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Il compenso del destino
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E-book282 pagine4 ore

Il compenso del destino

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Info su questo ebook

Cosa lega la famiglia Balbi al giovane Salvatore?
Vite all’apparenza lontane che, passo dopo passo, guidate da una mano invisibile, convergono fino a ritrovarsi unite, per sempre.
Guerra, odio razziale, distruzione, mafia, rinascita, introspezione personale: sono tra gli ingredienti di questo romanzo che attraversa mezzo secolo del 1900. Il “secolo che ha sconvolto il mondo” viene qui presentato con le vite di personaggi di grande umanità, con spaccati d’Italia in cui è bello perdersi, con l’incrollabile convinzione dell’Autore che tutte le difficoltà della vita, arrivano prima o poi, ad un lieto fine.
Un modo per rivivere quel periodo, per quanti lo hanno vissuto, e un modo per conoscerlo, per quanti sono nati successivamente. 
LinguaItaliano
Data di uscita18 mag 2021
ISBN9788831381833
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    Anteprima del libro

    Il compenso del destino - Pietro Femia

    Note

    La flebile luce del buio

    Capitolo 1

    Piemonte, Cuneo 1943

    Era il 22 dicembre quando, all’imbrunire, un uomo scendeva dalla montagna con una coperta bianca addosso per non essere avvistato tra la neve. Il suo udito era attento e capace di percepire il più piccolo rumore, con la sua vista di falco avanzava buttando lo sguardo in ogni direzione. Balbi Bruno era abituato alle situazioni più difficili, era un alpino della Cuneense che aveva deciso di lasciare il suo battaglione al ritorno dalla campagna di Albania per unirsi ai partigiani; la sua non era stata una decisione semplice poiché era molto legato all’esercito, ma, negli ultimi anni, sentiva che la sua anima non era più in sintonia con le decisioni dei superiori.

    Inoltre, era fortemente contrario alla campagna di Russia, lui non voleva assolutamente partire in quella che, a parere suo, sarebbe stata una battaglia suicida e non una guerra lampo come affermato da Hitler e Mussolini.

    Ebbene sì, era un disertore, non sopportava più la guerra e, soprattutto, non sopportava più tutti quelli che volevano rovinare la sua patria a cominciare dai tedeschi. Che bisogno c’era di mandare tutti quegli uomini a morte certa al freddo e senza nemmeno un giusto equipaggiamento?

    Non era assolutamente sua intenzione partire, meglio essere etichettati come disertori, lui ed i suoi compagni si sentivano in dovere di fare qualcosa per la loro patria e avevano deciso di rinforzare la schiera dei partigiani; volevano liberare l’Italia dai fascisti e poi, nonostante i suoi 45 anni, lui si sentiva ancora forte; era alto un metro e ottanta, aveva una corporatura robusta e spalle larghe. Non era da buttare via, non si sentiva vecchio.

    Era ormai giunto a piedi nei pressi di una strada carraia, il suo viso squadrato era duro, ma rassicurante ed i suoi occhi castani vagavano ovunque, doveva fare attenzione a tutto, rischiava troppo durante gli spostamenti, ma a Natale lui voleva stare con la sua famiglia anche a costo della vita. Avanzava con lunghe falcate lasciandosi alle spalle la città di Cuneo rasentando montagne e boscaglie. Vedeva le montagne piene di neve in lontananza, anche in pianura c’era neve, lui adorava la sua neve, era morbida e non era fredda.

