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La mano assassina (eLit): eLit
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E-book198 pagine2 ore

La mano assassina (eLit): eLit

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Info su questo ebook

Trish Emerson, consulente matrimoniale, si trova coinvolta in un omicidio. Un suo cliente viene infatti assassinato e le indagini portano a lei. Inoltre l'ispettore di polizia a cui è stato affidato il caso, Morgan Forester, è il suo ex marito, che non esita a farle pressioni per vedere chiaro in questa sporca faccenda. Mentre le indagini sono ancora in corso, una seconda vittima viene colpita a morte. Sembrerebbe trattarsi della stessa mano assassina. Intanto Trish e Morgan...
LinguaItaliano
Data di uscita31 mar 2017
ISBN9788858968390
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    Anteprima del libro

    La mano assassina (eLit) - C.J. Carmichael

    successivo.

    Prologo

    «Mi scusi» disse all'impiegato. Lui l'aveva osservata entrare nel motel, ma non si era mosso dal suo posto davanti allo schermo televisivo. «Mio marito ci ha chiusi fuori dalla nostra stanza. La numero quattordici.»

    L'impiegato si alzò senza fretta e andò al banco, senza staccare gli occhi dai bottoni del suo impermeabile.

    «Suo marito, eh?»

    Stava sogghignando, il pervertito. L'avrebbe trovato così spassoso se avesse saputo cosa lei aveva in tasca? Non sarebbe stato divertente mostrargli... ma doveva restare calma.

    «Esatto. Mio marito. John Doe.» Lei si costrinse a sorridere, quindi tese una mano guantata. Era stata la sua immaginazione o l'impiegato aveva esitato prima di consegnarle la chiave?

    Forse gli era sembrato strano che portasse i guanti in maggio. Ma quel giorno l'aria era fresca, e quell'anno Toronto era uscita da poco da un inverno rigido. Lei percepì il suo sguardo che la seguiva mentre si allontanava, e fu un sollievo sentire la porta che le si chiudeva alle spalle.

    Era andata abbastanza bene. Adesso provava un calmo senso di ineluttabilità. Il nervosismo della sera prima era scomparso. Infilò la mano destra nella tasca dell'impermeabile e la strinse intorno al calcio della pistola. Il peggio era quasi passato.

    La stanza 14 era situata all'estremità del motel, in fondo a un lungo viale e il più possibile lontano dall'ufficio. Il traffico sulla Gardiner Expressway era rumoroso e costante. Lo sfondo perfetto per un delitto.

    Alla porta, sostò. Non c'era nessuno in giro.

    La chiave scivolò senza intoppi nella serratura. Mentre la girava, uno stuzzicante odore di cucina filtrò dalla fessura intorno alla porta. Cosa diavolo...?

    Accostò l'orecchio allo spiraglio tra porta e stipite e le parve di udire qualcuno che cantava. Una voce maschile, impegnata in un brano d'opera. Era chiaro che il canto veniva da un'altra stanza.

    Girò la maniglia con la mano guantata ed entrò, chiudendosi la porta alle spalle. Girò intorno al letto matrimoniale, e vide una rosa rossa posata su uno dei due cuscini. Che tocco romantico!

    La zona notte era separata dal cucinino da una serie di pensili appesi al soffitto e da un banco che arrivava all'altezza della vita. Oltre il banco scorse il mezzo busto di un uomo che, con voce tenorile, stava cantando un brano da Il fantasma dell'Opera.

    Avanzò con cautela, impugnando la pistola.

    Una crepa del linoleum scricchiolò tradendola quando entrò nel cucinino.

    L'uomo si voltò. Era ovviamente in attesa di qualcuno, ma il suo sorriso di benvenuto svanì quando vide la canna della pistola puntata contro il proprio torace. Si irrigidì e indietreggiò fino a toccare il bordo dei fornelli, sui quali bolliva una pentola di sugo al pomodoro.

    «Cosa ci fai con quell'arma? Cosa vuoi?»

    Fredda, lei osservò il suo pomo d'Adamo andare su e giù mentre deglutiva.

    In tono calmo, pronunciò cinque parole scelte con cura.

