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E-book384 pagine5 ore

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Info su questo ebook

«I suoi romanzi sono tra i migliori in assoluto.»
Lee Child

Il nuovo grande thriller

Le indagini del detective Lucy Black

La detective Lucy Black sta facendo visita a suo padre, ricoverato in un reparto speciale dell’ospedale di Gransha, sulle rive del fiume Foyle, nel Nord dell’Irlanda, quando scopre con sgomento che dopo il ricovero è stato ferito in modo grave in una rissa con un altro paziente. Rimane sotto shock nel trovarlo incatenato al letto dell’ospedale, ma non ha nemmeno il tempo di farsi un’idea sull’accaduto perché una notizia la raggiunge: un corpo galleggia nel fiume, poco distante dall’ospedale... Si tratta del cadavere di un uomo anziano, che indossa un abito grigio. Suicidio o omicidio? Preoccupata ed esausta, Lucy va a casa del padre per riposarsi qualche ora, ma ha appena varcato la soglia quando qualcuno bussa alla porta. Si tratta di un vicino in preda alla disperazione: sua cognata è stata picchiata a sangue e ha bisogno di aiuto. Sono davvero troppe le cose strane che accadono in quel posto. E Lucy verrà coinvolta in un’indagine in cui un pericolo mortale è sempre più vicino…

Da un maestro del thriller, bestseller in America, Irlanda e Inghilterra 

Le avvincenti indagini della detective Lucy Black

«Un romanzo di altissimo livello, dalla penna di uno dei più interessanti maestri del thriller irlandesi.»
Irish Independent

«I romanzi di McGilloway sono polizieschi appassionanti che rivelano una raffinata capacità di analisi dell’evoluzione delle organizzazioni criminali.»
Sunday Times
Brian McGilloway
È nato nel 1974 a Derry, in Irlanda del Nord, dove oggi insegna Letteratura inglese. I suoi romanzi hanno ottenuto importanti riconoscimenti. Non parlare, il primo thriller della serie sulle indagini della detective Lucy Black, ha vinto il premio letterario University of Ulster’s McCrea nel 2011 ed è stato per settimane ai primi posti delle classifiche inglesi e americane. La Newton Compton ha pubblicato anche Urlare non basterà e Non entrare.
LinguaItaliano
Data di uscita9 gen 2018
ISBN9788822718594
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    Anteprima del libro

    Non entrare - Brian McGilloway

    Indice

    Cover

    Collana

    Colophon

    Frontespizio

    Martedì 17 luglio

    Capitolo 1

    Capitolo 2

    Capitolo 3

    Capitolo 4

    Capitolo 5

    Mercoledì 18 luglio

    Capitolo 6

    Capitolo 7

    Capitolo 8

    Capitolo 9

    Capitolo 10

    Capitolo 11

    Capitolo 12

    Capitolo 13

    Capitolo 14

    Capitolo 15

    Capitolo 16

    Capitolo 17

    Giovedì 19 luglio

    Capitolo 18

    Capitolo 19

    Capitolo 20

    Capitolo 21

    Capitolo 22

    Capitolo 23

    Capitolo 24

    Capitolo 25

    Capitolo 26

    Venerdì 20 luglio

    Capitolo 27

    Capitolo 28

    Capitolo 29

    Capitolo 30

    Capitolo 31

    Capitolo 32

    Capitolo 33

    Capitolo 34

    Capitolo 35

    Capitolo 36

    Capitolo 37

    Capitolo 38

    Capitolo 39

    Sabato 21 luglio

    Capitolo 40

    Capitolo 41

    Capitolo 42

    Capitolo 43

    Capitolo 44

    Capitolo 45

    Capitolo 46

    Capitolo 47

    Capitolo 48

    Capitolo 49

    Capitolo 50

    Capitolo 51

    Capitolo 52

    Capitolo 53

    Capitolo 54

    Capitolo 55

    Domenica 22 luglio

    Capitolo 56

    Capitolo 57

    Capitolo 58

    Capitolo 59

    Capitolo 60

    Capitolo 61

    Capitolo 62

    Capitolo 63

    Capitolo 64

    Capitolo 65

    Capitolo 66

    Capitolo 67

    Giovedì 26 luglio

    Capitolo 68

    Ringraziamenti

    en

    1830

    Tutti i personaggi e i fatti descritti in questo romanzo, tranne quelli di chiaro dominio pubblico, sono immaginari e qualunque analogia con persone reali, esistenti o esistite, è puramente casuale.

