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Avventura greca: Harmony Jolly
Avventura greca: Harmony Jolly
Avventura greca: Harmony Jolly
E-book165 pagine2 ore

Avventura greca: Harmony Jolly

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Info su questo ebook

Esiste l'amicizia tra un uomo e una donna? Forse sì e forse no...

Dopo un devastante tradimento, Audra Russel decide di scappare nella villa di famiglia su un'isoletta greca per leccarsi le ferite. Non appena arriva però si accorge di non essere sola. Anche il migliore amico di suo fratello, Finn Sullivan, sta soggiornando lì per riprendersi da un brutto incidente.

Finn è un uomo vitale e brillante e sembra seriamente intenzionato a insegnare alla rigida Audra come godersi la vita. E adesso che lei ha iniziato a divertirsi veramente, non ha alcuna voglia di smettere.
LinguaItaliano
Data di uscita20 lug 2020
ISBN9788830517080
Avventura greca: Harmony Jolly
Autore

Michelle Douglas

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Avventura greca - Michelle Douglas

    successivo.

    1

    Fu svegliata dal rumore di vetri infranti.

    Col cuore che le martellava nel petto, Audra si rizzò a sedere sul letto pregando – senza crederci troppo – che quel rumore fosse solo uno dei suoi frequenti incubi.

    Seguì un tonfo sordo, qualcosa di pesante era caduto sul pavimento. Poi una voce bassa e beffarda. In seguito un rumore di passi e l'aprire e chiudere di un'anta.

    Eppure era sicura di aver chiuso a chiave tutte le porte al piano di sotto! Da quando era arrivata alla villa, due giorni prima, aveva fatto molta attenzione a quel genere di cose. Lanciò un'occhiata alla finestra della sua camera e alle tende che ondeggiavano leggermente, scostate dalla tiepida brezza della notte. Era stata una stupida a lasciare la finestra aperta. Chiunque avrebbe potuto arrampicarsi ed entrare.

    Scivolò giù dal letto, afferrò il suo telefonino e lo tenne stretto al petto mentre usciva in corridoio. Visto che era l'unica ospite della residenza greca di Rupert, non aveva ritenuto necessario chiudere la porta della sua camera da letto, il che evitava di farla scricchiolare.

    Aveva scelto la camera più vicina alle scale e da quella posizione riuscì a vedere un'ombra muoversi al pianoterra. Udì la vetrina dei liquori di Rupert aprirsi e richiudersi e il suono di una bottiglia di vetro appoggiata sul tavolo. Dei ladri stavano rubando il whisky di suo fratello?

    Al piano di sotto qualcuno stava borbottando qualcosa... in francese?

    Non era riuscita a capire che cosa avesse detto. Un'altra persona rispose in greco.

    Tese le orecchie, ma non riuscì a cogliere altro. E così erano in due? Non voleva nemmeno pensare a cosa sarebbe potuto succedere se l'avessero trovata lì, una donna da sola. Sforzandosi di non soccombere alla paura, si allontanò in silenzio dalle scale raggiungendo la stanza principale, in fondo al corridoio. La porta fece un rumore impercettibile quando se la richiuse alle spalle. Nella penombra riconobbe il guardaroba socchiuso e lo raggiunse senza esitazioni, cercando di dominare il panico che minacciava di soffocarla.

    Compose il numero delle emergenze. «Per favore, aiutatemi» sussurrò in greco, «qualcuno è entrato nella mia casa.» Diede il proprio nome e indirizzo all'operatore, che le assicurò che una pattuglia sarebbe arrivata nel giro di pochi minuti, cercando di calmarla con un tono di voce rassicurante. Le chiese dove si trovasse esattamente nella casa e se non ci fosse un posto dove nascondersi, la esortò infine a restare in linea e anche questo la aiutò a calmarsi.

    «Sono nascosta nell'armadio della stanza padronale» spiegò, e in quel momento comprese che era di nuovo chiusa in un armadio e non faceva alcuna differenza se questa volta era stata lei a chiudersi dentro. Si sentì invadere dal panico ripensando all'oscurità soffocante e a come il suo corpo era stato percorso da crampi dopo ore relegata in uno spazio angusto, dove Thomas l'aveva imprigionata. Aveva trascorso ore in un limbo terrificante, durante le quali si era chiesta se qualcuno l'avrebbe mai trovata e quanto tempo ci sarebbe voluto prima che si accorgessero della sua assenza. «Non posso restare qui.»

    «La polizia sta arrivando» cercò di tranquillizzarla l'operatore della centrale.