    Bruno alzò lo sguardo al cielo, e vide tante piccole nuvole bianche avanzare da nord come un grande gregge di pecore, che pian piano riempivano il suo cielo cuneese e pensò che quanto prima avrebbe nevicato di nuovo, doveva fare in fretta, doveva raggiungere la sua famiglia vicino a Saluzzo prima che le strade si fossero riempite di nuovo di neve. Mentre camminava pensava a tutti i suoi compagni che avevano combattuto con lui in Albania, che erano partiti per la Russia e non avevano la fortuna che aveva lui di trascorrere le feste in famiglia, molti di loro erano morti non solo durante le battaglie, ma anche congelati; a molti durante la notte si congelavano le gambe e non riuscivano più a camminare, i compagni per quanto possibile li portavano a spalle oppure li lasciavano ai barellieri, ma non sempre era possibile salvarli. Poverini! Era una morte tremenda! E quanti suoi compagni invece una famiglia non ce l’avevano più: chi era morto in guerra, chi sotto i bombardamenti delle città, chi addirittura di fame perché le razioni di cibo assegnate dal regime non bastavano. Per non parlare dei tantissimi bambini morti di malattie e stenti! Che umanità era la loro?

    Lui sognava che tutto questo strazio finisse presto e non solo lui; nel suo rifugio tutti si battevano affinché lo scempio finisse e per far sì che questo sogno diventasse realtà si erano ben organizzati. Avevano scoperto una grande grotta naturale quasi sulla cima della montagna con alti cespugli che ostruivano l’entrata, con tanto lavoro l’avevano trasformata in un rifugio a prova di bombe e ci tenevano dentro armi e derrate alimentari. Per tornare dalle famiglie facevano a turno perché doveva sempre essere sorvegliata per impedire che il nemico se ne impadronisse, erano circa una ventina gli occupanti capitanati da Bartoli Beniamino che impartiva sempre ordini precisi e dirigeva perfettamente le staffette, quelle bravissime ragazze che portavano loro da mangiare, vestiti e notizie importanti.

    Anche loro combattevano la loro speciale guerra e rischiavano la vita per aiutarli; le staffette erano tutte donne perché riuscivano ad evitare più facilmente i controlli dei tedeschi e lui era veramente fiero di quelle ragazze coraggiosissime! Pensava Bruno, pensava e camminava veloce, voleva raggiungere sua moglie e suo figlio sperando di trovarli in buona salute; non vedeva sua moglie da circa tre mesi e gli mancava tanto Iolanda, la sua amata dottoressa, gli mancava il suo viso solare, gli mancavano i suoi occhi azzurri ed il suo modo di agire garbato, ma, al contempo forte e deciso. Gli mancava il figlio Benedetto che non vedeva da un anno, lui studiava a Torino in collegio alla facoltà di economia e commercio.

    Aveva sempre voluto studiare Benedetto, gli piaceva fin da bambino e loro facevano sacrifici enormi per farlo laureare. Anche lui era un ragazzo alto e forte, era biondo come la mamma e aveva gli occhi celesti. Bruno sperava proprio di trovarlo a casa, sicuramente in un anno era cresciuto ancora.

    Ormai mancavano circa tre chilometri per arrivare, era quasi totalmente buio e si accorse che iniziavano a cadere i primi fiocchi di neve come aveva previsto. Aumentò ancora il passo, i fiocchi di neve diventavano sempre più numerosi, superò un piccolo torrente e sentì dei rumori o forse dei lamenti, non riusciva a capire Ah… ah… gruuu…, si mise sull’attenti per capire da dove potessero provenire quei suoni, forse era un animale, capì che arrivavano dalla sua sinistra dove c’erano cespugli ed erbacce, infilò la mano nella giacca per estrarre una piccola torcia dalla tasca e seguì quel rumore con fare circospetto pronto a difendersi.

    Ad ogni passo sentiva il battito del suo cuore sempre più accelerato, ma capiva che si stava avvicinando perché il suono di quei lamenti o versi di animali cresceva di intensità alle sue orecchie e decise di estrarre la pistola dalla tasca, così si sentiva più tranquillo. Avanzava ancora, la torcia illuminava sterpaglie e neve rafferma, tronchi di alberi e foglie vecchie ormai seccate da tempo, poi, puntando un po’ più avanti a sé intravide degli scarponi… scarponi? Poteva essere un suo vecchio compagno oppure un suo amico partigiano, oppure un tedesco!

