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Sogni e altiforni
Sogni e altiforni
Sogni e altiforni
E-book283 pagine3 ore

Sogni e altiforni

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Info su questo ebook

Dopo il primo fortunato Calcio e Acciaio, candidato al Premio Strega 2014,  si torna al salmastro di Piombino con Sogni e Altiforni, sempre per A.Car edizioni. Siamo di nuovo calati nella realtà di Giovanni, mister melanconico con un passato da brillante promessa del calcio;  lo ritroviamo aggirarsi nei meandri di una Piombino sempre più dimentica di se stessa, cosa che forse vorrebbe fare anche lui, per smettere di rievocare un passato che non smette di risuonargli in petto, fra sogni – appunto – illusioni, speranze disattese. E in questo nuovo capitolo la novità è la voce di Debora, amore mai sopito di Giovanni, che qui prende forma grazie alla penna di Cristina de Vita; un cammino parallelo, dunque, che i due compiono in province simili, per quanto lontane, come simili sono i pensieri dei due che si intrecciano, in spirali di memorie che rimandano a echi del passato, ponti di un presente che i due vorrebbero diverso, anche se poi non è mai facile capire come, e in che maniera. In questo sentiero che i due percorrono insieme, anche se separati, si dipana una storia che è un tango narrativo, in cui i due autori duettano mettendosi a nudo, senza vergognarsi delle loro fragilità. (Vincenzo Trama)
LinguaItaliano
Data di uscita14 lug 2021
ISBN9788876068553
Sogni e altiforni

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    Anteprima del libro

    Sogni e altiforni - Gordiano Lupi

    PER CHI NON HA LETTO CALCIO E ACCIAIO

    Poche cose da sapere

    CALCIO E ACCIAIO

    DIMENTICARE PIOMBINO

    di Gordiano Lupi

    ACAR edizioni

    Presentato al Premio Strega

    1° posto Premio Nazionale Giovanni Bovio - Trani

    1° posto Premio Letterario Europeo Massa città fiabesca di mare e di marmo - Massa

    2° posto Trofeo Monterosi d’Argento - Viterbo

    3° posto Premio Casentino - Arezzo

    Calcio e Acciaio è ambientato a Piombino, con alcune parentesi tra Sud – a Trani – e il profondo Nord – Milano. Piombino una città che vive tra le acciaierie con le case popolari dei lavoratori, lo Stadio Magona dove dei giovani calciatori, giocando con passione, sognano di spiccare il volo nelle squadre calcistiche di serie A, un centro, una piazza , gli antichi monumenti, le scuole ed il Liceo, i bar dove la vita prende significato di incontro, i ristoranti piuttosto che le antiche trattorie dove si mangiano magnificamente delle vivande tipiche e il pesce fresco di paranza, il cinema, il teatro, il porto dove passano auto e persone che si imbarcano per l’Elba, isola che si guarda dalla terra ferma. Non possiamo dimenticare di essere in una terra di antichissima civiltà e storia etrusca, e basta poco per arrivare in un luogo magico: il golfo di Baratti dove tutto il colle è un reperto archeologico.

    Quali potevano essere i sogni dei ragazzi di questa sonnecchiosa provincia italiana, se non allo Stadio Magona dove tirare in porta, contro la squadra avversaria un pallone?

    Giovanni ce la farà, tra una partita e l’altra contro squadre della provincia o dell’isola d’Elba, viene notato e lanciato verso una ribalta nazionale, risalendo dalla serie C da Molfetta a Trani dove Debora s’innamora di questo calciatore scattante e lui di lei appassionatamente, dicendosi frasi di eterno amore, mentre passeggiano sul lungomare tanto simile a quello di Piombino.

    E questo amore, che si perderà, come se la distanza fosse un’insormontabile ostacolo, malgrado le lettere di reciproco amore che sfumano nel tempo, per non aver voluto, lei, lasciare la sua Trani per una città sconosciuta e fredda del Nord, seguire il sogno di lui sperato da sempre e che si realizza.

