L'eros segreto di Dante: I passi scabrosi occultati nella Commedia di Dante
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Anteprima del libro
L'eros segreto di Dante - Renato Ariano
I
PERCHÉ QUESTO ARGOMENTO?
L’ENIGMA DELLA COMMEDIA
Questo libro non vuole puntare sullo scalpore, come il titolo potrebbe far sospettare. Vuole invece documentare un aspetto della Commedia di Dante Alighieri che è sempre stato sotto gli occhi di tutti, ma che, nel corso dei secoli, è stato sistematicamente nascosto o mistificato al fine di disinnescare la carica rivoluzionaria del Poeta, ricoprendola con un velo di bigottismo e conformismo. Grande dissimulatore, come vedremo meglio in seguito, e consapevole dei pericoli che avrebbe potuto correre da parte dell’Inquisizione, Dante beffò i suoi avversari utilizzando, soprattutto nella cantica del Paradiso, ambigue ed inaspettate allegorie. Queste indicano concetti mistici ed erotici al tempo stesso, quali espressioni della sua visione integrata di tutta la realtà universale, in cui l’Amor carnale è sempre complementare all’Amor Sacro. Per questo Dante presenta a sorpresa, nella Commedia, immagini di estremo erotismo che sfuggono ai meno attenti o vengono tralasciate dai più prudenti. Quindi non bisogna pensare a un Dante bigotto e ortodosso, come ancor oggi qualcuno vorrebbe farci credere, ma invece a un personaggio dallo spirito totalmente libero e ancor oggi attualissimo.
Non mi illudo di poter scalzare l’opinione tradizionale. Mutare, dopo tanto tempo, una narrazione consolidata nell’immaginario collettivo è impresa pressoché impossibile. La proposta di una rilettura della cantica del Paradiso con l’individuazione di passi erotici e sensuali, solitamente sottaciuti o censurati, espone certo il proponente allo scandalo e al rigetto da parte dei benpensanti e dei dantisti ufficiali. Tuttavia, mi è sembrato giusto presentare le mie osservazioni e i miei studi soprattutto a chi, oltre che a essere un appassionato di Dante, sia abituato a pensare con la propria testa e che, nella ricerca della verità, non si accontenti di soluzioni preconfezionate. Invito quest’ultima categoria di lettori a non respingere a priori questa ipotesi interpretativa e a verificare di persona se le analisi dei passi della Commedia, che io sottopongo alla loro attenzione, siano o meno plausibili.
Il testo è articolato in due parti: una prima che, forse con troppa enfasi, ho intitolato Capitoli Dottrinali, e in cui espongo punto per punto il razionale di questa ipotesi, sostenuto da un’ampia bibliografia. Una seconda parte, definita Capitoli Scabrosi, che analizza tutti i passi incriminati, dettagliando volta per volta gli spunti erotici da me individuati. Sono due dell’Inferno, sette del Purgatorio, ventidue del Paradiso, indicati con i loro riferimenti nell’Appendice n.1, affinché il lettore possa controllarli a proprio agio.
I più curiosi e impazienti di conoscere le cosiddette schegge erotiche segrete, insinuate da Dante nella Commedia, potranno anche passare subito alla lettura dei capitoli della Parte Seconda che sono già molto esplicativi in maniera autonoma, e tornare in seguito ad approfondire le premesse teoriche delle scelte di Dante, esposte nei capitoli della Prima Parte.
Non ho tralasciato la numerologia, sempre presente in Dante e che meriterebbe un libro a parte.