    Titolo originale: Preserve the Dead

    Copyright © Brian McGilloway, 2015

    First published in Great Britain in 2015 by Corsair an imprint of Little, Brown Book Group

    The moral right of the author has been asserted

    All rights reserved

    Traduzione dall’inglese di Francesca Noto

    Prima edizione ebook: febbraio 2018

    © 2018 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-227-1859-4

    www.newtoncompton.com

    Realizzazione a cura di Corpotre, Roma

    Brian McGilloway

    Non entrare

    omino

    Newton Compton editori

    A Tanya, con amore

    Martedì 17 luglio

    Capitolo 1

    Il livido si estendeva dalla tempia lungo l’orbita, e giù quasi fino al punto in cui la ruga causata dal sorriso si incurvava a incontrare l’angolo delle labbra.

    Lucy sfiorò la pelle violacea con la punta delle dita, temendo di svegliarlo se avesse premuto troppo. Si scostò appena e lo sfiorò lungo il collo, dove riusciva a vedere una seconda ombra sulla pelle, questa volta più vecchia, ingiallita ai bordi, appena visibile sopra il colletto della vestaglia. Ciuffi di capelli grigi si arricciavano sopra al tessuto, sollevandosi e abbassandosi piano a ogni respiro.

    Scostò la coperta, vedendo per la prima volta la striscia di cuoio avvolta alla sbarra di sicurezza al lato del letto, con l’altra estremità stretta intorno al polso di suo padre.

    «Papà?», bisbigliò, toccandolo piano sul braccio, nel tentativo di svegliarlo. «Papà, cosa è successo?».

    Per un attimo, le palpebre dell’uomo tremarono, e il viso si spostò verso di lei. Poi ricadde contro il letto, con la testa che affondava appena nel cuscino. Aveva la fronte lucida di sudore, nonostante la presenza di un ventilatore portatile nella stanza.

    Lei si scostò dal letto, aprì la porta e uscì in corridoio. Non vedendo infermieri, tornò verso la postazione principale nel reparto. Mentre si avvicinava, un infermiere svoltò l’angolo.

    «Detective Black? Cercavo proprio lei».

    «Cosa è successo a mio padre?», chiese Lucy. «Quel livido in faccia. Cosa è successo?».

    L’uomo sollevò le mani in un gesto conciliante. «Mi spiace, signorina Black. Pensavo che le avessero detto… Ha aggredito altri pazienti ed è caduto», spiegò.

    «È incatenato al letto», lo incalzò Lucy.

    «Non è inca…», fece per dire l’uomo, ma si interruppe, soffocando quella precisazione sul nascere. «Abbiamo dovuto bloccarlo, per evitare che succedesse di nuovo; era incontrollabile».

    «Ha un livido anche sul petto».

    «Non so… forse è successo quando… quando l’abbiamo dovuto fermare. Senta, capisco come si sente. E so che non è in servizio, ma… ecco, sembra che ci sia un cadavere nel fiume».

    Il Gransha Hospital, nel cui reparto di massima sicurezza era stato ricoverato suo padre, si trovava nella periferia della città di Derry, lungo il fiume Foyle, all’ombra del Foyle Bridge. Il ponte, una struttura lunga un chilometro, era stato costruito con un arco abbastanza alto da permettere il passaggio delle imbarcazioni per raggiungere i moli della città. Tuttavia, poco dopo che era stato completato, i moli erano stati spostati a nord del ponte, e quell’arco maestoso era diventato soltanto decorativo.

