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Mussolini alla conquista del potere
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E-book317 pagine4 ore

Mussolini alla conquista del potere

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«No, il Mezzogiorno non ha bisogno di carità, ma di giustizia; non chiede aiuto, ma libertà. Se il mezzogiorno non distruggerà le cause della sua inferiorità da se stesso, con la sua libera iniziativa e seguendo l'esempio dei suoi figli migliori, tutto sarà inutile...»

(La Rivoluzione Meridionale)

Guido Dorso (Avellino, 30 maggio 1892 – Avellino, 5 gennaio 1947) è stato un politico, meridionalista ed antifascista italiano.

Benito Amilcare Andrea Mussolini, noto anche per antonomasia con il solo appellativo di Duce (Dovia di Predappio, 29 luglio 1883 – Giulino, 28 aprile 1945), è stato un politico, militare e giornalista italiano. Fondatore del fascismo, fu presidente del Consiglio del Regno d'Italia dal 31 ottobre 1922 al 25 luglio 1943. Nel gennaio 1925 assunse poteri dittatoriali e dal dicembre dello stesso anno acquisì il titolo di capo del governo primo ministro segretario di Stato. Dopo la guerra d'Etiopia, aggiunse al titolo di duce quello di "Fondatore dell'Impero" e divenne Primo Maresciallo dell'Impero il 30 marzo 1938. Fu capo della Repubblica Sociale Italiana dal settembre 1943 al 27 aprile 1945.
LinguaItaliano
EditorePasserino
Data di uscita14 lug 2021
ISBN9791220825801
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    Anteprima del libro

    Mussolini alla conquista del potere - Guido Dorso

    Segni precoci

    Controversa genealogia dei Mussolini.

    Benito Mussolini nacque il 29 luglio 1883 alle 2,45 pomeridiane in Varano de' Costa, nella Villa San Cassiano, al n. 18 B, nel villaggio di Dovia, frazione del comune di Predappio, da Alessandro Mussolini fabbro-ferraio, e da Rosa Maltoni, insegnante elementare inferiore.

    La sua nascita venne denunziata all'ufficio di Stato Civile di Predappio il giorno successivo alle sei pomeridiane e gli vennero imposti i nomi di Benito, Amilcare, Andrea.

    Il padre, militante nel Partito socialista, prescelse questi nomi per compiere una manifestazione politica. Infatti il nome di Benito fu scelto in omaggio al rivoluzionario messicano Benito Juarez, quello di Amilcare in omaggio al rivoluzionario italiano Amilcare Cipriani e quello di Andrea in omaggio al deputato socialista Andrea Costa.

    Il villaggio di Dovia, detto allora come ora 'Piscanza', non godeva buona rinomanza, perché composto di gente rissosa. Alessandro Mussolini, vi fondò una sezione dell'Internazionale, che, in seguito, venne sciolta da una raffica poliziesca.

    Il cognome era originariamente quello di Mucciolini, poi trasformatosi in Muccellini, Muccolini, Mussellini, Musselini ed infine in Mussolini.

    Dopo l'avvento, i biografi fascisti si sono dati gran da fare per nobilitare la famiglia Mussolini e, a loro dire, due rami di essa si sarebbero illustrati: il primo trasferitosi nel 1200 a Ferrara, poi a Padova ed infine a Venezia dopo aver ottenuto il titolo comitale nel 1480, iniziò la propria discesa. Il secondo ramo invece, sarebbe forlivese, ed una figlia di Giacomo Muccolini, a nome Paola, sposò Flavio Biondo. Non si sa se questi Mussolini siano veramente gli antenati del duce ed i biografi fascisti, dopo aver posto, ma non dimostrata, la discendenza della famiglia di coloni, a cui il duce appartiene, da questa lontana prosapia, finiscono per pubblicare un albero genealogico che ha inizio con un Francesco Mussolini, nato a Calboli nel 1667.

    Ero un bambino puntiglioso e violento

    La puerizia del futuro duce dell'Italia fascista trascorse interamente lungo i campi e le strade maestre. Tutti i biografi fascisti, per quanto hanno tentato di idealizzare i primi anni di vita del duce, non hanno potuto evitare di giungere alla conclusione che egli fu un fanciullo come tutti gli altri e che nessuna particolarità lo distinse dal ragazzo provocatore, sempre desioso di fare a pugni, di gareggiare nella corsa e nella scalata degli alberi da frutto, dal ragazzo che cerca la lotta per puro spirito agonistico e sempre vuol dominare, e quando vince vuol piú del pattuito, e quando perde non vuol pagare la posta in giuoco.

