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Aspenia n. 92
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E-book394 pagine5 ore

Aspenia n. 92

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Stati Uniti e Cina: una nuova guerra fredda? A differenza dell'Unione Sovietica, la Cina di oggi è fortemente integrata nel sistema economico globale, dove esercita un peso quanto mai rilevante. La competizione sino-americana resta parzialmente asimmetrica. Gli Stati Uniti - che hanno ancora un vantaggio relativo - per mantenerlo devono riprendersi all'interno e rafforzare all’esterno l’alleanza con le democrazie europee e asiatiche. In realtà più che di guerra si può parlare di una "pace fredda". Uno scenario possibile - frutto della gara in corso per il predominio tecnologico - potrebbe essere la creazione di una "sfera tecnoautoritaria" dominata dalla Cina, in opposizione a una sfera liberale dominata da standard occidentali. Tecnoautoritarismo versus tecnodemocrazia. L'esito della competizione estrema, dopo lo spartiacque del Covid, potrebbe essere questo, senza un vincitore globale.
Intorno a questi temi strategici ruota il numero 92 di Aspenia che contiene articoli di Minxin Pei, Daniel H. Rosen, Parag Khanna, Paul Taylor, Andrew Spannaus, Massimo Gaggi, John C. Hulsman, Eric B. Schnurer, Mario Del Pero, David Livingston, Carlo Alberto Carnevale Maffè e Franco Bernabè. La questione Cina sarà il vero punto critico nei rapporti transatlantici, facendo emergere la delicatezza dei "confini" fra autonomia europea e partnership con gli Stati Uniti. Dal punto di vista di Bruxelles la gestione del problema andrà affrontata in chiave multilaterale e soprattutto attraverso una riforma del WTO. Per Washington, lo schema concettuale è in parte diverso: alleanza delle democrazie sotto la leadership americana e "power competition" con Pechino. In Italia Mario Draghi tenterà di combinare le preoccupazioni economiche europee per il mercato cinese e la consapevolezza delle preoccupazioni di sicurezza americane. E tenterà di utilizzare il G20, che l'Italia presiede nel 2021, per affrontare le questioni globali che interessano sia la Cina che gli Stati Uniti. Nella sua visione, il coordinamento fra le democrazie occidentali deve servire essenzialmente a questo, a rendere efficiente quello che oggi efficiente non è: la capacità di governo dei rischi globali.

LinguaItaliano
Data di uscita7 giu 2021
ISBN9788871875965
Aspenia n. 92

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    Aspenia n. 92 - Aa.vv.

    CHINA WATCH

    COVID VS CRESCITA

    La Cina ha superato la pandemia pagando un prezzo, in termini economici, abbastanza modesto. La crescita è ripresa grazie ad alcuni fattori trainanti, ma restano vari squilibri e nodi irrisolti, come il divario tecnologico con gli Stati Uniti nei semiconduttori. Il cammino verso le grandi celebrazioni del 2049 non sarà una passeggiata.

    Per la Cina, e non solo ovviamente, il 2020 è stato un anno straordinario. Ma mentre le economie occidentali hanno sofferto profondamente in primavera e ora si dibattono nelle conseguenze della seconda ondata della pandemia, nel primo paese in cui il virus si è manifestato e diffuso velocemente, rendendo necessario introdurre restrizioni alla mobilità, il Covid-19 è stato quasi debellato.

    Se gli altri cercano di capire come lenire le ferite della crisi e rilanciare il tessuto produttivo, nella seconda economia al mondo la crescita del PIL, sia pure in calo, ha sfiorato il 2% nel 2020 e dovrebbe accelerare vigorosamente quest’anno. Mentre l’Unione Europea e il Regno Unito litigavano sui diritti di pesca e gli Stati Uniti di Trump bloccavano la nomina del direttore generale dell’Organizzazione mondiale del Commercio (WTO), la Cina firmava un ambizioso accordo per aprire (con cautela) i mercati dell’Asia-Pacifico e si ergeva a paladina del multilateralismo, accumulando gli incarichi apicali nelle agenzie specializzate dell’ONU.

