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Il predestinato
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E-book347 pagine4 ore

Il predestinato

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Info su questo ebook

Michael Chrisley è un professore di archeologia americano che ha ricevuto una cospicua sovvenzione dalla fondazione Wedding per portare avanti i suoi studi sulla civiltà etrusca. Da Atlanta, il professore parte quindi per Roma, dove lo aspetta un assistente per aiutarlo con gli scavi… Mike non può certo immaginare che le rovine che si appresta a studiare nascondano un segreto oscuro, qualcosa che sembra riguardarlo personalmente…

John Edward Jones nasce nel 1955 da padre americano e da madre napoletana. Dalla prima cultura eredita la voglia di inseguire grandi progetti, dalla seconda, invece, la capacità di inventarsi il domani, dimostrando, con alterne fortune, di poter convivere con entrambe. Questo suo animo eclettico lo porta fin da giovanissimo a porre il suo interesse nelle più svariate forme d’arte, ad incominciare dalla radiofonia nei tempi d’oro delle radio cosiddette “libere”, per poi avventurarsi nel teatro d’avanguardia. La musica ha avuto un importante spazio nella sua vita, fino a diventare autore e interprete di un’opera Rock denominata Orpheus. Si laurea in informatica e lavora in importanti industrie del settore. Nel frattempo incomincia a scrivere articoli per giornali locali e piccoli racconti, finché decide di compiere il grande passo e dedicarsi alla narrativa “black fantasy”, come allo stesso Jones piace definirla, punto di incontro tra avventura, esoterismo ed horror, scrivendo il romanzo Il predestinato.
LinguaItaliano
Data di uscita31 mar 2021
ISBN9791220109925
Il predestinato

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    Anteprima del libro

    Il predestinato - John Edward Jones

    King)

    PARTE PRIMA

    I Segni

    1

    Nelle viscere della terra il padrone delle tenebre riposa

    Il suo respiro è la muta vibrazione dei nostri incubi

    L’abisso, come un’urna funeraria, raccoglie le sue sembianze

    Viscide e fetide creature vegliano sul suo sonno.

    Solo un uomo e le stelle potranno destarlo dal suo letargo

    e allora tenebre e dolore ci accompagneranno.

    Nulla potrà fermare il suo dominio

    e sarà il dominio di chi da sempre è il predestinato.

    2

    Aprile 1996 –Tolfa Italia

    Mike aveva dormito per circa mezzora, quasi ipnotizzato dal brontolio cupo e regolare dei motori del Jumbo. Purtroppo non gli era mai riuscito di dormire più di tanto in aereo, sia per un po’ di atavica paura che gli provocava il pensiero del vuoto tra i suoi piedi e il terreno, sia per la posizione quasi da contorsionista che era costretto ad assumere nelle anguste poltrone della classe economica.

    Tentò di accavallare le gambe, ma fu uno sforzo inutile a causa del suo non indifferente metro e ottantasette. L’operazione gli provocò solo un inizio di crampi alla gamba destra ed il sonoro disappunto del passeggero seduto davanti a lui.

    «Desidera qualcosa da bere, signore?», gli chiese l’hostess sfoggiando un gelido ma professionale sorriso.

    La domanda improvvisa lo fece sobbalzare. Mike si schiarì la voce e rispose «Una coca, grazie».

    Deve essere sulla cinquantina, pensò, mentre l’Hostess gli porgeva il bicchiere di carta pieno di liquido che non si versò sul pantalone del passeggero accanto per miracolo, Chissà che fine fanno le giovani ed avvenenti hostess dei dépliant turistici.

    Sorseggiando la coca guardò fuori dal finestrino la distesa di oceano che scorreva lenta sotto di lui.

    «Prof. Chrisley, sono veramente lieto di consegnarle quest’assegno con cui la fondazione Wedding le finanzia il viaggio in Europa per portare avanti, finalmente, i suoi studi archeologici sugli antichi Etruschi, faccia buon viaggio.», gli aveva detto il Rettore della piccola Università di Atlanta, quando gli aveva consegnato l’assegno.