    Wilma Minotti Cerini

    immagine 1

    IL PROFUMO DEL TEMPO PASSATO

    Prefazione di Stefano Tamburini

    Sfogliando questo libro sembra quasi di sentirlo il profumo del tempo passato, l’odore della nostalgia, di quella sana, dolce nostalgia che fa bene al cuore. Quella che libera le menti verso i tempi andati e costruisce un gigantesco dribbling fra tanti amori perduti che in fondo non lo sono mai del tutto. Sono l’amore per una donna e quello per il calcio. Il protagonista è lo stesso di un altro fortunato libro di Gordiano Lupi, Calcio e acciaio , che aveva, continua ad avere un sottotitolo volutamente forviante: Dimenticare Piombino . Perché in realtà non viene affatto dimenticata Piombino, una cittadina della costa toscana davanti all’Isola d’Elba alle prese come tante altre con la decadenza di un’epoca industriale andata smarrita, affievolita quasi come gli amori del protagonista. Anzi, è lo sfondo, parte dello sfondo di una grande storia che si chiama vita, di un passato che ritorna senza in realtà mai essersene andato. C’era tanto amore in quel primo romanzo e ce n’è tanto anche in questo che Gordiano Lupi ha scritto a quattro mani con Cristina de Vita, regalandoci anche l’altra faccia di una medaglia ricca di passione e di nostalgia, l’altra faccia dell’amore. È una storia a tratti anche molto amara, con passaggi fatti di delusioni, di tristezze e di abulie che rendono ancora più vero tutto il vissuto che si respira pagina dopo pagina. È comunque una bella storia, per niente scontata, che ha due punti di vista, che in qualche modo combaciano, rendono giustizia a un amore perduto che perduto non lo è mai stato fino in fondo. Il protagonista è un ex grande calciatore, partito da una piccola cittadina di provincia per poi rientrarci a giocare, ad allenare e soprattutto a vivere con il suo carico di noia e di rimpianti. Rimpianti mai del tutto confessati, neanche a se stesso, completamente incapace come è di amare come vorrebbe. Ma è anche un personaggio stupendo negli slanci di generosità sempre mascherati, travestiti con qualche altra motivazione. Un personaggio capace di cambiare squadra del cuore per l’attaccamento a un giovane calciatore fatto crescere e accompagnato nel cammino del successo fino a fargli vestire la maglia di una grande della Serie A nel primo romanzo e rimasto sullo sfondo in questo secondo libro dal titolo Sogni e altiforni . E sullo sfondo restano anche le contraddizioni di un’epoca difficile, quella dei nostri giorni, in tante realtà come Piombino. È la storia di tante comunità che hanno sempre potuto contare su una grande industria, su un lavoro sicuro e che adesso pagano un tributo pesante a errori di programmazione e di visioni. Comunità che vivono anche tensioni politiche che sono sempre pronte a riemergere in ogni paragrafo. Sogni e altiforni , dunque, che nel romanzo restano sullo sfondo ma fanno sentire la loro presenza. E c’è anche uno stadio, anzi sono due, a fare da scenario per molti passaggi di questo libro. Prima di tutto quello glorioso degli esordi del protagonista, diventato decadente nell’epoca moderna, al passo con il declino di una città e di un modo di vivere che si rispecchia nell’acciaio perduto e nella contrapposizione fra chi non lo vuole più e chi invece pensa che non se ne possa fare a meno. Ci sono tutte queste tensioni che si intrecciano una dopo l’altra e spesso anche tutte insieme in pagine che fanno sentire l’odore dei ricordi e anche il sapore della nostalgia, senza mai restarne ingabbiati. E dunque è una storia d’amore non nel senso classico del termine, così come la prima, quella di Calcio e acciaio . È una bella lettura perché racconta emozioni senza invaderle e le fa vivere da dentro anche a chi si affaccia a questa storia, pagina dopo pagina. Gli autori restano sempre un passo indietro, con quel pizzico di pudore che finisce con il dare a ogni lettore lo spazio per una personale visione. A un certo punto della narrazione troverete una frase stupenda: Non potete togliermi il profumo del tempo passato . A me ha colpito perché è quel profumo che molti della mia generazione continuano a sentire pur sapendo che ormai quell’odore è andato perduto ma sono felici di trovare il modo di rinfrescarlo, perché aiuta a capire meglio anche gli odori nuovi, quelli che ammantano il non sapere come sarà il domani. Di ognuno nel particolare e nel complesso di tante comunità come quella rappresentata da Piombino e anche da Trani, dove ci sono l’altro stadio e l’altro scenario d’amore che si intreccia nella doppia narrazione di questo romanzo. A un certo punto Gordiano Lupi lo scrive chiaramente: Basterebbe poco, forse. Ma quel poco è troppo, per chi rimpiange un passato d’acciaio, per chi s’illude d’un presente di perduto acciaio, per chi ricerca un futuro che riporti in vita l’acciaio . Sostituite la parola acciaio con quel che nei tempi andati ha offerto lo slancio alla vita e alla crescita, economica e civile, di molte comunità e troverete lo sfondo su cui far rivivere anche tante altre storie mai scritte. La bellezza del romanzo che comincerete a leggere girando questa pagina va oltre la storia che racconta: è la nostalgia che fa battere forte il cuore senza mai restare prigionieri del passato. Ed è l’atto d’amore più grande di questo romanzo.

