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Un cappio per Archibald Mitfold
Un cappio per Archibald Mitfold
Un cappio per Archibald Mitfold
E-book364 pagine5 ore

Un cappio per Archibald Mitfold

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Info su questo ebook

1939, poco dopo la dichiarazione di guerra da parte dell’Inghilterra alla Germania, il giovane Archibald Mitfold, Archy per gli amici, racconta a due vecchi compagni di scuola un paio di incidenti che gli sono capitati e che potrebbero sembrare degli attentati alla sua vita. Il giorno dopo viene trovato morto nella casa della zia a Londra. Che cosa sia successo resta un mistero che Scotland Yard deve scoprire. Il caso viene affidato all’ispettore Pardoe, che scavando nella vita del giovane trova sempre nuovi elementi destinati a complicare le indagini: la sua curiosa passione per il disegno, che lo porta a riprodurre in modo compulsivo una specie poco nota di uccelli; le misteriose riunioni di un’organizzazione, la Nordic Bond, forse simpatizzante per i nazisti; un eccessivo interesse per la scomparsa di un milionario; e in generale una sorprendente e pericolosa “febbre da detective” che caratterizza la personalità del giovane e lo induce a comportarsi di conseguenza. Un giallo disseminato di “aringhe rosse”, quella tattica narrativa usata per depistare il lettore nel corso della narrazione e aumentare la suspense fino alla soluzione finale. Per chi ama il periodo d’oro del giallo inglese, perché cercare tra i moderni imitatori, quando è disponibile un autentico (e notevole) romanzo dell’epoca, per la prima volta tradotto in italiano?
LinguaItaliano
Data di uscita11 mag 2021
ISBN9788894979268
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    Anteprima del libro

    Un cappio per Archibald Mitfold - Dorothy Bowers

    Lombardo

    PERSONAGGI

    Archy Mitfold: giovane brillante, con la febbre da detective, che studia tedesco in vista di un incarico al Ministero degli esteri.

    Tony Wynkerrell: vecchio compagno di scuola di Archy al St. Crispin, ora socio più giovane di una libreria molto particolare.

    Philip Beltane: giudizioso insegnante, anche lui ex allievo del St. Crispin.

    Marian Leaf: saggia zia di Archy con cui il giovane abita.

    Agatha Pell: irascibile ottuagenaria, ex suffragetta e ora fascista, madrina di Marian. La signora Pell vive insieme alla figlia Kathleen Byron, due volte vedova, e almeno una volta in modo sospetto.

    Professor August Speyer: cittadino tedesco che impartisce lezioni della propria lingua ad Archy. È un membro del Nordic Bond.

    Rod e Frances Beaton: giovane dottore e sua moglie, da poco sposati, che abitano nella casa accanto a Marian Leaf.

    Netta Traill: domestica dei Beaton, pacata e osservatrice.

    Vera Moffat: domestica di Marian Leaf, servizievole quanto Netta.

    Sampson Vick: milionario e filantropo, uno degli uomini più ricchi d’Inghilterra, la cui sparizione suscita grande interesse in Archy.

    Beatrice Vick: moglie di Sampson.

    Humphrey Vick: fratello di Sampson, famigerato gangster di Chicago.

    Leofric Williams: socio anziano di Wynkerrell alla libreria.

    Il signor Caffey: irascibile vecchietto, membro del Nordic Bond.

    Bianca Tommaseo: presunta moglie di Humphrey Vick.

    Ispettore capo Dan Pardoe: giovane ispettore capo di Scotland Yard, alto e asciutto, di bell’aspetto e sulla quarantina, con i capelli prematuramente bianchi.

    Sergente detective Tommy Salt: fedele collaboratore di Pardoe.

    E poi vari agenti di polizia, amici, domestici, studenti, insegnanti, segretarie e famigliari.

    I

    Rompicapo

    Furia, sei scatenata.

    Giulio Cesare

    W. Shakespeare, Giulio Cesare, Atto III, Scena II,

    traduzione di Sergio Perosa

    N on puoi affatto considerarla una coincidenza protestò Beltane. Due può darsi, ma non tre. Era tipico del giovane manifestare formale dissenso da un’opinione che nessuno aveva richiesto.

