Sotto la neve (eLit): eLit
Di Rebecca York
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Info su questo ebook
43 Light Street 8
Per scoprire l'origine di un'inspiegabile fonte di energia nei territori selvaggi dell'Alaska, Cassandra Devereaux lascia i panni di titolare dell'agenzia di viaggi per vestire quelli di agente segreto. Nel corso dell'indagine viene travolta da una valanga e si ritrova in una grotta, una sorta di rifugio sotterraneo. Lì scopre di non essere sola, ma in compagnia di un uomo addormentato in una capsula di vetro. Chi è il misterioso sconosciuto? Lei sa di averlo già visto in sogno, ma...
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Anteprima del libro
Sotto la neve (eLit) - Rebecca York
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1
L'attimo prima era felice, emozionata, piena di curiosità e di stupore. L'attimo dopo il rombo minaccioso di una valanga annunciò a Cassandra Devereaux che sarebbe morta.
Glen Fielding, la guida che aveva ingaggiato al suo arrivo in Alaska, stava già scappando a gambe levate.
Quella mattina, di buon'ora, si era posato col suo anfibio sulle acque cristalline di un lago a centosettanta chilometri a nordovest del Denali National Park.
Cassie si era lasciata incantare dai rilievi scoscesi e dalle imponenti masse rocciose quando lei e Glen avevano raggiunto la riva in canoa, proseguendo poi a piedi in direzione di quel pendio isolato.
Adesso Glen rimaneva sulla destra, con un vantaggio di circa dieci metri rispetto a lei, ma la fuga era già impossibile per entrambi.
Cassandra strillò mentre tonnellate di neve dell'inverno precedente si riversavano giù per la montagna rombando. Non sarebbe dovuto succedere. Non in estate, almeno.
Gridò il nome di Glen quando questi scomparve sotto una coltre di neve. Pezzi di ghiaccio le colpirono la testa e le spalle prima che si rifugiasse sotto una sporgenza rocciosa. La montagna tremò come una fortezza sotto un bombardamento aereo e lei aspettò che la neve e i massi la trascinassero via.
All'improvviso, così come era incominciata, la valanga si fermò, lasciando Cassie rannicchiata in uno spettrale silenzio. Il dolore più forte lo sentiva al braccio destro, ma era sopportabile.
«Glen? Glen?»
Non ci fu risposta.
Lei cercò di muoversi, di raggiungere il punto in cui era scomparsa la guida. Ma era intrappolata da una solida barriera di neve ghiacciata.
Fu assalita da una sensazione di soffocamento. Ignorandola, trovò il suo zaino sotto una roccia e rovistò il contenuto. Imprecò nel ricordare che Glen si era preso l'unica paletta. Con un sospiro, posò una pila su un mucchio di neve e incominciò a scavare con le mani. Ma dopo pochi minuti, con le dita già intirizzite per il freddo, si accorse che i suoi sforzi servivano soltanto a farle franare altra neve sulla testa.
«Accidenti.» Riprese in mano la pila e ricominciò a frugare nello zaino, cercando la ricetrasmittente. L'astuccio era rotto. Quando girò le manopole, non ci fu nemmeno un crepitio di scariche.
Massaggiandosi le braccia, Cassie si appoggiò contro la parete rocciosa della sua prigione. Perlomeno era viva. Per ora.
Ma il povero Glen?, si chiese in preda ai rimorsi. Lei aveva il brevetto di pilota. Sarebbe potuta venire lì da sola. Invece si era voluta spacciare per una semplice operatrice turistica, così aveva pagato profumatamente i servigi di Glen. Non gli aveva detto di essere in missione segreta per il governo. Al contrario, era ricorsa alla copertura che lei e la sorella Marissa trovavano così comoda... che erano cioè specializzate nella ricerca di mete e itinerari insoliti. E che Cassie in particolare era stata ingaggiata da un miliardario appassionato di alpinismo che voleva scalare una montagna inviolata.
Quando lei e Glen avevano sorvolato i monti dell'Alaska, i suoi strumenti speciali le avevano confermato che c'era qualcosa di strano sul versante orientale di uno dei rilievi.
«Non ho mai portato nessuno qui» aveva osservato la guida mentre si posava sul lago.
