Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

La Banda del Salame
La Banda del Salame
La Banda del Salame
E-book238 pagine3 ore

La Banda del Salame

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

In un mondo salutista e vegano, un bambino cerca i genitori scomparsi in

circostanze misteriose. Chi lo aiuterà? Un professore, un prete o un

pensionato tuttologo? Dovrà guardarsi dalla "Banda del Salame",

un'oscura organizzazione criminale che opera nel contrabbando dei salumi

e degli insaccati. Riuscirà a ritrovare i genitori e a salvarsi?

"La

Banda del Salame" è un romanzo distopico, surreale e grottesco,

popolato da delle strane figure le cui vidende s'intrecciano a quelle

del protagonista. Più che un bambino costui è un "fanciullino" che

affronta un mondo sconosciuto. Sogno e realtà, come accade nei processi

creativi, giocheranno a rincorrersi rischiando di fondersi e di apparire

indistinguibili.
LinguaItaliano
Data di uscita16 giu 2021
ISBN9791220341967
La Banda del Salame

Correlato a La Banda del Salame

Ebook correlati

Umorismo e satira per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su La Banda del Salame

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    La Banda del Salame - Luca Speciotti

    CAPITOLO I

    Mino

    Il gatto giocava con i fili d’erba e saltava qua e là. Mino era seduto su un gradino, sotto la tettoia del portone di casa e ammirava la luce che filtrava dai petali del ciliegio, scossi da una brezza leggera. Era uscito per sfuggire al chiasso e alle grida degli invitati, al tintinnio dei cucchiaini nelle tazzine, con l’aroma di caffè che si spandeva tra le mura di casa. Quel giorno i suoi genitori si erano riuniti a festeggiare. A bordo di auto sgargianti erano arrivati i parenti, gli amici e i colleghi. Tutti volti a lui sconosciuti, tolta la faccia barbuta dello zio o quella più tonda e volitiva della zia. L’atmosfera e il calore che quelle persone generavano, avrebbe dovuto ravvivargli la giornata; purtroppo lo facevano sentire estraneo nella sua casa e lui non necessitava di particolari diversivi. Alla sua età, anche se non accade nulla, ogni giorno è nuovo. Un tizio grasso e pelato con la maglia a righe che assomigliava all’omino Michelin, nell’atto di rifilare un’amichevole pacca sulla schiena di suo padre, aveva rischiato con lo scarpone poderoso, di calpestare il suo nuovo camion dei pompieri. Per non parlare di quella signora petulante e rinsecchita con la sigaretta perennemente accesa che aveva già monopolizzato le attenzioni di sua madre. Non era tanto alta e si era tinta i capelli, lo capiva anche lui che era un bambino. Non si sentiva a suo agio tra quei discorsi con le donne pronte a sussurrare i pettegolezzi e gli uomini spaparanzati sul divano a discutere di calcio.

    Così trascorsi i soliti convenevoli:

    – Clara, ma è tuo figlio?... Com’è cresciuto!

    Per non parlare del finto omino Michelin che, con la bocca ripiena di tartine, gli aveva farfugliato in tono confidenziale:

    – Senti, ci vai già a morosa?

    Mino era stato risucchiato da un’ombra perfida che lo aveva fatto scivolare in un limbo in cui nessuno pareva notarlo e ciò, per un figlio unico, era davvero inusuale. Seduto con i piedi che non toccavano terra e le mani appoggiate sul piano della tovaglia, sopra la tavola allungata, colma di piatti, bicchieri e vassoi, guardava i suoi che ridevano. Di solito erano sempre seri e pronti a preoccuparsi di tutto, oppure erano impegnati a discutere. Oggi sembravano anche loro dei bambini e gli toccava semplicemente guardarli. Dall’altra capo della tavola lo zio lanciava delle occhiate languide con un’espressione da cane bastonato. Neanche lui conosceva quelle persone. La zia che aveva in testa un bizzarro chignon, non si faceva scrupoli a fraternizzare e conversava amabilmente con la donna dai capelli tinti. Lo zio, sperso o stanco, era appena tornato dal Sud America dove era rimasto per diverse settimane.