    Figura 1 • Crescita trimestrale del PIL

    Figura 1 • Crescita trimestrale del PIL

    Fonte: OCSE

    Figura 2 • Dirigenti nelle agenzie ONU

    Figura 2 • Dirigenti nelle agenzie ONU

    Fonte: ONU

    I FATTORI DELLA RIPRESA CINESE. Lo shock del lockdown, simultaneo su domanda e offerta, è costato anche nell’Impero di mezzo una contrazione significativa del PIL nel primo trimestre del 2020, ma già in primavera erano manifesti i segnali della ripresa. Se inizialmente sono stati decisivi gli stimoli sul fronte degli investimenti pubblici, ancorché modesti rispetto a episodi precedenti di rallentamento della crescita, negli ultimi mesi del 2020 a fare la parte del leone è stato il consumatore cinese, almeno a guardare le vendite del Singles’ Day (una specie di Black Friday) o le immatricolazioni di BMW. Una figura spesso evocata come salvifica, in teoria capace di riequilibrare l’economia verso un modello meno mercantilista e più edonista; in pratica impervio alle istruzioni governative, restio a mettere mano al portafoglio e testardo nell’accumulare risparmi fino a quando non si consolidi la protezione sociale. Tant’è che la composizione della domanda aggregata è cambiata solo marginalmente nel decennio post-crisi finanziaria.

    Figura 3 • Composizione PIL cinese

    Figura 3 • Composizione PIL cinese

    Fonte: Banca mondiale.

    Va aggiunto che nel 2020 l’export ha continuato a crescere, malgrado lo sconquasso delle economie sviluppate, le tensioni commerciali con Washington, la volontà dell’amministrazione Trump di ridurre la sinodipendenza delle catene globali di produzione e quella cinese di promuovere la dual circulation strategy enunciata in maggio al Politburo, rivolta a rinvigorire la circolazione interna, cioè la domanda domestica. In primo piano soprattutto i servizi, la cui partecipazione al PIL è considerevolmente aumentata nell’ultimo decennio e continuerà a farlo sulla scorta del successo di società ormai note anche fuori dalla Cina come TikTok e Alibaba, WeChat e Baidu.

    Figura 4 • Composizione settoriale del PIL cinese

    Figura 4 • Composizione settoriale del PIL cinese

    Fonte: OCSE.

    Figura 5 • Spesa lorda in ricerca e sviluppo

    Figura 5 • Spesa lorda in ricerca e sviluppo

    Fonte: OCSE.

    L’anno è stato anche contrassegnato da una serie di buone notizie sul fronte della tecnologia e dell’innovazione: dal computer quantico la cui performance è incommensurabilmente superiore al più potente supercomputer tradizionale, alla Wuling Hong Guang Mini, la vettura elettrica che sul mercato domestico ha superato la Tesla Model 3, passando per la missione sulla Luna del Chang’e 5. È la ricompensa per l’immane sforzo compiuto negli ultimi vent’anni, nei quali la Cina ha via via superato Giappone e Unione Europea per ritrovarsi ormai a ridosso degli Stati Uniti nella classifica della spesa in ricerca e sviluppo.

    Figura 6 • Utenti mensili delle principali piattaforme online cinesi

    Figura 6 • Utenti mensili delle principali piattaforme online cinesi

    Fonte: Statista.com.

    GLI SQUILIBRI IRRISOLTI. Cambiamenti strutturali e permanenti? Altri indicatori suggeriscono che l’economia cinese - protagonista negli ultimi quattro decenni di un salto senza equivalenti nella storia, ma alle prese ora con l’invecchiamento della popolazione (nei prossimi trent’anni gli ultra-65enni raddoppieranno a 400 milioni) – deve tuttora misurarsi con vari squilibri. La vulnerabilità più visibile negli ultimi mesi è l’esposizione finanziaria di molte imprese pubbliche e delle banche che le hanno sostenute. La difficoltà nel contenere il debito (335% del PIL a metà 2020, da 302% a fine 2019) impone di inculcare disciplina di mercato. Al contempo però il ruolo delle imprese private, o quantomeno la loro autonomia, tende a diminuire: lo stop imposto all’IPO di Ant, il gigante della fintech nato come costola di Alibaba, si spiega con il timore che un capitano d’industria carismatico come Jack Ma insista nelle critiche alle scelte della leadership.