    Audra chiuse gli occhi. In fondo non si trattava di quell'armadio minuscolo e maleodorante, ma di una spaziosa cabina armadio che profumava di... mare. Poteva allungarsi, e persino stiracchiare braccia e gambe se avesse voluto. Aprì gli occhi di scatto. Questa volta non si sarebbe comportata come una vittima. Si sentì invadere dalla rabbia. Di sicuro non sarebbe andata giù per affrontare i due sconosciuti, ma non sarebbe nemmeno rimasta lì a tremare per la paura.

    Chiuse la mano libera in un pugno e si sforzò di pensare razionalmente. Se fosse stata un ladro che cosa avrebbe rubato?

    Il televisore, lo stereo e i computer, che si trovavano tutti al piano di sotto. Eccetto un televisore, che si trovava proprio lì, nella stanza principale.

    Avrebbe fatto meglio a trovare un altro nascondiglio, uno da cui avrebbe potuto fuggire facilmente, se necessario.

    E aveva bisogno di un'arma di difesa.

    Per la prima volta dal suo arrivo su quell'isola idilliaca, Audra rimpianse il fatto che la villa di Rupert fosse così isolata. Era infatti l'ultima proprietà su un promontorio circondato dal mare turchese. La vista mozzafiato, il profumo celestiale e l'onnipresente cinguettio degli uccelli avevano curato la sua anima ferita. Non c'erano giornalisti, nessuno che le correva dietro sperando di ottenere un'intervista, nessun flash ogni volta che metteva il naso fuori casa. Era la privacy di cui aveva disperatamente bisogno.

    Fino a quel momento.

    Con l'aiuto della torcia del suo telefonino, si guardò intorno per cercare qualcosa con cui difendersi, si fece coraggio e raggiunse la portafinestra che dava sul terrazzo e si guardò intorno alla ricerca di qualcosa che avrebbe potuto utilizzare come arma per difendersi. Trovò una mazza da golf. Erano anni che non giocava a golf e proprio non capiva che cosa quella mazza ci facesse ancora lì, ma in quel momento non importava.

    Dopo un altro attimo di silenziosa attesa, aprì la portafinestra, scivolò sulla terrazza e si intrufolò tra due grandi vasi. Da quella posizione era impossibile che qualcuno la vedesse. Stringeva la mazza così forte che le dolevano le mani.

    Chiuse gli occhi e si sforzò di regolare il respiro, i ladri non avevano motivo di uscire sul terrazzo, visto che non c'era niente da rubare lì fuori e dubitava che i due fossero interessati al panorama, per quanto meraviglioso potesse essere. Per un attimo riuscì a calmarsi e vedere le gazzelle della polizia entrare in giardino a sirene spiegate la calmò ancora di più.

    Rimase comunque immobile nel suo nascondiglio, mentre quattro uomini scesero dalle auto.

    Un attimo dopo si portò il telefono all'orecchio e bisbigliò: «Posso uscire adesso?».

    «Uno dei due è stato catturato, la polizia sta cercando il secondo uomo.» Seguì un attimo di pausa. «L'uomo catturato afferma di essere da solo.»

    Eppure era certa di aver sentito parlare in francese e greco.

    «Afferma anche di conoscere il padrone di casa.»

    «Questa è bella! Mio fratello non conosce gente che si intrufola nelle case altrui!»

    «Dice di chiamarsi Finn Sullivan.»

    D'accordo, come non detto. Suo fratello conosceva una persona che si intrufolava nella casa altrui, e il suo nome era Finn Sullivan.

    Quando urtò un decanter di cristallo appoggiato su un mobile, facendolo cadere a terra e riducendolo in frantumi, Finn imprecò in francese e poi, per buona misura, anche in greco. Perché diavolo non aveva acceso la luce entrando? A ben guardare conosceva la casa di Rupert come le sue tasche e sperava che l'oscurità avrebbe fatto bene all'emicrania che lo faceva soffrire da quella mattina.

    Appoggiò lo zaino a terra imprecando un'altra volta sia in francese che in greco, dopodiché afferrò uno scopino per pulire il disastro che aveva combinato.

    Non che fosse poi così utile, visto che l'ultimo ospite di Rupert, oltre a non aver rimesso a posto il contenitore, non aveva nemmeno portato fuori la spazzatura! Quando soggiornava lì, faceva in modo di lasciare quel posto esattamente come lo aveva trovato: pulito e in ordine. Non gli piaceva l'idea che qualcuno potesse approfittarsi del suo amico.