    Mino scostò il piatto delle lasagne anche se era pieno. Un piatto che tutti a turno, chissà se per verità o per piaggeria, avevano già ampiamente lodato. Quel trambusto gli aveva fatto passare l’appetito e quindi sì alzò e andò verso lo zio, il quale approfittando della disattenzione della moglie, agitando una mano sopra la sua testa, con l’altra aveva estratto una busta argentata dalla tasca dei pantaloni.

    – Che cos’è?

    – Sss! – fece lo zio. – È un segreto!

    La zia si girò di scatto e dopo avere assestato una manata sulla tavola, iniziò a gridare con l’occhio incarognito:

    – È possibile che parli sempre? Basta che mi volto e tu?

    Lo zio si fece piccolo e sembrava volersi nascondere sotto al tavolo. I presenti ammutolirono, poi ricominciarono a conversare come se nulla fosse accaduto. Mino ne approfittò per mettersi in tasca il pacchetto e uscì nel cortile. Non ci sperava più, ma quella giornata gli aveva riservato qualche cosa di piacevole.

    Lo zio gliel’aveva promesso prima di partire:

    – Stavolta se riesco ti porto qualcosa di speciale. Spero solo che non mi perquisiscano i bagagli.

    Adesso si ritrovava tra le mani quella busta anonima dai bordi sfrangiati, coperta da nomi in alfabeti astrusi che riportavano anche le scritte: Sugar – Azùcar – Zucchero. Nessuno dei suoi amici, ne era sicuro, se la sarebbe potuta permettere. Fortuna che lo zio aveva queste trovate. Com’era diverso da suo padre anche se erano fratelli.

    Seduto sul gradino era pronto a scartare il pacchetto quando, a lato del cancello, vide muoversi la siepe. Un attimo dopo da dietro le sbarre sbucò il volto occhialuto di un tizio su una bicicletta. Senza dire niente, come se fosse a casa sua, costui scostò il cancello ed entrò nel giardino e appoggiò la bici al ciliegio. La bici era attrezzata con due grosse bisacce poste a fianco della ruota posteriore. Mino lo squadrò per bene, aveva un viso comune e uno sguardo affabile e pensò fosse solo un semplice invitato che, per colpa di un impegno improrogabile non aveva potuto partecipare al pranzo ed era arrivato adesso giusto per salutare. Anche se gli sembrava strano che i suoi frequentassero un tipo del genere. Ma viste le facce che erano entrate poco prima, molte certezze in lui ora vacillavano. Così quando quel tipo si avvicinò e gli prese il pacchetto dalle mani, Mino non abbozzò la minima resistenza. Forse fu il tono o l’aria cordiale che mostrava, che un bambino della sua età non poteva male interpretare.

    – Me lo dai?

    Dopo averlo afferrato lo girò e, per vederlo meglio, alzò gli occhiali rivelando uno sguardo miope, poi disse:

    – Lo prendo io.

    Girò i tacchi e andò a recuperare la bicicletta. Mentre la scostava dal tronco, una delle bisacce si incastrò e per liberarla dovette tirare la bici verso di sé e spostarla. Rimontato in sella riprese la strada da cui era venuto.

    Mino non sapeva cosa pensare. Tutto era successo troppo velocemente. Le caramelle non c’erano più e avrebbe voluto correre dallo zio e dirglielo, ma sapeva di non poterlo fare. Avrebbe rischiato di metterlo in cattiva luce davanti a quelle persone. Quello strano pacchetto li univa e decise di aspettare, tanto la festa non sarebbe durata molto. Una lacrima scese e gli rigò il viso. I suoi gli avevano sempre detto di non fidarsi degli sconosciuti, ma con tutta la gente che c’era, perché non avrebbe dovuto pensare che fosse un semplice invitato? Più ci pensava e più lo odiava, era l’essere più antipatico che avesse mai incontrato. E perché non si era opposto? Forse non ne aveva avuto il coraggio o non aveva capito. Era stato sciocco e piangeva di rabbia.

