La Morte del Mentore: L’ Omicidio che Diede Origine al Detective Malatesta: Serie Bruno Malatesta, Mistero e Delitto, #1
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Info su questo ebook
Un misterioso incidente. Una morte inaspettata. Un contratto incomodo. Quello che sembra un'indagine di routine sfugge dalle mani degli investigatori.
Bruno Malatesta, un giovane italiano sbarcato nella fredda Stoccarda degli anni '90, viene coinvolto nella morte del suo mentore.
Bruno dovrà risolvere l'omicidio e smascherare l'assassino. Aiutato dalla sua ragazza e dal suo dono intuitivo. A poco a poco scoprirà che niente -e nessuno- è quello che sembra.
Morte, intuizione, amore e sangue in una città tedesca dove il meccanico diventa un detective per fare giustizia.
Bruno ti invita ad entrare in un thriller intenso, una storia scura ed emozionante, che differisce dai soliti casi investigativi.
LA MORTE DEL MENTORE è il prequel della Saga del Detective Malatesta, una serie investigativa con storie criminali internazionali e un profondo background umano.
Gli amanti della letteratura di Agatha Christie, Dan Brown, Jo Nesbø, Joël Dicker o Dolores Redondo; e anche di serie come The Innocent, The Mentalist e True Detective apprezzeranno questo thriller da brivido.
Riccardo Braccaioli è uno scrittore di Bestseller su Amazon. Ha scritto libri autobiografici e di superazione personale di successo come Diario di un Fallimento, Il potere del fallimento e il romanzo Assassinio nella Costa Brava. È anche un imprenditore, speaker e influencer.
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La Morte del Mentore - Riccardo Braccaioli
1
23:34, Stoccarda
Officina di Jürgen Klassisch
Lunedì, 21 maggio 1990
Non doveva essere lì.
Allora Bruno era più giovane. I piani erano stati alterati. Odiava i cambiamenti di ultimo minuto. Aveva una vera avversione per le persone che modificavano i loro schemi. Ma la vita era anche questo, imprevedibilità, adattabilità. Quel lunedì sera era davanti alla porta dell’officina in un autentico fuori programma. Aveva saltato il copione, si era lasciato trascinare da ciò che odiava di più, da quei cambiamenti che la vita gli riservava. Si trovava da solo davanti alla porta chiusa dell’officina. La notte, una delle più buie, stava per volgersi. Il campo dietro di lui era vuoto. C’erano solo due macchine parcheggiate e un lampione solitario che, con tutta la sua buona volontà, cercava di illuminare lo spazio.
Sapeva che Jürgen era dentro, aveva cercato di aprire la porta in un gesto automatico girando la maniglia. Si rese conto contento che la porta era chiusa. Quante volte gli aveva detto che quando lavorasse di notte chiudesse la porta a chiave. Quella periferia della città non gli trasmetteva buone vibrazioni. Il silenzio regnava intorno a lui, fratturato soltanto dal suono della chiave che Bruno stava inserendo nella serratura.
La chiave girò due volte su se stessa. La porta si aprì.
Bruno tirò fuori la chiave e si intrufolò di soppiatto per non fare troppo rumore. Una volta dentro, richiuse la porta, proprio come l’aveva trovata.
Le luci erano accese. Le enormi lampade alogene che pendevano dal soffitto tra le travi di ferro illuminavano l’intero vecchio capannone industriale trasformato in officina meccanica.
Bruno iniziò a camminare. Fece due passi e si fermò. Diffidente, ascoltava, tendeva le orecchie, ma niente. L’officina era stranamente silenziosa. L’auto di Jürgen era parcheggiata fuori, le luci accese gli dicevano che avrebbe dovuto continuare a lavorare lì. Tuttavia, quel silenzio cominciava a preoccuparlo.
JÜRGEEEN?
chiese Bruno alzando la voce con la speranza di ottenere una risposta.
La piccola radio che era sempre accesa quando lavorava da solo non emetteva musica.
Niente, nessuna risposta.
«Forse è in ufficio», voleva rassicurarsi, ma continuò a muoversi. Passò davanti all’ufficio, dove la segretaria lavorava durante il giorno. Vuoto! E con le luci spente. Superò il lungo muro a sinistra finché non poté vedere l’intera officina. Niente! Nessun segno del meccanico.