    Figura 7 • Popolazione cinese al di sotto della soglia di povertà

    Figura 7 • Popolazione cinese al di sotto della soglia di povertà

    Nota: soglia di povertà = $1,90 (PPP 2011).

    Fonte: Banca mondiale.

    Certamente le cifre ufficiali sono assai lusinghiere sul fronte della riduzione della povertà, ma lo stesso premier Li Keqiang ha riconosciuto che il modello attuale di sviluppo ha lasciato oltre il 40% della popolazione con un reddito che non eccede i 150 euro al mese. Partito e governo, con il pragmatismo che li caratterizza da quasi mezzo secolo, si permettono di sperimentare varie alternative, piuttosto che puntare tutto su una sola ricetta dogmatica.

    Si pensi in particolare alla proiezione economica internazionale. Non mancano i segnali di apertura: la banca centrale ha ulteriormente favorito l’accesso degli investitori esteri al debito sovrano in renminbi, nella speranza che si allarghi la sua adozione come valuta di riserva, e Goldman Sachs e JP Morgan hanno potuto arrivare al 100% nelle joint ventures con cui operano in Cina. E probabilmente non potrebbe essere altrimenti, visto che la Cina nel 2020 ha finalmente conquistato l’ambito titolo di prima destinazione mondiale di investimenti internazionali, oltre a essere diventata un’importante fonte di capitali.

    Figura 8 • Investimenti internazionali in Cina e della Cina

    Figura 8 • Investimenti internazionali in Cina e della Cina

    Fonte: UNCTAD.

    In compenso, il contenzioso sempre più aspro che oppone Pechino e Canberra, dopo il lancio di un’inchiesta sulle origini del Covid-19, mostra il bullismo di cui è capace Xi Jinping. E per quanto riguarda i rapporti con la Corea del Sud, a fine anno sono state nuovamente autorizzate le vendite dei videogame coreani, ma ci sono voluti quattro anni per cancellare l’embargo imposto per punire Seul, colpevole di ospitare un sistema di difesa missilistica americano. Australia e Corea del Sud sono due dei 22 paesi per il cui export la Cina è il principale mercato – erano appena sei nel 2006.

    UN PERCORSO A OSTACOLI VERSO IL 2049. Quali eredità per il 2021, il primo anno del XIV Piano quinquennale, ma anche quali indicazioni per il lungo e complesso percorso che dovrebbe condurre alla prosperità entro il 2049, centesimo anniversario della Cina comunista? L’Impero di Mezzo resta un universo non solo complesso ma anche contradditorio. Da un lato la crisi conforta la nomenklatura, convinta che il capitalismo di Stato sia la miglior forma per gestire le tante incertezze della trasformazione. Dall’altro, nel 2020 sono venuti al pettine i nodi creati dalla scelta di Xi di allontanarsi dal celebre precetto di Deng Xiaoping: nascondi la tua forza, aspetta il momento giusto.

    La Belt and Road Initiative, il progetto del secolo, sembra perdere smalto, mentre le sanzioni americane a Huawei mettono a nudo il divario tecnologico nei semiconduttori, che rallenta la rincorsa di Pechino verso l’ambito sorpasso degli Stati Uniti come la più grande economia mondiale. Mettere in pratica il pensiero di Xi, ormai pietra miliare del socialismo con caratteristiche cinesi, richiederà sforzi senza precedenti.

    Aspenia n. 92 - La pace fredda

    Questa edizione del Watch è stata curata da Andrea Goldstein, responsabile del desk India/Indonesia al dipartimento economico dell’OCSE, e da Filippo Goldstein, studente al BESS della Bocconi.