    Tony Wynkerrell fece un sorriso malizioso. Dopo quattro tazze di tè cominciava a trovare di suo gradimento rilassarsi davanti a un bel fuoco nell’alloggio di qualcun altro in un pomeriggio d’ottobre, ascoltando il rumore della sottostante Victoria Street, e riflettendo su come fossero piacevoli i fine settimana in tempo di guerra che Beltane poteva permettersi con un semplice stipendio da insegnante.

    La sola idea disgusta il nostro caro Philip, disse con la sua voce languida, osservando entrambi i giovani con uno sguardo di pigro interesse per quanto in realtà dovrebbe essere l’alternativa a disgustarlo di più. Ma è colpa della mentalità accademica: sorprendere un docente a tollerare una così futile alterazione della logica come la coincidenza richiede. Per lui esistono solo causa ed effetto, nemmeno un briciolo di deviazione a confutare la regola. Pertanto gli incidenti di Archy non possono essere accidentali. Pertanto….

    Pertanto sei un perfetto idiota, Winkle. Beltane lo interruppe bruscamente con un tono meno amabile delle parole. Al diavolo il tuo dannato ‘causa ed effetto’. Ti limiti a parlare dell’uno senza considerare l’altro. Non è una questione di quel che io o te…

    Oh, smettetela, tutti e due disse Archy Mitfold, strisciando indietro sul tappeto appena il fuoco sprigionò nuovo calore. Strinse più forte a sé le ginocchia e lanciò un’occhiata alla sua sinistra, alle gambe eleganti di Tony allungate oltre il bracciolo della poltrona, poi alla sua destra, dove Philip era seduto scompostamente e tirava boccate stizzite dalla sua pipa. Stava provando per entrambi un disgusto assai poco lusinghiero che non aveva mai avvertito nelle occasioni in cui li incontrava singolarmente. Il pranzo dei vecchi allievi del St. Crispin – che vedeva ogni anno la partecipazione di una mal assortita accolita di crispiani, e dove uno si augurava di incontrare i propri compagni per poi rimpiangere di averli rivisti – aveva la tendenza a ridestare antiche rivalità e l’incapacità di riaccendere la scintilla di amicizie eterne; così Archy si trovò quasi a pentirsi dell’impulso che lo aveva portato a concludere un deludente pomeriggio all’hotel di Philip con un resoconto delle sue disavventure.

    Non che avesse raccontato loro ogni cosa. Niente affatto. Non sarebbe servito, a quel punto per quei due anche un semplice riassunto era un valido pretesto per un battibeccare che, persistendo dai giorni della scuola, gli appariva semplicemente puerile.

    Prese rapidamente fiato e, prima che uno dei due avesse tempo di aggiungere qualcosa, si affrettò a dire: So cosa intendi. Comincio a pensare la stessa cosa. I miei incidenti non possono essere casuali. Bene, rimane un’unica possibilità: sono tentati omicidi.

    Sciocchezze commentò brevemente Beltane nel suo migliore tono da insegnante di convitto, rendendosi conto della nota stridula posta sull’ultima parola. Non hai nemmeno la prova che i cioccolatini fossero stati adulterati, visto che non li hai fatti analizzare.

    Va bene disse Archy. Ma se neghi la coincidenza, non vedo, al pari di Winkle, cos’altro hai per non ammettere che si tratti di un tentato omicidio. A ogni modo, se esiste questo desiderio di togliermi di mezzo, non si fermerà qui. Presto ci sarà un altro tentativo.

    Seppure pronunciate senza enfasi, le parole comunicarono una lieve inquietudine agli altri due giovani.

    Ascolta, vecchio mio, riprese Beltane "dimentica quel che ho detto riguardo alla coincidenza. So – lo sanno tutti – che gioca strani scherzi. Hai avuto un terribile mal di pancia, forse perché hai preso freddo o per qualcosa che hai mangiato, e tu l’hai subito attribuito a un’anonima scatola di cioccolatini, perché era un dono anonimo, non ne ho dubbi. Riguardo a…"

    Sì. Riguardo all’essere stato praticamente spinto sotto a un treno e quasi investito da un’auto guidata da un folle, anche questo è frutto dei nervi e dell’immaginazione?

