Giochi di piacere: Harmony Privé
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Un viaggio di nozze fuori dall'ordinario.
Un tour dei cinque sensi al prezzo di... un bacio.
Dopo aver mollato il fidanzato all'altare, Jasmine Sweet è decisa a godersi il viaggio di nozze a Parigi anche da sola! Ma un tentativo di rapina rischia di trasformare quella vacanza da sogno in un incubo. Privata dei soldi e della memoria, Jasmine viene ospitata da un attraente sconosciuto che tramuta il suo soggiorno in Francia in un vera e propria esplorazione dei sensi. Luca Legrand porta alla luce desideri mai espressi, fino a quando la brusca irruzione della realtà in quella bolla sensuale cambia per sempre le regole del gioco.
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Anteprima del libro
Giochi di piacere - Daire St. denis
successivo.
1
Luca Legrand non capiva se fosse l'uomo più fortunato del mondo o quello più sfigato dell'universo. In quel momento, seduto in una cella che puzzava di urina e sudore, propendeva per la seconda ipotesi.
«Legrand!» Un poliziotto della Prefettura di Parigi batté sulle sbarre. «Votre avocat est ici.» È arrivato il suo avvocato.
Alzatosi, Luca aspettò che l'uomo aprisse la cella per poi seguirlo lungo il corridoio fino a una stanza non più grande di un ripostiglio. François Chevalier, l'avvocato della famiglia Legrand, era già dentro, impegnato a leggere un giornale seduto a un tavolo d'acciaio inchiodato al pavimento.
L'uomo sollevò gli occhi quando la porta si aprì. Non si alzò e non lo salutò, limitandosi a tamburellare le dita sulla superficie di metallo nell'attesa che Luca si sedesse di fronte a lui.
Quando la porta si chiuse alle spalle del poliziotto, François riprese a leggere il giornale, o meglio un articolo dal titolo: Erede dei Vigneti Legrand in prigione per aggressione. Subito sotto compariva la foto di Luca che veniva fatto salire su una volante della polizia.
«Non è come sembra» attaccò Luca.
«Davvero? Spiegami» lo invitò l'avvocato con tono calmo, sebbene fosse palesemente nervoso.
Luca si lasciò andare contro lo schienale di metallo della sedia, incrociando le braccia al petto. Fissò François dritto negli occhi con espressione strafottente, ben lungi dall'essere pentito.
«Non è colpa mia» affermò.
«Non mi dire.» François si chinò verso di lui, i palmi delle mani sul tavolo. Il viso – sebbene sempre rubicondo – ora era rosso come un pomodoro maturo. «Hai preso a pugni un reporter. Gli hai rotto il naso. Gli hai fracassato la macchina fotografica. Come fai a dire che non è colpa tua?» Si alzò e cominciò ad agitare le braccia. «Nessun Legrand era mai stato arrestato. E invece di essere mortificato, tu hai il coraggio di sostenere che non è colpa tua?» Fece una smorfia, come se avesse assaggiato un vino troppo aspro e volesse sputarlo.
Luca si alzò in piedi, lentamente, e con il suo metro e ottantacinque di altezza sovrastò François, che fu obbligato a sollevare la testa per guardarlo. «Quello ha avuto ciò che si meritava.»
«Non me ne importa un accidenti di quel che si meritava. A me importa della tua eredità. M'importa del nome della tua famiglia, che sei riuscito a infangare.» Fissò Luca e quest'ultimo sostenne il suo sguardo. Fu l'avvocato a cedere per primo, tuttavia Luca non ne trasse alcun piacere.
«Da quando sei subentrato tu, il valore del nostro champagne è precipitato. Te ne rendi conto?»
Luca strinse i denti, obbligandosi a contare fino a cinque. Un, deux, trois, quatre, cinq... Ma contare non spense la rabbia che gli ribolliva dentro. A denti stretti disse: «Il valore del nostro champagne è crollato il giorno della morte di mio padre».
Era vero. Il padre aveva gestito l'azienda per trent'anni, proseguendo sulle orme del padre e del nonno e portando avanti un'eredità di duecento anni. Suo padre era stato un uomo sano e robusto e niente sembrava potesse stroncarlo. Non che negli ultimi dieci anni Luca lo avesse visto spesso, impegnato com'era a correre i Grand Prix motociclistici.
«Non puoi andare avanti così» affermò François. «Tutti questi scandali...»
Ci risiamo. Luca si appoggiò alla parete, una caviglia sopra l'altra, in attesa che l'avvocato cominciasse l'elenco dei suoi ultimi scandali. Era inutile cercare di difendersi.
Sollevando un dito dopo l'altro, François cominciò il lungo elenco. «Disturbo della quiete pubblica.»