Incominciamo col dire che la Commedia è un grande enigma. Se vogliamo essere più precisi, si tratta di una costellazione di enigmi. Sono numerosissimi i passi oscuri e ambigui che il Poeta sciorina spesso sotto il naso del lettore, a volte avvertendolo, ma più spesso dissimulandoli con voluta noncuranza. In questo contesto di misteri il Paradiso costituisce una delle parti meno facilmente decifrabili. Solitamente questa è considerata la Cantica più astrusa e noiosa in cui meravigliosi versi lirici sono circondati e quasi soffocati da faticosi passi dottrinali. Invece, come in tutti i misteri degni di rispetto, questa visione apparente è sbagliata. Essa nasce e si perpetua nel tempo solo a causa dell’impreparazione e della superficialità di noi lettori. Non per niente Dante, all’inizio del Paradiso (Par, II, 1-15), nel primo dei sette appelli di questa Cantica indirizzati al lettore, invita i meno attrezzati a non imbarcarsi nell’impervia navigazione dell’oceano della sua opera: «Perdendo me, rimarreste smarriti». Solo coloro che, a suo tempo, si sono alimentati del pan degli angeli riusciranno a restare nella scia del suo naviglio che cantando varca. Saranno loro i privilegiati che sapranno cogliere i messaggi di questo Poema, in cui, come scrive Singleton, «la finzione è di non essere una finzione», la voce del Poeta «dice e non dice» e infine, come aggiunge Sermonti, «dice di non dire quello che sta dicendo». Per questo è importante saper leggere tra le righe e intuire, più che vedere, le immagini più sublimi, che in realtà non sono mai descritte nel dettaglio, ma piuttosto alluse ed evocate.
Ci siamo mai chiesti come mai, dopo settecento anni di letture e commenti innumerevoli e disparati, Dante presenta ancora oggi, ai nostri occhi di uomini tecnologici e digitalizzati, un fascino invincibile e inesausto? Anche questo è un mistero. Si tratta di un’opera spesso di difficile decifrazione, in quanto scritta in una lingua antiquata, inoltre zeppa di problemi d’interpretazione, ancor oggi irrisolti (le famose croci dantesche). Malgrado ciò è rimasta per settecento secoli un riferimento culturale fisso, anche per quelle istituzioni che un tempo la condannavano e la volevano addirittura bruciare, come la Chiesa. È dunque evidente che alla base della sua costante popolarità vi è probabilmente un meccanismo nascosto, come uno scomparto segreto in un vecchio mobile. Questo libro ha la pretesa di identificare uno di questi cassetti segreti (ce ne sono certo molti altri nella Commedia, ma questo era quello meglio celato) e indicare al lettore il modo di aprirlo e scoprirne la natura occulta e intrigante.
Nel corso dei secoli Dante è stato trasformato, nell’opinione corrente, in una figura rigida e stereotipata. Oggi, purtroppo, a causa della troppa consuetudine e banalizzazione, abbiamo perso il senso originario del suo sforzo immane di conciliare i due aspetti dell’umanità, carne e spirito, in un’integrazione suprema.
UNA PROPOSTA SCONVENIENTE
Questa nuova chiave esegetica, che si fonda sulla segnalazione e reinterpretazione di numerosi passi dal significato ambiguo e licenzioso, soprattutto nella cantica del Paradiso, era già stata avanzata in passato, sia pure con sfumature diverse, da alcuni autori (Rossetti, Valli, Dell’Acqua, Mirsky). Malgrado ciò, come capita spesso a molte idee innovative e controcorrente, ha ampiamente goduto, sinora, del privilegio dell’invisibilità. Il sottoscritto ha solo ripreso questa chiave interpretativa tentando di verificarne l’attendibilità e approfondirla. Certo a qualcuno questo argomento potrebbe sembrare sconveniente in rapporto alla tradizione accademica e irriverente nei confronti del sommo Poeta. Se poi si pensa che questo approccio riguarda un'opera di tema teologico, a cui fu aggiunto nel '500, anche se arbitrariamente, l'aggettivo Divina, ad altri potrebbe sembrare addirittura scandaloso mescolare il sacro col profano e ricercare espressioni di sessualità proprio in un poema sacro. Bisognerebbe, però, ricordare che in Dante le metafore partono sempre dalla materia per raggiungere lo spirito. Inoltre, la libertà del linguaggio di Dante fu sempre elevata, sin dalla gioventù. Tralasciamo volutamente Il Fiore, poemetto sboccato e ricco di doppi sensi osceni, la cui attribuzione è sempre stata discussa¹. Non si possono, invece, tralasciare la Tenzone con Forese e le Rime petrose. Qui Dante svolge un gioco letterario dimostrando così di saper padroneggiare anche il linguaggio basso e popolare in maniera dissacratoria e anticonvenzionale. È il preannuncio dei passi lessicalmente più spregiudicati che compariranno nell’Inferno e la prova di una duttilità verbale che troverà la sua manifestazione più raffinata nelle schegge erotiche presenti soprattutto nel Paradiso. Nella Tenzone con Forese giunge a dire, riguardo la moglie, riferendosi all’insufficienza di Forese come amante:
La tosse, il freddo e l’altra mala voglia/ non l’adovien per omor ch’abbia vecchi/ ma per difetto ch’ella sente al nido.