    Mike era al settimo cielo: avrebbe potuto finalmente studiare da vicino quello che aveva letto sui libri e poi insegnato ai suoi studenti, come docente di Storia Antica.

    Appoggiò la testa al finestrino dell’aereo per guardare affascinato l’infinito lenzuolo azzurro che scorreva sotto di lui. Sbuffi di nubi sottili come seta scorrevano velocemente tra il Jumbo e la distesa dell’oceano, e Mike non poté fare a meno di pensare, con una certa nota di malinconia, alla prima ed unica volta che aveva volato verso l’Europa.

    Allora accanto a lui c’era Sara. Era l’inizio del loro matrimonio, quando le cose tra di loro andavano ancora bene. Poi erano incominciati i sogni e con quelli le sue sempre più frequenti crisi depressive.

    Con il passare del tempo, e con il peggiorare dello stato di salute di Mike, il loro rapporto aveva incominciato ad incrinarsi. Finché, allo scadere del quinto anno di matrimonio, Sara gli aveva comunicato che non ce la faceva più ed aveva intenzione di crearsi una nuova vita, accanto a un uomo che non vivesse la propria esistenza come un incubo.

    Dopo erano stati anni difficili, non tanto per le crisi nervose che si erano stranamente affievolite ma piuttosto per il senso di solitudine che lo accompagnava continuamente. Ora sperava che questa missione in Europa potesse dare un nuovo senso alla sua vita.

    In realtà Mike non poteva nemmeno immaginare quanto la sua vita, e di tanti suoi simili, sarebbe cambiata.

    3

    Michael Chrisley, era un uomo di aspetto imponente che contrastava con il suo viso dai tratti delicati, quasi infantili.

    Era nato e cresciuto a Little River, una piccola fattoria nel Kentucky, unico figlio di una coppia di allevatori. La fattoria dava l’impressione di essere uscita da un opuscolo turistico per appassionati di agriturismo, con la casa a due piani color senape ed in vago stile vittoriano, che ogni anno in primavera, suo padre Jeff Chrisley ridipingeva con cura, riparando tutti i guasti che aveva procurato la neve in inverno.

    Accanto alla casa sorgeva il lungo edificio delle stalle, che accoglieva alcune decine di capi di bestiame.

    La fattoria sorgeva in una radura erbosa circondata da un bosco di querce e larici, una stradina secondaria collegava la fattoria da un lato con la Statale per Lexington e dall’altro con la cittadina di Jefferson.

    Al di là dei primi alberi, a poca distanza dalla casa scorreva un piccolo torrente, che all’inizio della primavera, gonfio di nuova acqua, si riempiva di giovani trote.

    E mentre gli altri ragazzi della sua età si sfidavano in gare di velocità o si appartavano nel parco con disponibili coetanee, Mike amava trascorrere intere domeniche a pescare in riva al ruscello, portando con sé solo qualche sandwich ed un libro da leggere.

    Il giovane Chrisley era cresciuto in questa bucolica solitudine alla periferia della società, se tale poteva considerarsi la cittadina di Jefferson nel Wisconsin che contava a mala pena un migliaio di anime, con le quali aveva sporadici rapporti la mattina a scuola ed un paio di pomeriggi la settimana, quando andava in paese a far provviste.

    «Ora che vai in paese» gli ripeteva sempre sua madre, donna cattolicissima di origini irlandesi, «non dare confidenza a quei ragazzi perditempo, e non dimenticarti di andare in Chiesa a ringraziare nostro Signore».

    «Sì mamma, non ti preoccupare» rispondeva Mike, sapendo di dover sottostare ormai ad un rituale, per poter avere l’assenso alla partenza.

