Sabina
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Weird - racconto lungo (44 pagine) - La rete vista come mondo parallelo, opera di un essere misterioso in cerca di adepti ai quali affidare la caccia a vittime ignare.
Internet nasconde un mondo parallelo, creato da un essere misterioso in cerca di adepti ai quali affidare la caccia a vittime ignare. Sabina, un’editor free-lance, scopre, suo malgrado, che cellulare e computer sono infettati dall’oscura presenza. Terrorizzata, non trova di meglio che rivolgersi alla polizia ma, dopo una macabra rivelazione, capisce che le rimane solo una scelta: diventare preda o cacciatrice.
Fabrizio de Sanctis è nato a Firenze nel 1953. Avvocato, da sempre appassionato di letteratura gialla, pubblica il suo primo romanzo nel 2014 (Format – Crimine in diretta tv, Fratini Editore). Nello stesso anno è finalista del Premio Alberto Tedeschi del Giallo Mondadori con il romanzo L’ultima corsa, pubblicato nel 2015 da Libromania col titolo Una vendetta quasi perfetta. Nel 2016 pubblica Minchiate (Porto Seguro Editore), vincitore del Premio Città di Murex 2015 nella sezione Narrativa Inedita. Nel 2020 pubblica Testa di Serpente con Edizioni Jolly Roger.
Ha anche scritto numerosi racconti, inseriti in varie antologie, giungendo finalista nel 2018 e 2019 al concorso Giallo Fiorentino.
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Anteprima del libro
Sabina - Fabrizio De Sanctis
9788825413373
1
Lo sentiva arrivare. Una leggera pressione sulle tempie che pulsava al ritmo del battito cardiaco. Ormai poteva scansionare i tempi: tre minuti, massimo quattro, prima che il dolore, sotto forma di impercettibile puntura, iniziasse a farsi strada; poi, come una macchia d’olio, si sarebbe esteso pian piano, allungando i tentacoli sulla nuca e al centro della fronte. Lento, metodico, avrebbe assaporato la calotta cranica fino a cingerla del tutto. Nelle giornate peggiori aggrediva la cervicale, impedendole qualunque movimento che potesse somigliare a una rotazione.
Faceva sempre così. Era un abitudinario, il bastardo.
Il cerchio alla testa.
Ed erano appena le nove.
Forse era ancora in tempo a fermarlo. Bastava mandare affanculo l’oca che le starnazzava nelle cuffie, una scribacchina convinta di aver creato il Romanzo-Fine-Di-Mondo, quello definitivo, inarrivabile, senza un dopo, in grado di dissuadere chiunque dall’idea di scrivere perché tutto, al paragone, sarebbe stato inadeguato.
"Dai, Saby, cos’è in fondo un vaffanculo? Un apostrofo rosa messo fra le parole t’ammazzerei, le sussurrò insinuante il cerchio alla testa.
Diglielo, riattacca, e me ne vado, promesso".
Stronzo! Sapeva bene che non poteva farlo. Era una cliente e, come diceva Marco, il cliente è sacro.
Marco era il capo spirituale – bella definizione del cazzo, sì – del gruppo di lavoro. Quello che proponeva le regole e non ti mollava finché non le approvavi. Un tempo si sarebbe chiamato dittatore, ma ormai, a parte qualche posticino ameno come la Corea del Nord, la definizione era in disuso. Il tutto mascherato da una pseudo-democrazia: Ai voti, gente!
, scriveva a un certo punto nella chat di gruppo, quando era sicuro dell’esito.
Marco distribuiva i compiti secondo le capacità e le inclinazioni di ognuno di loro, sul presupposto di conoscerle a menadito. Da cosa nascesse quella conoscenza era un mistero, al pari di come lui fosse riuscito ad assumere il ruolo di chief manager, altra sigla del piffero. Ci doveva essere stato un momento decisivo, una roba tipo Big Bang, solo che Sabina non lo ricordava. Eppure, fra alti e bassi, la cosa sembrava funzionare; stavano ingranando, si facevano strada nel labirinto dell’editoria, stavano diventando un nome.
Era stato Marco ad appiopparle l’oca starnazzante, of course. L’avevano ereditata da una sua conoscenza, una che, dopo la gavetta, collaborava già con grosse case editrici e stava sfrondando il parco clienti.
Che dite, la prendiamo?
, aveva scritto.
Glenda, ragazzina sveglia oltre che brava, aveva sentito puzza di tritatesticoli e, come sempre, suggerito prudenza.
Pensi che possiamo permetterci di fare gli schizzinosi?
, aveva replicato lui, e così li aveva messi con le spalle al muro. Nessuno aveva risposto e, dopo un paio di minuti di attesa, era comparso un messaggio: Saby, mi sembra perfetta per te
. Lei aveva immediatamente digitato un secco Perché?
e Marco, subito, Perché sei l’unica capace di metterla in riga
.
Aveva la nomea della stronza del gruppo. Stronza nel lavoro e nella vita. Pronta a concedere fiducia – e questo, diciamo la verità, aveva poco a che vedere con la stronzaggine – ma terribile nelle reazioni quando veniva delusa. Facebook era uno dei campi di battaglia; lì si muoveva con i piedi di piombo, limitandosi ad allusioni senza fare nomi, ma chi aveva orecchi da intendere prima o poi intendeva.
Eppure, quella era solo la punta dell’iceberg. Sotto la superficie limacciosa della Saby-stronza galleggiava una donna sensibilissima, forse troppo. Da sensibile a vulnerabile, si sa, il passo è breve e la corazza che si era costruita nel tempo, irsuta come quella di un rinoceronte, serviva a proteggerla, a tenere lontani i rompiballe. O almeno a provarci, perché la vera Sabina fluttuava sempre, pronta a emergere e farsi colpire.
In pochi erano riusciti a superare le apparenze. Un tizio conosciuto su Facebook – aveva il doppio dei suoi anni ma, grazie a Dio, scriveva benino e non rompeva più di tanto – l’aveva paragonata a un’ostrica: dura, quasi impenetrabile ma, se riuscivi a scalfirla, arrivavi a una perla di rara bellezza. Lei ci aveva riso su e aveva messo in azione la contraerea nel tentativo di disilluderlo; lui aveva incassato, paziente, e non si era mosso di un centimetro.
– Occhio