    L’altezza del ponte lo rendeva uno dei luoghi più gettonati per gli aspiranti suicidi della città. Nei decenni precedenti, oltre cinquecento persone avevano quasi perso la vita nel fiume, e più di novanta per essersi lanciate dal Foyle Bridge. Se c’era un cadavere nell’acqua così vicino al ponte, Lucy era piuttosto sicura che fosse il risultato di un suicidio.

    Seguì l’infermiere, scendendo le scale dell’ala dove era ricoverato suo padre, tagliando attraverso il cortile e raggiungendo il campo che si estendeva fino alle rotaie lungo la riva del fiume. Prese il cellulare e riferì del ritrovamento alla stazione di polizia di Strand Road mentre correva. In questo modo, non avrebbe avvertito soltanto il servizio di polizia dell’Irlanda del Nord, ma, cosa ben più importante, anche il servizio di Ricerca e Soccorso di Foyle, un gruppo di volontari della città che pattugliava il fiume e dava una mano nelle operazioni di recupero. Che la città avesse bisogno di una simile organizzazione faceva capire con quale frequenza la gente cadeva nel fiume.

    Mentre si avvicinavano alla riva, riuscì a vedere che vi si era radunato già un gruppo di persone, perlopiù vestite di camici bianchi o azzurri: con tutta probabilità, personale dell’ospedale. Nell’aria c’era il tipico fetore dell’acqua: l’odore dei sedimenti esposti lungo la riva era diventato sempre più forte, durante il giorno, a causa del caldo intenso. Perfino adesso, passate le nove, la serata era ancora abbastanza umida da far ritrovare Lucy sudata dopo la corsa nel campo.

    L’inserviente le fece strada, spingendo via quelli che si erano radunati sul greto, e annunciando che era arrivata la polizia.

    Lucy controllò la superficie dell’acqua, su cui le luci della sera spezzavano le onde, costringendola a farsi scudo agli occhi con la mano.

    «Laggiù», disse l’inserviente, indicando un punto alla sua sinistra.

    Lei seguì con lo sguardo il cenno, e infine vide un braccio e la testa di un uomo che spezzavano il corso dell’acqua.

    «Ehi! Riesce a sentirmi?», gridò, ma non ci fu risposta, a parte il ritmico sollevarsi e abbassarsi del braccio di quell’uomo sull’acqua, come se il fiume stesse respirando.

    Capitolo 2

    L’uomo sembrava essersi incastrato in un ramo che sporgeva dai sedimenti dove l’acqua si era ritirata, ed era diventato visibile solo quando la marea si era abbassata. Lucy capì subito che l’imbarcazione di salvataggio accorsa per recuperarlo non sarebbe riuscita a raggiungerlo senza incagliarsi essa stessa nel banco di fango. Avrebbero dovuto tirarlo su dalla terraferma.

    «Ascoltate», esclamò, aspettando che il gruppo di persone assembrate sulla riva si zittisse. «Potrebbe essere ancora vivo. Dobbiamo andare a recuperarlo subito. Ho bisogno di volontari. Dobbiamo creare una catena umana. Io andrò davanti, ma mi servirà che qualcuno mi regga, in modo che possa raggiungerlo e trascinarlo fuori dall’acqua».

    Attese di vedere se qualcuno volesse prendere il suo posto. Ma si rese subito conto di avere almeno dieci anni e una dozzina di chili meno di tutti i presenti.

    L’inserviente che l’aveva accompagnata fin lì si fece avanti. «Posso reggerla io», si offrì.

    «Grazie…», rispose Lucy. Non era proprio quello che aveva sperato, ma almeno era qualcosa.

    «Ian», concluse lui, pensando che la sua esitazione dipendesse dal fatto che non ricordava il suo nome.

    Alcuni tra i presenti borbottarono offerte di aiuto e cominciarono a scendere sul greto, dal bordo erboso dove si trovavano. Lucy si girò e cercò di farsi strada in mezzo ai banchi di fango, fino al punto in cui l’uomo era immerso nell’acqua. Riuscì a vedere i bordi aguzzi di roccia che affioravano vicino alla riva. Con un po’ di fortuna e tanto equilibrio, pensò che sarebbe riuscita ad arrivare a poche decine di centimetri dall’uomo.