    Cosa ci faceva un tedesco lì? Lui odiava i tedeschi, li aveva sempre odiati e aveva imparato a odiarli da quando aveva dovuto combattere insieme a loro in Albania; in quella occasione aveva capito effettivamente di che pasta fossero fatti.

    Ora aveva un tedesco ferito davanti a lui che cercava di avanzare strisciando per terra, non poteva alzarsi, era effettivamente ferito ad una gamba e probabilmente anche in altre parti del corpo. Balbi gli puntava la pistola contro, era pronto per sparare, in fondo era quella la fine che dovevano fare i tedeschi… con la torcia gli illuminava il viso, voleva guardarlo negli occhi prima di premere il grilletto… Benedetto!

    Non poteva essere lui. Balbi lo guardò bene prima di sparare, quel ragazzo avrà avuto non più di vent’anni, era biondo e aveva gli occhi celesti come il suo Benedetto, gli assomigliava tantissimo e lo stava guardando con quegli occhi rassegnati alla morte, ma che imploravano pietà e misericordia. Mio Dio ma che gli stava accadendo? Doveva sparare perché si attardava? Devo premere questo grilletto, pensava, ma proprio in quel momento un pensiero profondo e misericordioso gli si insinuò nel cervello andando a germogliare dentro la sua anima. Per pochi istanti gli parve di vedere suo figlio, il suo Benedetto. Oh al diavolo!, mise via la rivoltella e pensò: Al diavolo il dovere e la nobile causa! Che nobiltà può esserci nell’uccidere una giovane vita indifesa?. E decise di andarsene. Ma dopo alcuni passi si fermò e tornò indietro Non posso lasciarlo qui, morirebbe comunque, la neve cade sempre più fitta e in breve tempo lo coprirebbe oppure morirebbe dissanguato. Balbi si chinò su di lui, cercò di sollevarlo prendendolo sotto le ascelle e mentre cercava di tirarlo su gli disse: Ce la fai a camminare?, il militare rispose con un lamento di dolore e Bruno capì subito che non ce la faceva a camminare, lui gli indicava la gamba sinistra, aveva un forte dolore alla caviglia, probabilmente era slogata così lo rimise giù per farlo sedere.

    Tirò fuori un coltello dalla lunga giacca, cominciò a tagliare delle strisce della sua camicia per tamponare le ferite e cercando di arginare l’emorragia, lavoro che il giovane aveva cercato di fare, ma con scarsi risultati. Gli abbottonò bene il soprabito e prese l’elmetto che si trovava a pochi passi da lui.

    Questo lo tieni tu, gli disse, Krazie rispose il giovane con un forte accento tedesco, probabilmente era una delle poche parole italiane che sapeva dire.

    Balbi in risposta gli disse: Risparmia il fiato perché abbiamo ancora un bel po’ di strada da percorrere, certo che lui non avrebbe capito praticamente nulla. Sistemò il giovane sulle spalle e continuò il suo cammino verso casa mentre la neve scendeva giù sempre più fitta come piccoli petali di rose bianche. Mentre camminava pensava: Ho un tedesco sulle spalle, sto salvando la vita ad un tedesco! Io Balbi Bruno, disertore e vicecapo di un gruppo di partigiani che lottano contro i tedeschi, contro i fascisti e contro i nazisti! Non riesco a crederci….

    Dopo nemmeno mezz’ora arrivò nei pressi di casa sua e scorse da lontano Benedetto intento a mettere al riparo dalla neve alcuni oggetti. Il figlio si accorse di lui felice di rivedere il padre dopo un anno, gli corse incontro e giunto davanti a lui si accorse che suo papà teneva sulle spalle un uomo: Papà! Aspetta che ti aiuto, Benedetto figlio mio finalmente ti rivedo! Stai tranquillo l’ho portato per due chilometri, posso farlo ancora per venti metri. Tu corri a casa e avvisa la mamma di preparare un posto in cui poterlo curare, è ferito gravemente, dille di usare quel tavolo in disuso della tua stanza.