    Erano gli anni in cui accompagnava suo padre in paese, prima che un infarto lo portasse via da questo mondo. Quando era il momento di dividersi le commissioni, Mike cercava sempre di farsi assegnare la spesa ai General Stores di Joe Medley, che erano attigui alla piccola biblioteca della cittadina, così rubava sempre una decina di minuti alla spesa per poter sbirciare, anche per pochi minuti, quei libri che raccontavano di leggende antiche e non usciva dalla porta della biblioteca senza un libro in prestito che stringeva gelosamente sotto il braccio.

    Fin da ragazzo Mike aveva provato un irresistibile attrazione per tutto ciò che riguardava le antiche civiltà, e per tutte le leggende che i vari popoli della Terra avevano tramandato nei secoli.

    Ogni minuto libero dalla scuola e dai doveri verso l’Azienda familiare, lo dedicava alla lettura di tutti i libri di storia antica che riusciva a procurarsi dalla biblioteca della scuola e da quella comunale.

    Dopo aver praticamente imparato a memoria la storia del proprio continente, compreso lo studio delle civiltà precolombiane, fu del tutto naturale dirottare il proprio interesse verso le culture e le civiltà europee ed asiatiche.

    I genitori di Mike avevano trovato un po’ stramba questa sua fissazione, ma visto che era un buon studente e lavoratore, avevano deciso di non interessarsi di come trascorresse le migliori ore della giornata. Così passava il tempo a leggere libri ed a prendere minuziosi appunti su grandi block-notes, che poi catalogava meticolosamente per civiltà e popoli.

    Quando sua madre, ormai rimasta sola, decise di vendere l’Azienda e di raggiungere la sorella in Florida, Mike impiegò la parte di denaro che gli spettava per coronare la sua passione: si laureò con una certa facilità e vinse, poi, la cattedra di storia antica presso la piccola Università di Atlanta, che non poteva certo essere paragonata ai più quotati atenei statunitensi, ma rappresentava sicuramente un buon punto di inizio.

    Era quasi finito il suo secondo anno di insegnamento, in un caldo pomeriggio di fine primavera, quando conobbe Sara.

    4

    Era pomeriggio e Mike si trovava nel suo studio, se così si poteva chiamare dal momento che era poco più grande di uno sgabuzzino. Questo era lo scotto che aveva dovuto pagare come professore di più recente nomina, ma a lui andava benissimo così.

    Aveva collocato la scrivania al centro della stanza, ed accanto a questa un tavolino basso che di solito ospitava il suo computer portatile, quando non era nella sua borsa, e da cui non si separava mai, affidando alla sua memoria elettronica ogni appunto o pensiero che reputava interessante.

    Dietro la scrivania troneggiava una libreria zeppa di libri e riviste che parlavano delle civiltà di ogni punto conosciuto della terra. Apparentemente regnava un grande disordine, ma un occhio attento avrebbe colto la pignoleria con cui ogni libro, ogni documento era provvisto di codici e sigle con cui Mike li catalogava.

    Completavano l’arredamento un paio di consunte poltroncine.

    Quel pomeriggio era nel suo studio e, come ogni martedì, stava aspettando gli studenti per chiarimenti sul corso. Faceva abbastanza caldo per quel periodo dell’anno, così aveva lasciato la finestra aperta. A Mike faceva piacere sentire il profumo del prato innaffiato da poco che entrava nella stanza e lo riportava agli anni della sua adolescenza passati a Little River.

    In quell’istante entrò Sara.

    «Buongiorno professore, posso rivolgerle un paio di domande?»

    Come ho fatto a non notarla durante le lezioni? Era stato il primo pensiero di Mike, osservando la più che avvenente ragazza di fronte a lui.

    Dal momento che non era facile vederlo in compagnia femminile, qualcuno avrebbe potuto supporre un suo disinteresse verso l’altro sesso. Tutt’altro! Purtroppo la sua timidezza e l’abitudine a vivere praticamente solo, gli avevano reso sempre difficili gli approcci con le altre persone. Una volta che entrava in confidenza con qualcuno, però, mostrava tutto il suo carattere gioviale ed allegro...O almeno lo aveva fatto fino ad un certo punto.

