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E-book226 pagine2 ore

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Info su questo ebook

Il capitolo finale della serie Sisters

Sono gemelle, sono identiche e vincono insieme.

Tra oscuri segreti che vengono alla luce e nuovi inquietanti scenari, saranno ancora una volta le Sisters a pagare il prezzo più alto per inseguire lo sfuggente miraggio della felicità.

Europa.
Non sembra esserci pace per Ana che, alle prese con una scioccante rivelazione, si sente sola e isolata nonostante l’appoggio di Nico.

Stati Uniti.
Le ragioni di servizio dividono Chad e Mariah: l’agente FBI riceve infatti un incarico poco chiaro sul quale l’Agenzia chiama ad indagare il suo uomo.

A cavallo dei due continenti.
Sergej Loszich è determinato a riorganizzarsi per portare avanti i suoi progetti criminali e megalomani.

LinguaItaliano
EditoreElen T.D.
Data di uscita18 ott 2020
ISBN9781005749323
Miraggi
Autore

Elen T.D.

Ho più di quarant’anni (quanti in più non è significativo), sono sposata con un maschio Alpha autentico, ho due gemelli e possiedo oltre mille libri, anche se non li ho mai veramente contati. Invento storie da sempre, ma solo da qualche anno scrivo per pubblicare.Nella vita mi occupo di consulenza, amo la storia, seguo l’attualità e lo sport, e aspetto con ansia l’estate per viaggiare.

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    Anteprima del libro

    Miraggi - Elen T.D.

    Elen T.D.

    Miraggi

    (Sisters #3)

    miraggi – (Sisters #3)

    Elen T. D.

    Prima Edizione

    Emmabooks ©2015 Bookrepublic srl

    Seconda Edizione

    ©2020 Elena Taroni Dardi

    Tutti i diritti riservati

    Elaborazione grafica Elen TD Project © tutti i diritti riservati

    Risorse:

    ©bykobrinphoto/stock.adobe.com

    ©draganm/stock.adobe.com

    L’opera, comprese le sue parti, è protetta dalla legge sul diritto d’autore. Sono vietate e sanzionate (se non espressamente autorizzate) la riproduzione in ogni modo e forma nei limiti della legge e la comunicazione (ivi inclusi a titolo esemplificativo ma non esaustivo: la distribuzione, l’adattamento, la traduzione e la rielaborazione, anche a mezzo di canali digitali interattivi e con qualsiasi modalità attualmente nota o in futuro sviluppata). L'autore riconosce la piena titolarità dei marchi citati in capo ai soggetti depositari degli stessi.

    Questo libro è opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono frutto dell’immaginazione dell’autrice o utilizzati in modo fittizio. Qualsiasi somiglianza con fatti, luoghi o persone reali, vive o defunte, è puramente casuale.

    A Elisa,

    per essere la mia Sister

    A Loris,

    per essere il mio Alpha

    A Luca,

    per sempre su una Harley

    Prologo

    Firenze, Italia

    Il bianco e il rosso mattone erano i colori dominanti, il fiume era un nastro di piombo gettato a caso in mezzo alla città e Ponte Vecchio, e tutti gli altri ponti, erano come le graffette usurate di un vecchia puntatrice utilizzata per rattoppare una delle città più antiche e famose del mondo. Da Piazzale Michelangelo aveva l’impressione che Firenze fosse ai suoi piedi. E lo sarebbe stata, prima o poi, come il resto del mondo.

    «Zdravo, Sergej.»

    Sergej si voltò. Steffi Mengele non dimostrava minimamente i suoi cinquantasette anni, probabilmente per merito di un chirurgo, ma non era da escludere che avesse stipulato un patto con il diavolo. Un tempo aveva pensato che il diavolo fosse Louban, ora voleva essere lui. Steffi e le sue ricerche potevano portare l’organizzazione a un livello di grandezza che neppure il vecchio avrebbe mai immaginato.

    Non gli era piaciuto però come la Mengele aveva giocato con Ana. L’aveva rapita mandando a monte gli affari con i sudamericani, l’aveva lasciata andare facendoglielo sapere, appena un attimo prima che lo stesso Sergej lo scoprisse, obbligandolo ad accettare quell’incontro. Meritava di essere punita in modo esemplare, ma aveva bisogno di quella donna e lei lo sapeva. Non gli piaceva che avesse quel potere su di lui. Per l’ennesima volta valutò di fare a meno di Steffi.

