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Il mistero della vetreria
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E-book212 pagine3 ore

Il mistero della vetreria

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Info su questo ebook

La signorina Trumbull, agiata e frizzante newyorkese di mezza età, decide di lasciare la sua comoda dimora per andare a trovare la vecchia amica Charlotte. Non può sottrarsi all'invito, che prevede però già noioso, sia perché preferisce la vita effervescente di New York alla tranquillità della campagna, sia perché considera la donna un po’ triste e cupa. Tuttavia le sue previsioni sono del tutto scombinate quando nella fornace della vetreria di Frederick Ullathorne, noto creatore di vetrate artistiche, vengono ritrovati resti umani. Grazie alla sua spiccata curiosità e a un’innata capacità investigativa, la signorinaTrumbull si trova così coinvolta nell'indagine ‒ che si rivela alquanto complicata ‒ per scoprire chi era la vittima e chi l’assassino; la guida la certezza di essere più abile del detective incaricato del caso, e di riuscire a “vedere ciò che altri non hanno visto”. Non sa che la sua intraprendenza potrebbe costarle cara.
LinguaItaliano
Data di uscita26 set 2019
ISBN9788894979213
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    Anteprima del libro

    Il mistero della vetreria - Margaret Armstrong

    Milano

    1

    Immagino che il tempo, bello o brutto che sia, abbia spesso fatto la differenza nella vita delle persone. È un’ovvietà, senza dubbio: tuttavia quando ripenso alla parte che ho avuto nel caso Ullathorne, mi rendo conto che se il sole non fosse stato così splendente in quel particolare lunedì mattina dello scorso marzo, niente di quello che è avvenuto a Bassett’s Bridge sarebbe accaduto esattamente nello stesso modo, e anzi una parte non sarebbe successa affatto. Perché io non sarei stata là.

    Era un po’ come quella filastrocca che diceva: E venne il gatto che si mangiò il topo, che al mercato eccetera eccetera. Se il tempo non si fosse messo al bello, non sarei andata a far visita a Charlotte Blair; non sarei stata là con gli occhi sgranati quando le cose stavano accadendo; non sarei stata costretta ad assumere il ruolo della testimone inerme, una parte pericolosa quando le pallottole ti passano accanto. E poiché non avrei saputo niente del caso, tranne ciò che avrei letto nei quotidiani, non sarei stata della minima utilità alle persone coinvolte.

    Ma ci andai. Vidi ciò che nessun altro vide. O piuttosto vidi prima di altri, in effetti sono portata a pensare che se Skinner fosse stato meno presuntuoso…

    Ma sto andando troppo avanti con la storia. Ritorniamo a quel lunedì mattina a New York quando il sole splendeva e io me ne stavo a letto cercando di decidere se andare o no a Bassett’s Bridge. Sapete, a me non piace molto fare visite: la maggior parte delle zitelle ama la propria casa più degli altri e io semplicemente detesto la campagna in inverno. Sospirai e mi raggomitolai di nuovo nel mio bel letto soffice, sospirai di nuovo quando sentii Bessie far scorrere l’acqua del mio bagno, bollente, naturalmente: l’acqua è sempre tiepida nelle case antiche di campagna. Ma perché mai avevo detto a Charlotte che sarei andata? In realtà non è che l’amassi molto. Non mi era mai piaciuta troppo. Non ci vedevamo spesso da quando avevamo lasciato il college e ne era passato del tempo da quei giorni di scuola, considerando che oggi siamo entrambe più vicine ai cinquanta che ai quaranta. All’epoca Charlotte era una spilungona pallida e silenziosa dai grandi occhi spauriti a cui ero particolarmente simpatica, credo, perché ero rotondetta e vivace e non mi facevo intimidire da nessuno. Il tempo non ti cambia, ti rende ancora di più quello che sei. Io sono diventata più robusta e pesante e ancora più loquace – pensavo –; e dunque Charlotte con il tempo deve essersi fatta più esile e pallida. Per quanto riguarda i suoi occhi, se hanno un’espressione più strana di quella che avevano, Dio ci scampi! Ma ci sarebbe rimasta male se non fossi andata a farle visita: il suo invito mi sembrava particolarmente caloroso. Mi alzai con una smorfia dal letto, feci colazione e per tempo mi ritrovai in una carrozza surriscaldata e soffocante diretta a Bassett’s Bridge, dalla povera Charlotte.