Lo spazio dove venivano riparate le Porsche classiche era diviso in due parti: Nella prima, sulla destra, per tutta la lunghezza della parete, si trovavano cinque ponti elevatori. In ognuno giaceva un veicolo. Sul lato sinistro, invece, c’erano piccole sezioni specializzate per le riparazioni con gli strumenti e l’attrezzatura necessari.
Una rapida occhiata e Bruno non riuscì ancora a trovare il suo mentore. Il suo umore stava cominciando a cambiare. E, allo stesso modo, il suo battito cardiaco stava aumentando. C’era qualcosa di sbagliato.
Che scemo!
disse. Sarà in bagno.
Si voltò e, quasi rassicurato, si avvicinò al bagno dell’officina meccanica.
La porta era aperta e la luce era spenta. Con decisione, entrò nella stanza pensando che Jürgen doveva essere dentro. Non c’era neanche lì.
Un brivido gli percorse il corpo. Definitivamente, questo non stava andando bene. Rimase immobile a pensare, ma soprattutto a provare qualcosa di inesplorato per lui, la solitudine, la paura… la paura di sapere. Era il suo sesto senso che, timidamente, bussava alla sua porta. Erano i suoi primi contatti. Come un superpotere che sopravviene e che non controlli ancora, piuttosto uno che ti domina. Era la prima volta che era consapevole che qualcosa si stesse risvegliando dentro di lui.
Stordito, si voltò di nuovo. Non sapeva se fosse più spaventato per
non aver trovato Jürgen o per aver sentito quel presagio. Lasciò velocemente il bagno.
Jürgen?!
gridò di nuovo a squarciagola. "Se è uno scherzo, non
mi piace!"
Dominato da una paura che sentiva sempre di più verso qualcosa che non capiva e che nemmeno conosceva. La stessa sensazione che lo turbava.
Tutti gli uffici erano vuoti. Questo voleva dire che Jürgen doveva essere da qualche parte in officina. Aveva il terrore di cercare il meccanico e di non sapere cosa avrebbe trovato. Iniziò a correre. Passò davanti alla prima auto e si guardò intorno. Controllò anche l’interno della macchina nel caso l’avesse trovato. Niente.
Continuò con la seconda, poi la terza. Quando andò verso la quarta, si spaventò. Improvvisamente, si pietrificò. C’era qualcosa fuori posto. La quinta auto non si trovava nella posizione corretta. La Porsche 365, che era appena arrivata dalle Mille Miglia, era storta, appoggiata a terra con il muso. Era caduta dai quattro cavi del ponte di sollevamento.
Bloccato, il giovane italiano non era sicuro di cosa avrebbe dovuto fare da quella distanza. La paura di avvicinarsi e vedere cosa sarebbe potuto succedere lo congelò. Passarono i secondi, ma per lui il mondo si fermò. La premonizione che aveva avuto, prima a casa e poi in bagno, non era stata sbagliata.
Dopo molti minuti, iniziò timidamente a reagire. Camminò di lato, non aveva il coraggio di andare dritto. La paura di scoprire l’accaduto lo fece spostare a sinistra, mantenendo sempre la stessa distanza.
Quando ebbe la possibilità di vedere cosa era successo, il suo cuore smise di battere per un momento. Un attacco di cuore emotivo. Una pressione molto forte iniziò a schiacciarlo dalla testa alle ginocchia.
La pozza di sangue sporgeva a due metri dall’auto. In mezzo c’erano i piedi di Jürgen, il veicolo lo aveva completamente schiacciato. La gamba sinistra tremava con un leggero movimento riflesso, come la coda di una lucertola che, anche staccata dal corpo, continuava a muoversi.
Bruno ebbe le vertigini. Non sapeva cosa fare. La situazione lo aveva colto alla sprovvista. Si sentiva perso, incredulo davanti al film dell’orrore che stava vivendo.
Per prima cosa, il suo cervello reagì davanti a qualcosa che non aveva mai visto prima, pensando che non potesse essere vero. Poi, col passare dei minuti, sempre come un blocco di ghiaccio, non dava credito a ciò che aveva davanti agli occhi: Jürgen, il suo mentore, era morto.