    Atlanticus

    Mario Draghi: quando il leader pesa più del paese

    Il neopresidente del Consiglio italiano beneficia di un’ottima reputazione internazionale e di contatti consolidati nel mondo economico-finanziario, ma non solo. Il contesto globale limita comunque lo spazio di manovra del paese, sia in Europa che in chiave transatlantica. Il problema Cina sarà decisivo, a cavallo tra scelte economiche e strategiche, come anche l’intero approccio alla cybersicurezza. Il rapporto con Washington potrà comunque essere un asse portante per l’azione del governo.

    Il filo-atlantismo di Mario Draghi può essere analizzato attraverso i suoi anni alla Banca centrale europea, raccontati da Jana Randow e Alessandro Speciale ¹. Janet Yellen, nuova segretaria al Tesoro dell’amministrazione Biden e presidente della Federal Reserve dal 2014 al 2018, affida agli autori alcune interessanti confidenze. Per esempio, Yellen riconosce a Draghi una rara combinazione di competenza, comprensione del mercato e immenso talento diplomatico. Ricorda inoltre che il whatever it takes ha spronato gli stessi policy-makers degli Stati Uniti a pensare a modi migliori di fare le cose, ispirando il terzo piano di quantitative easing.

    IL LEGAME CON GLI STATI UNITI. Quello di Yellen è solo uno degli esempi che testimonia la solidità del rapporto di Mario Draghi con gli Stati Uniti. Una costante delle esperienze accademiche (a partire dal dottorato al MIT) e da civil servant, che lo pongono in contatto con le principali personalità statunitensi in ambiti economico e finanziario. Negli anni di Draghi alla Banca centrale europea, lo scambio tra le banche centrali si affianca alle discussioni di ricerca che sfociano nel posizionamento politico sui principali eventi globali: basti pensare agli incontri di Jackson Hole e alle riflessioni sulle tendenze protezionistiche dell’economia mondiale del 2017.

    Tra le varie memorie dedicate alla crisi economiche precedenti, spicca quella di Tim Geithner², segretario al Tesoro durante il primo mandato di Barack Obama. Geithner esprime, anche nelle sue memorie, la nota irritazione degli Stati Uniti rispetto alle politiche di austerità e all’incartamento del negoziato europeo e della crisi dei debiti sovrani, nella stagione in cui l’Europa aveva fallito nel persuadere il mondo che non avrebbe permesso una catastrofe. Il 2012 europeo preoccupa profondamente Geithner, che ha parole dure: ogni volta che i leader europei annunciano nuove misure per controllare la crisi – scrive Geithner – accompagnano ai messaggi una execution carente, condizioni troppo gravose e una retorica sull’azzardo morale che mette in luce capacità e volontà limitate di aiutare i propri vicini. E, di conseguenza, la debolezza dell’impegno sulla moneta unica, e la sua fragilità. È in questo scenario, e all’interno di questi giudizi di mercato pragmatici e duri, spesso poco compresi dai leader europei nonché da alcuni dibattiti economici, che Geithner scrive nei seguenti termini a Draghi, incoraggiandolo a usare al massimo i poteri della BCE: Ho paura che l’Europa e il mondo guarderanno ancora a te per un’altra dose di forza creativa e intelligente nella banca centrale.

    In quei passaggi, Geithner riconosce il ruolo centrale – e politico, naturalmente – di Draghi, nell’avanzare una posizione gradita agli Stati Uniti e ai mercati. Una posizione d’altra parte compatibile, ancorché audace, con un nuovo equilibrio tedesco, basato sul sostegno vitale di Angela Merkel nonostante il voto contrario del rappresentante della Bundesbank nel direttivo della BCE. Allo stesso tempo, Geithner rileva che la mossa di Draghi si colloca in ogni caso all’interno di impegni messy and incomplete da parte degli europei, incapaci di accordarsi in tempi brevi su un sistema comune di assicurazione dei depositi, su un programma di ricapitalizzazione del sistema finanziario, per non parlare di politiche fiscali comuni.

