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Il mancino con la maglia numero dieci
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E-book222 pagine3 ore

Il mancino con la maglia numero dieci

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Info su questo ebook

Il mare, la passione per il calcio e la maglia numero dieci si trasformano in simboli e metafore di sogni, speranze e sofferenze intense e struggenti: afflati che si infrangono come onde violente sulle rocce resistenti della nostra anima, ma non possono nulla, non potranno mai vincere l'impetuosa forza dell'amore. Sebastian e Scarlett, nati per amarsi, nati per amare, fino alla fine dei tempi.
LinguaItaliano
Data di uscita6 mag 2021
ISBN9791220336949
Il mancino con la maglia numero dieci

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    Il mancino con la maglia numero dieci - Giuseppe Orlandi

    info@youcanprint.it

    Volo 811 – Roma Chicago

    Il volo che doveva portare Sebastian a Chicago non ha subito inconvenienti di alcun genere, con regolarità assoluta il carrello si è staccato da terra alle ore 14:30: da Roma verso la capitale economica e culturale dell’Illinois, nove ore di volo per immaginare una vita da ricostruire di sana pianta.

    Sebastian Artino ha da poco compiuto trent’anni, la sua giovane vita l’ha trascorsa lungo le spiagge del Salento, lo sguardo sempre rivolto al limite imperscrutabile alla vista umana, tanto sudore per guadagnarsi il pane, poche soddisfazioni sociali, ma immensa felicità ogni volta che all’alba la prua della sua imbarcazione, dal nome evocativo Sogna scioglieva l’ormeggi e si dirigeva verso le profonde e cristalline acque del mar Ionio.

    Una vita difficile, quella di Sebastian, orfano di entrambi i genitori fin da tenera età è cresciuto circondato dall’affetto dei nonni materni e nella consapevolezza di subire una preponderante solitudine interiore, sentirsi solo e, malgrado tutto, non essere ma mai triste.

    Un carattere romantico, fin troppo, quello di Sebastian, al limite dell’idealismo filosofico. Valori forti di correttezza e rispetto dell’altro che spesso stridono e provocano malesseri, in un mondo, telegenico e social dipendente, nel quale predomina la forza dominante dell’apparenza eterea, della società dell’immagine e del vincente a tutti i costi.

    L’esasperata indole romantica ha, in un certo senso trasformato Sebastian in un misantropo, un solitario abituato ai suoi silenzi, ad ascoltare la sua anima, a piangere o ridere dei suoi conflitti esistenziali.

    La sua vita semplice, come quella dei nonni che lo hanno cresciuto, è scandita dai tempi regolati dalle ferree regole del mare, della pesca, delle reti da risanare nei momenti di tempesta, quando il Libeccio impetuoso allontana il più coraggioso ed esperto dei capitani dai marosi violenti, proveniente da Sud Ovest.

    Una vita intagliata in uno sfondo di umiltà decorosa, poco adatta e attraente a suscitare ammirazione alle ragazze del paese, più interessate a trovare casa e mettere su famiglia con chi è economicamente solido nei guadagni mensili, stabilmente al sicuro, dietro un discreto e mai esagerato stipendio pubblico.

    Pochi amici, ma tanti libri letti e da leggere in ogni momento possibile: le sere d’estate seduto sull’uscio della sua sobria abitazione, come usano fare le persone anziane del sud nel vano tentativo di trovare ristoro all’afa insopportabile dello Scirocco. Tanti libri, di ogni genere, praticamente divorati per il puro piacere della conoscenza. La cultura, normale caratteristica psicologica, di tutti i pescatori del mondo: abituati a parlare in dialetto, ad utilizzare un lessico forte, quasi diseducato e aspro ma, al contempo, esprimere nella ruvida dialettica popolare tanti valori veri, soprattutto religiosi. Del resto, chi, tutti i giorni, deve sfidare il mare per sopravvivere non può che avere un dialogo con Dio aspro, iroso, al limite della blasfemia. In realtà, quando le bestemmie diventano preghiere e i cuori sono puri e i sentimenti veri e spontanei, la divinità sfiora l’anima degli ultimi e li conduce in cielo. Sì, un pescatore, apparentemente, sembra ateo, agnostico, in quella facilità che ha di utilizzare parole forti e stigmatizzate dai libri sacri. Dio è grande e buono e comprende i suoi figli, se a volte, bestemmiando evocano il suo nome invano.

