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Il rosso e il beige
Il rosso e il beige
Il rosso e il beige
E-book181 pagine2 ore

Il rosso e il beige

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Info su questo ebook

L'agente dell'FBI Jared Romine è determinato a dimostrare la propria innocenza. Accusato di un doppio omicidio, sa di essere una pedina in una scacchiera. E Peyton Douglas, L'avvocatessa con cui ha diviso i pensieri e il letto in passato, ma che l'ha denunciato, è la persona di cui ha bisogno per salvarsi e che desidera ancora...



Peyton è convinta che Jared sia colpevole, le prove sono inconfutabili, lui ripete di essere stato incastrato e di volerla proteggere perché lei è in pericolo. Ma il vero pericolo per Peyton è di essere sedotta dal nemico. Ora lei ha un altro, un uomo perfetto: ma è meglio una vita noiosa in beige o un eccitante color fuoco?
LinguaItaliano
Data di uscita9 giu 2017
ISBN9788858967317
Il rosso e il beige
Autore

Jamie Denton

Tra le autrici più note e amate dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Il rosso e il beige - Jamie Denton

    successivo.

    1

    Il tempo a disposizione stava per scadere.

    Avrebbe dovuto agire in fretta, prima che loro capissero che nell'ultima settimana si era nascosto praticamente sotto il loro naso. Continuò a muoversi nell'oscurità della notte, a proprio agio, perché ormai vi si era abituato. Per la verità, da troppo tempo la notte era diventata non solo la sua costante compagna, ma anche la sua sicurezza. Certo, un senso di sicurezza fasullo, ma meglio di niente. Il suo istinto di sopravvivenza, che nei tre anni di latitanza lo aveva ingannato solo una volta, era di nuovo vigile. Tutti i suoi istinti si erano acutizzati ora che si trovava davanti alla casa della donna che lo aveva denunciato al Bureau come se fra loro non ci fosse mai stato niente. Una donna di cui non poteva più fidarsi, ma che se avesse voluto continuare a vivere avrebbe dovuto fidarsi di lui.

    Jared Romine tirò un'ultima boccata di sigaretta, poi buttò il mozzicone nel rigagnolo. Era ancora vivo e questo doveva pur significare qualcosa.

    Si infilò le mani nella tasca del giubbotto di pelle e trovò la chiave della camera del motel dove aveva preso alloggio per tutta la settimana. Grazie al collega, l'agente Chase Bracken, e alla busta gialla nascosta sotto il materasso, era adesso molto più vicino alla verità che lo avrebbe finalmente scagionato e gli avrebbe permesso di tornare a vivere come una persona normale. Una volta aveva scioccamente creduto di poterlo fare, ma il costo di quell'errore era stato enorme e non si sarebbe mai più scordato di quella lezione.

    Si appoggiò contro il tronco nodoso dell'albero davanti alla casa, certo che presto gli si sarebbe presentata l'occasione che cercava.

    Nel frattempo doveva solo avere pazienza. E di pazienza, lui se ne intendeva. Era stata la pazienza, oltre al desiderio di vivere, a permettergli di essere sempre un passo avanti ai vari agenti federali che gli stavano alle calcagna. Forse non era il primo nella loro lista dei ricercati, ma li aveva decisamente messi in una situazione imbarazzante e ciò significava ritrovarsi con la propria faccia su un grosso manifesto con sopra scritto Vivo o morto.

    Grazie a Chase Bracken, l'agente sotto copertura che si era innamorato di sua sorella Dee, aveva finalmente saputo la verità. O, per lo meno, una parte di verità e si augurava che fosse sufficiente.

    Gli restava poco tempo.

    Una volta che il meccanismo si fosse messo in moto, sarebbe stato troppo tardi.

    Per lui.

    E per lei.

    Un tempo era stato un agente dell'FBI addestrato per incarichi di massima fiducia. Essendo un ex ufficiale della Naval Intelligence, reinventarsi e crearsi nuove identità era una sua seconda natura, e quella capacità gli era tornata molto utile anche durante la sua latitanza.

    Grazie al cielo presto sarebbe stato tutto finito.

    A chiunque fosse capitato di guardare fuori della finestra in quella notte insolitamente afosa, lui sarebbe sembrato solo uno dei vicini uscito a fumarsi una sigaretta.

    Niente di strano.

    Niente che potesse attirargli l'attenzione in quel quartiere residenziale di Arlington, Virginia, dove gli abitanti si facevano i fatti loro.

    Aspettò e guardò.

    Il tempo a disposizione stava per scadere.

    Era all'ombra di quell'albero da circa trenta minuti e adesso era quasi mezzanotte. Prolungando la sua presenza lì avrebbe potuto suscitare sospetti. Sapeva dove lei abitava e sarebbe potuto tornare, se necessario. Tuttavia aspettò davanti alla casa, spostando lo sguardo dalla zona circostante la finestra della sua camera da letto alla berlina medio borghese parcheggiata nel viale della casa medio borghese. La vita perfetta che lei aveva sempre desiderato.

    C'era stato un tempo in cui sarebbe stata la loro vita perfetta.