    LA FORZA DELLA REPUTAZIONE INTERNAZIONALE, SENZA ILLUSIONI. Questi episodi, che fanno parte della storia recente delle relazioni dell’Italia col mondo, testimoniano una caratteristica evidente di Mario Draghi come leader italiano. Sebbene ogni ruolo di vertice richieda una fase di apprendistato, Draghi non deve imparare da zero. Anzi. Da questo punto di vista, si tratta di una figura diversa rispetto agli altri tecnici, principalmente di stampo accademico, ai quali il contesto pubblico italiano fa sovente riferimento.

    Draghi non ha certo bisogno di accreditarsi nel contesto della politica europea e delle sue città principali (Berlino, Parigi, Bruxelles, Strasburgo, ovviamente Francoforte). Né, tantomeno, dovrà affrontare una prova ambita e temuta da quasi tutti i presidenti del Consiglio italiani che si sono succeduti, almeno in condizioni di mobilità pre-Covid: l’incontro a New York con la comunità finanziaria, con i rappresentanti dei fondi che mettono le loro risorse sul tavolo e, mentre si va avanti per formule di cortesia, si chiedono se l’ennesimo rappresentante italiano sia davvero credibile. Possibile che ascoltiamo sempre parlare di riforme che poi non vengono attuate? In genere, i membri della comunità finanziaria formulano questi giudizi con uno sguardo all’orologio, in attesa che l’incontro di cortesia si concluda. Con Draghi, vedremo certamente un altro copione.

    Draghi rientra nella tipologia dei protagonisti della classe dirigente economica italiana che, in alcune epoche della nostra storia, hanno accompagnato alcune tappe essenziali del rapporto con gli Stati Uniti e dell’integrazione europea: con diversa intensità, possiamo citare Donato Menichella, Raffaele Mattioli, Enrico Cuccia, Guido Carli. Dagli anni Ottanta a oggi, si è compiuto il percorso di Draghi da accademico a grand commis, a statista. È stato già accolto nel novero degli statisti europei con la cerimonia a Francoforte, tutt’altro che esclusivamente formale, alla fine del mandato alla Banca centrale europea, con gli interventi di Angela Merkel, Emmanuel Macron, Christine Lagarde e Sergio Mattarella.

    Aspenia n. 92 - La pace fredda

    Il profilo di Draghi deve dunque essere riconosciuto per quello che è: sul piano della percezione degli attori esterni, la consapevolezza della statura politica di Draghi è già presente. D’altra parte, gli attori esterni, memori del passato recente e consapevoli del contesto attuale, attendono dall’Italia fatti e risultati.

    Bisogna insomma partire da un’iniezione di realismo: non è un uomo solo a garantire dividendi per l’Italia. Non è mai così. Non dobbiamo pensare che improvvisamente, siccome è comparso Draghi, l’Italia acquisti una statura in Europa in grado di trasformare l’asse franco-tedesco in un triangolo. In anni passati, le autoproclamazioni dell’Italia come leader dell’Europa hanno alimentato illusioni. Corrisponde invece all’interesse nazionale un’analisi schietta di debolezze, opportunità e spazi d’azione, nella consapevolezza delle nostre caratteristiche demografiche, economiche, geopolitiche e dello spazio reale in cui si collocano.

    IL PERIMETRO DRAGHI: DOVE È COLLOCATA LA CINA? Il primo dicembre 2020 è cominciata la presidenza italiana del G20. Toccherà al governo Draghi ospitare i leader internazionali a Roma il 30-31 ottobre 2021, a seguito delle varie ministeriali che si terranno da maggio in poi, compatibilmente con l’evoluzione della pandemia. Il 21 maggio è inoltre previsto a Roma il Global Health Summit. In che modo Draghi svolgerà un ruolo in questi appuntamenti internazionali?

