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Alqarf della Valle Nera
Alqarf della Valle Nera
Alqarf della Valle Nera
E-book129 pagine1 ora

Alqarf della Valle Nera

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Fantasy - romanzo breve (92 pagine) - Per liberare il suo amato dovrà affrontare la più terrificante delle creature soprannaturali, Alqarf


Umah e Rami sono due ragazzi che vivono alla giornata nella foresta di Kasab. Sono molto legati, quasi in simbiosi, e la loro esistenza è del tutto aliena alle vicende politiche e alle guerre della terra delle quattro città. Quando Rami ingerisce un misterioso frutto e viene rapito da quattro spiriti provenienti dall’aldilà, Umah è costretta a intraprendere un viaggio che la porta a scontrarsi con gli infernali intrighi di Alqarf, creatura sovrannaturale che ha portato alla guerra e alla miseria una florida civiltà. Con l’aiuto di compagni incontrati sulla sua strada, ciascuno dei quali custodisce un segreto, affronterà orribili creature, visioni oniriche e incantesimi psichici, ma soprattutto dovrà fare i conti con se stessa, scoprire i suoi limiti e le sue capacità, superando prove che non avrebbe mai immaginato di affrontare.


Stefano Spataro, classe 1985, è dottore in storia della scienza, ricercatore e musicista.

Ha pubblicato racconti su antologie, come Prisma Vol. 2 (Moscabianca Edizioni, 2020) e riviste online, tra le quali Crapula Club e la nuova carne. Scrive articoli e recensioni per diverse riviste web come Wired Italia, Crapula Club, La nuova carne, Andromeda, La Rivista Culturale.

Nel 2019 Prospero Editore ha pubblicato il suo primo romanzo, una space opera dal titolo Attis, Sogni dal terzo pianeta. Nel 2021 Delos Digital ha pubblicato un suo racconto lungo Se esiste un futuro, nella collana Dystopica.

LinguaItaliano
Data di uscita4 mag 2021
ISBN9788825416053
Alqarf della Valle Nera

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    Anteprima del libro

    Alqarf della Valle Nera - Stefano Spataro

    9788825414820

    Capitolo 1

    Un raggio di sole riluccica sulle lenti del cannocchiale. Un riflesso. Umah fa appena in tempo a puntare i vetri ammaccati incastonati nei due cilindri di legno d’olmo che la coda arruffata di una lepre selvatica sparisce all’interno di una grotta, nel buio. È stato poco più che un movimento leggero, ma l’ha visto chiaramente.

    La ragazza abbassa il cannocchiale, ha un fremito, un sorriso le si staglia largo sul viso, rendendolo ancora più sereno e giovane. Gli occhi si allargano, e non riesce a trattenere l’istinto di umettarsi le labbra. Da quanti giorni non mangiano un pasto come si deve? Non riesce a ricordarlo. Almeno, non consciamente. Lo stomaco invece se lo ricorda bene. E brontola.

    Le mani si aprono e lasciano che il cannocchiale le ricada sul petto, un legaccio lo tiene fermo al collo.

    Muovendosi silenziosamente, ma con una certa urgenza, Umah scende dalla roccia. La radura all’interno della foresta di Kasab è piena di selvaggina, la scelta è stata azzeccata. Ora tutto sta a cacciarla, la lepre, a prenderla in trappola. Non è semplice, e soprattutto da sola non può farcela.

    Una volta a terra Umah si scrolla la polvere dalla camiciola di canapa ricavata da un vecchio telo, uno degli ultimi ricordi di sua mamma. Batte delicatamente gli stivali al suolo e si volta, le spalle all’enorme pietra grigia su cui era accovacciata, ricolma di muffe giallognole.

    Davanti a lei le latifoglie formano una schiera tutta uguale di soldati verdi e marroni. Puntano al cielo, svettano diritti e fieri, occludendo l’orientamento a chi non è esperto di quei paraggi, come volesse scongiurare i visitatori indesiderati.