    No. C’è sempre gente che finisce sotto a un treno o viene spedita all’altro mondo dalla carretta di qualcuno, purtroppo. Ma raramente con premeditazione, credo.

    Wynkerrel scoppiò a ridere. "Perdona la mia risata poco educata, vecchio mio. Ma è alquanto divertente ascoltare il tuo sentito rifiuto della teoria dell’omicidio. Fino a un momento fa la sostenevi senza ombra di dubbio. Certo, è gentile da parte tua cercare di rincuorare il povero paziente. Oh, non perdere la calma, ne avrai bisogno lunedì con i tuoi studenti. E probabilmente sono contrario quanto te all’idea di avere il nostro piccolo Archy vittima di un assassinio. Non vedo alcuna ragione perché non debba portare il suo fardello in questa valle di lacrime per un altro po’ di tempo, a parte la perdita che il Ministero degli Esteri subirebbe se la sua carriera dovesse concludersi prima ancora di cominciare. Ma i fatti sono fatti, e tu ne hai tralasciati uno o due, mio caro Bel. Naturalmente, di tanto in tanto capita il povero diavolo con una tendenza a cadere sulla linea elettrificata della ferrovia e, se non si tratta di suicidio, la cosa avviene quando il marciapiede è superaffollato. Ma… mi par di intendere da Archy che questo momento di distrazione l’abbia colto a Sloane Square in quella che non era decisamente l’ora di punta, e che lui abbia avvertito una forte spinta sulla schiena mentre si muoveva verso il treno in arrivo. Dico bene, Mitfold?"

    Esatto confermò Archy, il volto stranamente arrossato. Di certo non c’era folla e nessuno, credo, che mi fosse molto vicino. Comunque sia, sono caduto sulle ginocchia e mi sono scorticato entrambe le mani nel cercare inutilmente di aggrapparmi al bordo della banchina, e poi una voce ha urlato e un’altra ha lanciato un grido stridulo, e un attimo dopo una donna mi ha afferrato per un braccio trascinandomi indietro.

    Appunto. E mentre Archie veniva confortato, spazzolato e fatto oggetto di commenti concitati, il gentiluomo di cui tutti vorremmo avere notizie se la dava a gambe dalla stazione.

    Sei sicuro che sia stato un uomo a spingerti? domandò Beltane.

    Certo che no rispose Archy con una punta di insofferenza. Non ho forse detto di non aver visto nessuno, solo avvertito una spinta? Ma è ovvio che uno non si aspetta una cosa del genere da una donna.

    Non sarebbe decisamente un’ipotesi lusinghiera ne convenne Wynkerrell.

    In realtà, la persona più vicina a me era una donna, quella che ha strillato e mi ha afferrato. Ma…

    I piedi di Wynkerrell tracciarono una parabola e andarono a fermarsi vicino ad Archy. L’hai vista bene in viso?

    Intendi dire se la riconoscerei? Be’, non era il momento ideale per essere molto ricettivo… però, sì, penso di sì.

    Perfetto, allora. Tieni gli occhi ben aperti in ogni caso. Saprà che l’hai vista e, se ha qualcos’altro in mente, è probabile che terrà un basso profilo.

    Da qui il tentativo a mezzo posta, presumo disse Archy. Si alzò e cominciò a girare irrequieto per la stanza, toccando oggetti e soprammobili senza motivo, la sua consueta espressione altera compromessa da un’agitazione controllata a stento.

    Per Giove, sì esclamò Wynkerrell. I cioccolatini… anche qui potrebbe esserci lo zampino di quella donna! Un tentativo di persona, un altro…

    Nel frattempo lo interruppe tranquillamente Beltane non state trascurando un aspetto importante? La losca trama che state tessendo non reggerà senza di esso. Ed è il movente. Se abbiamo deciso di ritenere che qualcuno stia cercando di uccidere Mitfold, dovremo spingerci oltre e considerare il perché di tutto questo. Trovato il movente, saremo mille miglia avanti sulle tracce del colpevole.