    Non si può essere teneri di carattere, se dopo una giornata di lavoro, un’onda inaspettata e imprevedibile getta in mare il pescato che avrebbe dovuto sfamare la famiglia. Ḕ normale imprecare, bestemmiare, maledire la propria esistenza. Chi si professa dotto, dovrebbe immaginare una prole che aspetta a casa quel poco di cibo, indispensabile alla sopravvivenza, disperdersi tra i flutti minacciosi.

    Dopo, al tramonto tutti in chiesa a chiedere perdono a Nostro Signore ed invocare la Vergine Maria, madre generosa e comprensiva.

    Sebastian è cresciuto così, nei vicoli di un borgo adagiato sul mare salentino, sempre confuso e circondato da gente di ogni specie, pur rimanendo, alla fine, sempre solo e solitario. Un buon ascoltatore, poco propenso ad elargire eleganti disquisizioni esistenziali.

    Un momento importante si realizzava quando, ancora ragazzo, aveva inizio la partitella di calcio, in strada con i vicini di casa. In quel frangente di tempo, Sebastian scopriva di avere personalità e carattere. Il taciturno ragazzo esternava agonismo da vendere e soprattutto, quando agiva sulla fascia laterale, quella di sinistra, sembrava un leopardo nella savana, intento a definire il momento propizio per attaccare la preda: la sensazione simbolica di volare tra le sterpaglie, infuocate e sterminate dell’Africa equatoriali, come il più potente e veloce dei felini.

    Sebastian, in quelle partitelle, tra amici indossava sempre la maglia con il numero dieci. ritagliato dietro le spalle, Si sentiva forte, importante, talentuoso: semplicemente immaginando la straordinaria tradizione di campioni fornita dal calcio italiano, mancini naturali e tutti innamorati del numero dieci.

    Il mancinismo è stato considerato un fenomeno peccaminoso, una piaga educativa da parte dalla pedagogia scolastica, negli anni successivi alla Seconda guerra mondiale e fino alle soglie del 1980 la situazione di diversità non abbandonava mai chi non utilizzava la mano destra per scrivere. I maestri, fin dalle scuole Elementari, punivano severamente gli scolari se, quest’ultimi, fossero mai stati scoperti ad utilizzare la mano sinistra durante la stesura del dettato o scrivendo un riassunto direttamente in classe: simbolo di immoralità e di devianza, la demenziale giustificazione pedagogica e scientifica.

    Per un mancino naturale l’apprendimento avviene spontaneamente per impulsi estemporanei che dovrebbero e dovevano essere incoraggiati e mai puniti.

    Il nostro protagonista, si sarà intuito è cresciuto tra gli anni finale del 1970 e 1990, nel pieno della contestazione post sessantotto e nel retaggio storico di una cultura scolastica strettamente legata al pensiero filosofico di Giovanni Gentile. Il Fascismo, sconfitto dal conflitto mondiale, non aveva rinunciato a condizionare la didattica culturale italiana: le regole pedagogiche erano fortemente influenzate dai valori di patria, correttezza e rispetto, tipici della Destra Storica. I ricordi dei professori che Sebastian conserva nella memoria sono, infatti, positivi, di grande stima e profondo rispetto. Sì, certo, Sebastian ha perso l’abitudine a scrivere con la sinistra a forza di subire punizioni e bacchettate sulle mani: la mania di andare controcorrente durante la prova di dettato, è venuta meno.

