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Quel maledetto venerdì
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Quel maledetto venerdì
E-book154 pagine2 ore

Quel maledetto venerdì

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Info su questo ebook

Quel venerdì sera, Liam aveva progetti migliori che starsene appostato a spiare Eleonor Thorpe, ma doveva fare un favore al fratello Sean, e non aveva davvero idea del guaio in cui si stava per cacciare.

E Sean, di professione investigatore, aveva catturato un bigamo truffatore che gli ha chiesto di recapitare un messaggio a una certa Laurel. Lui non si tira mai indietro se si tratta di salvare una bella ragazza.

Anche Brian va a caccia, ma di notizie e, in certe occasioni, anche di giovani affascinanti: è quello che sta facendo a una importantissima serata di beneficenza.

Chissà cosa finiranno per combinare...
LinguaItaliano
Data di uscita10 mag 2021
ISBN9788830529052
Quel maledetto venerdì
Autore

Kate Hoffmann

Dopo aver lavorato come redattrice di testi pubblicitari, ha intrapreso la difficile strada del romanzo e ha dovuto superare difficili momenti prima di approdare al successo. Ora finalmente può permettersi di dedicarsi alla scrittura a tempo pieno.

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    Anteprima del libro

    Quel maledetto venerdì - Kate Hoffmann

    Copertina. «Quel maledetto venerdì» di Hoffmann Kate

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    The Mighty Quinns: Liam

    Harlequin Temptation

    © 2003 Peggy A. Hoffmann

    Traduzione di Maria Latorre

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2004 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3052-905-2

    Frontespizio. «Quel maledetto venerdì» di Hoffmann Kate

    Prologo

    I tre ragazzini se ne stavano rannicchiati sul pavimento, spiando la figura sul porticato attraverso la tenda strappata.

    «Cosa facciamo?» mormorò Liam Quinn. «Non possiamo lasciarla entrare.»

    «Apriamo» suggerì il fratello Brian. «Fingiamo che vada tutto bene.»

    «Se ne andrà» li rassicurò Sean. «Basta aspettare.» Sean era il gemello di Brian e non c’era cosa su cui si trovassero mai d’accordo.

    «No.» Liam scosse la testa. «Non se ne andrà.» La paura gli strinse lo stomaco. Era da tanto di quel tempo che insieme ai cinque fratelli evitava le assistenti sociali, che ormai aveva imparato a riconoscerle al primo sguardo.

    Questa indossava un banale cappotto grigio, ma erano l’espressione astiosa e la cartella stracolma che la tradivano.

    «Apri la porta» sbottò Brian. «Dille che sei a casa malato e che papà sta riposando.»

    I gemelli guardarono Liam con espressione torva.

    Il suo voto era fondamentale, in quella decisione. Una posizione piuttosto difficile, per un bambino di dieci anni. «E se insistesse per parlare con papà?»

    «Dovrai convincerla che non puoi disturbarlo» gli spiegò Brian. «Dovrai dirle che ha l’influenza, che vomita in continuazione e che il medico gli ha raccomandato il riposo assoluto. Coraggio, puoi farcela» concluse con una pacca incoraggiante sulle spalle.

    Il campanello trillò di nuovo. Liam sussultò. Aveva sempre avuto paura delle assistenti sociali. Erano uguali ai draghi che affollavano le storie degli Invincibili Quinn che il padre raccontava loro, sempre in agguato nell’ombra, sempre pronte a distruggere la loro famiglia.

    L’inverno era la stagione peggiore, la stagione in cui i draghi potevano colpire più facilmente. In inverno, i sei fratelli non potevano presentare loro un genitore responsabile. Seamus Quinn, il padre, partiva ogni anno sul finire di ottobre verso i Caraibi per la pesca del pescespada e ritornava a casa all’inizio di aprile. I ragazzi sarebbero rimasti da soli ancora per qualche settimana.

    Quella di Liam non si poteva certo definire una famiglia perfetta. I fratelli maggiori ricordavano un tempo in cui le cose andavano molto meglio, per loro, ma Liam non aveva mai conosciuto una vita diversa. Conor, Dylan, Brendan e i gemelli erano nati tutti in Irlanda, un paese che per lui rappresentava solo un’isola sulla cartina geografica. Nei racconti dei fratelli, però, l’Irlanda appariva come una terra magica, misteriosa, piena di magnifici ricordi.