    «Ti ringrazio per aver accettato di incontrarmi e per non avermi uccisa.»

    «Non ancora.»

    Lei ebbe la decenza di impallidire e di chinare il capo. «Devi perdonarmi, ma credevo mi avessi abbandonato.»

    «Ti avevo chiesto di avere fiducia.»

    «Mi hai tolto ogni tipo di finanziamento e non mi hai restituito Marko, come mi avevi assicurato che avresti fatto» ribatté Steffi accalorandosi.

    «In Brasile ci sono stati dei contrattempi.»

    «Di cui io non sono stata informata.»

    «Non devo rendere conto a te.»

    «Louban si confidava con me, credevo avresti raccolto il suo testimone» lo accusò acida. Troppo acida per i suoi gusti.

    «Io farò cose molto più grandi di mio padre» affermò Sergej, deciso.

    «Non ne dubito.» Lo disse guardandolo dritto negli occhi. «Io rivoglio Marko, solo questo, e portare avanti il mio progetto.»

    Sergej sostenne il suo sguardo, era per quello che le donne erano il sesso debole. Non importava quanto fossero resistenti o intelligenti, alla fine tutte cedevano per il medesimo motivo. Che fosse per un figlio o un amante, soccombevano e contro ogni logica erano disposte a buttare via tutto per l’amenità dei sentimenti. Steffi, Elita, anche Ana… nessuna faceva eccezione. Riavere Marko Kos al suo servizio però tornava comodo anche a lui: era stupido lasciar perdere delle opportunità di business.

    «Prelevare il dottore da un carcere federale americano è complicato ma fattibile» concesse Sergej.

    Steffi sorrise. «Credo di riuscire a evitartelo. Posso farlo arrivare in Europa.»

    Sergej la guardò con interesse. «Come?»

    «La storia insegna che tutti quelli che rivestono posizioni di potere sono i più fissati con la linea di sangue e la discendenza... Qualcuno mi deve dei favori.»

    Anche Sergej sorrise. Non aveva mai considerato il valore di Steffi da quel punto di vista. Sapeva che aveva collezionato infiniti fallimenti nel portare avanti le sue ricerche, ma aveva avuto anche qualche successo ed evidentemente quei pochi successi, veri o presunti, erano strategicamente importanti.

    «Fa' in modo che avvenga il prima possibile. Le casse sono vuote e non posso mettere tutti a tacere come ho fatto con Rudan.»

    «So che stai preparando qualcosa a Parigi.»

    Sergej l’afferrò per la gola con una sola mano. «Tu ficchi un po’ troppo il naso in questioni che non ti riguardano» sibilò duro ma senza stringere.

    Steffi si aggrappò con entrambe le mani al polso di lui, in un gesto di legittima difesa. Con i polpastrelli Sergej avvertiva il battito cardiaco accelerato.

    «Cerco solo di portarmi avanti e di non farti sprecare risorse preziose» piagnucolò lei implorandolo con lo sguardo.

    Sergej strinse un po’ facendole sgranare gli occhi dal taglio sottile. Le pulsazioni aumentarono.

    «Limitati a questo. Ora portami a vedere il posto.»

    La donna annuì e Sergej la lasciò andare. Poi si diresse alla berlina argento che lo stava aspettando con il motore acceso e con la coda dell’occhio vide che i turisti curiosi che avevano notato la scena erano di nuovo impegnati ad ammirare il panorama.

    Steffi era proprio dietro di lui.

    1

    Due settimane dopo, Parigi, Francia

    Incenso e umidità, preghiere, lacrime, cera bruciata: l’odore della chiesa era sempre lo stesso. Quello della prima comunione, della cresima e, a sentire il catechista, avrebbe dovuto essere anche quello del matrimonio.

    A un certo punto il percorso tracciato si era interrotto, o forse no, forse il tracciato era un cerchio, per quello era lì, adesso.

    Non sapeva neppure perché ci fosse, perché si ostinasse a stare in ginocchio sul legno duro e scheggiato, i gomiti piantati per sostenere la fronte a mani giunte. Non aveva lacrime e non aveva preghiere.

    Per cosa doveva pregare? Di non essere incinta… che fosse di Nico… cosa? Di potersene sbarazzare, di trovare chiunque fosse stato e fargliela pagare?

    Insieme affronteremo anche questa.

    Insieme, lei e Nico. Era un concetto che la terrorizzava e la seduceva al tempo stesso.