«Bene. È ciò che vuole il mio cliente» aveva risposto Cassie, cercando di nascondere il proprio entusiasmo. Quella spedizione era importante per lei, più importante di quanto non fosse disposta ad ammettere.
E adesso guarda dove sono finita, si disse mentre lottava contro il panico. Nessuno sapeva dove si trovasse. Nessuno l'avrebbe salvata come Jed Prentiss aveva soccorso sua sorella tempo prima. Con un sorriso fuggevole, pensò a Jed e a Marissa, trovando conforto nella consapevolezza che quest'ultima fosse finalmente felice. Almeno una delle sorelle Devereaux aveva superato i traumi dell'infanzia.
Ma quell'infanzia aveva anche reso entrambe forti e combattive. E Cassie non si sarebbe arresa tanto facilmente. Stringendo la pila, incominciò a muoversi lungo la sporgenza, girando intorno a un masso che era crollato contro la roccia. Dietro c'era una profonda rientranza e per terra si notavano schegge di ciò che sarebbe potuto sembrare basalto. Solo che erano troppo frastagliate.
Cassie ne raccattò una, soppesandola. Buffo, pensò. La consistenza le ricordava quella della plastica. Alzando lo sguardo, si accorse con stupore che usciva della luce dal foro che il masso aveva praticato. Quando esercitò una pressione, la superficie crepata cedette di schianto e lei fu catapultata in avanti, dentro una specie di corridoio artificiale. Le pareti erano di freddo metallo ma irradiavano un fioco bagliore giallastro come lo schermo di un vecchio computer.
Santo cielo! Sembrava che il masso avesse sfondato l'uscita di sicurezza di una postazione militare segreta. Il paradosso la divertì e il suono della sua risata si disperse riecheggiando lungo le pareti del tunnel. Tanti saluti al mistero della montagna! Il suo capo si sarebbe di certo infuriato al pensiero di aver speso tanto denaro per mandarla lì!
Cassandra si aspettò di sentire allarmi che suonavano e di vedere guardie coi mitra. Ma non scattò nessuna sirena. E non ci fu nessun altolà. Il silenzio era rotto soltanto dal ronzio di macchinari non ancora visibili.
«Ehi, gente. È permesso?»
Le rimbalzò l'eco della propria voce. Forse era una struttura automatizzata. Riponendo la pila nello zaino, avanzò con circospezione, consapevole del fatto che il ronzio diventava più forte a mano a mano che avanzava nella montagna. Dieci metri più avanti il corridoio era buio. Tuttavia, mentre procedeva, il bagliore la seguiva come accompagnandola.
Cassie, però, non riusciva a individuare le telecamere che dovevano segnalare il suo passaggio. E si ritrovò a lottare contro la sensazione di essere finita in un film di fantascienza. L'aria stessa era stranamente asettica, come se fosse stata depurata da appositi filtri e riciclata da secoli.
Rabbrividendo, scacciò quelle fantasie. Un'installazione così moderna non risaliva certo a secoli prima. Con tutta probabilità faceva parte della rete americana di sorveglianza antisovietica.
Continuò ad avanzare finché non raggiunse una porta metallica senza maniglia. E adesso? Non aveva un tesserino. E non era possibile che le sue impronte digitali o le sue caratteristiche retiniche fossero memorizzate nel computer. Ricorrendo al metodo tradizionale, bussò alla porta. Quando non successe niente, incominciò a cercare un quadro di controllo. Forse avrebbe trovato un telefono con cui chiamare aiuto. Doveva pur esserci qualcosa!
Ripassò ostinatamente ogni centimetro delle pareti metalliche, premendo e cercando giunture invisibili. Non capì quale movimento casuale ebbe l'effetto desiderato, ma un improvviso risucchio le fece alzare lo sguardo. Vide allora due pannelli scorrevoli rientrare come le porte della navicella spaziale Enterprise.
Oltre si apriva un'oscurità profonda, animata soltanto dal monotono ronzio che sentiva da quando si era introdotta nel tunnel. All'interno la attendeva l'ignoto, e aveva paura. D'altra parte non c'era scelta. Prendendo il coraggio a due mani, varcò la soglia.