    Lui sbarrò gli occhi. Bene. Era importante che capisse il perché di quello che stava succedendo. Lei tirò il grilletto.

    L'uomo fu scagliato all'indietro dall'impatto con la pallottola e finì contro la pentola, rovesciandola. Quindi il suo corpo si accasciò lentamente, fino a crollare sul pavimento. La salsa di pomodoro bollente colò dai fornelli per atterrare sulla zona calva alla sommità della testa, ma da parte di lui non ci fu nessuna reazione.

    Lei si concesse un lieve sorriso. Era andato tutto secondo i piani.

    Jerry Walker era morto.

    1

    «A volte mi viene voglia di prendere la pistola che tiene nel comodino e sparare al televisore! Nel bel mezzo di Star Trek!»

    Trish Emerson, psicologa, premette il pulsante del registratore e interruppe l'esplosione di rabbia di Nan Walker nei confronti del marito, Jerry. Era la prima volta che Nan si scostava dal suo consueto atteggiamento mite e sottomesso, e secondo Trish si trattava di un progresso. Ma ora Jerry e Nan avevano saltato il loro appuntamento delle quattro, e lei non sapeva cosa pensare.

    I Walker erano pazienti alquanto recenti e appartenevano a una categoria che lei aveva tentato di evitare: consulenza matrimoniale.

    Quando le capitavano casi di coppie in crisi, era sincera sulla propria storia.

    «Sono competente in questo ramo, ma dovete sapere che il mio matrimonio si è concluso con un divorzio.»

    Per chissà quale motivo, erano in pochi a rinunciare.

    Ma a volte lei dubitava di essere la persona più adatta per dare consigli alla gente. Come a Nan e Jerry Walker. Li vedeva ormai da un paio di settimane, ed era decisa a fare tutto il possibile per aiutarli a superare quel momento di crisi. Non era un buon segno che avessero saltato quella seduta.

    Trish mise la pratica dei Walker nel contenitore da dove Brenda, la sua segretaria, l'avrebbe prelevata per archiviarla. Tanto valeva andare a casa, visto che il loro era l'ultimo appuntamento della giornata. Ma non aveva voglia di lasciare l'ufficio. Come al solito.

    Pur vivendo da sola ormai da tre anni, dal giorno del divorzio, non si era ancora abituata ad affrontare un appartamento vuoto alla fine di ogni giornata. Né la terapia né il tempo riuscivano ad alleviare il dolore. E i ricordi erano sospesi come nuvole temporalesche all'orizzonte della sua mente. Il passato. Il presente. L'eternità di un futuro che si allungava all'infinito davanti a lei.

    Concentrarsi sui problemi degli altri la aiutava a combattere l'angoscia. Il suo lavoro era diventato la sua salvezza.

    Con un sospiro, Trish si alzò e andò alla finestra. Il suo ufficio era all'ultimo piano di un edificio appena a sud di King Street e offriva una bella veduta del lago Ontario, le cui acque scintillavano sotto un limpido sole primaverile.

    «Buon Dio.» Il detective Morgan Forester si riteneva un poliziotto coriaceo, ma non era preparato allo spettacolo che si presentò ai suoi occhi quando entrò nella stanza del motel alle cinque e mezzo di martedì pomeriggio.

    Il morto, un uomo corpulento sui cinquant'anni, era accasciato contro la cucina economica. Grumi di salsa gli coprivano la testa ed erano colati lungo la camicia, mescolandosi con il sangue uscito dalla ferita al torace.

    A rendere ancor più ripugnante la scena era l'odore. Anche se il cadavere si trovava lì soltanto da ventiquattro ore, nella stanza l'odore di morte era inconfondibile. Morgan scosse la testa, nauseato dal proprio lavoro.

    «Ci sono impronte?» Voltò le spalle al cadavere e si avvicinò al tavolo dove Kendal, uno degli uomini della Scientifica, stava terminando di rilevarle.

    «Alcune, ma è probabile che siano della cameriera e del defunto. Non ci spererei troppo.»

    «Suppongo che abbiate già parlato con l'impiegato che era di turno.»