    Si schiarì la voce prima di rispondere, non voleva tradire il suo imbarazzo.

    «Prego si sieda, sono a sua disposizione».

    Sara chiuse la porta alle sue spalle, e Mike non poté fare a meno di notare le lunghissime gambe coperte da un paio di pantaloncini azzurri. Portava una T-Shirt turchese con un indecifrabile disegno sul davanti, ma il cui colore si intonava perfettamente con gli occhi azzurri come il cielo ed i capelli castano chiaro. L’insieme era a dir poco delizioso.

    «Professore,» gli disse la ragazza, «per poter affrontare gli esami finali tra un mese con una certa tranquillità, vorrei sapere se posso venire a disturbarla qualche pomeriggio».

    Nell’esprimere quella richiesta, Sara sfoderò un sorriso che avrebbe sciolto anche il più freddo degli interlocutori.

    Mike si accorse di avere incominciato a giocare nervosamente con la matita, al pensiero che purtroppo non sarebbe potuto andare oltre l’ammirazione per la ragazza, sia per la posizione professore-studente, che per la sua incredibile timidezza.

    «Certamente, può venire quando vuole. Di solito sono nel mio studio dalle tre alle sei di tutti i pomeriggi».

    «D’accordo, allora tornerò domani pomeriggio. A proposito, non mi sono presentata: sono Sara Braden», ed alzandosi gli porse la mano sottile e delicata.

    Quando Sara Braden andò via, Mike si accorse che la sua fronte era imperlata di minuscole goccioline di sudore, che non erano certamente solo provocate dal caldo.

    Purtroppo le sue esperienze con l’altro sesso erano state piuttosto deludenti negli anni passati, anche per il suo aspetto da gigante buono, che lo rendeva un po’ impacciato nei gesti e nei modi.

    Le ragazze che aveva conosciuto si potevano contare sulla punta delle dita. Di una in particolare aveva un dolce ricordo: era comparsa qualche anno prima, ai tempi del liceo. Lei aveva abitato in una casa poco lontana dalla sua fattoria. Un giorno di primavera, lei stava percorrendo l’intercomunale in bicicletta per recarsi a scuola ed era stata colta da un temporale, uno di quelli che ti bagnano anche le ossa.

    Mike che, più prudentemente, aveva preferito usare il furgone di suo padre, la raccolse per strada con i lunghi capelli rossi attaccati alla testa ed alle guance.

    Da quel momento nacque una profonda amicizia tra i due, fatta di lunghe passeggiate in bicicletta e letture di libri ad alta voce, seduti sull’erba, schiena contro schiena.

    Ma non erano andati mai oltre il bacio. Forse non ce ne fu il tempo: finì il liceo ed anche l’estate successiva. Mike partì per il College e non ne seppe più nulla. Di lei, purtroppo, stava svanendo anche il ricordo.

    Sara mantenne l’impegno, recandosi allo studio di Mike prima qualche pomeriggio alla settimana e poi sempre più frequentemente.

    Era un piacere ascoltarla. Quando parlava era come stappare una buona bottiglia di champagne, con la schiuma allegra e frizzante che esce senza sosta dall’imboccatura.

    Di qualunque argomento si parlasse, Sara aveva la sua opinione in merito e la esprimeva con veemenza. Più passavano i giorni, e più Mike si accorgeva di non poter fare a meno di contare con ansia il tempo che mancava all’incontro con Sara.

    Due fattori giocarono a favore di Mike: il primo era che anche la ragazza stava incominciando a provare piacere nel trascorrere i pomeriggi con lui, il secondo sarebbe stato la caduta, di lì a poco, del tabù professore-studente, dal momento che Sara avrebbe finito i suoi studi entro poche settimane.

    Quando finalmente Sara completò brillantemente i suoi studi universitari, Mike le chiese se avesse voluto rimanere con lui come Assistente, e lei accettò con entusiasmo l’idea.