    Stefano Tamburini

    Twitter: @s_tamburini

    Giornalista partito da Piombino

    che guarda Piombino con gli occhi del mondo

    SOGNI E ALTIFORNI

    Gordiano Lupi Cristina De Vita

    Piombino – Trani senza ritorno

    Sinfonia d’autunno - La voce di Debora

    COLONNA SONORA

    Non dirle che non è così

    (Francesco De Gregori – Bob Dylan)

    Se la vedi dille ciao

    salutala ovunque sia

    è partita tempo fa

    e adesso forse è in Tunisia.

    Dille che non si preoccupi

    per le cose lasciate qui

    e se crede che l’abbia scordata

    non dirle che non è così.

    Abbiamo dovuto dividerci

    e sbatterci qua e là

    ma per quelli che si amano

    non è certo una novità.

    E adesso che se n’è andata

    e adesso che non c’è

    è ancora nel mio cuore

    è ancora vicino a me.

    Se mai la incontrerai

    dalle un bacio da parte mia

    ho sempre avuto rispetto per lei

    per come se n’e andata via.

    Se c’è un altro che le sta accanto

    certamente non sarò io

    a mettermi fra di loro

    ci scommetto che non sarò io.

    Faccio un lavoro strano

    vedo gente in quantità

    e mi capita ogni tanto di sentire il suo nome

    in giro per le città.

    E non c’ho fatto ancora l’abitudine

    o forse mai ce la farò

    sarà che sono troppo sensibile

    o nella testa chissà che c’ho.

    Sole grande, luna blu

    il passato è ancora qua

    e so a memoria i ricordi

    e il tempo prende velocità.

    Se tornasse da queste parti

    il mio indirizzo la gente lo sa

    tu dille che può cercarmi

    se trova il tempo mi troverà.

    1.

    Vivere con i ricordi ti riempie il cuore di una struggente felicità. Vivere di ricordi no. Vivere di ricordi fa morire in fretta. Purtroppo quel che mi accade adesso è vivere di ricordi, senza scorgere un brandello di futuro. Osservo all’orizzonte il gigante addormentato, un ciclope stanco che non cede alle lusinghe di Ulisse, non ha più voglia di ascoltare, ricorda solo un passato splendore che non può tornare. Un mostro silente, taciturno e affranto, giorno e notte, senza quei falsi tramonti, quel pulviscolo nero che un tempo avvelenava le vie del centro, uno spolverino che era pane e fumo, vita e lavoro, come dicevano i vecchi. Il mio pane è stato il calcio per tanti anni, mi ha permesso di vivere in una villa sul mare, un sogno che ho conquistato rinunciando a un altro sogno, a un amore abbandonato sul lungomare di Trani. Ricordo mio padre che si faceva scandire la vita da una sirena lancinante, sei due - due dieci - notte , sinfonia del tempo perduto, antica civiltà paleoindustriale. Adesso che il mostro è silente resta il nostro mare soffuso di ricordi ed è troppo facile perdersi nei rimpianti per le stanze silenziose della mia casa di mare.

    Tarik se n’è andato, con la sua famiglia, ha preso il volo verso altri lidi, com’era giusto che fosse, ripercorrendo le strade fatte di sogni del vecchio allenatore. Ogni tanto telefona da Torino, dice di ricordarsi di me, ringrazia perché ho creduto in lui, ormai la Juventus è il sogno realizzato. Ma pure una famiglia ritrovata, riunita, suo figlio e sua moglie finalmente in Italia, come uomini liberi, senza problemi economici. E io sono rimasto solo, con mia madre, senza sogni da coltivare, perché Cinzia non poteva accontentarsi delle briciole del disamore, continuando a illudersi che il suo calciatore dimenticasse il passato per vivere il presente. Cosa devo dirti, piccolo ramoscello d’amore perduto? Forse che sono come un fiore d’agave spinosa che svetta verso il cielo, nato sulle ceneri d’una pianta, costretto a vivere cibandosi di rimpianto. Cosa devo dirti se non che non riesco ad amare un’abitudine, sostituendo il sogno con una parvenza, abbandonandomi alle possibilità del non vissuto. Sei sempre stata più forte di me, cara Cinzia, con la tua vita fatta di certezze, tra mille desideri insoddisfatti, con la tua scuola che non sarà la scuola che volevi ma ogni mattina incontri i tuoi ragazzi per spiegare la vita con le parole dei poeti, una vita che forse non sei ancora riuscita a capire. Ma, in fondo, chi può dire di capire la vita?