    Del resto queste caratteristiche sono confermate dal duce stesso, che, nel già citato quaderno di ricordi personali così scrive: Io ero un monello irrequieto e manesco. Piú volte tornavo a casa colla testa rotta da una sassata. Ma sapevo vendicarmi. Ero un audacissimo ladro campestre. Nei giorni di vacanza mi armavo di un piccolo badile e insieme col mio fratello Arnaldo passavo il mio tempo a lavorare nel fiume. La madre non poteva condurlo nemmeno in chiesa, perché, dopo essere stato fermo per qualche minuto, procedeva subito a tirare le sottane alle donne vicine o a disturbare i ragazzi della dottrina.

    Evidentemente questa tendenza del ragazzo a divenire discolo doveva preoccupare fin d'allora la famiglia e perciò Alessandro Mussolini costringeva il figlio a frequentare l'officina per tirarvi il mantice, mentre il maestro Silvio Marani, amico del padre, gli insegnava l'alfabeto.

    Ma l'ambiente semiselvaggio e l'isolamento non potevano che inasprire la tendenza del nostro eroe a diventare sempre piú ribelle ai freni delle prime coercizioni. Infatti egli viveva in un ambiente assai rurale ove i bambini stupivano all'apparire di un cappello per signora. Non c'è, perciò, da meravigliarsi se egli trasse scarso profitto dall'insegnamento materno e da quello del maestro Silvio Marani, cui fu affidato poi, tanto da trovarsi all'età di nove anni ancora in terza elementare.

    Urgeva, quindi, provvedere, ed Alessandro Mussolini e Rosa Maltoni si trovarono d'accordo nell'idea di chiudere il ragazzo in convitto. Dopo le spiegabili esitazioni del padre sulla scelta, lo affidarono alle cure dell'Istituto Salesiano di Faenza, diretto in quell'epoca dal Rev. don Giovan Battista Rinaldi.

    Entrato nel settembre del 1892, fu assegnato alla terza elementare, retta da don Travaini e poi dal maestro laico Agostino Bezzi. Anche qui egli si mostrò svogliato e ribelle, cosicché cominciarono a fioccare i rimproveri del Consigliere scolastico ed i castighi del direttore, ma la severa disciplina dei Salesiani valse a fargli trarre un certo profitto dall'insegnamento, tanto vero che fu promosso alla quarta elementare.

    I suoi compagni notarono fin d'allora la sua tendenza a sopraffare gli altri, e cominciarono ad affiorare alcuni dati fondamentali del suo carattere che non spariranno mai piú.

    Nell'anno successivo frequenta la quarta elementare, ma è cosí irrequieto che, nella sala da studio, deve essere messo tra due compagni piú anziani – Vincenzo Liverani ed Edoardo Bedeschi – per evitare che venga alle mani con i suoi compagni.

    Naturalmente le punizioni si susseguono finché viene per la prima volta espulso per aver dato una temperinata ad un suo compaesano convittore. Accorrono i genitori e, dopo ripetute preghiere, il Rettore acconsente a riprenderlo fino alla fine dell'anno scolastico.

    Infatti ottenuta la promozione alla quinta elementare, il Padre don Giovan Battista Rinaldi, direttore dell'Istituto, annunzia con rincrescimento ad Alessandro Mussolini che, a settembre, non potrà piú ammettere tra i convittori il suo figliuolo, poiché il suo temperamento non si è piegato alla disciplina salesiana.

    Fu giocoforza, perciò, riportarlo a Predappio, ove venne riaffidato alle cure del maestro Marani, il quale con molta pazienza, lo preparò per l'esame di licenza elementare che Mussolini felicemente superò in Forlimpopoli nel luglio del 1895 all'età di dodici anni compiuti.

    Il problema, però, rimaneva integro per i poveri genitori. Il ragazzo era intelligente e poteva fare, ma doveva essere sottratto al fascino della strada. Ed ecco la povera Rosa Maltoni esporre al prefetto di Forlí che le strettezze della famiglia sono tali da minacciare di far troncare gli studi ad un suo bambino dodicenne che a detta dei suoi maestri lusinga di promettere qualche cosa" ed invocare una gratificazione.