    «Seguitemi», ordinò.

    Procedette con cautela tra le rocce, all’inizio più veloce, poiché il terreno era solido. Man mano che si avvicinava all’acqua, tuttavia, dovette rallentare, perché lì le rocce diventavano scivolose e poco visibili sotto steli di alghe. Si girò, aspettandosi di vedere Ian molto vicino. Invece, era a forse cinque metri da lei, goffo mentre si spostava da una roccia all’altra, con le braccia che dondolavano per darsi la spinta, prima di avanzare ancora.

    Quanto a Lucy, le sarebbe bastato un passo per raggiungere la roccia successiva e l’uomo, che adesso vedeva con chiarezza. Aveva il volto girato verso di lei, la bocca e gli occhi chiusi. I capelli, incollati al cranio, potevano essere grigi, sebbene il riflesso delle luci sull’acqua rendesse difficile capirlo.

    «Arriviamo», gridò, ma di nuovo non ebbe risposta. Gli occhi dell’uomo erano chiusi, ma il volto non mostrava nessuna delle lesioni che si sarebbe aspettata se il corpo fosse rimasto a lungo nel fiume.

    Attese finché Ian non si fu avvicinato abbastanza, poi si spostò agile sull’ultima roccia. Riuscì a sentirne i bordi irregolari sotto le suole delle scarpe da ginnastica, e dovette spostarsi per trovare un equilibrio più stabile. Così facendo, si mosse troppo veloce e si sbilanciò. Agitò le braccia, tentando disperatamente di rimettersi dritta, ma in quel momento sentì le grosse braccia di Ian stringerla intorno alla vita con tale forza da toglierle il respiro. I piedi le scivolarono giù dalla roccia e, per un breve attimo, si ritrovò sospesa in aria, finché Ian non la riportò alla relativa sicurezza del masso su cui si trovava, con il corpo premuto contro il suo.

    «Sta bene?», domandò l’infermiere, ansimando per lo sforzo.

    Lucy annuì. «Grazie», mormorò, battendo una pacca sul braccio dell’uomo, che ancora la sosteneva.

    «La terrò per la cintura», suggerì lui. «E poi la seguirò, e lei si afferrerà alla mia», concluse, girandosi verso l’uomo che lo seguiva.

    Lucy lo sentì infilare le dita tra la cintura e i jeans. «Presa», lo sentì dire.

    Avanzò, con calma, cercando di mantenere l’equilibrio. Avvertì la tensione della presa di Ian alle sue spalle, e poi la sentì allentarsi quando anche lui avanzò, seguendola.

    L’uomo in acqua era a un metro e mezzo da lei, adesso, con le braccia allargate e la manica del giubbotto incastrata in un ramo a meno di un metro di distanza. Lucy decise di usare quel ramo per sorreggersi, afferrandolo con la sinistra mentre allungava la destra verso la mano dell’uomo.

    «È molto brava», sentì dire Ian, quando anche lui ebbe trovato la posizione giusta per restare in equilibrio. Lucy si piegò in avanti, rendendosi conto per la prima volta di quanto si stesse fidando non solo della gente alle sue spalle, ma anche della striscia sottile della propria cintura. Per un attimo, si sentì afferrare dal panico e si pentì della sua decisione, piegandosi ancora di più per tentare di raggiungere l’uomo, ma senza riuscirci. Dovete allungarsi con tutto il corpo in avanti.

    Come avvertendo la sua esitazione, Ian esclamò: «La tengo, sergente».

    «Lucy!», sbottò lei. «Mi chiamo Lucy».

    «La sto tenendo, Lucy», ripeté lui. «Si fidi di me».

    Lei inspirò a fondo, poi si allungò del tutto in avanti e avvertì, al di là della paura, una momentanea ebbrezza, nella libertà di cedere del tutto il controllo, di affidare completamente la propria sicurezza a un altro.