    Non bisogna esagerare, attribuendo a Draghi sensibilità specifiche in ogni ambito dello scibile umano e dell’agenda della politica internazionale. Una delle caratteristiche di Draghi è la capacità organizzativa, che ha mostrato già negli anni del Tesoro: inserire nelle organizzazioni competenze dall’esterno, motivare la macchina interna per raggiungere gli obiettivi, scegliere cosa seguire in prima persona e cosa delegare. È ragionevole pensare che, sui temi con cui non ha troppa confidenza, Draghi adotti un metodo simile, visto che la priorità della sua azione di governo sarà la presentazione e la prima fase di attuazione del Piano di Ripresa e Resilienza. Si può pensare che Draghi incida in particolare su due aspetti cruciali: i rapporti con gli Stati Uniti e i rapporti con i maggiori azionisti dell’Unione Europea.

    Sul primo punto, le discussioni politiche italiane sono abituate ad accentuare il ruolo degli Stati Uniti nelle nostre vicende interne. Nel contesto attuale, emerge il tentativo da aruspici di indagare nelle viscere dell’amministrazione Biden per scorgere il posto dell’Italia. Un metodo che pecca di eccessiva attenzione per i rapporti personali e per la cornice, rispetto ai contenuti, visto che viene spesso declinato nei seguenti termini: Cosa farà X, ora che non c’è più Trump?; Ma è vero o no che Y è amico di Biden?. E così via.

    Per un’analisi più matura, oltre ai rapporti personali bisogna considerare il contesto (il posto dell’Italia nella prospettiva di Washington) e, sulla base di esso, valutare le forze in campo, tenendo conto anche dell’evoluzione politica in Francia e soprattutto in Germania, nell’imminenza della fine del lungo cancellierato di Angela Merkel, e in una fase di interrogazione profonda della Germania sul proprio futuro, che Washington guarda senz’altro da vicino. Inoltre, il contesto deve tenere conto della priorità strategica per gli Stati Uniti: la competizione estrema con la Cina, per utilizzare le parole di Joe Biden. Ecco emergere una questione di fondo: dov’è la Cina nel mondo di Draghi? A parte le normali relazioni che caratterizzano il club delle banche centrali e la vicenda della crisi asiatica degli anni Novanta (un tema di grande interesse per i dibattiti tra economisti e policy-makers impegnati nelle istituzioni internazionali), la Cina non gioca un ruolo di primo piano nel suo schema del mondo e nei suoi rapporti.

    Cosa implica questo per l’Italia? Si tratta di un bagno di serietà che sarebbe comunque arrivato, e che viene anticipato, rispetto alle azioni italiane nel rapporto tra Stati Uniti e Cina. Nel corso del tempo, emergerà sempre di più che l’adesione italiana alla Belt and Road Initiative del 2019 è stata un caso di sprovvedutezza, per usare le categorie spiritose di un economista che Draghi conosce e cita, Carlo Cipolla. Un celebre libello di Cipolla³ è dominato dalla categoria dello stupido (chi danneggia sé e gli altri), ma comprende anche lo sprovveduto (chi danneggia sé e avvantaggia gli altri). Delle leggi della stupidità umana fa quindi parte anche la morfologia della sprovvedutezza. Appunto, l’adesione italiana alla Belt and Road Initiative del 2019 rientra in quest’ultima categoria: l’Italia, non cogliendo che si trattava di un’iniziativa simbolica tanto per gli Stati Uniti che per la stessa Cina, l’ha invece caricata di significato economico e commerciale. In questo modo, l’Italia ha paradossalmente danneggiato anche le relazioni economiche ordinarie con la Cina, avvantaggiando invece altri paesi europei che hanno aumentato gli affari con Pechino senza stare a firmare chissà quali carte. Sul piano economico, l’Italia non ha compreso che la penetrazione del mercato cinese da parte di altri attori – in primo luogo la Germania – è figlia di un rapporto di lungo periodo delle grandi imprese e delle classi politiche, un rapporto in ogni caso alterato dopo il caso Midea-Kuka del 2016 (l’acquisizione della robotica tedesca da parte cinese). Senza questi elementi, è inutile baloccarsi su un aumento magico e illusorio dell’interscambio commerciale con la Cina, che peraltro per noi, come mostrato dai dati, è molto meno rilevante di quello con i partner europei e con gli Stati Uniti.