    Giusto disse Wynkerrell. "Ammesso che ci sia un movente. E se fosse un caso di mania omicida?"

    Beltane sobbalzò leggermente. Mio caro Winkle, nessun uomo che io conosca possiede un’immaginazione più sanguinaria della tua. Non ti basta vedere il nostro Archy assassinato, vorresti esporre tutti noi alla instabile mercé di un folle. Be’, per fortuna, credo che questa ipotesi non regga: un tipo così accanito non concentrerebbe i suoi attacchi su un’unica vittima.

    E tu che diavolo ne sai? fu la replica pungente. Non siamo in condizioni di affermare che abbia concentrato le sue attenzioni solo su Archy.

    Forse no. Ma sebbene non sia affatto un esperto di mentalità criminale, devo dire che questi attacchi – se di attacchi si tratta – non recano il marchio tipico e inequivocabile del maniaco. Non come nei casi di Neill Cream e Jack lo Squartatore, per esempio, i cui metodi, credo, non cambiavano mai.

    Wynkerrell dovette riconoscere che l’argomentazione era fondata.

    Tuttavia non so se lo Squartatore sia un esempio valido disse. Si pensa che avesse un qualche motivo, qualcosa che probabilmente gli faceva perdere il lume della ragione. La domanda è: la follia scatenata da un motivo, così come il motivo originato dalla follia, dovrebbero dare luogo a una mania omicida? Io non credo.

    La spinosa questione non venne dibattuta. Beltane era diventato fin troppo consapevole del girovagare di Archy tra mobili e arredi per farsi distrarre da qualcosa di così puramente accademico. Quel camminare a vuoto gli ricordava lo zoo. Era un andirivieni spiacevolmente contagioso che, di lì a un minuto, avrebbe spinto anche lui ad alzarsi e aggirarsi in cerca di una preda.

    Dannazione, Mitfold, sbottò esasperato non riesci a stare fermo? I tuoi nervi finiranno a brandelli… e anche i miei. Se la cosa ti sconvolge così tanto, perché non vai alla polizia?

    Stavolta fu Wynkerrell a mostrarsi stupito. Archy si fermò in mezzo a loro, le braccia conserte, sorridendo per lo scatto d’ira che aveva provocato.

    Ti sbagli, Bel disse. I miei nervi sono a posto. È solo che rifletto meglio se sono in movimento, tutto qui. Quanto alla polizia, dammi il tempo. Sono arrivato qui disposto a credere di essermi semplicemente imbattuto in una serie di eventi sfortunati. Ma adesso che vi ho esposto l’intera faccenda, mi avete convinto che è alquanto improbabile. E credo che non mi rivolgerò alla polizia per ora, ma me ne occuperò di persona.

    Parlò con un misto di sfida e vanità, condito forse dalla malizia che proviene da una conoscenza superiore che non si ha alcuna intenzione di rivelare.

    Beltane si strinse nelle spalle. Fai come ti pare. La decisione spetta a te, naturalmente. Io non condivido il tuo entusiasmo per le indagini amatoriali, nemmeno per legittima difesa.

    Soprattutto per legittima difesa rettificò Wynkerrell. Devi proprio avere quell’aria così da Napoleone, Archy? Non mi meraviglia che la gente voglia ucciderti. Bel ha ragione, per una volta: se combini un pasticcio, ed è un assassino con cui hai a che fare, sei praticamente morto. E poi è per questo che esiste Scotland Yard, per far luce su questa specie di malocchio che ti perseguita. Che dice la signorina Leaf?

    Mia zia? Oh, sarebbe d’accordo con te. Ma non sa molto al riguardo.

    Come mai? chiese Beltane.

    Oh, be’… non lo so. Archie parve imbarazzato. Non è il genere di cose in cui coinvolgerla. E poi i miei sospetti non avevano preso compiutamente forma. Naturalmente si è accorta del mio malessere, subito dopo l’arrivo dei cioccolatini, ma io ho nascosto la scatola senza esprimere le mie perplessità.