    Passarono tutta l’estate a studiare le antiche civiltà europee e come esistessero dei segni comuni sia tra di loro che con quelle mediorientali e asiatiche.

    Incominciò l’autunno, che quell’anno fu particolarmente piovoso le giornate si susseguirono grigie e umide. Così, durante i lunghi pomeriggi passati a studiare, Mike e Sara si accorsero di amarsi.

    Un pomeriggio di novembre, Mike prese il coraggio a due mani e le chiese se quella sera volesse venire a cena da lui.

    «Possiamo passare da Freddie’s a comprare delle buone bistecche» propose Mike, «ho dello Champagne e del budino al cioccolato in frigorifero…Non sarà come andare da Chez Francoise, ma...».

    Non finì la frase perché Sara gli pose la mano sulla bocca: «Shhh, da Chez Francoise c’è troppa gente» e completò il senso della frase con una strizzatina d’occhio che aveva un chiaro senso di maliziosa intesa.

    Mike viveva in un piccolo appartamentino fuori dal campus, che riusciva a tenere in ordine in modo quasi maniacale grazie anche all’aiuto di un’anziana e grassissima signora di origine russa, con cui non era mai riuscito a scambiare più di cinque o sei parole.

    Quella sera Mike mangiò a sforzo la bistecca: aveva come un nodo allo stomaco. Si trovò poco brillante, e quasi un po’ patetico nella sua eccessiva cavalleria verso Sara. Lei intuiva il suo imbarazzo e ne era intenerita e divertita nel contempo.

    «Sara, ti volevo chiedere se ti volevi» le parole, ripetute decine di volte nella sua mente, uscirono meccanicamente dalla bocca di Mike, «fermare qui questa notte».

    Sara annuì.

    Quando più tardi erano abbracciati nel poco spazio di un letto singolo da scapolo, Mike si fece coraggio e le disse nell’orecchio: «Sara, è la prima volta che faccio l’amore».

    «Anch’io.»

    E fu il ricordo più dolce e bello che Mike conservò di Sara.

    Dopo pochi mesi Mike e Sara si sposarono nella chiesetta cattolica di Atlanta. Per l’occasione giunse dalla Florida anche mamma Elisabeth, che non fece altro che piangere tutto il tempo e rammaricarsi che suo marito Jeff non potesse più essere lì con loro.

    Seguirono una ventina di mesi meravigliosi, tutti dedicati allo studio, ai viaggi ed all’amore.

    Ma come quando una bellissima giornata estiva improvvisamente si rannuvola, così quei giorni luminosi si sarebbero trasformati in un incubo buio.

    Tutto era iniziato quando, ma lo avrebbe capito molto tempo dopo, aveva incominciato a studiare le similitudini tra alcuni miti comuni a religioni e civiltà apparentemente lontane.

    Sembrava che le indagini di cui si stava interessando avessero socchiuso una porta nella sua mente e dall’altra parte non si riusciva a intravedere nulla se non forme indistinte, forme che avevano qualcosa di ripugnante e di terrificante.

    5

    «Abbiamo iniziato la discesa verso l’aeroporto di Roma - Leonardo da Vinci, dove prevediamo di atterrare tra venti minuti circa». L’annuncio diffuso attraverso gli altoparlanti del Jumbo destarono bruscamente Mike dal sonno, come se qualcuno gli avesse schizzato sul viso dell’acqua fredda.

    Aveva dormito per circa due ore, cosa questa, che poteva essere considerata un vero record. Non si era accorto neanche di quando, sorvolando lo stretto di Gibilterra, l’azzurro Mediterraneo aveva preso il posto del più scuro Oceano Atlantico.

    «Il tempo è sereno, la temperatura al suolo è di 22 gradi centigradi», concluse l’annuncio.

    Certo era una primavera molto mite, pensò, con una simile temperatura a metà aprile. E mentre distrattamente rifletteva, vide finalmente la terraferma scorrere sotto la pancia dell’aereo. L’aereo iniziò a virare scendendo di quota, scivolando su paesi, macchie di bosco e campi coltivati.