    Si servì un bicchiere dell'ottimo whisky di Rupert e si accomodò sulla poltrona, sentendosi più stanco di quanto fosse pronto ad ammettere. Aveva tolto il gesso dal braccio solo il giorno prima e adesso avvertiva un fastidioso formicolio. Il dottore gli aveva ordinato riposo assoluto, ma era quello che aveva fatto per otto settimane e Nizza cominciava davvero ad andargli stretta.

    Rupert gli aveva lasciato le chiavi della villa un paio di anni prima raccomandandogli di usarla come se fosse stata sua. Lo avrebbe chiamato il giorno dopo per avvertirlo del suo arrivo. Diede un'occhiata all'orologio appeso alla parete: le due e trentasette del mattino. Era un po' troppo presto per una telefonata. O troppo tardi, dipendeva dai punti di vista. Appoggiò la testa allo schienale e chiuse gli occhi, tentando di calmare il dolore che gli attraversava il corpo.

    Si svegliò con delle luci puntate negli occhi e ci mise qualche secondo a capire che non avevano niente a che fare con l'emicrania, ma che si trattava piuttosto di poliziotti armati che gli stavano puntando una pistola addosso.

    Alzò all'istante le mani in segno di resa. «Il mio nome è Finn Sullivan» pronunciò in greco, «sono un amico di Rupert Russel, il proprietario di questa villa.»

    «Dov'è il tuo complice?»

    «Complice?» I poliziotti lo fecero alzare. «Quale complice?»

    La testa gli girava. Indicò lo zaino appoggiato al suolo con un cenno della testa. «La mia carta di identità è lì dentro.»

    Le sue parole non sortirono alcun risultato. Uno dei due agenti stava parlando al telefono mentre il secondo lo fissava con curiosità.

    «Audra!»

    Circondata da altri due agenti, si immobilizzò con la bocca aperta e i grandi occhi azzurri spalancati. «Finn?» Le sue delicate narici si dilatarono impercettibilmente. «Cosa diavolo ci fai qui?»

    Adesso capiva perché quel decanter di cristallo era rimasto in giro e perché ci fosse la spazzatura in cucina. «Sei stata tu a chiamare la polizia?»

    «Certo che ho chiamato la polizia!»

    «Non ti pare di aver esagerato? Che razza di idiota chiamerebbe la polizia per aver udito uno stupido rumore? Non potevi semplicemente scendere e vedere chi fosse?»

    «Idiota? Idiota?» strillò lei ancora tremante per lo shock. «E come lo chiami uno che fa irruzione a casa di mio fratello alle due e mezza di notte?»

    Ormai dovevano essere le tre. «Non ho fatto irruzione, ho le chiavi.»

    In quel momento notò la mazza da golf nella sua mano. Sembrava pronta a rompergli la testa con quell'aggeggio. Una donna da sola in una casa deserta... il rumore di vetri... con tutto quello che aveva passato di recente...

    Trattenne un'imprecazione. Doveva davvero averla spaventata a morte.

    Il mal di testa si fece persino più forte. «Mi dispiace, Squirt.» Il vecchio soprannome gli scivolò dalle labbra. «Se avessi saputo che eri qui ti avrei avvertito prima di presentarmi così, ma adesso ti dispiacerebbe dire a questi signori chi sono?»

    «Dov'è il tuo amico?»

    La schiena gli faceva male. Voleva urlarle dietro di mandare via quei poliziotti, ma conoscendola sapeva che gliela avrebbe fatta pagare. Inoltre era sinceramente dispiaciuto di averla spaventata.

    «Sono da solo.»

    «Ma ho sentito due voci. Una che parlava in francese e una seconda in greco.»

    Lui scosse la testa. «Era la mia, in due lingue diverse.»

    Le nocche della mano che reggeva la mazza da golf per un attimo divennero bianche, poi parvero rilassarsi. Spiegò alla polizia in un greco perfetto quanto fosse mortificata per quel falso allarme, offrì a tutti una fetta di dolce al limone fatto in casa e li pregò di liberare il migliore amico di suo fratello. Finn non sapeva perché, ma la cosa gli fece digrignare i denti, e quando la polizia gli tolse finalmente le manette, rilasciò un sospiro di sollievo sfregandosi i polsi anziché la spalla. Non sapeva nemmeno lui perché, ma non voleva che nessuno sapesse quanto le ferite gli dolevano.

    Avrebbe preferito morire piuttosto che farsi vedere in difficoltà da Audra. La sua pietà lo avrebbe...

    Strinse le labbra. Non lo sapeva. Tutto quello che sapeva era che non la voleva.

    In piedi l'uno accanto all'altro nel vialetto di accesso circolare, salutarono gli agenti, poi lui la seguì all'interno, facendo

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