    Alla finestra di quel perfetto villino di periferia non c'erano luci.

    Stava forse dormendo o era seduta a letto a leggere delle pratiche portate a casa dall'ufficio?

    La immaginò rannicchiata sotto le coperte del letto che un tempo avevano condiviso con una mano sotto il mento e l'altra nascosta sotto la montagna di cuscini che si ostinava a usare.

    Chissà se dormiva ancora con i pantaloni del suo vecchio pigiama di flanella e con sopra una maglietta che le arrivava a malapena all'ombelico?

    Sentì sbattere una zanzariera e si ritirò nell'ombra. Vide un uomo di mezz'età in accappatoio e pantofole uscire dal portico di una casa e attraversare la strada. Qualche secondo dopo vide la fiamma di un accendino.

    «Sbrigati, Henley» disse il tipo al cagnolino bianco che lo accompagnava in quella passeggiata serale.

    Henley proseguì fino al giardino del vicino per lasciare il suo biglietto da visita. Il cane fece i suoi bisogni e l'uomo ridacchiò. «Bravo. Così imparerà a lasciare che il suo gatto venga a scavare nelle nostre aiuole.»

    Quando ebbe finito, Henley spostò l'attenzione sull'albero dietro il quale si nascondeva Jared.

    Dannazione.

    Ora non poteva muoversi, avrebbe dovuto avere pazienza ancora per un po'. Solo che non gli restava molto tempo. Se il suo istinto non si sbagliava, presto se la sarebbero presa con la persona che gli era stata molto cara. La donna che lo aveva tradito.

    Quando aveva parlato con Chase e Dee un mese prima, si era reso conto che loro ignoravano che fosse stata lei a denunciarlo ai federali. Dopo aver trovato le informazioni che cercava, Chase aveva sospettato che le indagini sarebbero state insabbiate, a confermare i sospetti di Jared che chiunque avesse tentato di incastrarlo doveva essere un alto papavero del Bureau. E nel fascicolo che lo riguardava non era riportata la parte avuta da lei nel tentativo fallito di arrestarlo.

    Henley doveva aver deciso che non c'erano pericoli, perché tornò di corsa dal suo padrone.

    Insieme i due rientrarono in casa.

    Jared si voltò verso la tranquilla stradina laterale. Era da una settimana che veniva lì e aspettava. A parte lui, nessun altro la stava sorvegliando, di quello ormai si era convinto.

    Adesso sapeva che cosa doveva fare. Lei era prevedibile e a parte quella sera, in cui era rientrata dopo le undici, di solito lasciava l'ufficio verso le sette e mezzo e arrivava a casa alle otto, nove al massimo.

    Avrebbe agito l'indomani, perché il tempo a disposizione stava per scadere.

    Peyton Douglas chiuse il pesante volume delle procedure penali e sospirò. Non aveva trovato le informazioni che stava cercando, ma il Ministero di Grazia e Giustizia aveva a disposizione una biblioteca molto vasta e prima o poi avrebbe trovato tutte le risposte... o almeno se lo augurava.

    Gli Stati Uniti contro Howell non sarebbe dovuto essere un caso difficile, a parte quella faccenda della violazione al Quarto Emendamento da parte della Drug Enforcement Agency cui si doveva l'arresto di Howell. L'errore di un pivello commesso da un agente esperto la faceva sentire impotente, perché l'agente in questione avrebbe dovuto avere più buon senso. Se non fosse riuscita a battere la difesa, Howell rischiava di tornare libero di coordinare di nuovo grossi traffici di eroina, invece di fare da dieci a venti anni in una prigione federale come avrebbe meritato.

    Una rapida occhiata all'orologio d'oro le disse che era ora di tornare a casa. Potendo, non restava mai in ufficio dopo le sette e mezzo, ma quella sera, invece di chiudere il computer, cliccò sul file e cominciò a leggere... un'altra volta. Aveva già avuto una settimana faticosa, passando più tempo in tribunale che in ufficio, dove doveva prepararsi per l'imminente mozione Howell. Almeno le restava il finesettimana per continuare la sua ricerca. Forse sarebbe potuta andare a casa e ritornare il mattino dopo, pensò, però continuò a leggere.

    La verità era che le piaceva passare la domenica mattina in ufficio, quando i corridoi del dipartimento erano insolitamente vuoti e silenziosi, e riusciva a concentrarsi meglio sul suo lavoro.

    «Appena avrò finito di battere i tuoi appunti, me ne andrò a casa» disse Kellie Nicols, la sua segretaria, interrompendo il corso dei suoi pensieri. «Vuoi che venga domani per la replica alla mozione Howell?»

    Peyton la guardò. Lavoravano insieme fin dal suo arrivo al Ministero, quattro anni addietro. Erano andate subito d'accordo e ora erano più amiche che superiore e dipendente. Per la verità, c'era un'unica altra persona che la conosceva bene quanto Kelly, e per quanto avesse giurato di non pensare più a lui, le tornava in mente nei momenti più strani, lasciandola con un senso di malinconia e rimpianto.

    «No» rispose scuotendo la testa per fugare anche il pensiero di Jared Romine. «Tu hai una vita privata. Goditela.»