    Si spinse avanti e sentì sotto le dita la manica del giubbotto dell’uomo. Afferrandola, strattonò, riuscendo a tirarlo un po’ più vicino.

    «Gli afferri la mano», gridò Ian. «La tireremo noi indietro».

    Lucy annuì, allungandosi ancora di più. Aveva il viso madido di sudore, ormai, i capelli le ricadevano davanti agli occhi, la bocca era piena dell’odore penetrante e sgradevole del fango della riva. Sentì la mano dell’uomo, e fu stranamente sorpresa di trovarla fredda, così diversa da quella che le stringeva la cintura. Strinse la presa meglio che poté, contro il fango viscido che copriva il palmo dell’uomo.

    «L’ho preso», fece sapere. «È gelato. Temo che sia morto».

    Sentì la presa di Ian serrarsi, avvertì la tensione nel tessuto dei jeans, stretti sui suoi glutei. Poi sentì che cominciava a muoversi, e che il suo corpo iniziava a raddrizzarsi. Il caldo, il fetore, l’angolazione in cui era rimasta per un po’, tutto cospirava contro di lei, e cominciò a sentirsi girare la testa, temendo di perdere di nuovo l’equilibrio. Poi avvertì un basso risucchio, mentre i resti dell’uomo venivano tirati fuori dal fango della secca, e a quel punto si mosse più veloce, ricadendo indietro contro Ian. Lui le avvolse le braccia intorno, stringendola a sé ed evitandole di cadere.

    Lucy si appoggiò a lui, tentando di riprendere fiato, e sentì il battito rapido del cuore, e il petto che le si sollevava e abbassava affannato per lo sforzo sostenuto. Avvertì una strana intimità, mentre stringeva nell’altra mano quella del cadavere.

    «Che roba», riuscì a mormorare Ian. «Tutto a posto?».

    Lucy annuì, incapace di descrivere l’improvvisa ebbrezza che provava per il semplice fatto di essere viva, e la sensazione aliena che questo le dava.

    Capitolo 3

    Lucy tornò indietro attraverso un letto di canne, seguendo il gruppo che ora trasportava il corpo recuperato dal fiume per portarlo all’obitorio dell’ospedale, dove li attendeva il coroner. Prese il cellulare, pulendosi le mani sui pantaloni prima di chiamare Tom Fleming, l’ispettore dell’Unità di Protezione Pubblica di cui lei faceva parte.

    «Lucy? Tutto bene?»

    «Sono al Gransha», rispose lei. «Ero andata a trovare mio padre. Abbiamo appena ripescato un cadavere dal fiume. Sembrerebbe un uomo anziano. Ben vestito».

    «Quanto bene?»

    «Giacca e cravatta. Capelli grigi. Le fa venire in mente qualcuno? A me non è venuto in mente nessuno».

    L’ispettore Fleming restò in silenzio per un attimo. Tutti i rapporti riguardanti persone scomparse passavano prima dall’Unità di Protezione Pubblica, perciò, considerò Lucy, se la vittima era del luogo e qualcuno ne aveva denunciato la scomparsa, lei o Fleming dovevano aver letto il relativo rapporto. La maggior parte degli uomini che le venivano in mente su quella lista, tuttavia, era più giovane di quanto il cadavere le fosse sembrato, nei brevi attimi in cui aveva potuto osservarlo.

    «Da quanto tempo era nel fiume?»

    «Non molto, credo. Una dottoressa sta per esaminarlo, quindi non posso dirlo con certezza, ma non sembrava particolarmente gonfio o cereo».

    «Nella riunione di stasera ho sentito che uno dei nostri finanziatori, un certo Terry Haynes, non si vede in giro da un po’. È nato a Dublino, ma vive qui da anni. È scomparso da qualche giorno. Ed è… è un amico».