Disturbo della quiete pubblica? Luca aveva rotto con la fidanzata, Anika Van Horn, una modella che aveva scoperto essere interessata più al nome e alla fortuna dei Legrand che a lui. Ma lei non aveva preso bene la rottura e lo aveva schiaffeggiato in pubblico, facendo una scenata che in pochi secondi era circolata su tutti i social.
«Ubriachezza molesta.»
Aveva preso parte all'addio al celibato di un compagno di squadra e aveva festeggiato degnamente...
«Atti osceni in luogo pubblico.»
Era stato il suo amico, lo sposo, a essere nudo. Ma la stampa aveva un modo tale di stravolgere la verità che alla fine sembrava fosse stato lui a spogliarsi e a saltare dentro a una fontana, mimando gesti osceni davanti a una procace sirena di pietra dai cui capezzoli zampillava acqua.
Sospirando, Luca continuò ad ascoltare François declamare quella dannata lista.
«Poi, giusto per rendere le cose un po' più piccanti, un video porno diventato virale. E non banale sesso...» François si fermò, inarcando la fronte e lasciando la frase in sospeso. «Un colpo davvero basso al prestigio del nome della tua famiglia. Una famiglia rispettata e stimata da secoli.»
Luca aprì la bocca. La spiegazione – ovvero il fatto che il video avrebbe dovuto restare riservato e che era stata chiaramente Anika a diffonderlo in rete, per farsi pubblicità o per umiliarlo pubblicamente – ce l'aveva sulla punta della lingua. Ma a che cosa sarebbe servito esporre tutto a François? Non sarebbe cambiato niente.
«E adesso, una settimana dopo, eccoti qua.» Gli occhi dell'avvocato lanciarono scintille di rabbia. «Aggressione e vandalismo. Davvero bravo.»
Dopo lo scandalo del video, i paparazzi non gli avevano più dato pace. Luca non poteva uscire di casa. Non poteva andare al supermercato. Non poteva fare niente senza essere avvicinato. Quando un reporter particolarmente invadente, che lo aveva tormentato giorno e notte, si era piazzato davanti a lui mentre era in sella alla sua nuova Yamaha VMAX, obbligandolo a sterzare di colpo e a correre il rischio di finire contro un palo, Luca non ci aveva visto più. Non era orgoglioso delle proprie azioni, ma se si fosse ritrovato in quella stessa situazione un'altra volta, si sarebbe comportato nello stesso identico modo.
Parcheggiata la moto, aveva raggiunto il reporter e gli aveva chiesto – cortesemente – di cancellare le immagini. Quando quello lo aveva ignorato per continuare a scattare altre foto, Luca gli aveva strappato la macchina di mano con la sola intenzione di cancellare la memoria. Il fotografo lo aveva spintonato e la macchina era caduta a terra, fracassandosi.
Ops.
Poi, l'idiota furibondo aveva sferrato un pugno, che Luca aveva dribblato facilmente, prima di agire d'istinto rispondendo con un altro pugno. Era bastato quello per atterrare il petit connard. Non era colpa sua se l'uomo aveva cominciato qualcosa che non era stato in grado di finire.
Ma ancora una volta era inutile cercare di spiegare a François come erano andate veramente le cose. A quest'ultimo interessava una e una sola cosa. Il valore dell'azienda. Che da quando era stata presa in mano da Luca era effettivamente crollato.
«Lo so.» Luca tornò a sedersi. «Sono una fottutissima delusione. Detto questo, quando intendi tirarmi fuori da questo letamaio così che possa mettermi al lavoro per ricostruire il nome della famiglia?»
«Tirarti fuori?» François scoppiò a ridere. «Non intendo tirarti fuori. Non.» Scosse la testa. «Questo è il posto più sicuro per te. Qui dentro non potrai combinare altri guai.»
La rabbia contenuta fino a qual momento esplose, inondando le vene di Luca, contraendogli ogni singolo muscolo del corpo. Afferrò François per il colletto e lo tirò sopra il tavolo e verso di sé. «Che cosa hai detto?»
L'unico suono che l'avvocato riuscì a emettere fu una supplica soffocata, che si trasformò in una serie di sputacchi in faccia a Luca. Per la prima volta quel giorno, Luca si pentì delle proprie azioni. François era fedele alla sua famiglia da trent'anni ma non conosceva veramente Luca e, per quanto ne poteva sapere, il giovane Legrand poteva davvero essere il coglione che i media dipingevano.
Lo scandalo sessuale era una cosa, ma Luca non capiva il resto – le accuse e quel continuo scagliarsi contro di lui da parte della stampa. Come pilota del Grand Prix e appartenente alla famiglia Legrand, era abituato a essere sotto gli occhi di tutti, ma ultimamente i media sembravano avercela con lui. Ma perché? Era a causa del video porno, oppure era lui che continuava a trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato?
