A come ateotelica
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Anteprima del libro
A come ateotelica - Carla Corsetti
TEMPESTA LAICA
A come ateotelica
di Carla Corsetti
© 2014/2020 Carla Corsetti
© 2014/2020 Tempesta Editore
I edizione cartacea 10 marzo 2014
collana Tempesta Laica
ISBN cartaceo 9788897309512
Tempesta Editore
via Nicola Catena, 11 - 00069 Trevignano Romano RM
www.tempestaeditore.it
info@tempestaeditore.it
cell. 3401415842
Carla Corsetti
A come ATEOTELICA
Prefazione di Natalino Balasso
Fra le tante distruzioni di cui il passaggio della pestilenza fascista è responsabile,
si dovrà annoverare anche quella,
non riparabile in pochi anni,
del senso della legalità.
Per vent’anni il fascismo ha educato i cittadini proprio a disprezzare le leggi,
a far di tutto per frodarle e per irriderle nell’ombra.
Piero Calamandrei
RINGRAZIAMENTI
Resta per tutti,
credenti e non credenti,
il dovere morale,
in qualità di esseri pensanti,
di contrastare la gestione del sacro
che usa il bisogno per costruire il potere.
Ed è un potere che si dipinge
contornandosi delle scenografie scintillanti della potenza,
che paralizza il pensiero a lungo termine,
lo blocca nel presente,
un presente rassicurante di chi non indaga,
non chiede,
non critica,
non dubita.
È il potere che celebra la più incondizionata sottomissione.
Chi non lo contrasta,
pur riconoscendolo nella sua devianza,
ma lo compiace nella spettacolarizzazione del dialogo,
è maggiormente responsabile,
se non complice.
Carla Corsetti
Scrivere e condividere ciò che si scrive presuppone che altri abbiano contribuito in qualche misura, anche inconsapevolmente o impercettibilmente, a che ciò sia stato possibile, atteso che le azioni di un individuo sono la risultante delle azioni di altri individui.
Se penso a coloro che devo ringraziare per avermi amata, stimata, sopportata, ma anche coloro che non mi hanno amata, né stimata né sopportata, dovrei elencare quasi tutte le persone che ho conosciuto.
Se devo invece ringraziare coloro che io amo, stimo e talvolta sopporto, l’elenco sarebbe più breve, ma correrei comunque il rischio di dimenticare qualcuno. E allora ringrazio tutti e, chiunque mi ha incontrata, sa che potrà riconoscersi nei miei ringraziamenti perché il tempo condiviso, anche se breve, ha contribuito, nella conoscenza, che io fossi ciò che sono.
Carla Corsetti nasce a Roma nel 1962. Ha conseguito la maturità classica e si è laureata in Giurisprudenza. Ha accompagnato gli studi universitari con un assiduo tirocinio nello studio legale del padre. Esercita la professione di avvocato. È sposata e madre di due figli. Si è sempre occupata di politica e ha ricoperto il ruolo di consigliere comunale nel 1993 in una lista civica di centro-sinistra.
Nel 2009 ha fondato Democrazia Atea e attualmente ne è la Segretaria nazionale. Democrazia Atea ha aderito a Potere al Popolo e la Corsetti è membro del Coordinamento nazionale.
Si dichiara atea dalla nascita e ritiene che essere anticlericali sia un dovere morale.
PREFAZIONE
di Natalino Balasso
Non si può non sostenere la lettura di questo testo, per la lucidità con cui sono espressi i paradossi delle nostre culture nazionali non laiche e spesso malintenzionate. Ciò non significa condividerne necessariamente i contenuti, ma bisogna essere fessi per pensare che due persone sulla Terra la pensino allo stesso modo su ogni cosa.
Su molti dei temi proposti dalla Corsetti potrei non essere d’accordo, ma su tutti e sottolineo tutti i capitoli del libro trovo spunti di riflessione così crudelmente lucidi che mi spingono ad aderire a questo testo, a farne spunto, a rimettere in discussione le mie opinioni, che è ciò a cui dovrebbero servire le opinioni se non vogliamo diventino dogmi.
Al di là di ciò che ognuno potrebbe pensare di divinità come Allàh, Dio o i Soldi, il succo dei ragionamenti in cui l’autrice ci conduce pazientemente per mano in ognuna delle stanze del suo pensiero risiede nell’essenza dell’Uomo, in ciò che chiamiamo invano umanità. Pare disincanto il suo, pare quasi la pessimistica resa alla possibilità di una crescita individuale e sociale; e invece è il contrario: è la disperata passione per il pensiero, per la Giustizia, per l’affrancamento dai vincoli di selvaggia brutalità che ancora ci tengono legati, come trogloditi con lo smartphone, alle finte passioni create ad arte dal business dell’infotainment.
Ci sono due possibili reazioni alla lettura di questo testo, che oltretutto sopperisce in alcuni capitoli all’assenza d’informazione di quelle fanzine dell’ovvio che chiamiamo giornali: la prima reazione potrebbe essere quella di fare la conta di ciò che ci trova d’accordo e di ciò che non ci trova d’accordo; la seconda, più meditata, può essere quella di capire che questo libro non si rivolge a me come a un osservatore neutro o neutrale, ma parla proprio di me, di ciò in cui Polverini o Fiorito o Grillo o Bergoglio od Obama mi somigliano, in quali servomeccanismi mal funzionanti di pensiero sia facile incappare quando si escludono i contenuti e ci si butta ad adorare o a disprezzare le persone e i personalismi. Anche se il termine ateotelica proposto dall’autrice non diverrà mai di uso comune perché troppo simile a una specie di malattia non ben definita, è il ragionamento attorno agli steccati culturali e ideologici di cui ci circondiamo che mi interessa e che, penso, dovrebbe interessare tutti. Anche se viene la tentazione di farlo, non leggete questo libro tutto d’un fiato, trattenete i pensieri e lasciate sedimentare i capitoli, fa bene alla salute.