Non siamo sempre preparati per ciò che la vita ci riserva. Ma questo ci definisce, come affrontiamo le sfide che ci vengono incontro. Ci fa
crescere o sprofondare. Quello che fa la strada è portarci a cambiare.
Bruno si era trovato di fronte al suo primo schiaffo. La vita dà e la vita prende. In quel momento non avrebbe più avuto al suo fianco il mentore che si era presentato nella sua strada, avrebbe dovuto continuare con le proprie gambe.
Ma la vita è saggia, aveva portato via il suo mentore e risvegliato l’arma più potente che aveva dentro di sé: una voce, un’emozione, una risorsa chiamata sesto senso. Da quel momento doveva cominciare a dominarlo, non come caratteristica, ma come responsabilità.
2
09:00, Málaga
Stazione di AV, alta velocità.
Mercoledì, 14 aprile 2019
Il telefono aveva squillato in un momento poco conveniente.
Bruno Malatesta, già cinquantenne, fu colto ancora avvolto nelle sue lenzuola. La notizia si era diffusa a macchia d’olio. Sui giornali e su internet.
Tuttavia, a lui lo chiamarono.
Rispose quasi infastidito per averlo svegliato così presto. Stava cercando di allungare al massimo le ore mattutine a letto.
Adorava fare il poltrone. Abituato a ricevere messaggi su WhatsApp, una telefonata era sempre presagio di problemi. E, in effetti, quella chiamata non era stata diversa.
Si gettò sotto la doccia, una delle più veloci della sua vita.
Si vestì con la prima cosa che aveva a portata di mano e si precipitò fuori casa. Niente caffè e niente colazione. Era passato appena un quarto d’ ora da quando aveva ricevuto la chiamata e stava già uscendo dalla porta. Era l’effetto del suo buon amico Jean De la Cruz.
Stava arrivando alla stazione ferroviaria di Malaga. Il messaggio era chiaro: Arriva il più presto possibile
. Doveva prendere il primo AV, alta velocità, che partiva per Madrid. Tuttavia, usando i mezzi più veloci a sua disposizione, sia Bruno che la famiglia avrebbero pregato che arrivasse in tempo. Non c’era più speranza. La situazione era rapidamente peggiorata.
Il primo treno partiva in quaranta minuti. Decise di andare al bar più vicino, senza pretese, quasi addormentato, aveva bisogno della sua dose quotidiana di caffeina. Si trovava in una crisi di astinenza completa. Il primo caffè del mattino era un suo piacere, nessuno lo toccava. Nessuno tranne il destino.
La stazione era piena di gente a quell’ora. Una giornata qualunque, ma non per lui. Un mercoledì di maggio dove si riunivano persone in viaggi d’affari e turisti dei primi soli d’estate.
Il caffè si era rivelato patetico. Acido, duro e con uno spesso strato di schiuma marrone che lo ricopriva, come i caffè che vendevano per la strada negli anni settanta. Incomprensibile. Si chiedeva come fosse possibile che nel 2019 ci fossero ancora posti al mondo con un caffè così pessimo.
«Mamma mia che ciofeca
».
Niente a che vedere con la sua vecchia caffettiera Bialetti. Non c’è nessun posto come a casa. Quel liquido nero era ciò di cui doveva accontentarsi in una giornata orribile che aveva cominciato storta.
Presentò il biglietto che aveva appena acquistato allo staff della
Renfe (treni spagnoli). Gli diedero il numero del binario, il suo vagone e il suo posto.
Il treno partì in orario. Tra poche ore sarebbe arrivato a Madrid. In molte occasioni aveva preso quel mezzo di trasporto per raggiungere la capitale, ma mai per quello che gli aspettava in quel momento. Si sedette nel suo posto in un vagone silenzioso, dove nessuno parlava, la maggior parte della gente lavorava davanti ai loro schermi. La caffeina nel suo corpo e la notizia che lo aveva svegliato gli impedirono di affrontare il viaggio dormendo. Aveva lasciato a casa il libro che stava leggendo accanto al suo Mac, non aveva nemmeno avuto il tempo di ricordarsi. Doveva accontentarsi di guardare fuori dal finestrino, o