    Ma non ne ha mangiato qualcuno anche lei? s’intromise Wynkerrell. Ah, sei proprio un golosone, Archy.

    Nemmeno uno. Mia zia è a dieta.

    Oh, uno dovrebbe commiserarla per questo, ma sembra che le congratulazioni siano più adatte alle circostanze.

    Ma cosa dite del movente? insistette Beltane. Non rivolgete la minima attenzione alla radice della questione. Abbiamo il fumo, dobbiamo cercare il fuoco. Che cosa hai combinato ultimamente?

    Per suscitare desideri omicidi in un animo maschile o femminile? finì Wynkerrell. Davvero, cosa? Hai rubato il denaro, l’onore, la moglie o la suocera di un altro mortale? O forse sei l’erede di qualcuno e il parente più prossimo o chi per lui ritiene la tua presenza di troppo? Quale delle due? Sputa il rospo, amico.

    È proprio questo il punto rispose cauto Archy, usando la frase che precede invariabilmente una dichiarazione incerta. Mi sto ponendo la stessa domanda. Onestamente, non saprei. Voglio dire, non so come mi ritrovo in questa situazione. In realtà sto lavorando – cioè intendo lavorare – in più direzioni. Per questo non voglio mettere di mezzo la polizia, perlomeno non subito. Se devo chiamarla in causa, mi piace avere… be’, qualcosa di più completo da offrirle.

    Così potranno congratularsi con il promettente principiante e offrirgli un posto nelle forze dell’ordine osservò Wynkerrell con leggerezza, gettando un’occhiata all’orologio. In qualità di socio minoritario di una libreria particolarmente esclusiva a Hobby Court, nei pressi di Conduit Street, era incline a guizzi di energia che i suoi amici trovavano spassosi. Ehi, è ora di andare. Devo telefonare a un tizio per visionare una biblioteca. E credo sarebbe doveroso lasciare Bel alle prese con quel quintale di compiti da correggere che, naturalmente, non dimentica mai di portarsi dietro al sabato. Ti do un passaggio alla Fountain, Archy? C’è ancora un goccio di benzina nella vecchia carretta, quindi perché andare a piedi?

    Non alloggio lì questo fine settimana. La zia è andata in campagna e non tornerà prima di lunedì sera, così i Pell mi hanno offerto un letto di fortuna. Gli riferì un indirizzo di Old Brompton. Non è sulla strada, temo.

    Niente affatto. Mi piace fare un giro quando c’è ancora luce.

    Scese anche Beltane e aspettò sul marciapiede insieme ad Archy, mentre Wynkerrrell andava a prendere l’auto. La conversazione tornò pigramente sulla riunione dei vecchi allievi e la possibilità che non ve ne sarebbe stata un’altra per un anno o due. Ma i commenti di Philip erano vaghi e alquanto bruschi. D’un tratto Archy si rese conto che l’amico aveva ostentato un atteggiamento di annoiata indifferenza da quando non erano riusciti a fornire un movente per i presunti attacchi da lui subiti. Arrossì di rabbia appena capì che Philip non credeva alla sua storia.

    Un passante, attraversando la strada con il giornale della sera, si fermò un momento vicino a loro per leggere i titoli. I loro sguardi furono catturati da alcune parole a grossi caratteri:

    Sampson Vick: è morto?

    Diciannovesimo giorno, ancora nessuna notizia

    Davvero strano disse all’improvviso Beltane per un milionario di questo Paese, svanire come un filo di fumo. Ormai sono quasi tre settimane, e non hanno fatto alcun passo avanti.

    II

    Una visita e un visitatore

    Entra il primo assassino.