Altro gioco di parole ambigue e scabrose mostra nelle Rime dedicate a Lisetta: ché donna dentro nella mente siede, / la qual di signoria tolse la verga: / tosto che giunse, Amore sì glila diede.
Anche nella Commedia il suo linguaggio non è mai del tutto irreprensibile. Dante utilizza spesso espressioni molto sboccate come: bordello, culo, femmine da conio, puttana, puttaneggiar, meretrici, merda, natiche, sconcia, sozzo. Per aggiunta, come ho già detto, Dante invita spesso il suo lettore a cercare il significato nascosto sotto i suoi versi: «la dottrina che s'asconde / sotto il velame de li versi strani».
Occorre, infine, tener presente che la Commedia è una mirabile visione. Quindi è come un sogno. Come questo va analizzata e interpretata, non tanto con la razionalità quanto con l'intuizione. È il motivo per cui Dante, nella Commedia, utilizza la poesia e non la prosa, che impiega invece nel Convivio. La poesia è lo strumento più idoneo per trasmettere il rumore di fondo delle energie e degli archetipi che si agitano nell'inconscio collettivo. È pur vero che le pulsioni più profonde, come quelle sessuali, che proprio laggiù risiedono, talvolta possono emergere a sorpresa, violando i confini dell’autocensura dell’autore. Certo non posso negare che nella lettura dei capitoli più analitici il lettore potrà trasalire con sorpresa, scoprendo quei passi in cui Dante ha inserito, in maniera velata, temi erotici e scabrosi, sui quali la critica ufficiale ha sempre elegantemente sorvolato. È naturale che il lettore legato alla tradizione stenti a credere che proprio lì dentro egli abbia nascosto schegge impazzite di erotismo. E poi perché lo avrebbe fatto? Forse, dopo tanti studi dottrinali e ossessivi calcoli numerici, Dante avrebbe perso la testa? Vedremo, invece, che l’intenzione dell’autore non era quella di scandalizzare, ma di esprimere al meglio concetti di tutt’altra natura.
PERCHÉ COSÌ TANTE INTERPRETAZIONI DELLA COMMEDIA
Le rivisitazioni filologiche della Commedia di Dante sono innumerevoli. Questo dipende dall’impegno polifonico del Poeta, che ha voluto integrare nel suo capolavoro tutto il sapere scientifico e umanistico della sua epoca (da lui accumulato in una vita di studio intensissimo) assieme a numerosi archetipi. Ognuno dei neo-commentatori (forse anche il sottoscritto) coglie quella parte del messaggio di Dante che più risponde alla propria cultura e sensibilità, dandole maggior rilievo. Per questo le interpretazioni dell’opera di Dante sono numerose e disperse in svariati criteri di lettura.
Ulteriore elemento è costituito dalla forse eccessiva resistenza degli studiosi accademici ad ogni interpretazione eterodossa o comunque diversa dagli schemi tradizionali (Pozzato, 1989). Ne fecero le spese commentatori illustri come il Pascoli, quando tentò di interpretare in maniera esoterica i messaggi nascosti che Dante trasmetteva sotto il velame delli versi strani.