    Per il resto il suo mancinismo è rimasto stabile, nessuna possibilità di redimersi e utilizzare la parte destra del corpo: se gioca a calcio, a tennis o se pratica qualsiasi altro sport, la preferenza impone l’applicazione assolutamente rigida della parte sinistra del corpo. Anche nel nuoto, la bracciata eseguita con la sinistra è migliore, più elegante, ma soprattutto più efficace di quella svolta con la destra.

    A pranzo, fin da bambino, i tentativi dei nonni di farlo desistere si sono sempre dimostrati inutili: forchetta e cucchiaio sempre rigorosamente a sinistra.

    Nella vita di relazione, Sebastian non è mai stato coerente con lo stereotipo riconducibile ad una personalità estroversa e affascinante come normalmente si immagina essere l’individuo tendenzialmente mancino. Artista, estroverso, simpatico e coinvolgente non erano proprio caratteristiche psicologiche che lo identificavano. Una vita difficile, nessuna difficoltà economica, senza mai tracimare nella ricchezza, nello sfarzo, nella abbondanza pantagruelica. I nonni, sempre premurosi non avevano mai fatto mancare niente a casa: libri, riviste di sport e dischi di musica erano sempre adagiati sul comodino della stanza da letto.

    Poi avvenne l’inevitabile, i nonni vengono quasi simultaneamente a mancare a distanza di pochi mesi una dall’altro. Dal quel momento la vita di Sebastian cambierà per sempre: improvvisamente si scopre grande senza essere mai stato bambino. I giorni e gli anni si perdono nella memoria fino a quando, siamo alla fine dell’estate del 2007, arriva la decisione inaspettata e imprevedibile: Sebastian decide di lasciare alle spalle la sua storia personale e ricominciare una nuova vita a migliaia di chilometri di distanza da casa. In mano ha il biglietto aereo che lo condurrà a Chicago, esattamente il 28 agosto di quella caldissima estate è prevista la partenza: l’Italia ed il sud un ricordo da custodire nel cuore e nella memoria. Il volo per Chicago non è un colpo di fortuna, un evento arrivato per caso, dietro c’è una precisa motivazione storico/sociologica. In Puglia, specie nella zona del barese è la norma avere negli Stati Uniti d’America, un parente vicino o lontano, emigrato negli anni precedenti con la speranza nel cuore di poter ricominciare una vita diversa dalla precedente, sicuramente migliore e con tanta serenità e tranquillità finanziaria.

    Il padre di Sebastian era, infatti, di Corato, ed aveva zii e parenti lontani sparsi un po’ ovunque negli Stati Uniti.

    Un lontano cugino americano aveva, così senza motivo, invitato Sebastian a raggiungerlo a Chicago e lì, una volta arrivato e sistemato, con un lavoro stabile, tentare di ricominciare una nuova esistenza. Per Sebastian era pronto un Visto di lavoro a tempo indeterminato ed un impiego come cameriere in un ristorante italiano, localizzato tra gli splendidi grattacieli della più avveniristica e architettonicamente avanzata città americana, poco distante dal cuore finanziario di Chicago: la splendida metropoli dello stato dell’Illinois stava per diventare la sua residenza, almeno per i prossimi anni.

    Il lavoro come cameriere, un monolocale, sulla collina vista lago, sobrio e modesto ma anche molto accogliente e romantico, almeno così risultava essere a Sebastian osservando le foto, visionate in anteprima, e spedite in Italia pochi mesi prima dal cugino.

    La sorpresa più bella, che poi ha spinto Sebastian, alla non tenera età dei 30 anni, a compiere il grande passo di lasciare alle spalle tutto il passato, è stato un contratto da calciatore dilettante da sottoscrivere, una volta arrivato a Chicago, con una squadra di dopolavoristi dell’industria dell’acciaio, lieti di accogliere tra le loro fila un italiano. In fondo, dopo il Brasile e in condivisione con la Germania, siamo la nazione più vincente al mondo. Malgrado l’onta di essere definiti catenacciari, questo pensava Sebastian. Nessun amico da salutare, nessuna ragazza da ricordare, soltanto una vita da solitario, di chi si sente bene quando è costretto a dialogare con sé stesso, di chi non merita di essere menzionato: alle spalle l’immagine sociale di uomo vinto che, adesso, trova un coraggio inaspettato e imprevedibile, per emergere ed alzare la voce per farsi ascoltare. La vita di chi declina gli inviti a cena, perché tanto sa come va a finire: abbandonato in un angolo, con gli occhi rivolti sempre furtivamente all’orologio, sperando che arrivi quanto prima il momento di evadere da un luogo che per lui è solo imbarazzo, disagio, quasi sofferenza.