    La solitudine è il leitmotiv dei miei giorni, come dice il poeta bisogna avere braccia forti e buona salute per la solitudine, compagna silenziosa e ingombrante, mai fastidiosa ma confortevole, ti tiene stretta tra le sue braccia come un guanciale di Morfeo. Non devi aver bisogno di nessuno, devi bastare a te stesso, confondendo i ricordi del passato con il niente assoluto del presente. Resta il calcio, resta mia madre, resta una casa di mare, resta un tramonto che rasserena lo sguardo ogni volta che spalanco il finestrone che si affaccia sulla scogliera di Salivoli. Vivere il presente ricordando il passato sarà il mio destino, con il timore di vivere di ricordi, lasciandosi morire giorno dopo giorno, sprofondando nelle sabbie mobili del rimpianto.

    2.

    Ricordo quando giocavo nel Piombino e m’invitavano alla radio, a volte persino in televisione; è stato ai tempi del primo ritorno, quando - finiti i fasti della serie A - decisi di rientrare in quest’angolo di Maremma per disputare gli ultimi campionati con la maglia della mia città. Capitano, quasi allenatore in campo di una squadra di ragazzi, che in seguito avrei davvero allenato, portandola in Eccellenza. In quel tempo era soltanto Promozione, dilettantismo puro, un gruppo di giovani che seguiva un quasi quarantenne battitore libero, un ex attaccante con licenza di segnare. Le radio locali nacquero quando frequentavo il liceo - quello sul mare, vicino alle fonti in amore, al vecchio ospedale - e alla domenica facevo il raccattapalle per il mio Piombino in serie D, quando capitan Pierozzi mi diceva: Perdi tempo bimbo, che stiamo vincendo! . E io ero soltanto un ragazzo dalle spalle strette che si sarebbe fatto uomo, forse sarebbe diventato un calciatore, come diceva De Gregori, ma nel frattempo sognava. Le radio locali sono ricordi di adolescenza e giovinezza sfiorita. Radio Piombino Centrale e Francesco Spagnoli, padrone del Bar Stella, a tempo perso speaker, che veniva sui campi a imbastire radiocronache e ci voleva tutta la sua passione, ché mica c’erano i cellulari, la banda larga e il digitale terrestre. Erano tempi da pionieri, i radiocronisti di provincia andavano in casa delle persone ad attaccare un cavo al filo del telefono per improvvisare collegamenti in diretta dai campi. Erano tempi che le passione era palpabile, si sentiva nell’aria come il salmastro delle tamerici nelle torride notti d’estate; gli spettatori accorrevano allo stadio a vedere i dilettanti come se fosse la finale di Coppa dei Campioni. Pure noi che calcavamo il terreno erboso del Magona, chiazzato qua e là da piccole buche e parti sterrate, ci sentivamo importanti. Francesco era ancora alla guida della sua Radio Piombino quando sono tornato a giocare nella mia città, ma non era più la stessa radio così come lui non era lo stesso barista, vulcanico tifoso della Fiorentina che discuteva di calcio dalla mattina alla sera. Adesso che non c’è più, ora che non vedo neppure per sbaglio la sua fisionomia da vecchio portiere dei campionati amatoriali, mi manca quel suo parlare schietto, persino alla radio, quel si pole , non si pole , un vernacolo piombinese che mi faceva divertire. E mi mancano i suoi scontri in diretta con il Puliti, barista del Bar Bristol, un negozio scomparso di via Petrarca, un luogo che tutti chiamano sotto i portici . Il Puliti era juventino sfegatato… e quante se ne dicevano, ma in fondo si volevano bene, vecchi eroi d’una Piombino perduta. Insomma, il tempo che passa mi fa uno strano effetto, affacciato al balcone della mia casa di mare, mentre mi lascio scaldare dai raggi tiepidi d’una dolce ottobrata. Domenica il mio Piombino gioca contro il San Miniato Basso, campionato d’Eccellenza, la stessa categoria dove l’ho lasciato, ma la radio non ci sarà a fare la diretta. I tempi sono cambiati, Radio Piombino passa solo musica registrata in digitale, giorno e notte. Manca la passione d’un tempo, la gente pensa ad altro, s’interessa a cose diverse, migliori o peggiori non so, resta il fatto che sono diverse. E allora ricordo che nella Piombino di fine anni Settanta c’erano addirittura tre radio e spirava un vento di libertà finito chissà dove. Ricordo ancora i nomi. Radio Piombino Centrale, Radio Costa Etrusca, Radio Centro Mare, emittenti che si contendevano i piccoli campioni della domenica e la passione dei ragazzini sulla modulazione di frequenza da poco liberata. La valigia sul letto di Julio Iglesias lasciava il posto a La pioggia che va dei Rokes, quindi un conduttore dalla voce calda e roca dava inizio alla trasmissione sportiva con interviste a calciatori, giocatori di basket, atleti del Circolo Acciaierie, tennisti della Magona. E la televisione locale, che si chiamava Rete Toscana Sud e aveva preso il posto di Telepiombino del vecchio Barlettani, trasmetteva per Piombino e Isola d’Elba, anche se si vedeva sempre male, andava a effetto nebbia per colpa di ripetitori scassati. Alla domenica sera passava le partite del Piombino, subito dopo i primi film porno fuori legge, per incuriosire il pubblico e convincere la gente a restare. Massimo Gherardi conduceva il telegiornale, si occupava anche di calcio insieme a Mario Rosselli, un ex calciatore del passato che aveva fondato Radio Centro Mare. Pure loro mi hanno intervistato spesso quando sono tornato a Piombino per tirare gli ultimi calci al pallone, ma la televisione non c’era più, erano rimaste Canale Tre Toscana a Venturina, RTV 38 collegato a un network nazionale e un residuo di Tele Maremma sul digitale. Tempi eroici perduti, fagocitati da aziende vere, dal berlusconismo vorace, tempi che posso solo rievocare da questa casa di mare, mentre osservo un gabbiano che vola sull’agave spinosa e vedo Cerboli in lontananza, gigantesco ciclope addormentato, far da barriera alle onde. Tempi che ricordo mentre penso che domenica sarò a trepidare per la mia vecchia squadra sulle gradinate basse e strette del Magona, come faceva mio padre, magari con gli occhiali da sole, anche se la curva è inagibile e il suo posto non posso più occuparlo. Non ho nessuno in particolare da seguire, Tarik è volato per altri lidi e un figlio mio non l’ho mai voluto. C’è solo quel che resta del mio passato, una squadra con la maglia nerazzurra, un pezzo della mia vita, pure se il tempo migliore è ormai passato.