    Gli invitati cominciarono a uscire, il primo fu l’omino Michelin che saltato su un macchinone rosso con le ruote enormi, partì con una sgommata. Mino si era nascosto nella siepe e non voleva farsi vedere. Aveva il volto imbronciato e chiunque avrebbe intuito che gli era successo qualcosa. L’ultimo a uscire fu proprio lo zio che stava dietro alla moglie, come un piccolo pesce che accompagna un pesce più grosso. Mino avrebbe voluto saltargli al collo, raccontargli tutto e farsi perdonare. Era sicuro che lo zio, più dei suoi stessi genitori, l’avrebbe capito e gli avrebbe promesso un nuovo pacchetto di caramelle. Ma non si azzardò e non lo fece. Quando tutti se ne furono andati, suo madre andò a tirarlo fuori da lì.

    – Oh, meno male, ci sei anche tu. Io e tuo padre eravamo preoccupati. Dove sei stato tutto questo tempo? E poi non hai mangiato niente. Non ti piacevano le lasagne?

    Dopo aver gettato uno sguardo su di lui, Clara intuì che era successo qualcosa. Mino si era imposto di tacere ma gli era bastata una semplice occhiata della mamma per farlo confessare.

    – Non è colpa mia, un signore mi ha preso le caramelle – e dopo averla abbracciata si era messo a frignare.

    – Ma chi? Quali caramelle? – fece Clara accarezzandogli il capo.

    Arrivò anche suo padre e Mino raccontò tutto per filo e per segno. Spiegò che lo zio gli aveva portato delle strane caramelle e che un tizio con un volto amichevole che era passato di lì, gli aveva sottratto il regalo.

    I suoi genitori, impegnati com’erano a consolarlo, giudicarono quell’accaduto con leggerezza, poi ci ripensarono e trovarono che quel fatto era assurdo.

    – Bella questa idea di tuo fratello di regalare le caramelle a Mino – fece Clara sbuffando.

    Franco dovette dar fondo a tutta la propria pazienza. Fortuna che era paziente, ma Clara non era cattiva. Se pensava alla moglie di suo fratello si sentiva un miracolato. Per forza era sempre in giro, non poteva certo restare a casa. Giustificò il fratello dicendo che non era colpa di nessuno. Chi avrebbe pensato che uno sconosciuto sarebbe entrato nel cortile. Da quelle parti non era mai successo niente del genere.

    – E se era un poliziotto?

    – Clara i poliziotti non rubano le caramelle ai bambini.

    Pur essendo più smaliziato della moglie, e su certe questioni non è che ci volesse tanto, Franco faticava a capire che cosa fosse veramente accaduto.

    – Pensa se venisse a saperlo qualcuno? – continuò Clara. – Che figura ci facciamo? Per delle caramelle allo zucchero.

    Per rassicurarla Franco pensò d’indossare i panni del detective. Era quello che ci si attendeva, che prendesse in mano la situazione e facesse valere la propria razionalità. Franco era sempre pronto a piantare un chiodo, a montare una mensola e a preoccuparsi di quello che accadeva tra le mura di casa. Qualcuno poteva malignare che fosse un pantofolaio e forse era vero, più semplicemente godeva delle piccole certezze che la quotidianità ti offre: un lavoro sicuro, una famiglia, un figlio, un tetto sopra la testa e perché no, anche un bel televisore con cui assistere alle partite del campionato. E in fondo che cosa c’era di male? Gli aerei, gli scali, il jet lag, gli hotel e i viaggi erano cose che lasciava volentieri al fratello.

    – Dov’eri quando è entrato quel tipo?

    – Ero seduto qui.

    Mino essendosi sfogato si sentiva meglio.

    – È entrato dal cancello con la bicicletta e dove l’ha messa?

    – L’ha messa lì – disse indicando l’albero.

    – Qui? – chiese Clara avvicinandosi al ciliegio.

    – Uffa – esclamò dopo avere osservato il tronco, – il gatto è tornato a fare la cacca in giardino e dire che io la lettiera gliela pulisco ogni giorno.

    – Basta – fece Franco, – cosa c’entra il gatto?

    – C’entra eccome, vieni a vedere, e poi la lettiera non so perché ma la pulisco sempre io e non tu che stai sempre sul divano a guardare le partite.

    Andò a controllare e fu colto da un profondo stupore.

    – Ma guarda, è… – non ebbe nemmeno il coraggio di terminare la frase.

    – Che cos’è? Che cosa vuoi che sia? È una cacca di gatto.

    – E ti pare che il nostro gatto possa fare una roba del genere?

