ignorare la sua disperazione. Nessuno degli invitati le aveva fatto capire di essere a conoscenza della sua situazione e di aver notato il suo turbamento. Nicole si disse che c'erano solo due possibili ipotesi: o leggevano esclusivamente la pagina economica e la cronaca mondana dei giornali, oppure lei era un'attrice migliore di quanto credesse. Forse avere gli stessi cromosomi di sua madre, maestra in materia di finzione e dissimulazione, si dimostrava finalmente di una qualche utilità.

    Una volta giunta all'aperto, passò davanti alle aiuole, alle panchine di ferro battuto e al laghetto con la fontana, dirigendosi verso il gazebo, in cerca di solitudine e tranquillità. Fu contenta di trovarlo vuoto; non aveva la forza di fare conversazione con nessuno, non quando doveva già lottare contro la mano invisibile che le stringeva la gola e le toglieva il respiro giorno e notte.

    «Cominci a preoccuparmi seriamente, lo sai?»

    La familiare voce maschile che proveniva da dietro la fece trasalire e voltare di scatto. Di tutti quelli che avrebbero potuto seguirla in giardino, Roman MacKenna era il più sgradito. Qualche settimana addietro Nicole sarebbe stata più agguerrita nei suoi confronti; avrebbe potuto guardarlo dall'alto in basso, con l'alterigia glaciale di una principessa convinta che lui non fosse altro che un mastino collerico, addestrato per il combattimento. Tuttavia l'agente di sicurezza della casa d'aste Van Dorn si era recentemente trasformato in un individuo gentile e premuroso, spiazzandola. Nicole era sconcertata e non aveva la forza d'ignorarlo quando lui le rivolgeva la parola con quei suoi modi dolci e un po' goffi e lo sguardo comprensivo.

    Roman MacKenna aveva già tentato di attaccare discorso con Nicole quando lei era ancora al primo bicchiere di champagne. Lei aveva avuto ancora abbastanza presenza di spirito da replicare con un commento salace, poi gli aveva rivolto un sorriso da cui MacKenna avrebbe potuto proteggersi solo con massicce dosi di penicillina.

    Ora i suoi lineamenti contratti le fecero capire che non le avrebbe permesso di liquidarlo per la seconda volta. Nicole decise di tentare comunque di scrollarselo di dosso, perché quella sera la gentilezza la spaventava più delle minacce.

    «Dovrei essere lusingata dal tuo interessamento, ma non lo sono affatto» replicò, velenosa. «Dopo una serata come questa, credo di essermi guadagnata il diritto di prendere una boccata d'aria in santa pace. Oppure intendi mettermi agli arresti domiciliari, agente?»

    Roman MacKenna si avvicinò, per nulla impressionato dalle sue frecciatine. Senza rispondere, continuò a puntare sul viso di Nicole i suoi penetranti occhi celesti dallo sguardo impietoso.

    Messa a disagio, Nicole fece un ampio gesto della mano in direzione della villa. «Non mi fai i complimenti? È stato un successone!» commentò, cercando di cambiare argomento.

    «Ti giuro che avresti convinto anche me a comprare qualcosa se avessi potuto permettermelo.»

    Per Nicole sarebbe stata una vera impresa. Roman MacKenna non avrebbe potuto partecipare all'asta neppure con la cifra d'apertura, tantomeno resistere fino all'aggiudicazione. Era un agente di polizia con uno stipendio modesto, che integrava lavorando presso la casa d'aste come addetto alla sicurezza.

    «Secondo Max nessuno può resistermi» osservò Nicole, resa civettuola dal troppo champagne. «Dice sempre che riuscirei anche a vendere un caleidoscopio a un cieco!»

    «Posso farti una proposta?» le chiese Roman d'un tratto.

    «Dimmi» rispose Nicole, incuriosita.

    «Scambiamo i bicchieri?»