    Didascalia, Macbeth

    W. Shakespeare, Macbeth, Atto III, Scena IV,

    traduzione di Agostino Lombardo

    La cena si era conclusa a casa Pell, e l’anziana padrona di casa aveva tirato fuori le sue carte per il solitario. Era un’ottuagenaria dal carattere forte le cui simpatie dopo i pasti non andavano ai giovani, ospiti o meno che fossero. La signora Pell detestava i giochi competitivi: c’era sempre l’eventualità che l’avversario potesse vincere. Così le sue dita, rese maldestre dall’età, cominciarono a disporre le carte consunte dall’uso come richiesto dal passatempo appagante e solitario noto come Miss Milligan.

    Rimasta vedova, viveva insieme alla figlia, a sua volta vedova, in un’antica casa arredata con lusso ma poco arieggiata, a soli cinque minuti a piedi dalla Queen’s Gate. Le finestre della sala da pranzo si affacciavano sullo Square Garden, alquanto piacevole in estate, ma al momento solo un ricettacolo di settembrini appassiti che alla luce del giorno ricordavano vestigia assai poco gradevoli di un tempo ormai passato, un aspetto che avevano in comune con l’anziana signora, che il tempo aveva avvizzito senza renderla più umana. Agatha Pell non si era infatti addolcita con l’età perché, senza mai conciliarsi con i tempi in cui era vissuta, era sempre riuscita a fare sue le loro caratteristiche più aggressive. In un’epoca in cui la comparsa di donne su un palco pubblico faceva ancora discutere, la signora Pell era stata in grado di accendere un frenetico sentimento anti-boero in schiere di matrone disorientate che si erano sentite in dovere di andare a casa a consultare gli atlanti geografici per accertarsi della precisa ubicazione della Colonia del Capo¹. Nel suo sessantesimo anno di età, si era incatenata più volte alla cancellata di Downing Street, aveva infilzato agenti di polizia con spilloni da cappello e si era sdraiata davanti a vetture di Stato per un diritto di voto che non le avrebbe dato un briciolo di potere in più di quel che già esercitava; durante la guerra del 1914, nonostante fosse molto parsimoniosa in altri ambiti, si era assunta il compito di rendere disponibili e di distribuire una generosa quantità di penne bianche².

    Tali sforzi avevano manifestato, a dir poco, la sua convinzione della inferiorità maschile. Erano passati venticinque anni da quando il generale di brigata Pell, che aveva lottato invano contro questo convincimento per tutta la sua vita coniugale, aveva rinunciato una volta per tutte a una esistenza domestica di gran lunga più movimentata di quella professionale, e nessuno si sarebbe meravigliato più di lui nell’apprendere che ormai le lenti appannate del Tempo non mettevano più a fuoco molti dei suoi criticati difetti. Sotto altri aspetti, però, la sua vedova era rimasta irriducibile, e sebbene fosse parso che il periodo di stanca decadenza successivo alla Pace di Versailles non avesse da offrirle alcun ambito in cui riversare i suoi entusiasmi, di lì a breve gli Stati totalitari si prestarono a fornirle un ideale. Era diventata una fascista dichiarata – camicie nere e camicie brune – troppo poco ostacolata dalla coerenza per notare che la posizione in cui le donne erano relegate sotto i nuovi regimi cozzava con la sua visione femminista. Né, all’inizio di una nuova guerra, aveva trovato più difficoltà ad abbinare la sua approvazione del nazismo a un’imbarazzante dimostrazione di patriottismo di quanta ne avesse incontrata Herr Hitler nel convincere la Russia a entrare nel patto Anti-Comintern. Per entrambi era stato facile risolvere simili futili inezie.

    Come madrina di Marian Leaf, l’anziana signora aveva invitato Archy Mitford ad alloggiare a casa sua dal venerdì sera fino al lunedì mentre la zia era via.

    Non che il giovane le piacesse. A parte la sua disistima per gli uomini in generale, l’anziana signora disprezzava chiunque sopra i vent’anni che non si fosse inserito saldamente in una carriera stabile e preferibilmente esaltante. Il fatto che la menomazione fisica di una mano impedisse al suo ospite di indossare una divisa era del tutto irrilevante. Il mondo (da questo lato della Manica, in ogni caso) si era rammollito. La gente era addirittura così stupida da rispettare la coscienza altrui. Ma se le penne bianche, al momento, erano diventate un po’ démodé, dovevano esserci altri modi, forse ancora più convincenti, per esprimere la propria disapprovazione.