    Questo diversivo cinese ha ormai perso la sua forza propulsiva. Sarà in ogni caso utile valutare alcune partnership avviate dal 2014 a oggi, per verificarne l’evoluzione, il senso e la prospettiva (come Shanghai Electric con Ansaldo Energia e State Grid con CDP Reti). I veicoli partecipati dallo Stato debbono muoversi con una consapevolezza geopolitica che in troppe occasioni si è mostrata, per usare un eufemismo, lacunosa. In essi non sono presenti competenze e strutture in grado di effettuare queste analisi in modo adeguato.

    Queste considerazioni non devono portare l’Italia a un errore opposto, cioè a credere che la Cina sparirà dall’orizzonte. Tutt’altro: Pechino rimarrà la principale potenza manifatturiera mondiale e sarà un centro eccellente di innovazione, un punto di riferimento per il 5G, il 6G, la corsa quantistica e la nuova corsa allo spazio. Ma l’esistenza di una grande potenza non determina di per sé i rapporti che con essa debbono essere intessuti, anche perché questo orientamento può portare alla distrazione rispetto alle cose concrete. A questo proposito, l’idea dell’avvento di investimenti cinesi magici in Italia ha scontato comunque un errore di fondo di analisi della realtà e di individuazione delle priorità. Siccome nel mondo esiste un’enorme disponibilità di liquidità, per attirare investimenti bisogna anzitutto incidere sui problemi strutturali della competitività e dell’ambiente di impresa, che si tratti di porti, di telecomunicazioni o di altro. In Italia, è inutile esaltare le prospettive del 5G, se non guardiamo che cosa non ha funzionato nel Piano Banda Ultralarga, un piano interamente finanziato e che ha scontato ampi ritardi per un concorso di fattori (capacità organizzativa e di filiera del concessionario, litigiosità tra le imprese, e soprattutto autorizzazioni farraginose e lentissime da parte delle autorità competenti) che vanno affrontati e risolti tutti, con onestà intellettuale. Altrimenti non si vede perché la liquidità globale – e interna – dovrebbe guardare all’Italia. Detto questo, per l’Italia esistono ed esisteranno comunque linee rosse di sicurezza, che è utile considerare fin da subito, visto il sistema in cui siamo collocati.

    IL NODO DELLA CYBERSICUREZZA E IL RISCHIO DI DECLASSAMENTO. Sulla stessa sicurezza nazionale, serve una postilla: siccome l’evoluzione della pandemia ha portato a una proliferazione di competenze sul controllo e il monitoraggio degli investimenti, l’Italia ha l’esigenza di fare ordine. Anche per garantire la sua stessa credibilità internazionale, per esempio in merito all’esercizio dei poteri speciali. Tra i più autorevoli giuristi che hanno animato il dibattito sui poteri speciali, Roberto Garofoli⁴ (nominato da Draghi sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri) ha colto un punto importante: la debolezza delle amministrazioni dell’economia, con la necessità di rafforzare le burocrazie della sicurezza (nazionale, economica, tecnologica) nelle amministrazioni dello Stato, pena la scarsa incisività. Si tratta di un tema decisivo, perché spesso la fascinazione per i temi di intelligence e cybersecurity non considera questo aspetto amministrativo e burocratico, che per l’operatività ha un ruolo determinante.

    Diamo uno sguardo al calendario per ricordare a noi stessi come va il mondo: il 14 febbraio 2017 la regina Elisabetta inaugura ufficialmente il centro di cyber security britannico⁵, già pienamente operativo dal 2016 sulla base del primo annuncio del cancelliere Osborne nel novembre 2015; in Italia, dopo una prima discussione sulla cyber-sicurezza all’inizio del 2016, il DPCM 17 febbraio 2017 all’art. 11 prevede l’istituzione del Centro di Valutazione e Certificazione nazionale del MISE, che viene effettivamente istituito il 19 febbraio 2019, mentre la selezione degli esperti viene pubblicata nella Gazzetta ufficiale n. 59 del 31 luglio 2020.