Tutti conoscono il canto di Francesca e Paolo (Inf, V) in cui la sensualità è palese. Basti ricordare i versi seguenti: «la bocca mi baciò tutto tremante…» e «quel giorno non leggemmo più avante». Verso di mirabile verecondia, dice Scartazzini nel testo critico della Società Dantesca del 1893, ma io direi piuttosto, con maggiore audacia, che è verso di un erotismo sottile e malizioso, che nasce proprio dall’omissis. Nell’Inferno questo ingresso felpato dell’erotismo dantesco è più accettabile, perché consono al registro di questa cantica. Più avanti troviamo di peggio: «Taide è la puttana…» ecc., ma nel Paradiso ci sembrerebbe impensabile che Dante tocchi questi temi. Eppure, è proprio quello che nelle pagine seguenti dimostrerò accadere clamorosamente sotto gli occhi di tutti. La polisemia, ovvero la presenza costante di più significati, che è una caratteristica della Commedia, non costituisce un artificioso giochino intellettuale, ma è l’unico modo per operare una sintesi e un’integrazione dei diversi aspetti della vita umana. D’altra parte, la Commedia non è solo un’opera letteraria, ma una sorta di manuale per una crescita spirituale. Difatti, presenta la storia del personale percorso mistico e iniziatico di Dante come esempio da seguire. Si è trattato di un’esperienza intima e straordinaria a cui il lettore è invitato a partecipare, seguendo le tracce dell’autore.² Quindi, non visione scolastica e passiva, ma invito a una partecipazione attiva, canto per canto, terzina per terzina, verso per verso. Questa azione formativa ed edificante dell’opera è presentata chiaramente nella lettera a Cangrande, indicando l’obiettivo della sua opera nel «passaggio da uno stato di miseria a uno stato di felicità spirituale» ed è reiterata più volte negli appelli al lettore, che viene invitato allo studio e a usare bene il proprio ingegno. Alla base della Commedia sta una concezione trinitaria della realtà: l’uomo, la divinità e il rapporto d’amore che intercorre tra di loro. Parte dalla terra per arrivare al cielo, ma senza perdere mai del tutto la propria corporeità. Al momento del Giudizio, Dante fa dire a Salomone:
come la carne gloriosa e santa
fia rivestita, la nostra persona
più grata fia per essere tutta quanta;
perchè s'accrescerà ciò che ne dona
di gratuito lume il sommo bene
lume ch’ha lui veder ne condiziona;
(Par. XIV, 43-48)
L’idea fondante è che corpo e spirito non siano realtà contrapposte, ma complementari e compresenti. L’amore carnale non è qualcosa di staccato dalla divinità, ma un umbrifero prefazio, un’anticipazione di quell’amore totale che esploderà luminoso nell’Empireo. Di quest’unità tra corpo e spirito Dante pone la sua definizione finale proprio nell’ultimo canto del Paradiso, quando affonda il suo sguardo nella luce eterna e vede in questa l’unità di tutto l’universo.
Nel suo profondo vidi che s'interna
legato con amore in un volume,
ciò che per l'universo si squaderna:
sustanze e accidenti e lor costume,
quasi conflati insieme, per tal modo
che ciò ch'i' dico è un semplice lume.
La forma universal di questo nodo
credo ch'i' vidi, perché più di largo,
dicendo questo, mi sento ch'i' godo.
(Par. XXXIII, 85-93)
Tutto il cosmo è rilegato, con amore, in un solo volume. Questo è il concetto finale che lega in maniera indissolubile l’amore materiale a quello spirituale e il poeta nel riconoscere questa verità prova un grande godimento. La scelta dei vocaboli non è mai casuale in Dante. In questo caso, sembra quanto mai appropriata. Nella vita e negli scritti dei mistici, sovente, troviamo riferimenti alla loro sensualità. Questa osservazione potrebbe far sollevare le sopracciglia a molti, per esempio a coloro che, ancor oggi, dopo qualche secolo, continuano a guardare scandalizzati una certa statua del Bernini.³ Eppure Dio non viene amato solo con la mente e il cuore, ma anche con l’intero nostro essere, con tutto il corpo. Dio non è solo padre, ma è pure innamorato e amante. Questo aspetto era stato ben compreso dai primi autori della Bibbia di cui il Salomone del Cantico dei cantici è l’esempio più conosciuto. Come vedremo in seguito, Dante seguirà fedelmente questo modello letterario.
BIBLIOGRAFIA
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Pascoli Giovanni, Minerva