    «Sì. È un certo Kyle Litherman. Dice che ieri pomeriggio, verso l'una e venti, una donna in impermeabile marrone, guanti, cappello e occhiali da sole è entrata nel suo ufficio. Non ha notato un'auto, e ritiene che fosse arrivata in taxi. Lo fanno, di solito. Chi vuole rischiare che la propria vettura venga identificata nel parcheggio di un motel in pieno giorno?

    «In ogni caso, la donna gli ha detto che lei e il marito erano rimasti chiusi fuori della loro stanza, la quattordici. Lui le ha dato la chiave, dopodiché dice di non aver notato niente di particolare. Non è sorprendente, considerando che questa stanza è parecchio lontana dall'ufficio ed è vicina alla superstrada.»

    «Hai interrogato gli altri ospiti del motel?»

    «Sì. Non hanno udito niente.»

    «Naturale.» Morgan dubitava che sarebbero stati disposti a collaborare. Chi avrebbe ammesso di trovarsi in un motel in un pomeriggio feriale? «Cosa mi dici dell'ora della morte? L'opinione del coroner coincide con l'ora in cui la donna ha chiesto la chiave?»

    «Sì.»

    «A quanto pare, è lei la persona che cerchiamo. Parlami del morto.»

    L'agente aprì un taccuino e iniziò a leggere i propri appunti. «Si chiamava Jerry Walker, anche se si è registrato con il nome di John Doe. Gestiva una catena di cinque negozi di hardware, e ha gli uffici in Queen Street. Stamattina abbiamo parlato con sua moglie.»

    «Chi ha trovato il cadavere?»

    «La cameriera. Stava facendo il suo giro ed è arrivata qui verso le dieci del mattino.»

    «Come ha preso la notizia la signora Walker?»

    «È crollata. Non siamo riusciti a ottenere molto da lei, ma ha detto che il marito non aveva l'abitudine di passare le notti lontano da casa, e che lei era preoccupatissima.»

    Morgan girò lo sguardo sulla stanza, prendendo nota dei particolari senza uno sforzo consapevole.

    Il tavolo era apparecchiato con fiori e candele. Una bottiglia di vino rosso, stappata, era accanto a due bicchieri puliti. Prese in mano uno dei piatti bianchi e passò il dito su una scheggiatura, quasi invisibile a occhio nudo.

    «I piatti sono in dotazione al cucinino» spiegò Kendal. «Walker deve aver portato candele, fiori e vino.»

    Gli occhi di Morgan si posarono sulla rosa che era stata collocata sul letto. «Si era dato da fare. Cosa gli hai trovato nelle tasche?»

    «Portafoglio, con seicentosessanta dollari, e carta d'identità. Qualche fiammifero, un paio di profilattici... era ottimista, il vecchio.» Kendal indicò gli oggetti già riposti in una busta di plastica sul tavolo.

    Morgan ignorò quel tentativo di fare dell'umorismo. Lo incuriosiva la donna che quel tizio stava aspettando. Doveva essere speciale per giustificare preparativi così accurati.

    «Bene, continuate così. Io ho visto abbastanza.» Morgan salutò gli altri agenti e uscì. Una volta fuori, inspirò una tonificante boccata di aria fresca. Era da otto ore che non mangiava, ma non aveva più fame.

    Le dita di Trish esitarono sulla tastiera del computer, e la frase che stava per scrivere le passò di mente.

    Aveva udito qualcosa. O si era sbagliata? Rimase in ascolto per diversi secondi, ma tutto taceva. Il suo sguardo corse all'orologio sulla scrivania e rimase sorpresa nel vedere che erano già passate le nove.

    L'edificio doveva essere ormai deserto. Forse era la guardia notturna, impegnata nei suoi giri.

    Terminò la frase, quindi salvò il documento. Poteva considerare conclusa la giornata. Andando a casa, avrebbe avuto giusto il tempo di cenare e guardare un programma alla TV.

    Raccogliendo i nastri, andò nella stanza accanto per metterli sulla scrivania di Brenda, che li avrebbe trascritti l'indomani. Stava per tornare nel proprio ufficio a prendere la giacca e la cartella quando udì un rumore che assomigliava a quello di una sedia che grattava sul pavimento. Il rumore era venuto dalla stanza dell'archivio.