    Nel frattempo, era di qualche conforto sapere che di lì a breve l’esercito avrebbe annoverato tra le sue schiere l’amico perditempo di Archy, lo stesso che lo aveva accompagnato quella sera. Dietro il rispetto che i due giovani si premuravano di mostrarle, la signora Pell fu pronta a cogliere una derisione che metteva a dura prova la sua tolleranza. Ridevano di lei, ne era certa. La loro giovinezza, per di più, la rendeva acutamente consapevole della propria età. Faceva emergere quei pensieri di mortalità che lei si affannava a confinare nell’ombra.

    A peggiorare la situazione, si aggiungeva il fatto che Archy era un tipo riservato. Agatha Pell era combattiva anche nella sua avidità di sapere, e la reticenza, specialmente se abbinata a quella sorta di inquietudine di cui il giovane aveva dato segno sin dal suo arrivo il giorno prima, era vissuta dall’anziana signora come un affronto personale.

    E ora dove va? chiese, un fante di fiori sospeso tra le dita nodose, lanciando un’occhiata alla figlia intenta a sfogliare il giornale del mattino vicino al camino.

    Fuori rispose laconicamente la signora Byron, e aggiunse: A lezione, dice.

    Il tono era assente, ma quando piegò il giornale con un crepitio inatteso e fastidioso lo sguardo che rivolse alla madre era tutt’altro che svagato.

    Kathleen Byron era una donna imponente dall’aspetto ingannevolmente benevolo. La fronte bianca e liscia, le curve morbide ma contenute e i capelli di un caldo castano, senza un filo grigio, evocavano rasserenanti istinti materni e catturavano gli occhi degli uomini e i cuori delle donne, ma solo temporaneamente. Nei momenti critici, che capitavano spesso, il personale domestico preferiva trattare con la signora Pell. Gli occhi grandi e tondi di Kathleen avevano la limpidezza ambrata di quelli di una capra e forse anche qualcosa dell’innocente impudicizia di quell’animale. I conflitti verbali tra le due donne erano rari. La signora Pell ravvisava nella figlia una natura che la spavalderia non poteva dominare, mentre la signora Byron riscontrava nella madre una stupidità incorreggibile. Ma l’anziana signora non era così sciocca da non sospettare minimamente dell’opinione che la figlia aveva di lei. Chi sapeva quali pensieri frullavano dietro quegli occhi miti e luminosi?

    Ci fu un rumore sulle scale. Il terzo gradino dal fondo scricchiolava sempre. Di lì a poco il portone d’ingresso sbatté.

    Senza nemmeno dire ‘buonasera’ commentò Agatha Pell, lei stessa di certo non un modello di buone maniere.

    Le due donne si scambiarono una lunga occhiata. Poi l’anziana tornò al suo solitario, con la risoluta determinazione di barare se gli assi avessero tardato ancora a comparire, mentre la figlia lasciava con calma la stanza.

    Erano quasi le otto e trenta quando Archy Mitfold uscì sulla Old Brompton Road. Per quanto fredda, l’aria aveva una limpida leggerezza che non gelava le ossa. Le nebbie che avrebbero avvolto Londra di lì a un mese non erano ancora arrivate. Solo una caligine sottile, troppo impalpabile per essere avvertita, appannava le strade buie. Ogni sera, prima che la città si ritirasse nell’ombra, era stata un velo che lasciava trasparire sagome avare di dettagli, azzurre e misteriose. E per quanto i lampioni potessero bucarlo e le insegne luminose incendiarlo con rivoli di fuoco, per quanto ogni luce sgargiante prodotta dalla Londra prebellica potesse squarciarlo e violarlo, era pur sempre sospeso lì, indefinibile bellezza che una volta un grande artista aveva riconosciuto e fermato sulla tela.