    Prima che lei potesse capire il motivo della sua iniziativa, Roman le aveva tolto di mano il calice di champagne e le aveva dato il suo bicchiere di acqua tonica con una fettina di limone.

    Nicole cercò d'ignorare il fremito che provò quando le dita di Roman sfiorarono le sue. Sollevò le sopracciglia in un'espressione altezzosa per nascondere il proprio imbarazzo e sperò che le ombre della sera potessero mascherare il rossore che sentiva apparirle sul viso.

    «È inutile che tu faccia il premuroso, ti avverto» lo apostrofò con distacco. «Il fascino non ti farà entrare nelle mie grazie più del tuo solito approccio del genere io Tarzan, tu Jane» aggiunse scherzosa.

    «Sto solo cercando di evitarti una pessima figura davanti a Van Dorn e ai suoi clienti» replicò Roman con aria candida. «Non so se te ne sei accorta, ma ho l'impressione che tu abbia bevuto troppo.»

    «Per avere la forza di stare a sentirti dovrei scolare ancora un paio di bottiglie» borbottò Nicole. «Comunque sono commossa dalle tue premure.»

    «Risparmiati la gratitudine per quando ti avrò riaccompagnata a casa.»

    «Come?»

    «Saluta tutti» replicò Roman, deciso. «Ti porto a casa.»

    «Non ci pensare nemmeno.»

    Una cosa che Nicole non tollerava più era sentirsi dire cosa doveva o non doveva fare. Per la maggior parte dei suoi trent'anni di vita era stata vessata, comandata a bacchetta, manipolata e intimidita; aveva sudato le proverbiali sette camicie per sfuggire al controllo tirannico dei suoi genitori. In quel momento, in particolare, non era dell'umore giusto per sopportare gli ordini altrui, soprattutto se venivano da un poliziotto. Dopo la morte di suo fratello, l'opinione di Nicole nei confronti degli agenti aveva subito un drastico cambiamento. Non aveva alcuna propensione a obbedire o a credere a un uomo in uniforme.

    «Tanto per cominciare, non sono ubriaca» dichiarò con fermezza. «In secondo luogo, preferirei dormire sul divano in ufficio piuttosto che andare da qualsiasi parte con te.»

    A quel punto Roman posò il bicchiere di champagne sulla balaustra di legno del gazebo. «Mi piacerebbe potermi fidare di quello che dici, Nicole. Mi rendo conto che sei sconvolta. Tu e la tua famiglia avete subito una terribile perdita, ma non ha senso sfogarsi prendendosela con chi cerca solo di aiutarti.»

    «Bastardo ipocrita...» sibilò Nicole, inviperita. «Come osi dirmi questo?»

    «Nicole...»

    «Possibile che non ci sia neppure uno di voi che non sia un bugiardo matricolato?»

    Le mani di Nicole tremavano così violentemente che Roman si affrettò a toglierle il bicchiere prima che se ne rovesciasse addosso il contenuto o glielo gettasse in faccia per la collera. Dopo averlo posato accanto al calice di champagne, Roman la prese per le braccia.

    «Fa' un bel respiro profondo» le ordinò con voce calma ma ferma.

    Nicole non voleva che lui la toccasse ma in quel preciso momento non era in grado di reagire. «Ti prego, vattene» lo supplicò con un filo di voce. «Perché non mi lasciate in pace?»

    «Non capisco perché usi il plurale, comunque lo farei volentieri se solo ti vedessi in condizioni tali da poterti lasciare sola» replicò lui.

    Nicole lo guardò e capì che non avrebbe potuto liberarsi tanto facilmente della presenza di Roman. Lei gli piaceva parecchio; Nicole se n'era accorta la prima sera in cui lui aveva cominciato a lavorare da Van Dorn. In circostanze diverse, anche lei avrebbe potuto ammettere di essere attratta da Roman. Con il suo sguardo penetrante e la sua bellezza rude, profondamente virile, suscitava in lei sensazioni fisiche che la turbavano. La sua sensualità evidente lo rendeva diverso dagli uomini azzimati e affettati che Nicole era abituata a vedere sul lavoro. Tuttavia la sua situazione non le permetteva d'ignorare il fatto che non avevano niente in comune.