    Perché povera Charlotte, mi chiesi, mentre guardavo fuori dal finestrino New York che si dissolveva man mano che il Connecticut si avvicinava. Viveva in campagna tutto l’anno, anche se nessuno la obbligava. Avrebbe potuto prendere un appartamento carino in Park Avenue, come avevo fatto io. La sua casa, a giudicare dalla foto che avevo visto, era piuttosto tetra: bianchi pilastri nella parte anteriore e alti abeti di un rosso scuro tutt’intorno che sembravano quasi soffocarla. Ma era libera di andarsene se avesse voluto.

    Libera? No, non nello spirito. Da ragazza Charlotte si era sempre avviluppata da sola in scrupoli e pregiudizi. Il mio umore era sotto la suola delle scarpe. Mio Dio, pensai, spero che Charlotte abbia una buona macchina e un bravo autista. Sarebbe da lei affezionarsi a una vecchia Ford dalle tendine svolazzanti, con alla guida un idiota del villaggio.

    Poi con sollievo mi venne in mente Phyllis Blair, una sua giovane cugina che stava passando l’inverno con Charlotte per tenermi compagnia e guidare l’auto aveva scritto lei.

    Avevo ragione: l’auto era una Ford e Phyllis, cara Phyllis, era l’autista. Non mi ero resa conto, naturalmente, quando la vidi venire correndo giù per la banchina per incontrarmi, quanto fosse una cara personcina, e come lo sia tuttora! Ma vidi che era graziosa, vivace e snella, e a una seconda occhiata notai i suoi splendenti capelli rossi, gli scintillanti occhi blu, le guance color pesca; niente rossetto sgargiante, e fortunatamente niente sopracciglia disegnate.

    Lei è la signorina Trumbull! esclamò. Nessun altro era sceso dal treno. Sono così contenta che sia venuta. Sono Phyllis, Phyllis Blair.

    Prese la mia valigia, la sistemò nel bagagliaio della Ford, mi aiutò ad accomodarmi sul sedile accanto al guidatore, mi avvolse in una coperta di pelliccia e si mise al volante. La Ford partì senza il minimo fragore e subito svoltammo in un’ampia strada del villaggio, bordata di olmi.

    Era quasi buio ora, ma riuscivo a intravedere il villaggio, che era molto piccolo e tipico del New England: una dozzina di vecchie case bianche dall’aria confortevole, il municipio, la chiesa su un lato, l’ufficio postale sull’altro, anche loro bianchi.

    Un posticino carino commentai guardando fuori. Si diverte?

    Oh, si può sciare e pattinare e… La sua voce tremò: l’auto aveva rallentato e lei aveva lanciato un’occhiata a un edificio basso e lungo che avevamo appena superato, poi continuò: Mi scusi, signorina Trumbull, stava dicendo….

    Niente di importante. Che edificio era quello che abbiamo appena superato?

    La vetreria Ullathorne, dove il signor Ullathorne crea le sue vetrate artistiche.

    Davvero? Pensavo che avesse il laboratorio a New York.

    L’aveva, ma il signor Ullathorne odia la pubblicità: ha un caratteraccio e quando ha ricevuto l’ordine per un grande rosone della cattedrale, sono arrivati così tanti curiosi nel suo atelier che è stato preso da una rabbia tale – ha veramente un pessimo carattere – da indurlo a fare armi e bagagli e trasferirsi qui.

    Molto giusto annuii. Credo che ci sia anche un giovane Ullathorne, il figlio. Sono vicini piacevoli?

    Oh, certo esitò. Non credo che la cugina Charlotte ami molto il signor Ullathorne, ma lei e io non abbiamo sempre gli stessi gusti.

    E che dice di me? Risi. Io piaccio a Charlotte, credo, altrimenti non mi avrebbe invitata qui.

    Phyllis mi gettò un’occhiata di valutazione. Mi aspettavo che lei fosse un po’ una sua gemella, un’altra signora anziana e cupa, vestita di nero e in modo severo. Ecco invece che non le assomiglia affatto.

    L’auto svoltò in un vialetto e si fermò ai piedi di una ripida scalinata che conduceva sino a una monumentale porta di ingresso tra due file di colonne. La porta si aprì e una donna avanzò portando una lanterna.

    Questa è Minnie Clater, signorina Trumbull fece Phyllis. Lei è la nostra tuttofare.

    Minnie mi lanciò un sorrisetto riservato, tipico del New England, prese i miei bagagli e mi condusse in un atrio quadrato fiocamente illuminato e ricoperto da pannelli di noce scuro. Dei passi risuonarono dalla parte posteriore della casa, una porta si aprì e apparve Charlotte. Alta, scura e pallida come sempre, pensai. Tuttavia sembrava felice di vedermi. Ci scambiammo un bacio. Lei fece i soliti commenti gentili e disse a Phyllis di mostrarmi la mia camera.

    Non vado di sopra spesso mi spiegò. Ho il cuore debole.