Come prima, le luci si accesero, e lei capì di trovarsi in ciò che sembrava una sala di controllo, con computer futuristici e altre apparecchiature che non avrebbe saputo identificare. Al centro della stanza, poi, c'era un alto contenitore cilindrico che aveva le stesse dimensioni di una cabina telefonica.
Incuriosita, Cassie si avvicinò. Le pareti erano opache, con singolari striature madreperlacee. Oscillando tra paura e meraviglia, le guardò brillare e poi cambiare, diventare traslucide. La trasformazione avveniva dall'alto al basso, in fasce diagonali.
Il ronzio dell'attrezzatura aumentò in maniera incontrollata, ma lei quasi non se ne accorse. Tutta la sua attenzione era concentrata sul cilindro. C'era qualcuno dentro! Vide prima gli occhi. Fu proprio la loro intensità a farla avanzare di un passo e poi di un altro ancora.
Col cuore in gola, rimase immobile mentre le pareti della cabina subivano la metamorfosi finale. Sotto il suo sguardo, diventarono trasparenti come vetro. E Cassie si ritrovò a fissare... un uomo nudo!
Poiché questi non reagì al suo violento sussulto, capì con sollievo che i suoi occhi penetranti non stavano guardando lei. Anzi, malgrado la vicinanza, l'uomo non sembrava affatto consapevole della sua presenza. Era possibile che, dei due, solo Cassie fosse in grado di vedere attraverso la superficie trasparente che li separava? Quell'ipotesi le infuse coraggio quando la rabbia stravolse di colpo i lineamenti dell'uomo, una rabbia che come un'onda s'irradiava da lui, trapassando il cilindro, rimbalzando contro le pareti e il soffitto dell'intera sala.
Cassie sarebbe voluta correre via. Scappare prima che lo sconosciuto sfondasse le pareti della capsula, si precipitasse fuori e le bloccasse la fuga. Ma una forza misteriosa le impedì di sottrarsi alla minaccia che rappresentava.
In quel momento lei ebbe la certezza che l'uomo l'avesse in qualche modo attratta lì. La sua mente, tuttavia, rifiutava un'ipotesi così assurda. In fretta la scacciò.
Si sfregò le mani sudate contro i calzoni mentre guardava l'occupante del cilindro. Il viso era forte, i lineamenti armoniosi e vagamente esotici. Cassie studiò gli occhi a mandorla, il mento deciso, la bocca grande, chiedendosi se appartenesse a una qualche tribù indigena che interagiva a stento col mondo esterno. Era così? I suoi simili vivevano lì, nella selvaggia Alaska? Avevano costruito loro quel posto? In caso affermativo, perché lui era imprigionato?
Si teneva eretto e immobile come una statua, il che le ispirò un pensiero ancor più pazzesco... che fosse un principe di un'altra epoca e dimensione addormentato da un mago malvagio. Si trovava da secoli sotto quella montagna, in attesa. E lei era la donna che l'avrebbe ridestato con un bacio...
La fantasia stava diventando di nuovo personale. Cassie si riscosse e tornò a guardare.
Al di là del vetro, l'uomo inspirò, si riempì i polmoni con avidità ed espirò quindi con maggior controllo. Adagio, alzò la mano destra e fletté le dita, guardandole con una punta di divertimento. Subito dopo si tastò il torace, indugiando sul cuore, un po' come se volesse sincerarsi di essere vivo. Si lasciò sfuggire un profondo sospiro. Poi, il suo viso cambiò, tradendo una vulnerabilità che le toccò il cuore.
Come ipnotizzata, Cassie guardò la mano dell'uomo scivolare sul ventre, su quella pelle che aveva lo stesso colore del rame e che era ricoperta da una folta peluria scura. Prima che avesse il tempo di riflettere sulla stranezza di quella combinazione, la mano scese a tastare ed esplorare ogni centimetro di quel corpo maschio. Be', che fosse un bel tipo era innegabile, concluse lei contemplandogli i pettorali ben sviluppati, la vita stretta e... tutto il resto. Senz'altro avrebbe attirato un bel po' di sguardi su una spiaggia.
