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Fino all’Ultimo Respiro
Fino all’Ultimo Respiro
Fino all’Ultimo Respiro
E-book186 pagine2 ore

Fino all’Ultimo Respiro

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Info su questo ebook

Emily è una piccola imprenditrice che sogna sempre amori impossibili, tanto da invaghirsi del suo attore preferito. Il desiderio di conoscerlo cresce sempre più, fino a che un giorno decide di incontrare la sua Star, organizzando un lungo viaggio per afferrare il proprio sogno.

Anita, sua sorella, l’accompagna nell’incantevole Istanbul, dove vive l’uomo che le ha rapito il cuore. Tra i suoni, i colori e i profumi dell’incantevole città, inizia la magia.

Emily è pronta a entrare con tutta se stessa nel sogno… fino a esaudire le emozioni più profonde… e se anche tu vuoi vivere tale incanto, leggi queste righe e percorrilo insieme a Emily.

L’Autrice ha voluto descrivere il vero profumo dell’Amore.

Annabella Artimisio

Annabella è una ragazza semplice e romantica che verso i 7 anni inizia a scrivere i primi racconti, le prime poesie. Suo nonno, Pasquale
Gallifuoco, noto poeta e scrittore napoletano le ha tramandato questa forte passione, le ha insegnato a parlare col cuore. Quelle parole, lei non sapeva dirle e allora le raccontava con la penna.

Per la prima volta ha voluto scrivere una storia d’amore impossibile che ha vissuto tanto tempo fa, è bastato ricordare quegli attimi che tutte le sensazioni e le emozioni, che da tempo aveva sepolto, sono riaffiorate con vigore.
LinguaItaliano
Data di uscita4 nov 2020
ISBN9791220215954
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    Anteprima del libro

    Fino all’Ultimo Respiro - Annabella Artimisio

    Annabella

    CAPITOLO I

    "Quando i sogni

    rapiscono la tua anima

    trascinandola verso il vento

    fatti soffiare

    fino all’infinito!"

    Un giorno qualunque, sdraiata sul divano di casa accesi la televisione e improvvisamente apparve un volto sullo schermo che mi affascinò a tal punto da non farmi scollare dalla tv. Era una nuova serie televisiva.

    Da quel preciso istante mi sentii la protagonista di quel film.

    Mi balenò per la testa lo scorrere della vita e il tempo che passava inesorabile. Mi accorsi stupefatta che avevo paura. Ma di cosa? Il timore di continuare.

    Sentii quel bisogno imminente di dover cambiare, di dover ritrovare la donna che c’era dentro di me e che per troppo tempo si era abituata a guardare la sua vita come spettatrice seguendo le regole che la società impone, lasciando così da parte i propri sogni, e tutti quei castelli fantastici che la mente è in grado di far fiorire.

    Ora era arrivato quel tempo per me, e volevo sognare in grande, avrei dovuto trovare il coraggio di vivere nel mio sogno.

    Ammiravo quell’attore come fosse il mio grande amore. I suoi sguardi e le sue parole erano la musica che avrei sempre voluto ascoltare.

    Giorno per giorno mi informavo su quel personaggio, e non solo: anche la sua vita privata mi affascinava moltissimo.

    La sua bellezza offuscava i miei occhi e il mio pensiero volava sempre da lui. Mi ero appassionata così tanto che divenne l’uomo dei miei sogni, ciò che avevo sempre voluto.

    Quel sorriso e quello sguardo mi riempivano l’anima e mi invaghii così tanto che decisi di volerlo conoscere: il mio sogno doveva diventare realtà, non potevo soffocare le forti emozioni che provavo e che mi davano una gioia infinita, come fossi ritornata a vivere dopo tanto tempo e questo sogno mi rendeva libera. Dovevo lottare per raggiungerlo.

    Iniziò così il mio viaggio fantastico.

    Cominciai a seguire tutti i suoi film, interagivo sui social per sapere ogni cosa che faceva il mio attore, cercavo i suoi hobby, i suoi piatti preferiti e i suoi gusti musicali.

    Insomma tutto quello che riuscivo a trovare su Jek (questo era il suo nome sia nel film che nella realtà). Dovevo solo trovare il modo per poterlo incontrare e mi dissi: «Nulla è impossibile se lo vuoi davvero». E io lo volevo… Oh se lo volevo.