    Ma il prefetto di Forlí non degnò la supplica nemmeno di una risposta, cosicché fu necessario provvedere diversamente. Ed in effetti, a furia di sacrifici, i poveri genitori riuscirono ad iscrivere il piccolo Benito alla prima classe tecnica di Forlimpopoli, istituto preparatorio della R. Scuola Normale della stessa città. Venne quindi posto a pensione presso una famiglia del paese in via Sendi n. 20, e cominciò a trascorrere cosí il suo tempo tra la frequenza scolastica, le passeggiate sui circostanti colli ed i viaggi settimanali in famiglia.

    Però, di tanto in tanto, il suo carattere violento si risvegliava. Durante il secondo anno di scuola tecnica, venne alle mani, per una questione di giuoco, con tre compagni riducendoli a mal partito. Naturalmente fu sospeso dalle lezioni, e il preside dell'Istituto, prof. Valfredo Carducci, fratello del Poeta, notificò alla famiglia l'avvenuta sospensione. Ma i genitori corsero a Forlimpopoli, e con l'ausilio dell'amico Rino Balducci riuscirono a farlo riammettere.

    Egli continua cosí il suo curriculum scolastico senza infamia e senza lode, studiando soltanto quel poco che è necessario per essere promosso agli esami.

    Al principio del 1898 viene costituito il concerto bandistico dell'Istituto e Mussolini vi partecipa come suonatore di tromba a pistone.

    L'ultimo episodio scolastico di rilievo ha luogo nel giugno 1898 all'approssimarsi degli esami di licenza tecnica. Mancava il professore di storia e l'insegnante d'italiano assegnò agli alunni il tema: Il tempo è danaro. Dopo qualche poco Mussolini presentò all'assistente un pezzetto di carta su cui si leggeva: Il tempo è moneta, perciò vado casa a studiare la geometria, avvicinandosi l'esame. Non le pare piú logico? B. Mussolini.

    Il consiglio dei professori si riuní d'urgenza e lo sospese dalle lezioni per dieci giorni.

    Pochi giorni dopo ebbero luogo gli esami di licenza tecnica e Mussolini fu approvato.

    Anarchico individualista.

    Per poter frequentare la R. Scuola Normale fu necessario chiuderlo nuovamente in convitto, e cosí Benito Mussolini entrò nel convitto Giosue Carducci annesso alla Scuola Normale di Forlimpopoli. Strano tipo di convitto, nel quale era stata abolita la divisa, sicché i convittori – quasi tutti figli di maestri elementari – vestivano come volevano e come potevano, portando come unico distintivo un berretto nero da portiere con gallone d'oro.

    Mussolini inalberò immediatamente un'enorme cravatta nera, poiché egli in quel tempo si qualificava anarchico individualista e si distinse per l'amore al 'soave licor di Bacco'.

    Iniziatosi il nuovo anno scolastico 1898-1899 il futuro duce continuò a studiare quel tanto che era necessario per non essere bocciato, ed a fare il proprio comodo in iscuola. I suoi biografi sono d'accordo nel riferire che egli mancava talvolta alle lezioni o si rifugiava negli ultimi banchi per leggere i giornali, scarabocchiare caricature su caricature e redigere proclami che incominciavano col vocativo imperativo 'cittadini' e finivano quasi sempre con la parola Rivoluzione!.

    Fin d'allora egli tiene frequenti 'concioni' ai convittori e manifesta tendenze spiccate per l'azione diretta. Capeggia quindi le proteste collettive e si distingue per la violenza del suo linguaggio. Egli si protesta positivista e legge Ardigò.

    L'impressione che egli suscita, al primo incontro, non è gradevole, anche perché egli non ispira vere amicizie.

    Durante il secondo corso, la scuola riceve la gradita visita di Giosue Carducci, ospite del fratello Valfredo, ed ecco, a distanza di tempo, la delizia del pezzo di colore: Uno solo, fra tanti, raccolti quella mattina sullo spiazzo di Forlimpopoli, non aveva partecipato, esteriormente, alla calda manifestazione tributata al grande ospite; ma era rimasto lí immobile, la tromba in una mano, e il berretto nell'altra, fisso lo sguardo profondo sulla fronte ampia del vate, illuminata dal genio, e già baciata dalla gloria piú pura. Dopo la visita di Giosue Carducci, che volle fare la conoscenza personale dello studente Mussolini....