    Un rischio complementare è quello dell’incertezza, aumentato dai frequenti interventi normativi sui poteri speciali e dal lungo percorso di attuazione del perimetro di sicurezza nazionale cibernetica. Sotto questo profilo specialistico, la consuetudine di Draghi con gli investitori internazionali può aiutare per alcuni aspetti concreti. Per esempio, chi deve fare una notifica per via dei poteri speciali avrebbe ormai bisogno di un sito internet chiaro in inglese, da parte della presidenza del Consiglio, e di una guida leggibile, sempre in inglese, su tutti i passi e le norme rilevanti, con la massima trasparenza. Altrimenti si dà l’impressione di un sistema chiuso, o comunque privo di chiarezza verso l’esterno, con potenziali conseguenze disastrose rispetto alla capacità di attrarre capitali.

    All’interno di questi scenari l’Italia, superate le illusioni di megalomania, dovrebbe muoversi con l’obiettivo di evitare il disinteresse da parte di Washington sui dossier mediterranei, visto che gli Stati Uniti hanno tante questioni di cui occuparsi, nel mezzo di profonde lacerazioni interne. Francesco Cossiga una volta ha riportato il giudizio colorito di Joseph LaPalombara, espresso nel 2007: all’America dell’Italia non importa nulla⁶. Era un modo irriverente per identificare plasticamente il declassamento di Roma dopo la guerra fredda. Ma da prendere sul serio, in riferimento alle questioni più scottanti della competizione internazionale. Nel recente rapporto del China Strategy Group, animato dall’ex CEO di Google e Alphabet ed ex presidente del Defense Innovation Board, Eric Schmidt, si delinea una coalizione plurilaterale di tecnodemocrazie per rispondere alla sfida tecnologica cinese. Una variegata compagine che comprende Stati Uniti, Giappone, Germania, Francia, Regno Unito, Canada, Paesi Bassi, Corea del Sud, Finlandia, Svezia, India, Israele, Australia, ma che non menziona l’Italia⁷. Omissione che ci ricorda quanto la capacità tecnologica diventerà sempre più un fattore per la considerazione di un paese sulla scala internazionale.

    Occorre aggiungere che, da parte dell’Italia, Washington non apprezzerà un’insistenza politica eccessiva sui temi dell’intelligence. Se difesa e sicurezza sono e resteranno elementi centrali del rapporto tra Italia e Stati Uniti, non è un dibattito politico-mediatico acceso su di essi a rappresentare una garanzia di credibilità, come è evidente a ogni conoscitore della materia. Invece, è utile e per certi versi necessario che avvenga nel parlamento italiano una discussione bipartisan sugli adattamenti delle norme sull’intelligence, in particolare sui temi di intelligence economica e tecnologica che hanno acquistato maggiore rilievo negli ultimi quindici anni.

    DA NEXT GENERATION EU AL FUTURO DELL’INTEGRAZIONE EUROPEA. In conclusione, e ancora nella prospettiva del rapporto transatlantico, occorre considerare il fronte europeo, che sarà senz’altro presidiato dal neopremier, Mario Draghi.

    In primo luogo, l’attenzione si concentrerà sull’attuazione di Next Generation EU, in cui gli investitori e i partner internazionali vorranno vedere la prova della capacità di esecuzione dell’Italia e dei rapporti col motore franco-tedesco e con le varie coalizioni regionali europee. Il successo del Piano di Ripresa e Resilienza nel nostro paese è fondamentale per il futuro dell’economia europea. Per l’Italia, si tratta di recuperare rispetto ai punti sollevati a suo tempo da Geithner, da cui siamo partiti nell’inquadramento internazionale della figura di Draghi; ma si tratta anche di rispondere alla crisi di investimenti e alle asimmetrie del nostro continente, di cui siamo una variabile centrale.

    In secondo luogo, si aprirà rapidamente la discussione sulle prospettive ulteriori dell’integrazione europea, un orizzonte che Draghi ha senz’altro presente: cosa significa, dentro e dopo

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