    L’aveva tenuta ancorata alla realtà nei brevi momenti in cui era rinvenuta durante quegli orribili tre giorni di cui non ricordava nulla. Insieme era la prima cosa che lui aveva detto quando erano riusciti a incontrarsi a Milano.

    Quando l’aveva vista, in quattro falcate l’aveva raggiunta e stretta contro il giubbotto antiproiettile, mentre una squadra di suoi cloni ridacchiava dandosi di gomito.

    «Dillo» aveva ordinato.

    «Cosa?»

    «Da adesso stiamo insieme. Dimmelo.»

    «Perché?»

    «Dillo e basta.»

    Ana aveva sorriso, per la prima volta senza guardarsi attorno in cerca di qualcuno o qualcosa pronto in agguato a sfruttare la sua debolezza. «Adesso stiamo insieme.»

    «Manca una preposizione.»

    Invece di rispondere, Ana gli si era appesa al collo e l’aveva baciato, e Nico, con la sua solita irruenza, l’aveva sollevata da terra approfondendo il bacio. Si erano staccati solo dopo che la squadra dei NOCS al completo aveva iniziato a fischiare. A quel punto l’aveva presentata a tutti come la sua donna.

    Per otto settimane era stato tutto perfetto, anche se non erano mancate le rogne. All’inizio non si sapeva se tenerla in custodia, e dove, ma alla fine le avevano concesso di stare in una specie di confino volontario a casa di Nico e quindi, per tre settimane, mentre decidevano se la sua patria era più la Croazia o la Francia, se aveva o non aveva violato delle leggi italiane, tutto il suo mondo era stato una villetta a due piani a cinquanta chilometri da Milano e, a parte rarissime eccezioni, l’unica umanità con la quale aveva avuto a che fare era un uomo talmente complesso che, anche a studiarlo per l’eternità, non era detto che non avrebbe riservato delle sorprese.

    Un hobby della famiglia Nicotera doveva essere stata la fotografia. Ana non le aveva contate, ma in casa c’era un intero armadio di diapositive. Centinaia di bussolotti zeppi di scatti in cui Nico dormiva, giocava, rideva, nuotava e somigliava a suo padre come anche Bea, la sorella. La foto che accoglieva chiunque entrasse in casa era una gigantografia di Nico con la piccolina di famiglia. Era stata scattata dopo che un Nico sedicenne aveva vinto la sua prima competizione internazionale: indossava la tuta della squadra, rideva e guardava in su, verso la sorella, di dieci anni più giovane, appollaiata sulle sue spalle, che lo fissava a sua volta e reggeva la medaglia d’oro.

    In quello sguardo c’era amore, tutto l’amore che sarebbe diventato odio implacabile per chi aveva rapito, calpestato e ucciso.

    Così come Nico aveva passato settimane a indagare su di lei, anche Ana aveva scandagliato la sua vita di ‘prima’, contenuta in tutte quelle foto e nelle parole sussurrate al soffitto mentre la teneva stretta. Aveva avuto l’intenzione di chiedergli come mai avesse deciso di portarla lì, ma poi non l’aveva fatto, anche se man mano che passavano i giorni aveva avuto la sua risposta.

    Sia prima che dopo la tragedia, Nico non aveva mai vissuto lì veramente. All’inizio passava le notti nei ritiri sportivi dove lo chiamavano gli allenamenti in piscina con le Fiamme Oro. Dopo, quando aveva abbandonato le competizioni ed era entrato nei NOCS, stava in giro con il servizio obbligatorio di scorta, poi con la squadra di irruzione che aveva base a Roma e infine, quando era entrato nella postale da commissario, si era trovato un monolocale più vicino al distretto.

    Quel periodo con lei era stato il primo dopo anni, anche da prima della tragedia, in cui dormiva e abitava nella casa di famiglia. Come accadeva adesso con Ana a casa Moreau, quando infine era rientrata in Francia.

    Senza dirselo, avevano messo un sigillo sul passato, chiuso i loro capitoli singoli, per aprirne uno nuovo comune. Un’idea che ancora la terrorizzava e la destabilizzava: trovava difficile non avere più la sua routine con Sam e spesso, di notte, si svegliava di soprassalto con la certezza che stessero per arrestarla.

    Torrani le aveva assicurato che come agente EIA qualsiasi accusa formulata nei suoi confronti sarebbe stata congelata fino alla prescrizione dei termini. In pratica, Ana aveva accettato di essere un agente per almeno dieci anni, ma non l’aveva avvertito come un vincolo gravoso, almeno fino al giorno prima.