    Papà… hai un tedesco sulle spalle te ne sei accorto? Lo sai che passeremo grossi guai?

    Lo so che è un tedesco, ma non possiamo farlo morire! Fai ciò che ti ho detto!.

    A queste parole Benedetto capì che non poteva fare nulla per far cambiare idea a suo padre e fece esattamente ciò che gli aveva detto. Bruno entrò in casa e aspettò che sua moglie e suo figlio finissero di preparare il tavolo, gli misero sopra una vecchia coperta e a quel punto lui distese il giovane sul tavolo. Poi abbracciò calorosamente la moglie ringraziando Dio per avergli fatto ritrovare la sua famiglia in salute, abbracciò Benedetto guardandolo bene negli occhi… sì era cresciuto ancora il suo bambino, stava maturando.

    Iolanda, la moglie di Bruno, rompendo la magia dei saluti chiese al figlio di far scaldare l’acqua e prendere la valigetta del pronto soccorso. Nel frattempo, iniziò a controllare le ferite del ragazzo dicendo al marito: Bruno, è un tedesco! Se qualcuno lo venisse a sapere passeremo un sacco di guai, tu per primo! Ricorda che tu qui non dovresti nemmeno esserci!

    Lo so Iolanda, ma non me la sentivo di lasciarlo morire, avrà l’età di Benedetto; ti giuro che ad un certo punto mi sembrava lui!

    Ti capisco perfettamente Bruno, tu sei come me e lo sai che il mio lavoro è salvare vite umane indipendentemente dalla loro provenienza, dalle loro idee e dalla religione.

    Bruno pensava che Iolanda avesse ragione, la pensavano nello stesso modo anche se lui aveva maturato un odio profondo nei confronti dei tedeschi negli ultimi anni.

    La guerra toglie il lato umano alle persone e ti rende un automa senza coscienza. Ma sua moglie era speciale, lei era medico chirurgo e lavorava nell’ospedale di Saluzzo. Suo papà, chirurgo, era direttore dell’ospedale di Saluzzo, era andato contro tutte le leggi restrittive imposte dal fascismo.

    Le donne infatti erano state escluse dagli studi scientifici per relegarle ai soli studi umanistici, di fatto praticamente potevano solo diventare maestre. Oppure restare a casa ad occuparsi della famiglia e fare tanti figli. La propaganda fascista su questo fronte era fortissima, ma il papà di Iolanda non si era voluto piegare a queste imposizioni, aveva una figlia che voleva seguire il suo cammino e, con il prestigio e la posizione di chirurgo che aveva raggiunto negli anni, l’aveva fatta entrare all’università di medicina e poi nel suo ospedale. E lei lo ringraziava diventando sempre più brava nel suo lavoro e richiesta anche da altri ospedali.

    Iolanda stai tranquilla, appena si riprenderà lo porterò vicino al suo quartier generale così lo potrà ritrovare il suo battaglione e nessuno arriverà a noi.

    Spero proprio che non arrivino a noi visto che ora lui ci conosce, fu la replica di Iolanda mentre apriva la sua valigetta e iniziava a capire come intervenire su quel ragazzo. Aiutami, sfilagli i pantaloni e mettili in quella bacinella con acqua calda e sapone, io inizio a curare le ferite.

    Certo. Benedetto, per favore, alimenta il fuoco con tronchetti di legno o carbone, poi prendi un braciere di rame, mettigli dentro la cenere e quando la brace è pronta riempilo. Dobbiamo metterlo vicino al militare. Poi porta un recipiente d’acqua per favore.