    «Facciamo un patto» riprese Roman. «Permettimi di portarti a casa e ti prometto che non ti disturberò oltre. Dopo stasera non dovrai neppure vedermi più.»

    «Cosa intendi dire?»

    «Oggi è il mio ultimo giorno di lavoro da Van Dorn. Sono stato promosso investigatore alla omicidi. L'orario di lavoro sarà ben diverso da quello dei normali agenti di pattuglia, perciò non potrò più garantire a Max Van Dorn di poter lavorare per lui ogni sera» le spiegò.

    Improvvisamente Nicole si rese conto che avrebbe sentito la sua mancanza. Inghiottì a vuoto ed evitò di guardarlo in faccia mentre accennava un timido sorriso. «Cosa posso dire? Congratulazioni.»

    «So di non esserti esattamente simpatico e non posso farci niente» rispose lui in tono pragmatico. «Però la mia coscienza non mi permette di farti tornare a casa da sola. Non sei in condizioni tali da guidare. Ho già parlato con Max, che è d'accordo con me e mi ha dato il permesso di accompagnarti. Appurato questo, vuoi aspettarmi qui buona buona mentre vado a prenderti la borsetta oppure preferisci tornare dentro con me, con il rischio di creare uno scandalo cadendo a faccia in giù nella ciotola del caviale?»

    Roman aveva ragione. Nicole capì che non sarebbe servito a nulla opporsi, e comunque non ne aveva la forza. Era stanca, stanca di tutto. Obbedì e lo aspettò senza muoversi. Quando lui tornò con in mano la sua borsa, lo seguì docilmente fino al suo malandato fuoristrada nero e vi salì senza dire una parola.

    «Magari non è il tipo di auto a cui sei abituata, ma è perfettamente affidabile e ha un bel motore scattante» commentò Roman.

    «Non sono una snob, investigatore MacKenna» replicò lei.

    Nessuno dei due parlò più fino a quando furono giunti a destinazione. Nicole aveva chiuso gli occhi appena lui aveva messo in moto e si era concentrata sul tentativo di tenere al suo posto il contenuto dello stomaco, prevalentemente liquido. Non le era venuto in mente di dargli indicazioni perciò, quando sentì che Roman si era fermato, aprì gli occhi e si guardò intorno, sorpresa di trovarsi davanti a casa sua.

    «Cosa c'è?» le chiese lui, accortosi della sua sorpresa.

    «Io abito qui solo da una settimana» osservò Nicole. «Come facevi a sapere dove portarmi?»

    Roman scrollò le spalle. «Me l'ha detto Max.»

    Nicole si chiese se fosse vero. Oppure Roman era stato informato da un'altra persona, la stessa che aveva tramutato la sua vita in un terribile incubo dal momento in cui aveva trovato il corpo di Jay?

    Prima che il panico potesse paralizzarla sul sedile del fuoristrada di Roman, Nicole afferrò la borsetta, aprì la portiera di scatto, scese e corse via.

    «Nicole!» gridò lui, sporgendosi nel vano tentativo di afferrarla prima che si allontanasse. «Accidenti, aspettami!»

    In altre circostanze se ne sarebbe andato in fretta, lasciandola cuocere nel suo brodo. Ma il lampo di terrore allo stato puro apparso nello sguardo di Nicole lo turbò tanto da indurlo a balzare fuori dalla macchina e a gettarsi al suo inseguimento. Per fortuna i sandali a tacco alto e il troppo champagne bevuto le impedivano di correre, per cui Roman non dovette faticare molto per raggiungerla.

    «Ehi, aspetta! Dove scappi?»

    Roman l'afferrò per un braccio, più per aiutarla a tenersi in equilibrio che per impedirle di fuggire.