    Ma al secondo mese di oscuramento, in una notte di luna coperta da nuvole, non era il momento per fare apprezzamenti. Archy tirò su il bavero del cappotto per coprirsi le orecchie e abbassò la tesa del cappello fin sul naso, frugò nella tasca in cerca della chiave che sapeva essere lì e si avviò con passo lesto e sicuro in direzione di Onslow Gardens. Ma non era quella la sua meta. In Selwood Terrace ebbe la fortuna di trovare un taxi che aveva appena scaricato un passeggero, chiese con circospezione di essere lasciato all’angolo tra King’s Road e Markham Street e in pochi minuti coprì il grosso del tragitto.

    Mulberry Fountain, dove abitava la signorina Leaf quando era a Londra, era la piazza più piccola di Chelsea. Delimitata a nordovest da King’s Road e a sudest da Burton’s Court e dall’ospedale, il suo fascino dimenticato racchiudeva meno di una dozzina di case nascoste da qualche parte dietro a Wellington Square. Per chi scendeva nei pressi di Markham Street, il modo più logico per accedere alla piccola piazza era da King’s Road. Ma, rifletté Archy, logico era un termine relativo quando si finiva impantanati nel tipo di palude in cui di recente si era venuto a trovare. Voleva a tutti i costi passare inosservato, un desiderio che, date le circostanze, avrebbe dovuto essere di facile realizzazione. Ma Archy non riteneva probabile che la sua sorte si facesse scoraggiare da un’oscurità che cancellava i punti di riferimento noti.

    Così pagò il prezzo della corsa lasciando una mancia sconsiderata al tassista, poi si tuffò in Smith Street, svoltò in St. Leonard’s Terrace e, dopo un altro paio di svolte, sbucò in un piccolo cul-de-sac situato alle spalle delle case nella strada a est di Mulberry Fountain. Il vicolo, silenzioso e deserto, sembrava una bocca spalancata fino all’estremità chiusa del muro, oltre il quale si estendeva il giardino della signorina Leaf. Il buio era fitto e vellutato.

    Archy si guardò alle spalle una seconda volta. Non c’era nessuno nei paraggi. Le poche finestre che occhieggiavano il vicolo nelle ore diurne ora mostravano alla notte i loro occhi chiusi. Una piccola ombra vicina al suolo si staccò all’improvviso dall’ampia cortina di oscurità e sfrecciò da una cunetta all’altra con furtività felina. In ogni caso, non bastò a scuotere la cupa immobilità del luogo.

    Archy gettò una seconda occhiata oltre la spalla. Poi prese una torcia dalla tasca, la accese e indirizzò il debole fascio di luce verso i piedi. In un momento fu in fondo al vicolo, cercando un appiglio nel decrepito muro di mattoni, e un istante dopo era già al di là, l’erba bagnata del giardino sotto le scarpe e alla sua sinistra una sagoma scura e contorta, simile a una delle creature mostruose disegnate da Rackham: era semplicemente il vecchio melo che si sforzava di rendersi visibile.

    Dopo aver spento la torcia come misura precauzionale, rimase immobile per alcuni secondi, i sensi allertati, le orecchie tese a decifrare il flusso del traffico distante. Il suo mormorio confuso si prestò a fare da sottofondo ai piccoli suoni circostanti: il cinguettio insonnolito di un uccello tra i cespugli di alloro, l’improvviso crepitio di una foglia spinta dal vento lungo il sentiero, le inattese note piene e pacate di un gufo nel giardino del vicino. Mentre avanzava, l’improvviso schianto di una mela schiacciata sotto la suola turbò il suo equilibrio e il cuore cominciò a martellargli nel petto. Ridicolo. Non era nulla. Non c’era nessuno nelle vicinanze. Malgrado ciò, si diresse verso il retro della casa senza l’aiuto della torcia.

    Al pari degli altri edifici in fondo alla piazza, il civico otto era un tipico esempio nobile di bifamiliare in stile vittoriano con tanto di piano interrato. Sul retro, una rampa di dieci gradini – ciascuno evidenziato con strisce di vernice bianca – scendeva dal giardino alla cucina; altri quattro gradini salivano dal giardino alla porta sul retro. Archy sapeva

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