    Liam aveva spesso cercato di immaginare come fosse avere una famiglia normale, un padre che tornava a casa tutte le sere e una madre che preparava la cena e leggeva libri di favole ai figli. Peccato che quella vita fosse finita proprio quando lui era venuto al mondo. Seamus, suo padre, aveva condotto in America la moglie e i figli per acquistare un peschereccio in società con il fratello Padriac. Lavorare sulla Mighty Quinn, però, era un’occupazione che lo allontanava da Boston per intere settimane, spesso per mesi.

    Liam era l’unico della famiglia a essere nato in America e aveva sempre provato il segreto senso di colpa di essere la causa di tutti i problemi della sua famiglia. Era stato proprio dopo la sua nascita, infatti, che il padre aveva incominciato a bere e si era dato al gioco d’azzardo. La madre, invece, aveva preso l’abitudine di chiudersi in camera da letto a piangere. Vedeva raramente il marito, ma quando si incontravano, non facevano che litigare.

    Poi, all’improvviso, la madre se n’era andata. A quell’epoca Conor aveva otto anni, Dylan sei e Brendan cinque. Erano gli unici a conservare qualche ricordo di lei. I gemelli di tre anni e il piccolo Liam, invece, non avevano potuto fare altro che fantasticare su quella bella donna bruna che cantava loro dolci melodie irlandesi e li metteva a letto rimboccando loro le coperte.

    «Fiona» mormorò Liam, pronunciando il nome della madre come se fosse un incantesimo contro il male. Se la madre fosse stata là, lui non avrebbe avuto paura. «Il drago sta andando via.»

    L’assistente sociale, infatti, si era girata e si stava dirigendo verso le scale. All’improvviso, però, piroettò su se stessa e tornò alla porta, bussando con il pugno serrato con tutte le sue forze. «So che siete là dentro» gridò. «Signor Quinn, se non mi fa entrare sarò costretta a rivolgermi alla polizia. I suoi tre figli minori non si sono presentati a scuola nemmeno oggi.»

    Liam non riusciva a capire per quale motivo le assistenti sociali dovessero sempre interferire. Se la cavavano bene, lui e i fratelli. Conor aveva diciassette anni e si era trovato un lavoro part time che aiutava tutti a tirare avanti, mentre Dylan e Brendan sorvegliavano la casa durante l’assenza del padre e si accontentavano di qualche lavoretto che contribuisse a rimpinguare la cassa.

    Se la cavavano piuttosto bene, quando riuscivano a tenersi lontani dai guai. Quel giorno, però, avevano marinato la scuola. Non era stata un’idea felice, ma a volte i gemelli sapevano essere davvero molto persuasivi. Quando lo avevano invitato a partecipare alla loro avventura, Liam non aveva saputo resistere.

    «Chiamerà la polizia» brontolò Sean. «Sfonderanno la porta e ci porteranno tutti via.»

    «D’accordo, d’accordo, adesso apro» concesse a quel punto Liam. «Ma mi dovete qualcosa.»

    «Qualsiasi cosa» promise Sean.

    «Dieci figurine della tua raccolta di baseball a mia scelta» sentenziò rapido Liam, poi si rivolse a Brian. «E dieci della tua. Quelle che voglio io, senza fare storie.»

    «Neanche per sogno» protestò Brian.

    «Dagli quello che vuole» insistette Sean. «Riuscirà a sbarazzarsi di quella donna. È l’unico che può farlo. A lui credono sempre tutti.»

    Era vero. Liam sapeva conquistarsi la fiducia degli adulti.

    Brian non poté fare altro che cedere. «D’accordo, d’accordo! Dieci figurine. Affare fatto.»

    «Filate in camera di papà e nascondetevi sotto le coperte» ordinò a quel punto Liam. «Fingete di essere lui, ma non fate rumori strani.»

    «Come vuoi. Tu, però, liberati di quella donna prima che tornino Conor, Dylan e Brendan. Ci scuoiano vivi, se scoprono che l’abbiamo fatta entrare.»

    «Voi fate il vostro lavoro» li zittì Liam avviandosi alla porta. «Io faccio il mio.»

    Quando i gemelli scomparvero in camera da letto, lui attese ancora qualche secondo prima di socchiudere la porta. Assunse un’aria spaventata. «Cosa vuole?» mormorò. «Chiamo la polizia, se non se ne va subito.»

    La donna lo fissò accigliata. «Sono la signora Witchell, un’assistente sociale. Vorrei parlare con tuo padre.»

    «Adesso sta dormendo» replicò Liam. «E mi ha detto di non far entrare estranei.»

    «Come mai sei a casa?»

    «Sono malato. Ho la febbre.»