    «Lasciami o mi metto a urlare» lo minacciò lei.

    «Di cosa vuoi accusarmi? Di averti accompagnata a casa?» replicò Roman, serafico. «Denunciami per molestie, se vuoi. A mio favore ho anche la testimonianza di Max che mi ha chiesto di portarti via. Se poi ti facessi misurare il tasso alcolico nel sangue, non ti darebbe più retta nessuno...»

    Nicole perse tutta la sua combattività e la sua baldanza, come un palloncino che si sgonfia di colpo. Rimase immobile, debole e vulnerabile. Solo il suo sguardo tradiva il suo tormento interiore, mentre tentava di valutare fino a che punto Roman dicesse sul serio. Evidentemente doveva essere giunta alla conclusione che avrebbe fatto meglio a non tentare di sfidarlo, perché d'improvviso crollò e si coprì il viso con le mani, scoppiando a piangere.

    «Ho bevuto troppo» mormorò, tra i singhiozzi.

    Roman era decisamente d'accordo; non avrebbe voluto vederla ridotta in quello stato. Prima di presentargliela, Maxwell Van Dorn gli aveva descritto Nicole Loring come una donna perfetta, con un cervello di prim'ordine incastonato in un corpo mozzafiato. Gli aveva detto che non solo aveva un istinto naturale per le opere d'arte che sapeva valutare a colpo d'occhio prima ancora di mettere a frutto la sua competenza professionale, ma aveva anche una classe innata che la rendeva irresistibile agli occhi di tutti i suoi clienti. Roman aveva accolto quel commento come segno dell'apprezzamento esagerato di un uomo maturo che sbava dietro una bella donna. Poi, però, quando Van Dorn aveva chiamato Nicole nel suo ufficio per presentargliela, Roman si era reso conto che la realtà superava di gran lunga l'immaginazione.

    Nicole Loring era molto più di una bella bionda. Trasudava raffinatezza da ogni poro ed emanava una luminosità che lasciava ogni uomo a bocca aperta, incantato. Aveva occhi d'oro, una pelle perfetta, vellutata, un corpo da favola e un viso che avrebbe potuto rivaleggiare con la statua di una dea. Purtroppo da quel giorno Roman era stato combattuto tra la frustrazione perché Nicole faceva di tutto per evitarlo e il sollievo perché, con il suo comportamento distaccato, lei gli evitava l'imbarazzo di rendersi ridicolo mangiandola con gli occhi.

    «Credimi, non intendevo essere insistente o fastidioso» le disse in tono conciliante. «Però non sarei stato tranquillo se ti fossi messa al volante, rischiando d'investire qualcuno o spalmarti contro un muro. Comunque, se davvero non ti fidi, telefona a Max e chiedigli conferma del fatto che è stato lui a darmi il tuo indirizzo. Altrimenti, come credi che avrei potuto saperlo?»

    Nicole lo guardò con disprezzo. «È semplice» replicò. «Sei un poliziotto.»

    Roman non mancò di notare l'intonazione disgustata assunta da Nicole nel pronunciare quella parola. «Sai, credevo che l'attrito che notavo tra noi fosse una questione di pelle, un'antipatia viscerale, istintiva» commentò dopo una breve pausa. «Invece ora credo che sia l'uniforme a darti fastidio. Tu detesti gli agenti di polizia. Ho ragione?»

    «Diciamo che non sono in cima alla mia lista delle cose più gradite.»

    «Ha forse a che fare con la morte di tuo fratello? È successo qualcosa di spiacevole con gli investigatori incaricati del caso?»

    Nicole gli lanciò un'occhiata eloquente, come per invitarlo a smettere di recitare perché sapeva benissimo la risposta.

    «Guarda che non sei al centro di una cospirazione che coinvolge tutto il dipartimento di polizia di Dallas» protestò Roman, avendo colto il messaggio. «Tutto ciò che so è quello che

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