    Si raddrizzò, per quello che gli era possibile, e la sua schiena protestò dolorosamente. Il sole era ormai piuttosto basso sull’orizzonte, e dipingeva di bellissime sfumature violacee le nuvole sottili che galleggiavano a mezz’aria.

    Dall’altezza del sole Mike si rese conto che dovevano essere all’incirca le sei del pomeriggio. Spostò in avanti di sei ore le lancette del suo Rolex, che era stato l’ultimo regalo che gli aveva fatto Sara prima della loro separazione. Poi controllò l’orario di Atlanta, che faceva parte del fuso orario di New York, riportato da un vecchio Casio che conservava nel taschino della giacca.

    A quell’ora i suoi studenti erano già nel pieno della lezione di storia, e stavano ascoltando le parole di Pat, che aveva avuto l’incarico di sostituirlo per quell’anno.

    Patrick Mandelli, oltre essere l’unico collega in grado di sostituirlo, era anche il suo migliore amico. Comunque gli stava semplicemente restituendo il favore per l’anno precedente, quando Pat era in Asia e Mike si era occupato delle sue lezioni.

    Guardando dal finestrino vide le case e i campi che scivolavano sempre più vicini. Ormai l’aereo era prossimo all’atterraggio. Mike sentì distintamente sia il rumore che la vibrazione dei possenti carrelli del Jumbo estratti dalla pancia dell’aereo.

    A quel punto egli sentì l’adrenalina scorrergli più forte nel sangue, era sicuro che questa esperienza avrebbe voltato la pagina del suo passato e gli avrebbe permesso di incominciare una nuova vita.

    «Il comandante informa che tra qualche minuto atterreremo, raccomandiamo i signori passeggeri di rimanere seduti con le cinture allacciate e non dimenticare il bagaglio a mano».

    Istintivamente Mike guardò il portabagagli sopra di lui, elencando nella sua mente le cose che aveva portato con sé: la costosa e delicata apparecchiatura fotografica, alcuni strumenti scientifici, il suo inseparabile PC portatile e il voluminoso contratto con istruzioni sull’uso che la fondazione Wedding gli aveva fatto firmare in triplice copia.

    Da quel momento in poi avrebbe dovuto mandare un rapporto alla fondazione ogni settimana, dettagliando ogni scoperta, se mai ce ne fossero state. Inoltre, ogni oggetto o manufatto ritrovato, decurtato della gran parte di quota destinata al governo locale, sarebbe stata di proprietà della Fondazione che avrebbe, così, arricchito il suo Museo. Ma a tutto ciò Mike non dava il minimo peso, interessandosi solo all’aspetto scientifico delle eventuali nuove scoperte.

    A circa cinquanta chilometri da Roma, vicino al paesino di Tolfa, era stata segnalata una tomba, probabilmente etrusca, che era sfuggita ai saccheggi dei tombaroli, anche grazie alla sorveglianza delle autorità locali.

    La tomba era in una zona dove in passato non erano state mai rinvenute tracce di insediamenti umani, e pertanto la scoperta di questa tomba aveva un grande fascino, e molti studiosi avrebbero voluto essere al posto di Mike.

    Le ruote del Jumbo si posarono sulla pista. Il rombo assordante dei motori in controspinta fecero vibrare tutto l’aereo. Finché l’enorme pachiderma con le ali non incominciò a rullare placidamente verso il terminal.

    Una volta collegati al finger del terminal, Mike si alzò e si fece lentamente trasportare dal serpente umano verso l’uscita dell’aereo, conservando l’indubbio vantaggio di sovrastare le teste di una decina di centimetri.

    Una volta nel terminal, si recò velocemente verso il ritiro bagagli e poi all’uscita, perché voleva arrivare in albergo prima di cena, per avere il tempo di rinfrescarsi un po’ e rileggersi il rapporto della fondazione riguardante la tomba.