    Adesso invece… quello che le stava capitando era di nuovo una cosa solo sua, checché ne dicesse Nico.

    Cosa devo fare?

    Alzò lo sguardo e mise a fuoco il crocefisso dietro sull’altare. Il volto del Cristo era quello sofferente che l’angosciava da bambina, quello che la ammoniva se diceva bugie e che non avverava i suoi desideri se non teneva fede ai fioretti.

    Ma adesso era adulta. E si rendeva conto di essere nel posto sbagliato a fare le domande sbagliate.

    Over the Horizon riverberò per tutta la navata. Ana scattò come una molla. Si girò e nonostante le ginocchia intorpidite marciò verso la fonte del suono.

    Ultima fila sul suo stesso lato. La sedia era spostata in avanti per contenere le lunghe gambe. Sembrava quasi che il telaio dovesse cedere. Nico si alzò.

    Perché non la lasciava in pace? Perché non capiva che voleva stare da sola?

    Furiosa, lo guardò negli occhi.

    Rallentò.

    La risposta alle sue domande era nell’ombra che gli scavava l’orbita e metteva in risalto lo zigomo, nella ricrescita della barba e nella maglietta indossata a rovescio. Doveva essere uscito in fretta a furia per andarle dietro e assicurarsi che non facesse quello che Ana aveva avuto tutte le intenzioni di fare: correre fino all’Arc Du Triomphe e ritorno. Ma poi aveva imboccato Rue Galande e avanti, oltre l’incrocio fino all’angolo, era entrata a Saint-Severin.

    Quando fu di fronte a lui, tanto da sentire l’odore della schiuma da barba che non aveva finito di usare, appoggiò la fronte in quella porzione di torace che sembrava essere stata creata solo per lei. Lì, dove poteva sentire il suo cuore battere lento e potente.

    «Ma tu… perché mi ami? Mi ami, vero?»

    ***

    Era così fragile a volte, pensò Nico chinando il capo per carpirne lo sguardo. Le scostò i capelli poggiandole una mano sulla nuca: era fredda. Ana si rilassò all’istante e di rimando cercò il suo sguardo.

    C’erano delle volte in cui guardarla negli occhi era come tuffarsi nella sua anima. Era come osservare la superficie liscia dell’acqua l’istante prima di sentire il via, in quel momento esatto in cui la tensione era al massimo, con la mente e il corpo pronti a sfidare se stessi nella performance migliore di sempre. Stare con Ana, era come essere costantemente in camera di chiamata per la gara più importante della sua vita: era amore, quel groviglio di emozioni che gli avviluppava il cuore e lo stomaco?

    «Sì» le rispose. «Ti amo.»

    Gli occhi blu si sgranarono. «Perché?» sussurrò ancora.

    Nico si strinse nelle spalle e si chinò di più per annusare l’odore dei suoi capelli.

    «Non lo so. Non ci ho mai pensato.»

    Lei alzò la testa per guardarlo confusa.

    Va bene, meritava una risposta migliore.

    Si concentrò. Davvero non aveva mai sondato i suoi sentimenti, si era limitato a seguire il corso ineluttabile di qualcosa che lo trascinava con la stessa forza di quando inseguiva il sogno di diventare un campione nel suo sport: agognava qualcosa e faceva tutto quello che era necessario a ottenerla.

    Aveva capito di volere lei, quando se l’era trovata davanti a Negril. Quando l’aveva lasciato su quel maledetto elicottero, ritrovarla era diventata un’ossessione che non aveva neppure provato a estirpare. Durante tutto il tempo che aveva impiegato per ritrovarne le tracce, l’ossessione si era trasformata in affinità e bisogno: più si addentrava nella sua vita, più riusciva a capire quanto loro fossero simili. Ana era l’unico essere umano che aveva visto, compreso e accettato il lato più oscuro della sua anima in tutta la sua complessità ed era quella piena accettazione che voleva, che gli serviva per sentirsi giusto.

    «Ti voglio. Sempre. Anche solo per tenerti così.» La baciò su una tempia, indugiando sulla pelle per riscaldarla. E poi c’era anche altro. Il suo corpo, come si muoveva, come profumava, come lo accoglieva, come si scioglieva e si adattava al suo. Lasciò scivolare una mano e le accarezzò tutta la spina dorsale per poi proseguire più giù. Ah, sì, gli piaceva toccarla e sentire il potere che aveva sul suo desiderio. «Anche

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