Natalino Balasso: "Sono un essere pensante abbastanza contemporaneo. [...] Per campare faccio l'attore soprattutto in teatro, ma anche nel cinema e in televisione. Qualche volta faccio ridere. Scrivo libri di narrativa, meno di quanti vorrei scriverne. Ritengo che il Ministero per la Semplificazione dovrebbe cominciare tagliando sé stesso. In una lingua sanscrita di 4000 anni fa la parola stelle si diceva staras, oggi gli americani dicono stars; credo che negli ultimi 4000 anni non abbiamo detto niente di nuovo sotto le stelle" (dal suo blog).
INTRODUZIONE
dell’Autore
Non è trascorso molto tempo dall’uscita di A come atea. Una seconda edizione con qualche rivisitazione non dava soddisfazione a una serie di riflessioni accantonate in uno spazio di tempo durante il quale non ho smesso di interrogarmi su ciò che ha sollecitato la mia attenzione, in senso critico o deduttivo, ma anche semplicemente analitico o emotivo. Dunque rielaborare le mie riflessioni e sistemarle per un secondo volume
ha dato un senso di continuità a ciò che ho già iniziato e che contribuisce a costruire il senso che io do alla mia esistenza, nella prospettiva che la condivisione sia sempre possibile, a onta di chi ritiene, legittimamente, che sia piuttosto una prospettiva illusoria.
Preoccuparsene non è importante. È invece essenziale mantenere, quale filo conduttore, un criterio di razionalità nella percezione degli eventi e degli accadimenti, unica chiave di lettura che mi dipana le premesse e mi suggerisce un’interpretazione quanto più possibile oggettiva. Lo stile linguistico è questione che si sottrae all’obiettività: piace o non piace, tanto più che il linguaggio è un elemento temporale che in ogni epoca e in ogni contesto sociale e politico è sempre stato strumento di libertà, purché si abbia a mente che il Libero Pensiero, cui il linguaggio accede, debba essere inteso come categoria concettuale, da non confondere con i pensieri in libertà
intesi come espressioni linguistiche prive di estetica e dunque negazione di ogni etica, oltre che prive di valido contenuto. Ogni linguaggio è comunque contestualizzato storicamente, compreso il mio, che esprime i presupposti di un’azione politica in una società in difficoltà.
Ritengo che le crisi economiche non siano avulse dalle crisi politiche, mentre le crisi politiche sono le figlie predilette delle crisi culturali. L’intero Occidente
vive una crisi culturale nella quale il pensiero
è stato soppiantato dal consumo
che sopisce gli intelletti e massifica le sottomissioni.
La riflessione e la condivisione delle idee, il dibattito e la partecipazione sono gli unici rimedi che potranno consentire agli individui di emanciparsi dalla naturale tendenza al servilismo e all’obbedienza. A ognuno dovrebbe essere consentito di elaborare opinioni, forgiandole nel confronto e nel contraddittorio. Queste sono le mie.
A come
ATEOTELIC*
Ogni Stato deve annoverare tra i suoi doveri primari quello di consentire a ogni individuo l’espressione del suo pensiero, sia esso inserito nella cornice della credenza o inserito in quella della non credenza.
La tutela della condizione personale del pensiero è un diritto primario irrinunciabile. Tuttavia, individuare questo diritto umano e le modalità per tutelarlo non è ancora sufficiente.
È necessario far sì che il piano personale e individuale resti circoscritto nella sfera privata e che in nessun caso possa debordare nella sfera pubblica, la quale necessita piuttosto della condivisione delle differenze. Dunque il diritto di credere e il diritto di non credere devono tenere conto del piano politico. Occorre andare oltre.
Noi tutti abbiamo bisogno di definizioni per dare comunicazione e contorno alle nostre elaborazioni concettuali. La comunicazione è il primo gradino della condivisione e prima ancora della comunicazione c’è la scelta del linguaggio, quello già noto, quello già conosciuto, quello che uniforma le strade dei nostri percorsi cerebrali. Ma spesso non c’è identità nei percorsi e non c’è identità nei linguaggi e talvolta le strade cambiano direzione e si avventurano in esplorazioni comunicative inedite.
Nuovi termini aprono gli spazi a nuove ipotesi di qualificazione, magari già esistenti nella concettualizzazione, ma non ancora completati nella dinamica della comunicazione.
Alcuni condividono l’ateismo e condividono l’idea che con i percorsi della trascendenza, sia opportuno o arricchente scambiare discussioni, nella convinzione che gli uni possano trarre utilità speculativa dal confronto con gli altri, ma anche nella più o meno segreta aspettativa di mutare i convincimenti altrui.
Altri invece, condividono l’ateismo, ma dissentono dall’idea che con la trascendenza sia percorribile una qualche forma di scambio, non per supponenza ma per assenza di stimoli.
Un nuovo termine può definirli: ateotelici, ovvero coloro che dal dibattito pubblico sulla divinità escludono qualunque ipotesi di interesse. Ciò non toglie che ciascuno