    Uscire dall’aeroporto fu come un sollievo per lui, sistemò i bagagli nel primo taxi della fila al parcheggio, e diede istruzioni al conducente di recarsi all’Hotel Splendid di Tolfa.

    Il taxi partì e Mike si concesse finalmente un attimo di vero relax o almeno avrebbe voluto, cioè fino a quando il conducente gli chiese, in un inglese a dir poco pietoso: «Lei è americano vero?».

    «Sì» rispose Mike meccanicamente e senza particolare enfasi.

    «Siete un uomo d’affari?» chiese il tassista.

    «No, sono un ricercatore».

    «Ah, volevo ben dire! Mi chiedevo che ci faceva un uomo d’affari a Tolfa.»

    E allora, come una botte piena di birra a cui viene inavvertitamente tolto il tappo e tutto il contenuto ne schizza fuori, il tassista prese a raccontare della sua esperienza come Taxi Driver a New York, dei parenti ed amici lasciati laggiù, dei suoi amori....

    Le parole scivolavano sulla pelle di Mike come quando si ascolta un notiziario radio di cui si ha poco interesse. Decise, quindi, di concentrarsi nel ripassare il programma del prossimo giorno.

    Per prima cosa avrebbe incontrato il suo assistente inviato dall’Università di Roma. Avevano avvertito Mike che il mattino successivo un giovane brillantissimo, laureato a pieni voti e di grande talento, lo avrebbe raggiunto in albergo.

    Mike pensò che questo era l’unico lato negativo della vicenda: immaginava di dover sopportare come suo assistente un raccomandato, saccente e con smania di protagonismo. Avrebbe avuto un gran daffare per tenerlo il più possibile lontano da lui e dalle sue eventuali scoperte.

    Il conducente del taxi aveva imboccato l’uscita dell’autostrada, senza mai smettere di parlare, raccontando di quando all’aeroporto J. F. Kennedy aveva caricato a bordo quella che sarebbe diventata la famosa attrice di serial televisivi Joanna Wallace.

    La statale che avevano preso procedeva in leggera salita, il paesaggio, intanto, stava incominciando a cambiare, infatti la macchia mediterranea e qualche villetta con orti ben curati avevano sostituito i campi coltivati.

    Dopo circa una ventina di minuti giunsero in vista della loro destinazione finale, una graziosa cittadina chiusa in una piccola valle verde. Entrarono nel paese dove file di piccole case si susseguivano ai lati della strada, quasi tutte avevano un orto o un giardino ben curati. Il tutto dava idea di ordine e tranquillità.

    Con l’aiuto di qualche indicazione chiesta ai passanti, giunsero finalmente all’Hotel Splendid, Mike ne era felice, perché incominciava a risentire abbastanza del lungo viaggio. La semplice costruzione di tre piani dell’Hotel di Splendid aveva piuttosto poco, anche se si presentava con un aspetto curato e accogliente.

    Si congedò, non senza un certo sollievo, dal tassista, e non prima di avergli promesso di andare a mangiare in un numero pressoché infinito di pizzerie e ristorantini di Little Italy a New York.

    Attraversò un minuscolo giardino lastricato ed entrò nell’albergo, facendo tintinnare il campanello attaccato alla porta d’ingresso.

    L’atrio era poco più grande di una stanza, con un divanetto in vimini su di un lato sotto la finestra ed un grande quadro raffigurante il solito Colosseo. Guardandosi intorno, a Mike venne il sospetto di essere l’unico cliente da molti mesi. Dietro il banco della reception non c’era nessuno, Mike contò una decina di chiavi nella rastrelliera, e tutte al loro posto, il che gli fece diventare certezza il sospetto di prima.

    Guardò con attenzione il luogo che sarebbe diventata la sua casa per alcune settimane. Notò, comunque, l’odore di pulito e di fresco, e questo gli fece molto piacere. Dopo qualche minuto apparve una donna sulla cinquantina, piuttosto grassottella, che si asciugava le mani con uno strofinaccio

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