    Durante il terzo corso i convittori sono presi dalla mania di partecipare ai balli pubblici, e, per tutto il carnevale, Benito Mussolini guida un'allegra combriccola, che lascia di notte il convitto scendendo attraverso il medievale sistema delle lenzuola annodate, e rientra alla chetichella all'alba.

    Altro episodio degno di rilevo in questo periodo è l'incarico che viene dato a Mussolini a fine del gennaio 1901 di commemorare Giuseppe Verdi.

    In conclusione, dopo un corso di studi abbastanza irregolare, e dopo aver date ripetute prove d'indisciplina, l'8 luglio 1901 Benito Mussolini consegue la licenza della R. Scuola Normale, meritando il diploma d'onore e l'encomio solenne dei professori.

    Durante tutto il periodo di preparazione scolastica egli non ha mai dato l'impressione di essere destinato a grandi cose, ed i biografi fascisti, che pure hanno scritto pagine su pagine per magnificare ogni atto del duce, debbono finire per confessare che il loro eroe in fanciullezza non eccedette l'aurea mediocritas.

    Il maestro ha il 'pugno di ferro'.

    Tornato a Predappio con il diploma, vi si ferma per alquanti giorni, e, venuto a diverbio con un contadino, per poco non lo accoltella.

    Poi va in vacanza a Cattolica, ospite di Cesare Del Prete, amico e compagno di scuola. Durante tale periodo, in occasione di una malattia del Del Prete, per ringraziare il medico curante, che aveva rifiutato il compenso, Mussolini redige un sonetto.

    Concorre a posti d'insegnante a Legnano, Castelnuovo Scrivia, Tolentino ed Ancona, ma senza risultato. Allora pensa di rivolgersi al sindaco di Predappio per avere un posto di scritturale nel Municipio, ma la sua domanda non viene accolta perché, per le sue peculiari qualità, non è adatto a fare l'impiegato.

    Secondo alcuni in questo periodo di attesa egli avrebbe cominciato a studiare il latino sotto la guida del prof. Everardo Avogaro, e suonare il violino prima da solo, e poi sotto la guida del maestro di musica e insegnante d'archi Archimede Montanelli.

    Comunque, quando ai primi di febbraio, il neo-maestro è ormai rassegnato alla disoccupazione, giunge una lettera del sindaco di Gualtieri Emilia – primo comune rosso in Italia – che gli offre un posto di supplente. Egli accetta ed il 12 febbraio 1902 sull'imbrunire giunge a Guastalla per poi proseguire a piedi per Gualtieri.

    Gli vengono assegnate la seconda e la terza classe delle scuole rurali di Pieve di Saliceto, distante dal capoluogo due chilometri.

    A Gualtieri Emilia egli resta per tutto l'anno scolastico e la sua vita si svolge monotona e senza eccessive variazioni. La mattina egli si reca a scuola, nel pomeriggio legge i soliti giornali socialisti e la sera o giuoca a tressette o va a ballare. Anche in queste prosaiche attività il suo temperamento ha il sopravvento. Infatti stringe amicizia con alcuni giovinastri e con essi costituisce un'accolita dedita a disturbare i buoni villici durante i balli serali e le feste campestri.

    E di fronte al pericolo che comporta una simile attività egli non trova di meglio che armarsi di un 'pugno di ferro' per poter difendersi dopo aver commesso una soperchieria.

    Tutto ciò non gli fa trascurare i suoi doveri scolastici. Egli, infatti, è assai diligente alle lezioni, ma appena saluta gli altri insegnanti e non si ferma mai a parlare con essi.