    Fleming era un ex alcolista riabilitato dopo aver trovato Gesù, ma non prima di aver perso la patente di guida e la famiglia. Tra i progetti di volontariato che seguiva con la sua chiesa, e forse anche per fare ammenda del suo passato, aiutava gli alcolizzati senzatetto locali, dando una mano a gestire le cucine che fornivano un pasto caldo gratuito e portando loro del cibo vicino alla data di scadenza offerto dai negozi. Lucy immaginò che per riunione, Fleming intendesse quella del suo gruppo degli Alcolisti Anonimi, e che Haynes dovesse essere un alcolizzato riabilitato che dava una mano ai nuovi membri.

    «Com’è fisicamente questo Haynes?»

    «Grosso, peserà di certo più di un centinaio di chili. Ha i capelli grigi. Ma non è tipo da giacca e cravatta. Lavora un bel po’ con i senzatetto alcolizzati».

    «Non credo sia lui», commentò Lucy. «Quest’uomo non sembra molto pesante, anche se dovessimo considerare il gonfiore dovuto all’acqua. La scomparsa di Haynes è stata denunciata formalmente?», aggiunse, non riconoscendo quel nome.

    «Non ancora. L’ho appena saputo; una donna nuova del gruppo chiedeva se l’avessimo visto in giro. Non lo sentiva da qualche giorno. L’ha chiamato a casa e non ha risposto. Lui è il suo sponsor, il che significa che dovrebbe aiutarla a compiere i dodici passi. Lo sentiva ogni giorno. Ha ceduto e ha bevuto quando non è riuscita a contattarlo. Non è colpa di Haynes, ma è strano, per lui. Terry ha aiutato diversi di noi; sa come funziona».

    «Magari lui stesso si è trovato a fare uno sgarro».

    «Forse», concordò Fleming. «Ma spero di no».

    «Darò un’occhiata al cadavere con il coroner e le farò sapere», concluse Lucy, prima di chiudere la telefonata.

    Ian, l’inserviente, le si era affiancato, adesso, con l’uniforme macchiata di fango. «Immagino che non si aspettasse tutto questo caos, quando è venuta a trovare suo padre», commentò, con un sorriso.

    Lucy lo ricambiò per un attimo. «Ascolti, riguardo all’uomo nel fiume, per caso è mai stata denunciata la scomparsa di qualcuno dei vostri pazienti?»

    «Un paio. Ma nessuno di recente. E devono essercene un bel po’, in questa città».

    Lucy ripensò a tutti coloro di cui era stata denunciata la scomparsa. Ce n’erano quasi cento soltanto nel distretto di Foyle, per non parlare di chi poteva essere scomparso nel resto del Nord, o in tutta la Repubblica.

    «Più che un bel po’», concordò.

    Le persone che trasportavano il cadavere lo posarono sul tavolo autoptico dell’obitorio e poi uscirono, mentre un medico dell’ospedale entrava per esaminarlo e confermarne la morte.

    Lucy si fece strada a sua volta in mezzo al gruppo che usciva dall’obitorio e poi chiuse le porte della stanza. Il medico, un’anziana dottoressa, che si presentò come Elma, si infilò un paio di guanti, e ne tese un paio anche a Lucy. Poi premette una mano contro la guancia dell’uomo.

    «È ghiacciato», commentò. «Quindi non è appena saltato nel fiume».

    «Ma non ci sono molti segni di traumi», osservò Lucy. «Al viso, e simili. Immagino avrebbe un aspetto peggiore, se fosse rimasto in acqua a lungo. Non ero neanche certa che fosse morto, finché non gli ho afferrato la mano».

    Elma aggrottò la fronte. «Il rigonfiamento è minimo, quindi si potrebbe pensare che non sia morto da molto tempo. Sa, sembra piuttosto in pace, a dire il vero», soggiunse, arretrando di un passo e osservando il cadavere.

    La vittima era un uomo anziano, i cui capelli, sebbene coperti di fango e alghe, erano senza dubbio grigi. Gli occhi restavano chiusi, come la bocca. Lucy notò in quel momento che, piuttosto che un completo con la cravatta, come aveva detto all’ispettore Fleming, l’uomo indossava un paio di pantaloni grigi e una giacca blu, sopra a una camicia color panna e a una cravatta blu.