    Salimmo, e Phyllis riprese: Lo pensa lei, ma l’altro giorno lasciai l’auto troppo vicino a una delle sue uccelliere – ha una vera passione per gli uccelli – e lei ha tolto il freno e ha spinto indietro la macchina, come se fosse stata una carrozzina per bambini. Questa è la sua stanza. Piuttosto triste, non è vero?

    Tutte le stanze che non vengono usate e non sono state rinnovate sono uguali a questa commentai.

    Non tutte hanno però una volpe imbalsamata sul caminetto. Se le dà sui nervi, può metterla nel ripostiglio.

    Ci vuole altro che una volpe impagliata per sconvolgermi risi. A che ora è la cena? O è un semplice pasto frugale?

    Alle cinque e mezza, ed è frugale. Non si cambi: mi piace il suo abito, a meno che lei voglia indossare qualcosa di più caldo: la sala da pranzo è piuttosto fredda. Troverà la stanza da bagno alla fine del corridoio, vasca in stagno e lavandino in marmo nero. Fa freddo pure lì.

    Mi vuol cacciare via spaventandomi?

    Per carità! Lei è la prima cosa piacevole che capita qui da quasi due settimane!

    Come mai? Che c’è che non va?

    La cugina Charlotte ha avuto uno dei suoi momenti negativi, quelli che Minnie chiama attacco di paturnie. Ora gli è passato, grazie al cielo. Quando le prende…

    Lo so dissi in tono leggero. Era così anche a scuola: di umore mutevole, un giorno alle stelle e l’altro alle stalle. Le ragazze la chiamavano il ‘Fantasma’.

    Davvero? Bene, sono contenta che sia venuta. Grazie. Ma è orribile da parte mia parlare in questo modo. Quando Charlotte ha saputo che la zia con cui vivevo era morta – sono orfana – e io avevo appena finito il college, mi propose di venire a stare da lei finché non avessi trovato un lavoro. Ero depressa e nessuno è stato più gentile con me di mia cugina, eppure… Comunque sono molto felice che lei sia qui ora.

    Bene. Su di morale, mia cara! Mi resi conto che il recente attacco di paturnie di Charlotte aveva inciso pesantemente sulla ragazza. Sono qui e ce la spasseremo.

    Con mia sorpresa, ci divertimmo veramente, almeno per un po’. Il tempo era migliorato; nevicò un pochino quella prima notte, ma poi spuntò il sole e ci risvegliò con la vista di un mondo di un candore luminoso e di un blu scintillante. Phyllis e io ci affrettammo a uscire nel giardino appena terminata la colazione. Poco dopo Charlotte ci raggiunse e tutte e tre ci avviammo a piedi verso il villaggio.

    Camminavamo di buon passo, chiacchierando e ridendo, e persino Charlotte sorrideva di tanto in tanto.

    Mentre superavamo l’edificio che Phyllis aveva chiamato la vetreria Ullathorne, la porta si aprì e un giovanotto estremamente avvenente, senza cappello e con un grembiule di lino bianco, corse giù per il vialetto.

    Buongiorno, signorina Charlotte! disse. Ciao, Phyllis! La vetrata è finita e se volete potete venire a vederla.

    Charlotte lo presentò con un borbottio: Il giovane signor Ullathorne.

    Nome di battesimo Leonardo da Vinci aggiunse lui in tono allegro. Ma da tutti chiamato Leo. Comunque poteva anche andarmi peggio: era stato preso in considerazione Mino da Fiesole, credo, e allora sarei stato Minnow. Ma entrate, non volete?

    Vidi che una volta quel posto doveva essere stato una rimessa. La grande porta centrale era ora chiusa da travi messe per traverso e noi entrammo da una porticina ricavata su un lato, che si apriva su un grande spazio dalle pareti bianche e dal pavimento di cemento. Un forno di strana foggia era collocato su un lato, una rastrelliera dove erano sistemati i vetri correva lungo le pareti e una confusione di strumenti, tavole, legna da ardere, vecchie scatole e altri oggetti era sparsa sul pavimento.

    Un ragazzo inginocchiato armeggiava davanti al forno.

    Il forno è a posto, signor Leo disse. Dirò a Jake che può saldare il Buon Samaritano; l’asino richiederà un lavoro lungo o dobbiamo prima infornare San Pietro?

    Come faccio a saperlo, Clarence? rispose Leo con aria indifferente. Chiedi a Jake fece conducendoci verso una scala buia e stretta dai gradini simili a quelli delle scale di corda, che saliva ripida al piano di sopra. Tutti ci arrampicammo.