    Tale natia selvatichezza non gli vieta, però, di partecipare ad un convegno magistrale a Santa Vittoria, ove è presente un altro maestro elementare, che diverrà anch'egli assai noto nell'immediato dopoguerra: Nicola Bombacci. Ma forse lo fa soltanto per il gusto di pronunziare una violenta allocuzione, che è un'anticipata requisitoria del suo futuro fascismo: Dovremmo vergognarci di discutere senza avere la visuale esatta del problema. Il fanciullo è, nelle nostre campagne, il prodotto preciso dell'ambiente in cui vive. Pesa sulla sua anima il grave destino della sua famiglia proletaria. Sa, che dovrà sempre dare, dal momento della ragione fino a quello della morte, ad un triplice ordine di istituzioni: il capitale, i capi politici, la vergogna senza nome delle clientele rappresentative. E, dopo aver dato, cosa riceve in cambio? nella totalità dei casi delle vergate sulle mani, quando presenta, lui che abita in una casa piú modesta di una stalla, un quaderno macchiato. E oltre a questo regalo indesiderato, cosa gli si dona in ricchezza spirituale per la sua vita di domani? Gli si donano semplicemente simili belle parole: 'Sii fiero di appartenere all'Italia, a questa Nazione che, dopo venticinque secoli, ancora illumina il mondo'. E non si ha il coraggio di dirgli chiaramente le nostre vergogne che si perpetuano di padre in figlio e in nipote e cosí via, da parte di una miserabile élite borghese contro la quale non siamo capaci di levare le nostre insegne.

    Tutti gli autori sono concordi nel dire che in segno di protesta ad uno ad uno i cari colleghi avevano abbandonata la sala, e alla fine della sua dichiarazione, gli ultimi varcarono anch'essi la soglia per uscire.

    Terminato l'anno scolastico non vi sono grandi possibilità che la supplenza gli venga rinnovata, anche perché nella carica di segretario del circolo socialista, piuttosto che cattivarsi le simpatie dei maggiorenti locali, egli se l'è alienate.

    E allora decide di emigrare a Ginevra, allettato dalla promessa di un posto quale magazziniere in una ditta di ferrarecce ed ai primi di maggio scrive al padre per ottenere il consenso per il rilascio dei passaporti.

    Infatti tale consenso gli perviene, e, dopo aver sostituito il 2 giugno 1902 l'oratore ufficiale, improvvisamente assentatosi, nel discorso commemorativo di Garibaldi, il 9 luglio 1902 si allontana da Gualtieri Emilia.

    Le avventure di uno spirito nomade

    Da Losanna a Berna a Ginevra.

    Il 9 luglio 1902 Benito Mussolini attraversa la pianura padana diretto in Isvizzera. Alla stazione di Chiasso apprende dal 'Secolo' che il padre è stato arrestato perché implicato nei disordini accaduti durante le elezioni amministrative di Predappio. Tuttavia egli decide di proseguire il viaggio.

    Per consiglio di un italiano, incontrato nel treno, prosegue fino a Yverdon, patria di Pestalozzi, nella speranza di trovare occupazione presso un negoziante di tessuti, ma tale speranza rimane delusa, e l'indomani, con un pittore disoccupato, si reca nella vicina città di Orbe, dove trova lavoro come manovale edile. Rimane, però, in questa città soltanto una settimana, perché il padrone quasi subito lo licenzia.

    Il 20 luglio 1902, perciò, si trasferisce a Losanna, ove dopo una settimana di ozio, si riduce al verde. Allora prende alloggio sotto il Grand-Pont di Losanna, ed è costretto a mendicare. Arrestato per vagabondaggio, dopo due giorni viene prosciolto. Finalmente trova lavoro come muratore.

    Ma, nell'imminenza dell'inverno deve cambiare mestiere e si occupa come garzone di vinaio in un negozio di Rue du Pré, dove sbriga le faccende e litiga frequentemente con la padrona che lo accusa di mangiar troppo e rubare il vino.

    Durante questo periodo aiuta un po' l'avv. Barboni nella compilazione dell''Avvenire del Lavoratore' e frequenta l'Università per stranieri.

    Ben presto però si stanca anche di ciò e si trasferisce a Ginevra, ma qui nemmeno resiste e va a Berna ove stringe intimi rapporti con Lucio e Giacinto Menotti Serrati.

    Secondo alcuni autori proprio in questo momento Mussolini avrebbe preso contatto con le dottrine sindacaliste. Ma tra gli influssi anarchici, la fede socialista, la tendenza sindacalista e gli insegnamenti paretiani, è assai difficile dire che cosa egli pensasse.

    Ben presto, però, deve abbandonare Berna, perché una sera che era fissata una riunione socialista in una birreria ed oratore doveva essere proprio Mussolini, viene accoltellata una spia. Mussolini è, perciò, costretto a fuggire, e, dopo aver passato una notte nell'abitazione di una studentessa russa, prende il treno per Ginevra.