    Umah resta qualche secondo così, in attesa, cercando di memorizzare la sua posizione. Guarda a destra e a sinistra, registra mentalmente i riferimenti. Una volta ritornata a quella pietra sarà una passeggiata ritrovare la grotta in cui la preda si è nascosta.

    Socchiude gli occhi, il sorriso si apre ancora di più e come se qualcosa le avesse dato la carica inizia a correre sparendo all’interno del fitto labirinto di alberi.

    Rami fischietta una melodia di appena tre note, tutte uguali, mentre si lascia cullare dal dondolio dell’amaca. Qualche passo più indietro, la tenda ricavata da un lenzuolo frusto dove lui e Umah sopravvivono da mesi.

    Il ragazzo non la sente arrivare. Il cappello intrecciato di sfilacci di erba secca gli copre il volto quasi per intero, lasciando scoperta solo la rada peluria sul mento e le labbra sottili bruciate dal sole.

    Umah si avvicina di soppiatto al ragazzo. Si muove sulla punta dei piedi. Gli si accosta a un orecchio. Il ragazzo continua a fischiettare ignaro.

    – Ho visto una lepre!

    Rami sussulta, lancia un grido di sorpresa, si scuote tutto, mette una gamba in fallo e si ribalta su se stesso intorno all’amaca, rimanendoci incastrato.

    Umah ride, lo lascia dimenarsi un po’, poi decide di aiutarlo a liberarsi da quella posizione malagiata.

    – Ma sei impazzita? – Il ragazzo ha l’affanno, è ancora turbato. – Come ti salta in testa di fare certi scherzi?

    Ora i due sono in piedi, uno di fronte all’altra. Lei è poco più bassa di lui, gli lancia le braccia al collo e lo bacia sul viso di ragazzino dagli occhi grandi. Gli mette la testa sul petto e lui si ritrova una ciocca di capelli neri in faccia. Strabuzza gli occhi, per un momento, ma poi si scioglie anche lui nell’abbraccio.

    – Ma insomma, cosa c’è?

    – Ho visto una lepre!

    – D’accordo, hai visto una lepre. Anche io ne vedo di continuo qua intorno. E allora?

    Umah si stacca dal fidanzato e lo guarda negli occhi chiari. – L’ho visto nascondersi in un anfratto. Ho pensato che se resta chiusa sarà più facile prenderla.

    Il ragazzo si gratta uno zigomo con aria pensierosa. Anche il suo stomaco risuona sonoramente all’idea di mandare giù qualcosa di diverso dalle solite bacche raccolte nella foresta. – Certo, un bel leprotto non sarebbe male.

    Umah gli mette una mano alla cintola e tira leggermente i sudici pantaloni di lino che porta. – Guarda come ti sei dimagrito.

    – Ehi, non prendermi in giro. È costituzione, quella! E poi neanche tu mi sembri così in carne.

    Umah lo tira per una mano. – Allora? E dai? Proviamoci. È ancora presto. Vedrai che forse per cena avremo qualcosa di sostanzioso da mangiare.

    – Non vorrei allontanarmi dalla tenda.

    – Oh, andiamo! Chi ci deve rubare queste cianfrusaglie, e soprattutto, chi vuoi che passi di qui? Siamo lontani da qualsiasi centro abitato.

    Il ragazzo corruga la fronte. – E va bene. Lasciami prendere almeno lo zaino. È lontano?

    – Qualche minuto a piedi. Ho memorizzato la strada.

    I due percorrono il sentiero che dal loro piccolo accampamento porta alla radura dove Umah ha scorto la grotta. L’estate è ormai sul punto di morire e all’interno del fitto sottobosco i loro stracci non riescono a proteggerli dall’umidità e dal freddo dell’ombra perpetua gettata della verzura selvaggia. Il terreno è un tappeto marrone di foglie morte e fradicie e man mano che ci si inoltra la luce fa sempre più fatica a penetrare.