    «Allora, cosa ne pensa?», domandò alla dottoressa. «Suicidio?»

    «Probabile», rispose Elma. Di colpo, si piegò sul corpo, notando qualcosa di appena visibile nel naso dell’uomo. «Un momento».

    Si raddrizzò e, avvicinandosi a uno dei cassetti dall’altra parte della stanza, recuperò un paio di pinzette.

    «Che sta facendo?», volle sapere Lucy, avvicinandosi al cadavere.

    «Ha qualcosa nel naso», spiegò la donna. Tenne le pinzette tra l’indice e il pollice e poi le infilò nella cavità nasale, afferrò il bordo dell’oggetto che sporgeva da lì e tirò. Mentre lo faceva, ne emerse un lungo pezzo di materiale sporco.

    «Gesù», mormorò Lucy, sentendosi rivoltare lo stomaco. «Che cos’è?»

    «Cotone, credo», ribatté Elma, piegando di lato la testa mentre esaminava il materiale alla luce, per poi posarlo nella bacinella sul banco da lavoro accanto a lei. Tornò vicino al corpo, si piegò e puntò una piccola torcia verso le narici dell’uomo.

    «Sa cosa?», riprese, raddrizzandosi. «Non solo quest’uomo è morto, ma credo che fosse stato anche già imbalsamato».

    Capitolo 4

    «Pianificare il proprio funerale è una cosa, ma farlo prima di gettarsi nel fiume? Notevole, direi», commentò la dottoressa, qualche minuto dopo.

    La vittima giaceva supina sul tavolo al centro della stanza, ora priva di vestiti e con addosso soltanto l’intimo. Diverse incisioni erano evidenti sul torso, oltre a delle ferite rozzamente ricucite all’interno delle cosce.

    Elma le indicò con un dito inguantato, mentre esaminavano il cadavere. «Devono aver usato l’arteria femorale per svuotarlo dal sangue e poterlo imbalsamare», soggiunse. «Vede?».

    Lucy annuì, senza voler guardare troppo da vicino. Piuttosto, fissò la testa dell’uomo, le cui guance un po’ incavate creavano l’impressione di un vuoto cereo sopra la linea della mandibola. Per un attimo, ricordò di aver esaminato il volto livido di suo padre appena un’ora prima.

    «Dunque, non solo la nostra vittima era già morta prima di finire nel fiume», riprese Elma, sfilandosi i guanti e gettandoli nel bidone dei rifiuti accanto al tavolo. «Ma era stata perfino già imbalsamata».

    «E, a giudicare dai vestiti, anche già vegliata e messa nella bara», aggiunse Lucy.

    Era tradizione che, dopo la morte, il corpo della persona defunta venisse imbalsamato, per poi essere sistemato in una bara aperta per i due giorni della veglia, prima del funerale, al terzo giorno, così che parenti e amici potessero dare l’ultimo saluto prima della sepoltura. Di solito, i defunti venivano vestiti con i loro abiti migliori. Se anche in quel caso era andata così, ragionò Lucy, l’uomo doveva essere morto già da diversi giorni.

    «Quindi, se c’è stata la veglia, come diavolo ci è finito nel fiume?»

    «Questa è una delle domande da porsi», commentò la dottoressa. «L’altra è: chi è quest’uomo?».

    Lucy annuì. «Contatterò le imprese di pompe funebri locali e vedrò se qualcuno lo riconosce. Si riesce a capire come sia morto?».

    Elma scosse la testa. «Cause naturali, direi».

    «Non ci sono cuciture da autopsia, giusto?», chiese Lucy. Se la sua morte fosse stata sospetta, l’avrebbero sottoposto ad autopsia, e sul petto avrebbe avuto la classica incisione a Y.

    «E nessun segno di violenza sul corpo», aggiunse la dottoressa. «Le ferite che vediamo sono quelle tipiche del processo di imbalsamazione».