    Vive qualche giorno clandestinamente in questa città, indi passa il confine e va in Savoia, prima ad Annemasse e poi a Chambéry, torna ad Annemasse, ove, per vivere, indovina la ventura e fa le carte alla sottoprefettessa francese.

    Ma i compagni hanno scritto ad Amilcare Cipriani e costui lo invita a recarsi a Parigi.

    Il 20 febbraio 1903, Mussolini si pone in cammino per recarsi a piedi a Parigi, ma non si sa come finisce a Milano, ove stringe amicizia con Arturo Labriola, Walter Mocchi e Tommaso Monicelli, rappresentanti il movimento intellettuale che fiorisce in quell'epoca nel socialismo italiano.

    Resta cosí in Italia per poco tempo. Infatti nel maggio 1903 è di nuovo a Berna, donde, però, viene espulso per mancanza di documenti. In questo periodo ed in questa città comincia a frequentare le cellule anarchiche, e, come tale, viene segnato alla Polizia svizzera.

    Passa, quindi, nel Canton Ticino, ove riprende a lavorare come muratore. Ma, a metà estate, si mette nuovamente in cammino, e va a Friburgo credendo di trovarvi il fratello Arnaldo, che, nel frattempo, però, si era trasferito a Berna. Non potendo raggiungere Arnaldo a Berna, a causa dell'espulsione, prosegue per Zurigo, ove, secondo i biografi fascisti, avrebbe iniziato lo studio del tedesco ed avrebbe conosciuto Karl Liebknecht, Rosa Luxemburg, Bebel e Vollmar.

    In questo periodo di tempo spera di potersi trasferire a New York come redattore del quotidiano 'Il Proletario', ma all'inizio dell'inverno è improvvisamente chiamato in Italia, perché la madre inferma desidera vederlo.

    Espulsione dalla Svizzera.

    Resta cosí per qualche tempo a Dovia, poi riprende il suo viaggio, in pieno inverno, raggiunge Lugano e Bellinzona, ove si occupa come garzone in una specie di distilleria, e per qualche giorno, presso una fabbrica di trebbiatrici.

    Secondo i biografi fascisti nelle lunghe notti di gennaio e febbraio 1904 avrebbe letto su testo tedesco le opere di Federico Nietzsche. Cosí all'anarchia, al socialismo, al sindacalismo soreliano ed alle dottrine paretiane, si aggiunge, quinta fra cotanto senno, la dottrina del superuomo.

    Ma ben presto si stanca e nel febbraio va a Zurigo, ove partecipa al congresso dei socialisti italiani in Isvizzera, come relatore del tema: 'Situazione del partito socialista italiano'.

    Ma anche a Zurigo resta poco, e dopo di essere passato per Losanna nell'aprile 1904 si trova a Ginevra. Durante la sua permanenza in questa città arriva Emilio Vandervelde, capo del socialismo belga, per tenere una conferenza sul tema: Gesú Cristo come liberatore degli schiavi e precursore del socialismo.

    "Alla fine della lucida conferenza del Vandervelde – scrive Margherita Sarfatti – egli [Mussolini] chiese ed ottenne non senza scandalo il contraddittorio per una carica a fondo contro il Vangelo e il Galileo (vedi Carducci e vedi Nietzsche), colpevole di aver fatto crollare il magnifico edificio dell'Impero romano sotto la spallata della Sklavenmoràl, indebolendo con le ideologie di dentro la resistenza ai barbari di fuori. Auspici i Russi – tutti un poco teosofi – era appena risalito al Buddo attraverso lo Schopenhauer, maestro del Nietzsche suo maestro. Che cosa era poi il Messia, coi suoi quattro discorsi e parabolette, in confronto al corpo di dottrine elaborate dal Buddo in quaranta volumi, attraverso quarant'anni di penitenza, di meditazione e di lavori apostolici?

    Placido e caustico, il Vandervelde gli diè ragione: Gesú non aveva perseverato in quarant'anni di tranquilli travagli ascetici. Il cher camerade però dimenticava il piccolo incidente professionale che verso i trentatré anni aveva danneggiato la sua carriera rivoluzionaria. Tanto lo confuse e turbò la risata unanime della folla, e forse anche il sorrisetto involontario della sua bella compagna russa, Elena M., che Mussolini da allora giurò di non attaccarsi piú a Vangeli o Bibbia; anzi per precauzione si guarda persin dal citarli.