    3.

    Io sono una forza del passato, solo nel ricordo è il mio amore. Vengo dai ruderi, da montagne antiche, da sogni confusi di nonni cantastorie, borghi dimenticati in riva al mare, di fronte all’Elba, accanto al Monte Amiata, dove vissero padri e pure nonni. Percorro il lungomare come un pazzo, sotto portici anneriti da ricordi, come un cane ormai senza padrone. Osservo crepuscoli e mattine, su Piombino, sulla Bassa Maremma, sul mondo, come i primi vagiti d’una civiltà senza storia, cui assisto per disgrazia d’anagrafe, un’età distrutta da tempo e intemperie. Mostruoso è chi è nato in quest’era di cellulari impazziti, pay-tv, giochi da internet, social network, idiozia imperante, negazioni d’impegno, sogni caduti in notti senza sogni. Uomini e donne nati da viscere di donne morte. E io, feto adulto, mi aggiro nel niente circostante, più moderno di chi dovrebbe esser moderno, cerco fratelli che non son più fratelli, rifuggo conformisti e giovani invecchiati. Io sono una forza del passato che vive un inutile presente. Vivo il niente. Vivo il conformismo. Vivo tra chi non vive vegetando. Rileggo il passato, i libri del passato, il tempo andato, perduto o non perduto. Rivedo pellicole del mio percorso antico, disperato. Fuggo il presente e tutti i suoi connessi. A cianche larghe e vita sderenata, cerco le storie che vorrei ascoltare. Non trovo niente, ormai, tutto è cambiato. Restano solo squallidi happy hour, brevi frammenti, inutili pensieri, mentre ripenso al niente della vita. Tutto si smorza, come una candela, come il ricordo d’un sole impallidito, come i tuoi occhi ancora innamorati d’un tempo che c’è stato ma è svanito in una bolla d’aria evanescente.

    4.

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