    Leo aprì una porta e fummo avvolti da una cascata di luce e colore che fluiva da un’enorme vetrata circolare che occupava quasi tutta la parete opposta. Ero frastornata e non vidi Frederick Ullathorne finché non fu al mio fianco, sorridente e con la mano tesa.

    Ma valeva la pena guardarlo: era persino più attraente di Leo e mi ricordava il busto di un imperatore romano. Nerone, può essere?

    Ci stringemmo la mano, ma io mi girai subito verso la finestra. Restammo lì a contemplarla, Charlotte, Phyllis e io, in religioso silenzio per un lungo momento. Poi io lanciai un’occhiata a Ullathorne: i suoi occhi fissavano la vetrata e il suo viso brillava per l’estasi come un novello Orville Wright che guarda il suo primo aeroplano librarsi nell’aria. Lui sobbalzò quando presi la parola.

    Il soggetto mi lascia perplessa azzardai. Chi sono quei tre personaggi di bell’aspetto al centro, con quel cielo rosso alle spalle?

    Lui mi fissò. Quei tre giovani disse in tono altezzoso "sono i Tre Giovani Santi Azaria, Anania e Misaele, nella fornace ardente del Re Nabucodonosor, mentre cantano l’inno noto come Benedicite."

    Ma certo! esclamai. Quei tre mi sono sempre piaciuti, così grintosi da continuare a tessere le lodi del Signore in circostanze così scomode. Sebbene i cantanti seguiterebbero a cantare nei… mi interruppi, perché lui aveva un’aria seccata più che mai, e così aggiunsi in tutta fretta: Lei gli ha dato i visi più belli. E per quanto riguarda il tessere le lodi dell’opera divina, il modo complesso in cui lo esprimono è meraviglioso. E i colori! E i disegni! È bella come una vetrata di Chartres!.

    Alla fine avevo trovato il tasto giusto! Lui sorrise con sincera soddisfazione e io lo trovai piuttosto affascinante.

    Sono felice che approvi borbottò. E lei, Phyllis? Si interruppe e si girò di scatto. Phyllis e Leo si erano spostati nell’angolo più remoto del laboratorio. Capisco, commentò in tono ironico meglio la compagnia del giovane Leonardo.

    Leo voleva mostrarle un suo dipinto intervenne Charlotte.

    Dipinto! Mio Dio! Ullathorne sbuffò e poi si rivolse a me: Quel mio ragazzo non ha talento, di nessun genere, signorina Trumbull, ma gli ho insegnato a essermi utile in alcuni lavori un po’ meccanici.

    Posa per lei, credo si azzardò a dire Charlotte.

    Oh, sì, fin da quando è nato rise Ullathorne. Inizialmente lo mettevo in posa per i miei cherubini e per i bambini, l’infante Samuele e gli angioletti, poi per i santi, i profeti e i martiri, una volta diventato adulto. All’età di cinque anni, sapeva che cosa doveva aspettarsi se solo sbatteva le ciglia mentre mi faceva da modello.

    È una creatura bellissima commentai. La figura di un giovane atleta greco.

    Tutto merito mio: esercizi regolari di postura, cibo semplice e non in grande quantità. Un bel giovane animale, il mio Leonardo. Ma niente cervello. Daremo un’occhiata a ciò che lui chiama la sua ‘pittura’ prima che ve ne andiate. Volete fare un giro del laboratorio?

    Lo visitammo. Una mezza dozzina di uomini erano al lavoro. Se ne stavano ai lunghi tavoli collocati su tre lati della stanza. Uno tagliava dei modelli in carta, un altro incideva fogli di vetro colorato con una punta di diamante, dandogli strane forme come se fossero pezzi di un puzzle. Alcuni stavano fissando strisce morbide di piombo attorno ai bordi delle parti già tagliate. Ullathorne spiegò ogni passo del processo: come il piombo servisse per unire i diversi pezzi del vetro fino a formare un disegno, come avvenisse la saldatura e come il tutto si trasformasse alla fine in un solido mosaico.

    Ora ha visto tutto, signorina Trumbull, disse infine Ullathorne tranne la cottura. Il forno è al piano di sotto. Ma prima diamo un’occhiata al lavoro di Leo.

    Attraversammo la stanza. Phyllis e Leo stavano chiacchierando a bassa voce. Leo alzò lo sguardo con un sobbalzo e lasciò cadere il pennello che riprese da terra in tutta fretta per proseguire poi il suo lavoro. Stava dipingendo un’iscrizione in caratteri gotici su una striscia di vetro con un’abilità e velocità che a me parvero notevoli.

    Lo osservammo per un momento, poi il signor Ullathorne rise. La mano di Leo tremò e

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