    Il tratto è breve. Sul sentiero iniziano a farsi strada macigni di granito bruno, le foglie diventano sempre più rade e la luce torna a illuminare la vita, un diverso tipo di vita di quello che la foresta comunque ospita. Fuori, nella radura, la terra è ancora screpolata dal caldo della stagione appena passata. La temperatura è mite, la siccità ha formato dei crepacci nel terreno, l’erba è quasi tutta riarsa e solo il periodo delle piogge potrà tornare a nutrirla nuovamente.

    I due interrompono la marcia. Umah si guarda intorno, poi poggia la mano su una delle tante rocce che si trovano nella radura. – È questa! Da qui ho visto la grotta con il cannocchiale. – Indica un punto diritto davanti a loro. – Se procediamo in questa direzione ce la troveremo di fronte.

    I due continuano per pochi metri, poi la grotta appare; un antro oscuro, una ferita nera in una parete di pietra attraverso la quale un uomo adulto potrebbe passare a stento.

    Cercando di limitare il rumore al minimo i due si avvicinano.

    Rami sniffa l’aria e si porta una mano al naso. – Accidenti, che puzza!

    – Già! – Anche Umah assume un’espressione disgustata. – Pare venire proprio da lì dentro.

    Rami si toglie lo zaino, lo porge a Umah che glielo mantiene frontale. – Senti, qua dobbiamo darci da fare o presto moriremo di fame. – Il ragazzo slaccia la cinghia ramata, apre il tascone e tira fuori un pugnale. – Io entro.

    Umah spalanca gli occhi, le labbra tremolano. – Che coraggio. C’è qualcosa di andato a male lì dentro.

    Il ragazzo le si avvicina e le lascia un bacio sulla fronte.

    Umah inarca le sopracciglia. – Ehi! E io?

    – E tu stai pronta, ché se dovesse sfuggirmi la sua unica via di scampo passa da qui.

    – Sta’ attento!

    Rami non risponde. Coltello alla mano, sparisce inghiottito nel buio.

    Umah è scossa da un brivido. Scrolla le spalle, lascia lo zaino per terra, lo apre e tira fuori un altra lama, più piccola di quella di Rami. Se la passa agilmente da una mano all’altra. Si sposta con il corpo davanti all’apertura della grotta e resta in attesa con espressione concentrata, le nocche che si schiariscono mentre stringe l’elsa di bronzo.

    Dopo pochissimi istanti le grida di Rami coprono le distanze e si portano dietro l’eco di quell’antro dall’odore mefitico.

    Umah sussulta, spaventata, incerta se addentrarsi nell’imboccatura oppure restare in attesa. Sono urla di aiuto, le avverte che si muovono, che si fanno sempre più vicine. La ragazza ha il palato secco.

    Finalmente riesce a sbloccarsi. – Rami! – La sua voce è rotta.

    Dal buio, improvvisamente, viene fuori una mano e si aggrappa alla parete di pietra; poi un braccio, la spalla, la testa di Rami, e il più velocemente possibile, tutto il suo corpo intero.

    Sul volto del ragazzo è disegnato il terrore. – Corri! Presto!

    Umah non riesce a proferire parola che la stretta di lui l’afferra e la trascina via.

    – Via di qui, presto! – grida Rami.

    Alle loro spalle un fischio li costringe a voltarsi. La bestia è un enorme ragno dal cranio terribilmente simile a quello di un essere umano. Si trascina fuori dal suo buco e agita le otto zampe pelose. La creatura è alta almeno il doppio di loro, si muove goffamente, ma le lunghe zampe gli permettono di raggiungerli in un istante. Gli è sopra. Il suo odore è stomachevole. La folta peluria nera che ricopre le zampe e il tronco, diviso in due parti come quello di una tarantola, è ricoperta da uno strato untuoso di grasso puzzolente che le dona lucentezza.

    I due ragazzi sono fermi, si accasciano al suolo, adombrati dal corpo del mostro gigantesco. Questi continua a zampettare. Gli artigli si conficcano nel suolo secco, lasciando intagli come ferite e sollevando la polvere ocra del terreno. Si gode la paura

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