    Adesso Chicago, con la sua frenetica vita culturale e sociale, aspetta il più atipico degli italiani: un giovane uomo che il sabato sera d’inverno è felice di rimanere solo a casa in pantofole, con la stufa incollata alle ginocchia, sognare di vivere emozione di sport, forti e indelebili, sensazioni astratte da conservare nella memoria per sempre.

    Nella sua esperienza calcistica, Sebastian non poteva che scegliere il numero dieci la maglia da indossare durante le partite in cortile aveva la funzione di richiamare una straordinaria sequela di campioni, tutti uniti nell’utilizzare quel benedetto e maledetto piede sinistro. Nello sport è risaputo che il mancino crea imbarazzo, imprevedibilità di colpi e soluzioni sempre improvvisate: il tennis, il calcio e la box sono tutti sport nei quali i talentuosi e anticonformisti sinistroidi sono rispettati e odiati allo stesso tempo.

    Il numero dieci, un numero che evoca sensazioni coinvolgenti ed emozionanti, al di là del singolo evento sportivo. Sebastian aveva, in modo ancestrale, ereditato la passioni per le giocate funamboliche dei mancini dal padre, anche se non aveva mai conosciuto colui che gli ha donato la vita. Probabilmente i racconti degli zii avevano affascinato il bambino che, senza saperlo, con la passione per lo sport, si legava in modo eterno a quel padre morto improvvisamente e soprattutto ancora giovane e con una vita davanti tutta da vivere.

    Il momento è arrivato, la notte prima Sebastian non riesce a chiudere occhio per l’adrenalina che circola nelle sue vene, non riesce a riposare tanta è l’emozione. È sveglio, disteso nel letto, la notte non sogna, aspetta l’alba, quando direzione Brindisi prenderà il volo per Roma. Un paio di ore di attesa e poi il volo diretto per Chicago, alle ore 14:30, presumibilmente il decollo.

    Dopo una vita scandita da tanta noiosa normalità e senza legami, Sebastian ha preso coraggio ha inviato un curriculum vitae ad una squadra dilettantistica dell’Illinois, la sede è nella periferia di Chicago, la grande e affascinante città nord-americana. Sebastian dovrebbe giocare al calcio ma, non potendo vivere soltanto di passioni sportive, dovrà integrare lo stipendio lavorando come cameriere in un ristorante italiano, molto famoso, conosciutissimo e situato nel cuore nevralgico e finanziario della  splendida e ammaliante città adagiata lungo le sponde del lago Michigan. Il proprietario è un milionario, di origine italiana che, per non perdere il legame affettivo con la terra di origine, quando può è felici di chiamare in America tanti giovani provenienti dal Belpaese. Giovani e meno giovani, tutti interessati a vivere una nuova esperienza umana e lavorativa nel Nuovo Continente.

    Sebastian sta per partire, alla non giovanissima età dei suoi trent’anni sa di non avere niente da perdere: nessun legame in Italia stabile, figlio unico, i cugini sposati e trasferiti nel nord Italia. Niente per giustificare un rifiuto ad un’offerta che ha tanto il sapore di rinascita, non è solo una necessità di lavoro e sopravvivenza, altre e forse più importanti motivazioni spingono inevitabilmente Sebastian cogliere, simbolicamente, il treno della fortuna a volo e senza incertezze.