    Sorridendo, Kellie avanzò nella stanza e lisciandosi la corta gonna nera si sedette di fronte alla scrivania di Peyton. «Dove hai trovato questa pessima battuta? Sono single, vivo sola con due gatti e non ho potenziali prospettive all'orizzonte. Lo trovi patetico?»

    Peyton si appoggiò allo schienale togliendosi gli occhiali. «Hai ventotto anni, Kel, non ottantotto. Non ti definirei assolutamente una zitella.»

    Ridendo, Kellie si tolse le forcine dai capelli e se li sciolse sulle spalle. «La mia vicina del piano di sotto, la signora Markum, ha sessantasette anni e più ammiratori di quanti ne abbia io. E non possiede gatti. Dunque, è venerdì sera e io dove sono? Qui a prendere appunti su una causa che probabilmente perderemo. Patetica, te lo dico io. Sono proprio patetica.»

    «Non ti ho chiesto io di fermarti» ribatté lei con un sorriso. «E che cosa ti fa credere che perderemo la causa Howell?»

    L'altra scrollò le spalle. «L'istinto. Il quarto emendamento è una brutta gatta da pelare e dubito che riusciremo a incastrare quell'agente. E a giudicare dagli appunti che ho raccolto, tu sei d'accordo con me.»

    «Come al solito, no?» Peyton non poté certo obiettare. Aveva avuto la stessa impressione fin da quando il suo diretto superiore, Bradley Jacobs, le aveva passato la causa la settimana prima. «Comunque, non sopporto l'idea che Howell la faccia franca. È uno di quelli che si merita davvero di finire in prigione.»

    Kellie scrollò di nuovo le spalle. «A volte si vince, altre si perde. Allora, fammi vedere di nuovo quella pietra.»

    Peyton sorrise. «L'hai già vista una dozzina di volte.»

    «E allora? È stupenda, Peyton» disse Kellie alzandosi. «Se uno come Leland Atwood mi avesse appena dato un anello di fidanzamento con un diamante da due carati, ti assicuro che lo metterei sotto il naso di tutti perché lo ammirino.»

    Lei rise e Kellie le prese la mano per poter vedere meglio il solitario circondato di smeraldi che Leland le aveva dato la sera prima, quando lei aveva finalmente accettato la sua proposta di matrimonio. Adesso che aveva detto di sì, ancora non riusciva a spiegarsi perché avesse aspettato tanto. Amava Leland, lo stimava e lo rispettava, la qual cosa era fondamentale per la riuscita di un matrimonio. E non era nemmeno il tipo d'uomo che se la svigna al primo segno di guai. S'impegnava a fondo in tutto.

    Ex procuratore lui stesso, aveva lasciato il vecchio posto per accettare l'incarico di giudice federale poco dopo l'arrivo di Peyton al Ministero. Leland stava decisamente facendo carriera molto in fretta e il suo obiettivo era riuscire un giorno ad arrivare alla Corte Suprema Federale. Peyton non aveva dubbi che avrebbe realizzato il suo sogno.

    Ma per ragioni che non riusciva a identificare, ogni volta che le aveva chiesto di sposarlo negli ultimi due mesi, lei aveva esitato, sostenendo di non essere sicura di volersi sistemare.

    Sistemare ripeté fra sé, sbuffando.

    Il lavoro era tutta la sua vita, che cos'altro doveva sistemare?

    Non aveva un gatto, e nemmeno un pesce rosso.

    Ma non era sempre stato così, rifletté. Un tempo aveva avuto una grande storia d'amore. Un uomo le aveva rubato il cuore e l'anima, ma era finita male, come spesso accadeva con i grandi amori. Solo che di solito non finivano con uno dei due che denunciava l'altro alla polizia.

    «Sei fortunata, Peyton. La maggior parte delle persone conoscono il vero amore solo una volta» disse Kellie, come se le leggesse nel pensiero. «Tu ne hai avuti due.»

    Lei ritirò la mano, sentendosi d'un tratto a disagio. «Jared è stato un errore. Leland e io siamo molto più adatti l'uno all'altro.»

    Kellie si accigliò. «Ma sei innamorata di lui, no? Cioè, è evidente che lui è innamorato di te. È un amore da due carati.»

    «Sì, amo Leland. È gentile e premuroso e gli piaccio così come sono. Non cerca di farmi cambiare. Con lui... sto bene, ed è questo di cui ho bisogno.»

    «Stai bene o ti senti sicura?» la provocò Kellie.

    «C'è una differenza?»

    Kellie andò alla finestra e fissò nell'oscurità per un momento. «Vuoi sapere che cosa penso?» chiese senza voltarsi.

    «Non proprio, ma ho la sensazione che me lo dirai comunque.»

    Kellie si girò a guardarla, l'espressione corrugata. «Leland ti dà sicurezza, ma non ti suscita una grande passione. Per lo meno, non come Jared.»

    Peyton emise un sospiro. Stava pensando a Jared e adesso Kellie le ricordava quello che aveva cercato di dimenticare senza molto successo per tre lunghi anni.

    L'amica

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