    Decisi di partire per Istanbul, che è la città dove viveva Jek, ma non volevo andarci da sola. Proposi così a mia sorella Anita di venire con me e lei mi disse che sarebbe stata molto felice di accompagnarmi e che aveva sempre voluto visitare Istanbul.

    L’indomani mi recai in agenzia e acquistai due biglietti solo andata; saremmo ritornate appena finito il budget che ci eravamo prefissate. Cercammo un albergo in centro in modo che potevamo spostarci con comodità, e soprattutto organizzai bene il mio lavoro per far sì che non avessi problemi al mio ritorno. Anita e io abbiamo un locale ad Alassio e mio padre si era offerto di aiutarci a gestirlo insieme a un paio di dipendenti fidati.

    Il primo passo da fare era quello di acquistare nuovi abiti: comprammo l’impossibile. Volevo essere perfetta per il mio Jek, il mio sogno doveva essere unico in tutte le sue forme.

    Arrivò il giorno della partenza, era il 22 aprile e alle 7.00 prendemmo il treno per Genova e da lì il volo per Istanbul.

    Verso le 20.00 arrivammo a destinazione. Il cuore batteva a mille: ero nella città del mio amato Jek. Camminavo sulla strada dove camminava lui e ogni passo che facevo mi portava verso il mio eroe: ero entrata nel mio sogno e la cosa bella era che mia sorella mi capiva e mi sosteneva, faceva di tutto per rendermi felice, era la mia forza, la mia complice il mio sostegno.

    Prendemmo un taxi e ci facemmo accompagnare in albergo. La nostra stanza era al tredicesimo piano ed era la numero diciassette, che poi erano i miei numeri fortunati. Sicuramente era un segno. Anita non ci poteva credere e le dissi: «Hai visto, cara, sta iniziando tutto a meraviglia».

    Sorridendo ci affacciammo alla terrazza della camera: c’era una vista mozzafiato, riuscivamo a vedere la stessa torre che avevamo visto nel film, solo che era dal vivo.

    Dopo aver respirato quell’incanto, ci preparammo e domandammo di prenotare un tavolo al Lucca Style, un locale molto rinomato per i suoi piatti tipici e frequentato da intenditori di buona cucina e non solo: anche i più famosi dj della piazza venivano in quel posto, e cosa più importante, era frequentato dal mio Jek.

    Indossai un jeans, la camicia bianca e un paio di sneakers, mi raccolsi i capelli, misi il mio rossetto rosso e insieme ad Anita ci avviammo verso la nostra avventura.

    Mentre camminavamo sentivo profumi intensi; c’erano dei colori così belli che sembrava essere in un quadro di Van Gogh. Arrivate davanti al Lucca il cuore batteva all’impazzata e le gambe mi tremavano dall’emozione.

    All’ingresso c’era molta gente, ci sentivamo un po’ spaesate mentre cercavamo di entrare. Alla porta trovammo un ragazzo alto con la barba e codino. No, non era Jek, ma il direttore del locale che aspettava alcuni ospiti. Si presentò e poi ci chiese se poteva accompagnarci al tavolo e così lo seguimmo.

    Rimasi abbagliata da quell’atmosfera magica di luci soffuse, ombre con effetti stellari, e come sottofondo una musica soft che faceva da colonna sonora agli ospiti. In quel breve tragitto immaginavo il mio re che da lontano mi guardava e mi sorrideva avvicinandosi piano piano a me, quando ad un tratto Anita mi chiamò e all’improvviso tornai alla realtà.

    Ci sedemmo al tavolo e Faruk, così si chiamava il direttore, ci disse di accomodarci e di ordinare quello che desideravamo e che saremmo state sue ospiti. Un cameriere nel frattempo ci portò una bottiglia di champagne riempiendoci i bicchieri, per poi poggiare la bottiglia sul tavolo proponendoci alcuni piatti tipici da ordinare; noi facemmo fare a lui chiedendogli che non ci fosse stato nulla di piccante nelle pietanze proposteci perché a me non piaceva quel tipo di gusto.