Lasciò la presa e sollevò le mani. «Ti chiedo scusa. Mi spiace.»
«Ti spiace?» strillò François con voce acuta. «Il tuo comportamento è inaccettabile.» L'avvocato si sistemò camicia e cravatta. «Sei la vergogna della tua famiglia.»
«François, riconosco la...» Luca deglutì a vuoto. «L'avventatezza del mio comportamento. Ma di certo non posso rimediare ai miei sbagli dalla cella di una prigione.»
Sbattendo rapidamente le palpebre, gli occhi così gonfi da essere ridotti a sottili fessure, François replicò: «Non credo che tu capisca tutte le implicazioni delle tue azioni».
«Allora spiegamele.»
L'uomo estrasse una pila di fogli da una ventiquattrore e li lasciò cadere sul tavolo.
«Sai che cos'è questo?»
Luca avvicinò a sé i documenti. «Uno statuto aziendale.» Li riallontanò.
«Sì. E se lo leggessi, scopriresti che esiste un codice di condotta.» Si fermò. «Per tutti i dipendenti.» Sfogliò i documenti fino atrovare ciò che cercava e lo spinse verso Luca.
Quest'ultimo abbassò lo sguardo. Le parole motivi di esonero erano evidenziate insieme a comportamento adeguato.
«Conosco lo statuto. Sono il presidente.» Non era del tutto vero. Era stato troppo impegnato a condurre la società per preoccuparsi dello statuto.
«Quindi non ti stupirà il fatto che il consiglio d'amministrazione stia pensando di toglierti l'incarico.»
«Che cosa?» Luca sghignazzò. «Non può farlo. Sono l'unico erede della famiglia e posseggo il cinquantun percento delle azioni della società.»
«Be'...»
«Be', che cosa?»
«Pare che il testamento di tuo padre sia stato impugnato. Alla luce di quanto accaduto.» E con un gesto della mano indicò intorno a sé.
«Impugnato? E da chi?»
«Da Marcel Durand.»
Marcel era più giovane di Luca di un paio d'anni e aveva lavorato per suo padre per non più di cinque anni. «Perché mai Marcel Durand avrebbe dovuto impugnare il testamento di mio padre?»
«Perché Marcel è il tuo fratellastro.»
Appena si fu accomodata al suo posto in prima classe sull'aereo Air France diretto a Parigi, Jasmine Sweet ordinò un bicchiere di champagne. Poi, una volta che ebbe in mano la coppa, voltò le spalle al posto vuoto accanto a lei e si scolò tutte le bollicine in un sorso solo. Infine si sfilò dal dito la fedina di platino con incastonato un brillante da quattro carati e la fece sparire nella borsa. E tutto questo prima che l'imbarco fosse completato.
«Mi scusi.» Jasmine sollevò una mano per richiamare l'attenzione dell'assistente di volo francese, vergognosamente bella e raffinata. «Avete frutti di bosco? Lamponi, mirtilli, quella roba lì, insomma.»
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Prima che l'assistente si allontanasse, Jasmine la fermò. «Oh, per sua informazione...» Lanciò un'occhiata al sedile vuoto e abbassò la voce. «Questo posto è libero.» Estrasse due biglietti dalla borsa. «Ho io entrambi i biglietti. Può vedere se qualcuno della classe turistica è interessato a passare in prima?»
La donna prese i biglietti dalle mani di Jasmine e dopo un istante glieli restituì. «Vado a chiedere.»
«Oh, ma che gli piaccia lo champagne. È imperativo» gridò Jasmine, ma la hostess non si voltò nemmeno.
Be', che cosa si aspettava? Cordialità? Benevolenza? Empatia?
Si sfregò il dito dove fino a pochi istanti prima c'era stato l'anello. La pelle era più chiara nel punto in cui l'aveva indossato negli ultimi sedici mesi, una promessa della vita che aveva sempre sognato, come se la sua pelle non fosse ancora pronta a gettare la spugna.
Chiuse gli occhi immaginando che lei e Parker Wright si fossero sposati il giorno prima, come programmato, festeggiando la loro unione al Waldorf Astoria di Chicago con trecento invitati tra amici e parenti. E che adesso fossero in viaggio di nozze. Destinazione Europa.
Una settimana a Parigi, un'altra nel sud della Francia e poi l'Italia: Venezia, Milano, la Toscana – ah! – prima di tornare a Parigi ancora qualche giorno. Aveva trascorso ore su siti e forum per poter pianificare quel viaggio nei minimi dettagli.
«Il denaro non è un problema» aveva detto Parker. «Dopotutto è la nostra luna di miele.»
Sì. Era la loro luna di miele e lei aveva prenotato deliziosi hotel nei luoghi più incantevoli e nei