    La donna gli mostrò un tesserino. «Non devi avere paura di me, puoi lasciarmi entrare» gli disse. «Io sono qui per aiutarti.»

    Per tutta risposta, Liam si infilò il giaccone e uscì, chiudendosi la porta alle spalle. «Non posso far entrare nessuno in casa» insistette. «Ma credo che non ci siano problemi se parliamo qua fuori.» Si sedette su un gradino e le fece cenno di sederglisi accanto. «Perché vuole parlare con mio padre?»

    «I vicini sono piuttosto preoccupati. Dicono che non lo vedono da un pezzo.»

    «Certo» annuì Liam. «Lavora di notte, per questo durante il giorno dorme.»

    «Non è questo che mi hanno raccontato i vicini» ribatté la signora Witchell. «Loro dicono che è fuori con il suo peschereccio.»

    Lui alzò le spalle. «Non sanno di cosa parlano.»

    «Ciononostante, ho davvero urgenza di parlare con tuo padre.»

    Liam finse di piangere. «Se la faccio entrare, papà si arrabbierà moltissimo. E si arrabbierà ancora di più se lo sveglio. Non potrei dirgli di telefonarle appena si sveglia?»

    «Temo che non sia sufficiente.»

    Lui fece una pausa. Sapeva che quella che stava per prendere era una decisione rischiosa, ma doveva convincere la signora Witchell che non aveva nulla da nasconderle. «Le va una tazza di caffè?» le chiese. «Magari può aspettare finché papà si sveglia.»

    «Va bene, questa potrebbe essere una soluzione.» La donna lo seguì in casa, colpita dalle sue buone maniere. Era raro che un ragazzino di quell’età aprisse la porta a una signora e poi la aiutasse a togliersi il cappotto.

    «Si accomodi pure qui in salotto. Io vado in cucina a preparare il caffè.» Detto questo, Liam si precipitò verso il retro della casa, preparò il caffè, quindi raggiunse in punta di piedi la camera da letto del padre. «Restate dove siete» bisbigliò ai fratelli nascosti sotto le coperte. «È in casa.»

    Brian balzò a sedere. «L’hai fatta entrare? Gesù, sapevo che non dovevamo fidarci di te. Che cosa sta facendo?»

    «Aspetta che le prepari il caffè.»

    «Diavolo!»

    «Non vi preoccupate. Fingete di essere papà. La farò uscire più in fretta che posso.» Liam uscì e si chiuse la porta alle spalle. Quando si girò, si ritrovò di fronte alla signora Witchell. «Non si è ancora svegliato» le disse senza battere ciglio. «Venga, le servo il caffè.»

    La donna lo seguì in cucina. «Chi prepara il pranzo?» gli chiese.

    «Mio padre. Gli piace cucinare, ed è anche bravo.»

    «E quando è in barca?»

    «Allora se ne occupa la signora Smalley. Anche lei è una brava cuoca.» In realtà la signora Smalley, la loro babysitter, non si presentava mai al lavoro e quando lo faceva era per lo più ubriaca. Conor le aveva detto già da tempo che non avevano più bisogno del suo aiuto, anche se Seamus continuava a pagarla.

    Imitando i gesti che aveva visto ripetere molte volte al fratello Conor, Liam versò il caffè in una tazza. «Lo gradisce macchiato?»

    Un sorriso distese finalmente le labbra della signora Witchell. «No, grazie, va bene così.» Prese la tazza, bevve un sorso. «È molto buono» sentenziò. «Guarda, adesso devo proprio andare. Ho un altro appuntamento tra mezz’ora. Devo parlare con tuo padre.»

    «Ma sta ancora dormendo.»

    Un sospiro. «E se dessi un’occhiatina in camera sua, tanto per assicurarmi che è qui con te? Poi, magari, ti lascerò il mio biglietto da visita, così potrai dirgli di chiamarmi quando si sveglia.»

    Liam le rivolse un largo sorriso, quello che piaceva tanto alle maestre a scuola. «D’accordo» acconsentì. «Ma deve promettermi di restare in silenzio.» Nel dire questo, la prese per mano e la trascinò verso la camera da letto, dove spalancò la porta e le concesse di entrare. La sagoma nel letto respirava pesantemente, grazie alla mimica perfetta dei gemelli. Liam si affrettò a tirare la donna verso il corridoio e a richiudere la porta.

    «Va bene.» L’assistente sociale sospirò ancora, gli tese un bigliettino da visita e si accinse a uscire.

    Quando Liam la vide entrare in macchina, lanciò un urlo di gioia. In capo a tre secondi i gemelli lo raggiunsero in

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