    Dopo un po’ tornò Faruk e ci chiese se poteva sedersi con noi. Si accomodò al tavolo e iniziò a raccontarci il suo viaggio in Italia: appena laureato decise di visitare Napoli, Roma e Firenze e ci disse che ci sarebbe ritornato volentieri. Così gli dissi che quando voleva sarebbe stato nostro ospite e gli raccontammo un po’ di noi, ma io non vedevo l’ora di chiedergli del mio Jek, così mi feci coraggio e mi buttai dicendo: «Ma Jek come mai stasera non c’è? Dicono che viene sempre.»

    Faruk disse che veniva quasi tutte le sere, ma il martedì non lo vedeva quasi mai; qui fuori ci sono sempre una miriade di fan che lo attendono, e lui si presta volentieri, infatti dice sempre che tutto il suo successo è dovuto solo a loro.

    Gli risposi che sarei venuta tutte le sere fino a che non l’avessi incontrato! E lui rispose: «Sei proprio fortunata perché Jek è un mio grande amico già dai tempi della scuola».

    Era musica per le mie orecchie, non potevo credere che lo avrei conosciuto davvero: si aprì la porta della mia felicità. Lo ringraziai infinitamente mentre spiluzzicavo un po’ del cibo che era in tavola. Nel frattempo si avvicinò un suo amico per salutarlo e Anita gli chiese di accomodarsi con noi. Lui si presentò. «Piacere» disse «sono Emre.» Quando capì che eravamo italiane ci rispose nella stessa lingua.

    Anita continuava a fissarlo con un sorriso a settantadue denti, non l’avevo mai vista così socievole con uno sconosciuto. Emre le chiese di ballare e lei senza esitare si alzò e andò in pista.

    Faruk ci domandò se volessimo visitare la città con lui l’indomani, visto che fino alle 18.00 non rientrava al lavoro, e propose anche a Emre di venire. Lui accettò dicendo che avrebbe spostato i suoi impegni.

    Notai che gli occhi di Anita brillavano e anche loro si erano detti la stessa cosa mentre ballavano!

    «Così visiteremo tutti insieme la città» dissi, e aggiunsi:

    «Solo a patto che la sera si torni al Lucca Style per conoscere Jek».

    Si misero tutti a ridere e Faruk annuì. «Certo che si.»

    Si fece tardi, così gli chiedemmo di chiamarci un taxi per tornare in albergo, ma Emre si propose di portarci lui. Faruk ci accompagnò fino all’ingresso quando, sbadatamente, mi scontrai con un uomo facendo cadere la borsetta con tutto il suo contenuto. Ero seccata per l’accaduto e mentre mi chinavo per raccogliere le mie cose sentii una voce che diceva: «Pardon». L’uomo mi aiutò ad alzarmi, incrociai i suoi occhi neri nei quali riuscivo a specchiarmi, lo guardai intensamente senza spiccicare parola. Il mio respiro era lento e il suo sguardo mi trapassava il cuore: era lui.

    Era il mio Jek.

    Faruk e Emre lo abbracciarono e dissero due parole in turco mentre io continuavo a fissarlo e, senza aprire bocca, presi la mia borsa e scappai in macchina voltandomi per guardarlo ancora. Lui era lì, immobile col suo sorriso e continuava a guardare.

    Nel tragitto aprii il finestrino per riuscire a prendere un po’ d’aria.

    Sentivo ancora i suoi occhi su di me, il suo sguardo aveva centrato il mio cuore, mi sono sentita toccare l’anima e, percependo una sensazione strana, sentivo che era così. Emre e Anita erano scioccati nel vedere la mia reazione e mi chiesero se stavo bene.

    Ero così estasiata e agitata che non riuscivo a descrivere quelle cose strane che provavo, pensavo solo all’istante che lo avevo visto e al fatto che non avevo spiccicato parola.

    Mi ammutolii, mi tremavano le gambe, pensavo di svenire, mentre invece avrei voluto accarezzargli il volto e seguire tutto il suo profilo, e pian piano mi sarei avvicinata alle sue labbra accarezzandole con le mie… Solo questo desideravo.

    Quel suo sorriso impresso nei miei occhi aveva stravolto tutto di me. Provai a descrivere l’emozione e forse Anita l’aveva capita, lei sapeva quello che avevo nel cuore.

    Arrivammo in albergo, salutammo Emre e andammo a dormire. Non feci altro che rigirarmi nel letto, fino ad addormentarmi col sorriso del mio principe impresso nella mia mente.