    Subito padre. Iolanda nel frattempo pulì e disinfettò le ferite, poi prese dei ferri, li disinfettò sul braciere e iniziò ad estrarre il proiettile che il ragazzo aveva conficcato nella spalla destra. Questa operazione si rivelò più difficile di quanto pensasse poiché il proiettile era conficcato per più della metà nell’osso della spalla, ma, alla fine, con costanza ci riuscì. Il ragazzo non aveva nemmeno più la forza di urlare per il dolore e, mentre la dottoressa suturava la ferita con diversi punti, lui svenne nonostante la puntura di antidolorifico che Iolanda gli fece prima di iniziare a lavorare.

    Bruno fai luce qui per favore, più vicino, il marito le si avvicinò con la lanterna ad olio mentre Iolanda fasciava la ferita con lunghe garze passando diverse volte sotto l’ascella e medicando un’altra ferita procurata da un proiettile passato di striscio. Poi passò al ginocchio: anche lì c’era una ferita di qualche centimetro, un proiettile aveva colpito la rotula, ma per fortuna era uscito dal ginocchio, non si era conficcato dentro nell’osso. La dottoressa cercò di pulire e suturare meglio che poté la ferita, i mezzi a sua disposizione non erano molti, l’ospedale riforniva il giusto indispensabile ai medici, tutto era misurato in guerra e quell’inverno era particolarmente pesante in quanto a ristrettezze.

    Appena ebbe finito di medicare il ginocchio, passò alla caviglia. Con le mani muoveva il piede del giovane, che nel frattempo si era rianimato, dopo aver effettuato alcuni movimenti e torsioni; anche dalle reazioni del paziente, la dottoressa capì che non c’era nulla di rotto.

    Prese quindi un barattolo pieno di pomata dall’odore di canfora e con le dita ne spalmò un po’ sulla caviglia praticando dei massaggi per due minuti circa. Decise poi di fasciare la caviglia con delle bende andando verso l’alto fino a circa venti centimetri; la fasciatura era così perfetta che al giovane tedesco sembrava di essere ingessato, ma la dottoressa era pignola in ogni circostanza.

    Abbiamo finito!, esclamò finalmente Iolanda mentre l’ammalato si lamentava un po’ e tremava per il freddo; lei lo coprì con un lenzuolo e gli mise due coperte sopra quindi gli chiese: Allora giovanotto, come si sente?, gli diede un bicchiere d’acqua con un tranquillante che lui bevve subito e gli fece vedere una campana di mucca che Benedetto aveva portato insieme a tutto il resto che la mamma gli aveva chiesto.

    Se ha bisogno suoni questa, agitandola un po’ per farsi capire. Il ragazzo fece un gesto di intesa.

    I tre lasciarono il ragazzo solo nella stanza in modo che potesse riposare e andarono in cucina a cenare.

    Iolanda aveva passato tutto il pomeriggio in cucina a preparare dolci per le feste natalizie cercando di farne in abbondanza da farli bastare anche per i compagni del marito quando sarebbe ritornato da loro. Purtroppo, il regime aveva abbassato notevolmente le razioni a famiglia nel corso dell’ultimo anno e risultava difficile portare in tavola pietanze che facessero passare la fame. Nonostante questo Iolanda era riuscita a trovare una gallina che, dopo aver ucciso e spennato, aveva fatto bollire in una pentola. Il brodo le era poi servito per cucinare un po’ di pasta, ma, siccome la razione di pasta non era sufficiente, aveva cucinato della polenta con della farina di mais. Per fortuna vivendo in campagna era più facile per loro trovare qualcosa in più da mettere sotto i denti rispetto a chi viveva in città.

    Iolanda sei riuscita anche a preparare i biscotti che mi piacciono!, era stata la reazione di Bruno alla vista dei biscotti.