    Certo a Chicago, fra poche ore sbarcherà, un giovane italiano con una dimestichezza scolastica o al massimo universitaria della lingua inglese. Tante difficoltà all’orizzonte, ma anche il desiderio di cambiare il percorso esistenziale, il proprio futuro, rendere realizzabile i sogni ed abbattere il muro della normale quotidianità.

    «La vita non può scorrere senza emozioni se, oltretutto, nessun legame sentimentale ti lega alla terra natia, tanto vale immaginare nuovi scenari emozionali e spirituali».

    Una tematica, quella esistenziale, che affascina l’uomo dotto e il semplice individuo fin dalla notte dei tempi. Se la vita non concede nessuna sicurezza, emerge dal nulla il desiderio di vivere una esistenza indefinita, senza limiti: non spaventa quello che non si conosce ma ciò che conosciamo. Nella scienza non ufficiale, quella che scava nei meandri esistenziale delle nostre paure, il limite è ben conosciuto: siamo soli con le nostre debolezze, ansie ed angosce.

    Per questo motivo è naturale cercare di ribaltare questa certezza a vantaggio nell’ignoto e dell’imprevedibile, essenziali condizioni di sopravvivenza. Sull’aereo per Chicago, a bordo, fila finestrino, numero 117, si trova un giovane italiano, prigioniero della sua solitudine, ma affascinato e desideroso di perdere i privilegi di chi non è responsabile di nessuno se non di sé stesso.

    Alla non tenera età di 30 anni, Sebastian sogna di ricominciare una nuova vita: non il mare sullo sfondo ma un lago che per le dimensioni, quando è agitato, mette paura come il Libeccio salentino. Una vita che nasce, solo, lontanissimo da casa, Sebastian sogna di realizzare il suo desiderio sportivo più grande ed evidente: convergere al centro e poi spedire il pallone al lato opposto rispetto alla posizione di tiro. Sì, Sebastian è appassionato di calcio, quanto e forse più del mare che fin da piccolo si stagliava all’orizzonte ovunque si trovasse in quel preciso momento, nella sua splendida cittadina salentina. Nella sua cittadina salentina, infatti, il mare circondava letteralmente le mura antiche come la sua stessa vita. Gli occhi di Sebastian sfuggivano all’azzurro del mare solo quando un pallone rotolava lungo i viali. In quel momento oltre al respiro, indispensabile per vivere, era essenziale colpire il pallone di interno od esterno non importa, ma sempre e comunque con il piede sinistro.

    Lo sport, il calcio in particolare, diventava espressione di libertà, di spazi e di sogni da realizzare. In fondo, Sebastian, confondeva le due sue passioni: mare e calcio avevano la stessa origine e motivazione. Soltanto in navigazione o quando giocava a calcio, Sebastian era felice. Una sensazione di estatica gioia, del tutto particolare, non era semplicemente uno stato d’animo da raggiungere per stare bene. La felicità derivava dalla possibilità di non pensare, porre la mente a riposo e non angustiarsi l’anima di problemi derivanti dalle molteplici situazioni sociali ed esistenziali.  Il calcio e il mare avevano queste straordinarie funzioni salvifiche, tensioni e paure svanivano, almeno momentaneamente a tutto vantaggio di una serena condizione dell’anima.

    La possibilità di realizzare il suo sogno, rende Sebastian entusiasta e felice della imprevedibile opportunità che il destino gli ha riservato. Non importa se la squadra nella quale dovrà andare a militare altro non è che una comitiva di non professionisti, impegnati in un torneo dilettantistico riconducibile al campionato di Promozione italiano.

    Mentre l’aereo si prepara, con molte ore d’anticipo a volare verso il nord Europa, per poi declinare verso il Canada, i sogni e le paure si incontrano e si confondono con l’entusiasmo tipico degli italiani quando si trovano ad affrontare sfide apparentemente impossibili. Sebastian si trova in una situazione impegnativa dal punto di vista comunicativo: conosce la lingua inglese in modo scolastico e universitario, ma nella vita reale il suo bagaglio linguistico si limita, a malapena a poche parole

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