    Lucy si spostò verso la sedia su cui erano stati appoggiati gli abiti dell’uomo, accanto al tavolo. Sollevò la giacca e, aprendola, frugò nelle tasche. Poi la ripiegò, esaminando l’etichetta che sporgeva dalla tasca interna.

    «Sta cercando il suo nome? Non è certo un bambino delle elementari, che ha il nome sui vestiti…».

    Lucy annuì. «È un uomo anziano, però. Mio padre è qui dentro e gli hanno scritto il nome su tutte le etichette, in modo che non gli si perdano i vestiti. Ho pensato che magari poteva essere accaduto lo stesso a quest’uomo, se era in una casa di cura o un posto simile».

    Mentre ripiegava la giacca, notò, per la prima volta, un piccolo stemma, sulla tasca davanti: un castello dorato e due foglie di quercia al di sotto. C’era anche la parola Capitano.

    «Il Golf Club della Città di Derry», commentò Elma, indicando il logo. «Doveva esserne diventato da poco capitano. Si tengono la giacca, alla fine del loro anno. Il club ha cambiato logo qualche anno fa. Questa è la nuova versione».

    «Come lo sa?», domandò Lucy, sorpresa.

    «Sono stata la capitana delle donne a Donegal», spiegò lei. «Ho riconosciuto lo stemma di Derry. Dovrebbero saperle dire se uno dei loro capitani è morto di recente. Per lui, essere un capitano doveva essere importante, se ha chiesto di essere sepolto con la giacca del club».

    Capitolo 5

    Lucy considerò l’idea di raggiungere il Golf Club mentre tornava a casa; in fondo, era giusto a qualche chilometro di distanza da Prehen Park, sulla strada verso Strabane, ma lanciando un’occhiata all’orologio sul cruscotto, si rese conto che con tutta probabilità doveva essere già chiuso. Fu quell’idea a farla desistere, insieme alla puzza del fango che ancora aveva addosso, e a farle decidere che era meglio tornare a casa e fare una doccia. Concluse che avrebbe chiamato la mattina dopo, quando sarebbe stato più probabile parlare con qualcuno che avrebbe potuto aiutarla. Poi avrebbe fatto rapporto a Mark Burns, il sovrintendente capo del cid della città. E avrebbe lasciato che se ne occupassero loro. Voleva solo scoprire il nome dell’uomo, visto che era stata coinvolta, in qualche modo, nel recupero del cadavere dal fiume.

    La casa sapeva di muffa, quando aprì la porta, tra il caldo che si era accumulato all’interno per tutto il giorno e i vecchi mobili comprati da suo padre quasi vent’anni prima, mai sostituiti. Aprì qualche finestra al piano di sotto per arieggiare un po’ gli ambienti.

    Si spogliò e, dopo aver ammucchiato i vestiti nella lavatrice, si infilò sotto la doccia. Si stava asciugando, quando sentì qualcuno che bussava alla porta. Lanciando un’occhiata all’orologio, notò che erano già passate le undici.

    Infilandosi la vestaglia, scese al pianterreno e guardò attraverso lo spioncino nella porta. Lì fuori c’era uno dei suoi vicini, un uomo di nome Dermot che viveva in una delle case di fronte alla sua. Lo aveva incontrato qualche volta; in un’occasione, l’aveva aiutata a pulire una scritta dal muro del giardino. A parte quello, e gli occasionali saluti e sorrisi che si rivolgevano incrociandosi in macchina, non poteva dire di conoscerlo. Non sapeva neanche come si chiamassero sua moglie o i suoi figli, che sembravano piuttosto numerosi.

    Aprì la porta dei pochi centimetri concessi dalla catena di sicurezza. Dermot sorrise, preparandosi a salutarla, poi notò che Lucy indossava la vestaglia e arrossì. Aveva addosso una t-shirt grigia macchiata di sudore e dei calzoncini da jogging.

    «Lucy. Mi scusi tanto se la disturbo», esordì.

    «Non si preoccupi», rispose lei. «Qualcosa non va?».

    Dermot lanciò un’occhiata furtiva verso casa sua, poi si avvicinò alla porta, portando con sé una zaffata

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