    Il mattino seguente Faruk e Emre passarono a prenderci. Rimasi un po’ sorpresa dall’educazione e il rispetto che portavano, erano proprio bravi ragazzi.

    Ci portarono al Poika Coffee, un bar dove c’erano esposti tutti i dolci tipici del luogo. Avevamo l’imbarazzo della scelta, e davanti a un caffè profumatissimo iniziammo a programmare il nostro itinerario.

    Il primo luogo che visitammo fu la Moschea Blu: uno spettacolo!

    Dissero che era uno dei monumenti più conosciuto di Istanbul. Rimasi affascinata dal gioco di colori che facevano le cupole, sembrava un posto magico. Anita ed Emre entrarono dentro per fotografare quel tempio bellissimo, io e Faruk aspettammo fuori facendoci una miriade di foto.

    Faruk ad un tratto mi guardò un po’ di sottecchi e mi disse: «Sai, a me piaci molto, però devo dirti una cosa… Jek ieri ha chiesto di te. Voleva sapere se eri una mia amica, e io gli ho detto di sì e che domani avremmo fatto un giro turistico per Istanbul. Infine mi ha chiesto se stasera saresti ritornata al Lucca Style».

    «Smettila» gli dissi, «Dài, non prenderti gioco di me, lo sai che sono pazza di lui… Non scherzare.» Ma lui insistette. Disse che potevo non crederci, ma quello che aveva detto era tutto vero; Pensai che allora Jek si era accorto di me, e quello sguardo così intenso c’era stato davvero!

    Saltai al collo di Faruk ringraziandolo mille volte; nel frattempo arrivarono Anita ed Emre, che curiosi ci chiesero cosa fosse successo. Subito raccontai quello che mi aveva detto Faruk e Anita mi guardò dicendo: «Non avevo dubbi che ti avesse notato, sono così felice per te! Allora stasera tutti al Lucca». Mi uscì un urlo di gioia da far girare mezza Istanbul.

    Poi il panico: cosa mi metto, cosa dirò, cosa farò. Insomma mille paure. Allora iniziai a respirare profondamente, riabbracciai Faruk ringraziandolo ancora e mi raccomandai che stesse con noi tutta la sera perché avevo bisogno di lui per poter interagire e mi disse: «Tranquilla, Emily. Passeremo tutti insieme una splendida serata e sarà quel che sarà». Mi dette un pizzicotto sul viso e poi andammo a prendere un buon tè sulla passeggiata che costeggiava il mare, ma la mia testa era da Jek.

    Non vedevo l’ora di tornare in albergo per prepararmi al grande momento, che avevo tanto atteso, tanto voluto e tanto sognato: era lui il mio re, dovevo solo conquistarlo e condurlo nei miei sogni più segreti.

    Faruk scappò al lavoro ed Emre ci accompagnò in hotel. Avevamo solo due ore per prepararci. Volevo essere perfetta.

    L’ansia mi assaliva. Pensavo e pensavo cose del tipo: e se non fosse come l’ho sognato? E se mi deludesse? E se non mi considerasse per niente?

    Mille domande, Anita non ne poteva più.

    «Andiamo» disse, «e preparati a questa meravigliosa occasione che ti è stata donata e vivitene tutto il bello che può offriti.»

    «Sì, hai ragione» risposi. Allora indossai un tubino nero con la collana di perle che mi aveva regalato mia madre e, con un look un po’ anni Settanta, che a me piaceva tanto, ci avviamo verso la nostra avventura.

    Avevo bisogno di camminare e così proposi ad Anita di avviarci a piedi. Dovevo scaricare un po’ di adrenalina e respirare aria fresca. Mi assecondò e partimmo.

    Ero sempre più folgorata dall’incanto di Istanbul.

    Emre ci aspettava all’ingresso, noi facemmo un po’ tardi. Ero agitatissima.

    Andammo al tavolo e, poiché Faruk aveva da fare per un po’, iniziammo a ordinare alcuni piatti sfiziosi, ma io avevo lo stomaco chiuso e non riuscivo a mangiare nulla: pensavo solo al momento in cui sarebbe arrivato Jek.

    Mi guardavo intorno, i miei occhi erano sempre puntati all’ingresso. Ordinai da bere, volevo rilassarmi un po’,

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