    – Ah sì, dillo tu allora che cos’è. Visto che sei tanto bravo.

    – Non vedi, è un piccolo salame! – esclamò Franco.

    – Oh, Dio! – strillò Clara, – e che cosa ci fa nel nostro giardino?

    Quella vicenda insomma si stava complicando. Se adesso Mino era sereno non si poteva dire lo stesso dei genitori. Franco pensava fosse meglio fare finta di niente. Il tempo avrebbe cancellato ogni cosa e quella vicenda se la sarebbero scordata e non avrebbe avuto seguito. Clara invece era eccitata e non voleva passarci sopra.

    – Io vado alla polizia!

    – Cosa ci vai a fare?

    – No, non è possibile. C’è uno che entra nel nostro giardino e ruba le caramelle a nostro figlio e tu mi dici che devo stare calma e devo avere pazienza? No, mi dispiace! – disse sventolando un dito in faccia al marito.

    – E metti caso che quel tipo fosse un poliziotto e che quel pacchetto sia stato sequestrato perché vietato – ribatté, anche se non credeva a un’acca di quello che diceva. Se parlava così, era solo per acquietare la moglie, per scoraggiarla a intraprendere alcun tipo di iniziativa. Anche se sapeva che non ci sarebbe riuscito.

    – No, io vado dal Sindaco!

    Franco tentò di dissuaderla. Cosa c’entrava il Sindaco? Con tutti i problemi che c’erano. Con le strade che erano piene di buche, la delinquenza che cresceva ogni giorno. Per non parlare dei problemi sociali, di quei disgraziati che non avevano un lavoro e non riuscivano ad arrivare a fine mese. Un tetto e un lavoro loro ce l’avevano e non potevano lamentarsi solo perché un estraneo, entrato nel cortile, aveva rubato le caramelle a Mino.

    – Forse non l’hai capito, ma qui non ci sono soltanto delle caramelle, c’è anche un salame – e glielo sbatté sotto al naso.

    – Tu questo come lo spieghi?

    – Va bene – fece Franco, – se vuoi andare dal Sindaco allora vacci, vacci pure. Se è questo il problema.

    – Sì – rispose Clara, – ci puoi giurare. Ci andrò domani stesso!

    Clara era ottimista: quel caso non era stato risolto, ma il primo passo l’aveva fatto e, grazie alla sua costanza, al suo metodo e alla sua tenacia, sentiva che ne sarebbe venuta presto a capo. In più nutriva un’ammirazione segreta per il Sindaco. Era un bell’uomo e aveva un portamento nobile. Quando tagliava i nastri o commemorava i caduti poi, aveva un’ineguagliabile classe. Seguendolo alla televisione, chissà perché, si era fatta l’idea di avere delle profonde affinità con lui. Nonostante non fosse più una ragazza era ancora piuttosto in forma e, oltre a due occhi azzurri e un caschetto di capelli graziosamente sagomato di un biondo naturale, possedeva un fisico snello che, specie nei mesi estivi quando scopriva le lunghe gambe, i colleghi di lavoro ammiravano. Fingeva di non vedere i loro sguardi eccitati quando si chinava a raccogliere un foglio o una biro, ma ciò la riempiva di orgoglio. Di fronte a delle avances più villane si sarebbe offesa come non mai, ma quelle attenzioni la facevano sentire giovane e desiderabile. Dopo la nascita di Mino le polveri tra lei e il marito si erano inevitabilmente bagnate, ma il mondo va così e lo sapeva. Nonostante tutto gli era fedele e non desiderava nessun’altro. Tuttavia, davanti a un uomo maturo e fascinoso com’era il Sindaco, sperava di riscuotere lo stesso tipo di successo che già suscitava nei colleghi. D’accordo che non era l’obiettivo primario della missione, ma tanto valeva unire l’utile al dilettevole. Almeno avrebbe visto il Sindaco da vicino. Franco ignorava le fantasie della moglie, ma anche se le avesse conosciute non si sarebbe preoccupato. Disapprovava la cocciutaggine di Clara ed era certo che quella visita avrebbe portato a un nulla di fatto. Clara si sarebbe scornata davanti alla realtà dei fatti e avrebbe rischiato di farci una magra figura. Tanto peggio per lei, così avrebbe imparato la lezione.