    Rimane ancora a Ginevra ove si ferma per quaranta giorni, ma la mattina della domenica delle Palme, è chiamato al palazzo municipale di Ginevra ed arrestato per una zuffa con un compagno di lavoro della Svizzera italiana. Dopo due giorni, però, è assolto, ma la polizia non lo rilascia, anzi lo trasferisce nelle carceri di Lucerna, per l'emissione di imminenti provvedimenti di polizia. Si parla di espulsione dal territorio della Confederazione Svizzera, ma l'intervento del deputato socialista Wyss riesce a trasformare il minacciato provvedimento di espulsione generale in semplice espulsione dal Cantone di Ginevra. Il lunedí in Albis, infatti, viene accompagnato a Bellinzona, ove resta ospite del filosofo Giuseppe Rensi.

    Intanto a Ginevra sui giornali socialisti si accende la polemica per la brigantesca espulsione del nostro Mussolini e quest'ultimo dirige la seguente lettera all'on. Wyss: "Ho letto proprio in questo momento nel 'Genevois' che voi intendete presentare al Consiglio Federale una protesta per la mia espulsione, decretata dal commissionario di polizia. Per mettervi meglio in condizione di farlo, mi presento a voi con una breve autobiografia. Sono venuto in Isvizzera all'età di diciannove anni. Ho lavorato guadagnandomi un onesto vivere in Losanna. Tornai in Italia per trovare mia madre, e poi col mio amico Donatini, profugo politico, fissai la mia residenza in Annemasse, sull'opposta sponda francese, dove progettammo di fondare una rivista internazionale di cultura socialista. Il 1° marzo 1904 venni a Ginevra con l'intenzione di iscrivermi all'Università. Vi si dirà che sono anarchico. È una bugia. Durante questi ultimi anni ho scritto e parlato molto, contribuendo di mia tasca alla vita del 'Proletario' di New York, dell''Avvenire del lavoratore' di Lugano e dell''Avanguardia' di Milano. Sfido la polizia a trovare in uno qualsiasi dei miei scritti una sola linea anarchica. Sia in Isvizzera che in Italia io sono stato sempre definito come socialista. Al nostro congresso di Zurigo presentai una mozione che, sebbene rivoluzionaria, non può in alcuna guisa essere interpretata come anarchica. Durante i quaranta giorni che io mi fermai a Ginevra passai la maggior parte del mio tempo nella biblioteca dell'Università. Il mio dossier è un pacco di menzogne. Sono stato espulso senza darmi nemmeno il tempo di restituire le chiavi della mia camera, raccogliere i miei oggetti e consultare i miei avvocati. Le autorità dissero a quest'ultimi che ero tornato ad Annemasse. La verità è che fui obbligato a prendere un treno per Chiasso per essere trasportato in Italia.

    La mia espulsione è una disgrazia per la Repubblica che vuole conservare le tradizioni della libertà svizzera. Un simile procedimento è indegno anche di una monarchia. Mi trovo a Losanna ove spero di essere lasciato in pace. Il commissionario di polizia incontrerà alquanta difficoltà per giustificare la sua azione.

    La 'recluta rossa' si addestra.

    A Bellinzona e a Lugano Mussolini trascorre qualche tempo tenendo conferenze e dando lezioni, poi va a Losanna passando, però, per Ginevra, ove, prima di partire, imposta una cartolina illustrata diretta al capo della polizia cantonale con la firma e la qualifica 'socialiste révolutionnaire'.

    A Losanna vive dando lezioni private. Partecipa il 13 giugno ad un grande comizio ad Ouchy per protestare contro la proposta russa di una convenzione internazionale contro gli anarchici, e, poco dopo, si butta a capofitto nel grande sciopero dei muratori promosso dalla Federazione Muraria Unione. Tiene discorsi e contraddittori in due lingue, e sul giornale 'L'avvenire', nominalmente diretto dall'avv. Barboni ma in effetto scritto da capo a fondo da lui, incita gli operai alla rivolta. "Non avremo una rinuncia dettata da motivi altruistici, ma un duello sanguinoso fra le forze della conservazione e quelle del divenire. Una tempesta insurrezionale, episodio preliminare di

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