    Trish fissò la porta chiusa. C'era qualcuno là dentro? L'idea di un intruso era assurda, lì infatti gli unici soldi erano i cinquanta dollari in contanti che Brenda teneva chiusi a chiave in un cassetto, ma era riluttante ad aprire la porta e controllare.

    Se c'era qualcuno là dentro, l'ultima cosa che voleva era coglierlo di sorpresa. Ritornò nel proprio ufficio e chiuse a chiave la porta.

    Avrebbe potuto giurare di aver udito il rumore di un'altra porta che si apriva, quindi dei passi. Andò al telefono e chiamò la sicurezza. Joe Wilkins le rispose subito.

    «Credo che qualcuno possa essersi introdotto nel mio ufficio, Joe. Ho appena udito degli strani rumori nell'archivio, e Brenda è andata a casa da ore.»

    «Non si preoccupi, signorina Emerson. Salirò subito a controllare. Settimana scorsa abbiamo trovato uno scoiattolo negli uffici sopra i suoi.»

    «Non sono sicura che si tratti di un animale. Mi è sembrato un rumore di passi.»

    «Arrivo subito.»

    Trish posò il ricevitore e aspettò. Pochi minuti più tardi, il suono di voci nel corridoio le scatenarono nelle vene un'ondata di adrenalina. Joe lavorava da solo. Con chi stava parlando?

    A meno che non si trattasse di Joe, ma di qualcun altro. La stessa persona che aveva udito poco prima in archivio? Si guardò intorno, cercando qualcosa da usare come arma. Su un angolo della scrivania c'era un paio di forbici. Le afferrò, quindi si nascose dietro uno scaffale lungo la parete accanto alla porta.

    Le voci si avvicinarono. Erano due voci maschili. La più ciarliera poteva essere quella di Joe, ma l'altra era più profonda, e c'era qualcosa nell'inflessione che le serrò lo stomaco in una morsa. L'uomo pronunciò solo poche parole, che lei non riuscì a decifrare, quindi parlò di nuovo il primo dei due, ed erano ormai abbastanza vicini per capire che si trattava di Joe.

    Con un sospiro di sollievo, Trish aprì la porta.

    «Joe! Grazie al cielo è lei. Mi era sembrato...» Il resto della frase le rimase in gola quando il suo sguardo cadde sulla persona che accompagnava Joe.

    I suoi occhi erano della stessa sfumatura grigiazzurra delle nuvole temporalesche che si ammassavano sul lago Ontario durante le estati afose e umide. Ed erano puntati su di lei con un'espressione implacabile che la fece sentire come un insetto sul punto di essere schiacciato.

    Trish avrebbe voluto voltarsi e fuggire, ma non c'erano vie di fuga, e Joe l'avrebbe sicuramente presa per pazza.

    «Eccola qua, signorina Emerson» disse Joe in tono gioviale. «Il detective Forester è entrato un attimo dopo che avevo ricevuto la sua chiamata, così ha deciso di salire con me per controllare quei rumori.»

    «Davvero provvidenziale» commentò Trish, con una voce così fredda che lei stessa ne rimase stupita.

    «Un tempismo eccezionale. E pensare che dicono che non riesci mai a trovare un poliziotto quando ne hai bisogno!» Joe ridacchiò, senza rendersi conto che gli altri due non erano per niente divertiti.

    Benché avesse parlato guardando Joe, Trish sentì il proprio sguardo spostarsi in modo irresistibile sul detective. Nessuno dei due aveva lasciato capire che si conoscevano, ma lui non le aveva staccato gli occhi di dosso un solo secondo.

    «Controlliamo quell'archivio» propose lui.

    «Da questa parte» disse Trish, precedendoli e fermandosi davanti alla porta della stanza. «È spalancata. Poco fa era chiusa.»

    «Ne è sicura?»

    Lo era? Riteneva di sì, anche se cominciava a dubitarne. Aggrottando la fronte, entrò.

    In un primo momento, le parve tutto normale.

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