    Sì Bruno, tutti noi dell’ospedale abbiamo avuto una razione in più di farina come ringraziamento per il duro lavoro che facciamo per guarire i soldati italiani. È dura sai? Molti arrivano in condizioni quasi al limite, ne abbiamo persi tanti, ma tanti li abbiamo salvati. Perché non mi racconti mai quello che hai passato in Albania? Quando vedo arrivare quei ragazzi dalla Russia posso solo immaginare, ma vorrei che tu ne parlassi con noi.

    Un lampo di dolore passò davanti agli occhi di Bruno, una fitta fortissima alla testa, rumore sordo di granate, lampi di luce, le urla dei suoi compagni, dei suoi amici, gli occhi diventarono sempre più scuri, il volto tirato dalla sofferenza, con voce bassa piena di dolore riuscì a dire: Non sono cose da raccontare, Iolanda, non ora in questo periodo vicino alle feste di Natale. Vorrei passare questi giorni in tranquillità con voi che siete la mia famiglia, le ultime parole le pronunciò con voce ferma come se stesse dando un ordine.

    Nessuno di loro osò ribattere a queste parole, gli occhi di Bruno emanavano una luce di paurosa disperazione, lui volse lo sguardo alla bottiglia di barbera ed il suo sguardo si tramutò in calda felicità. Benedetto iniziò a raccontare del suo primo anno all’università, ciò che studiava, parlava dei suoi compagni e la serata passò con un pizzico di allegria e felicità perché finalmente erano insieme dopo tanto tempo.

    Finita la cena Iolanda preparò un vassoio per il suo paziente con brodo di pollo, un po’ di polenta, dei dolci e glieli portò. Vado a vedere come sta il nostro malato e se riesce a mangiare qualcosa, prima di entrare bussò alla porta e lui cercò di farfugliare qualcosa: Yaa avant.

    La cena è pronta, Iolanda faceva dei gesti per fargli capire che doveva mangiare, poi appoggiando il vassoio sul tavolo chiamò Benedetto: Aiutami, spostiamo il paziente nel letto così starà più comodo. Questo che c’è qui non è il tuo letto, vero?

    No mamma, ho preso quello che teniamo di riserva.

    Bene, allora mettiamo una coperta sopra il materasso, poi mettiamo il lenzuolo e adesso prendiamo l’ammalato. Anzi no! Togliamo il lenzuolo, tanto sotto non serve; lo prendiamo con la coperta che avevo messo sul tavolo prima dell’intervento e lo spostiamo, e continuò: Ecco così, piano Benedetto non vorrei che si riaprissero le ferite… adesso portami un altro cuscino così starà con la testa un po’ sollevata.

    Ecco il cuscino, mamma.

    Grazie. Ora puoi portare via il tavolo mentre io cerco di fargli mangiare qualcosa.

    Il tedesco non si lamentava molto, mostrava segni di sofferenza sul volto, ma il dolore era sopportabile. Iolanda lo imboccava con il brodo di gallina, lo sguardo del giovane tedesco su di lei era carico di riconoscenza, le fece capire che avrebbe bevuto da solo, prese la scodella con la mano sinistra e iniziò a bere finendo tutto il contenuto della tazza.

    Bravo! gli disse Iolanda e lui la ripagò con un piccolo sorriso da cui trapelava la sofferenza per il dolore, ma al contempo la felicità di essere vivo. Mangiò ancora qualcosa, assaggiò anche un biscotto, poi, mentre Iolanda gli sistemava le coperte e il cuscino per la notte, lui le prese le mani e gliele baciò, Krazie riuscì a dire con gli occhi colmi di lacrime.

    Iolanda sorridendo gli mostrò di nuovo la campana per suonare in caso di bisogno e gli augurò la buonanotte. Uscendo lasciò la porta socchiusa.

    Ormai si era fatto tardi e la famiglia si preparò per andare a dormire, finalmente Bruno era a casa, ora poteva dormire in un letto vero e non in un giaciglio di paglia, finalmente poteva sentire il calore di sua moglie, le mancava da troppo tempo. Ma si considerava fortunato, ogni tanto poteva passare di nascosto

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