L'osservazione la riportò di colpo alla realtà. Quel tizio non si trovava su una spiaggia californiana. Se ne stava nudo come un verme nel bel mezzo di un'installazione segreta governativa. O era un manicomio per criminali di cui lui rappresentava l'incontrastata vedette? Cassie non sapeva esattamente dove fosse finita... ma si sarebbe senz'altro affrettata a uscire!
Indietreggiò di un passo. Prima, però, che potesse girarsi e scappare, l'uomo colse il movimento, e lei capì con orrore che la capsula era trasparente dall'interno come lo era dall'esterno. Fino ad allora lo sconosciuto era stato assorbito nella esplorazione di se stesso. Ora il suo sguardo incrociò quello di Cassie e lei capì che era improvvisamente consapevole di non essere solo nella stanza.
Le sue labbra si mossero con urgenza. Sembrava gridarle qualcosa, ma Cassie non sentiva niente. Quando scosse il capo, lui si accigliò. Poi, chiuse gli occhi mentre con le dita tastava rapidamente le pareti della sua prigione, senz'altro in cerca del meccanismo di apertura. Grazie al cielo, comunque, lei non ne vedeva alcuno. Lo voleva al sicuro dall'altra parte della barriera trasparente.
Ma il suo sollievo fu di breve durata. L'uomo toccò infatti un congegno nascosto e il pannello frontale della cabina si aprì silenziosamente.
Cassie trasalì quando la parete invisibile scomparve. Trasalì di nuovo quando lo sconosciuto uscì dalla capsula. Non ci fu esitazione. La sua preda era lei. Finalmente libero, colmò la distanza che li separava e l'afferrò per un polso.
«Non farmi male!» strillò Cassie. Santo cielo, perché non era scappata prima?
Da quella distanza così ravvicinata, i suoi occhi erano di un azzurro sconcertante. Mentre la studiavano, diventarono color del ghiaccio, aumentando il suo terrore.
Lo sconosciuto rispose alla sua supplica con un'esplosione improvvisa di sillabe che sarebbero risultate melodiose se la sua voce non avesse avuto lo stesso suono del vetro infranto.
Lei non conosceva la lingua... e dire che ne aveva studiate cinque frequentando il liceo e l'università! Comprese tuttavia dall'inflessione che l'uomo le aveva rivolto una domanda. E che era arrabbiato, molto arrabbiato... come se la incolpasse della sua reclusione.
Cassie cercò di divincolarsi. Fatica sprecata. Si ritrasse quel tanto che le permetteva l'estensione del proprio braccio e gli fu grata quando lui non accennò a stringerla.
Parlando adagio e scandendo le parole come con un bambino, l'uomo ripeté la serie di sillabe. La lentezza, tuttavia, non le giovò affatto. Non c'era niente che riconoscesse. Niente.
«Mi... mi dispiace» balbettò costernata. «Non capisco.»
Lo sconosciuto aggrottò la fronte, e Cassie avvertì la forza fisica della sua rabbia e della sua frustrazione. Quando tornò a parlare, lei capì che esigeva una risposta, forse persino minacciandola se non avesse collaborato.
«Mi dispiace. Per favore...»
«Klat!» La dura sillaba gli uscì come un proiettile. Cassie non sapeva che cosa volesse dire, ma era certa che fosse un'imprecazione.
Inspirò a fondo. Adesso toccava a lei. «Chi sei?» domandò ripetendo adagio la domanda in spagnolo, tedesco, francese, russo e giapponese. Peccato che non conoscesse il klingon!
L'uomo restò interdetto. La sua risposta fu incomprensibile come i precedenti tentativi di comunicazione. Sempre stringendola per il polso, allungò il collo, osservandola come aveva fatto lei. Solo che adesso non c'era la barriera di vetro a separarli!
Erano così vicini che Cassie riusciva a sentire l'odore del suo corpo e a vedergli le rughe sottili intorno agli occhi.
Deglutì.
La vicinanza le impediva se non altro di notare... ehm, altre parti della sua anatomia. Tutto ciò che scorgeva erano le braccia nude. Il torace nudo. Ma ricordava bene il resto. Benissimo.
Restò ferma come un cerbiatto nella foresta, ripetendosi che, se avesse voluto farle del male, glielo avrebbe fatto subito, quando era uscito dalla capsula. Tuttavia, le batteva