    Clara era convinta che il marito non approvasse quella visita solo perché il Sindaco poteva essere attratto da lei.

    – Tanto lo so sai che sei geloso!

    II

    Il Sindaco

    La città di Bologna sorgeva in una vasta piana ai piedi delle colline e vantata una tradizione millenaria, avendo dato i natali o più semplicemente ospitato innumerevoli e illustri scienziati, musicisti, poeti e pittori. Dotata di un clima temperato ma umido e con picchi di caldo estivo, un tempo era stata assai vivace e bizzarra, ma oggi, già globalizzata, assomigliava a molte altre città. Il centro storico era stato trasformato in museo, mentre i traffici finanziari e commerciali si erano spostati nella periferia. Da quando il Nuovo Regime Salutista era entrato in vigore erano mutate anche le tradizioni gastronomiche, un tempo rinomate. Erano scomparsi i veri prosciutti e i veri salami e i tortellini e le lasagne non erano più quelli di una volta. I primi a scomparire erano stati gli zuccheri: si era capito infatti che, per quanto fossero deliziosi al palato, erano altresì dannosi e fonte di molte malattie. Per questo erano stati rimpiazzati dagli edulcoranti. Era toccato poi al vino e alla birra che non potevano più contenere alcool, ma grazie a degli speciali additivi erano ugualmente in grado di donare un piacevole stato di ebbrezza. Anche il tabacco era cambiato e, nonostante fosse stato bersagliato, regolamentato e limitato dal Nuovo Regime Salutistico, era comunque un vizio diverso. La carne, anche quella, era stata proibita e, volenti o nolenti, erano stati tutti costretti a diventare vegani. Oltre a portare un beneficio agli animali ciò consentiva agli uomini di vivere più a lungo. Certe sostanze come il ferro, presenti nelle carni e necessarie al metabolismo, venivano integrate nei nuovi alimenti. Per farla breve in Italia, in Europa e in tutti i paesi occidentali, non era più possibile gustarsi un piatto di spaghetti alla carbonara fatto con le uova, il guanciale e il pecorino. Gli spaghetti alla carbonara, da anni ormai, erano un surrogato a base di tofu, peperoni e curcuma. Questa conversione non era stata ancora adottata in ogni lato del globo e all’inizio aveva creato non pochi problemi, anche di ordine pubblico. Poi però era stata recepita come un inevitabile segno di progresso e, giunti a questo punto, tornare indietro era impossibile. Le forme e le linee dei corpi si erano snellite, ma non del tutto. I pancioni e le trippe erano comunque confinati al passato (così come il colesterolo, i trigliceridi e la glicemia alta). Gli allevamenti non esistevano più e alcune specie, tipo il maiale, si erano estinte. Perché allevare degli animali così sporchi e sgraziati se non era più possibile mangiarli? Potevano andare bene le mucche, le capre, le pecore o le galline, di cui qualche esemplare sopravviveva nei parchi o nei musei, ma il maiale no. I bambini non lo avevano mai visto ed era diventato una specie di curiosità, un animale esotico, tipo il canguro o il koala. Ora i salumi, i prosciutti e gli insaccati, assomigliavano a dei grossi cetrioli gommosi ripieni di spezie e avevano poco a che vedere con i loro predecessori. Nel resto del mondo le cose non erano ancora cambiate, ed è per questo che lo zio aveva potuto acquistare quel pacchetto di caramelle allo zucchero. Si vociferava anche che, come in America negli anni del proibizionismo, i cibi proscritti e bollati come insani circolassero illegalmente. Erano solo dicerie. Un pacchetto di caramelle allo zucchero imboscato sul fondo di una valigia, per quanto fosse irregolare, in via ufficiosa poteva anche essere tollerato, sempre se restava confinato alla mera curiosità. Ma per cibi più sostanziosi tipo formaggi, alcolici, carne, salumi e pesce, vigevano delle regole ferree e il contravvenire a tali regole era sanzionato con pene anche gravi. Tali merci era impossibile importarle illegalmente e l’unica era produrle di nascosto, ma questa ipotesi a ben vedere era ancora più assurda. A parte che i maiali nostrani, come si è detto, si erano estinti (forse forzatamente), e

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1