La dittatura del PIL: Schiavi di un numero che frena lo sviluppo
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Pierangelo Dacrema
Pierangelo Dacrema è professore ordinario di Economia degli intermediari finanziari all’Università della Calabria. Ha insegnato nelle Università di Bergamo, di Siena, alla Cattolica, alla Bocconi e alla Nuova Accademia di Belle Arti di Milano. Oltre a numerosi libri di carattere accademico, ha pubblicato Il miracolo dei soldi. Come nascono, dove vanno, come si moltiplicano (Etas-RCS, 2010) La crisi della fiducia. Le colpe del rating nel crollo della finanza globale (Etas-RCS, 2008), La dittatura del PIL (Marsilio, 2007), Trattato di economia in breve. Frammenti di filosofia del gesto (Rubbettino, 2005), La morte del denaro. Una rivoluzione possibile (Christian Marinotti, 2003). È padre di quattro figli, di cui i primi tre sono studenti universitari.
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Anteprima del libro
La dittatura del PIL - Pierangelo Dacrema
LA PRESA DI POTERE DEL NUMERO
I numeri sono tanti, persino più dei cinesi; ma è l’unico loro eccesso. Per il resto ci appaiono discreti, miti, per niente inclini a offendere o a fare male, incapaci di quei gesti violenti da cui spesso le parole si lasciano tentare. Si prestano a rendere qualsiasi servigio: prostituzione sistematica che non lede la loro dignità e costumatezza.
Tuttavia anche i numeri, come tutti i concetti, possono acquisire un’egemonia, esercitare una leadership, persino diventare tiranni.
A essere precisi, il numero è un concetto solo nella sua accezione più astratta e rarefatta, che però è anche la più vera. Nessuno ha mai visto e toccato con mano il tre o il quattro, essendo invece capitato a tutti di vedere tre alberi o quattro bambini. Sono gli alberi e i bambini a dare una concretezza al tre e al quattro. È ciò cui un numero si riferisce a dargli potenza, senso, a renderlo un fatto o anche uno strumento.
Il PIL è un numero, di per sé innocente, e sembrerebbe difficile nutrire antipatia o addirittura ostilità e rancore nei suoi confronti.
Anche la realtà cui il PIL si riferisce appare piuttosto neutrale e inadatta a suscitare invettive o risentimenti. Ma è noto come possa essere fuorviante fermarsi alle apparenze e come queste, più che nascondere qualcosa, riescano spesso a provocare derive imprevedibili.
Il PIL non è altro che il valore di quanto un sistema economico nazionale produce su base annua: e nient’altro che un numero è il metodo adottato per esprimere questo concetto.
È lecito che un numero, frutto di osservazioni e di calcoli, venga comunicato, commentato, assoggettato a riflessioni e discussioni di qualunque tipo. Ma inaccettabile è ciò che il PIL è diventato, la crucialità della posizione che ha acquistato nel sistema dei valori individuali e collettivi.
Il PIL è ormai una variabile centrale della nostra vita. Anche i parametri dell’appartenenza all’Unione europea sono fondati sul PIL, dal cui andamento dipende tutta una varietà di fenomeni che vanno dal successo o dal fallimento delle politiche economiche nazionali fino al benessere e alla presunta felicità dei cittadini. Il PIL governa le nostre esistenze e, in stretta collaborazione con tutti gli altri apparati del mondo del denaro, le incapsula in uno schema cui dobbiamo attenerci e della cui architettura siamo solo chiamati a prendere atto.
Ambito premio di una società affamata di ricchezza, il PIL non è solo simbolo di una competizione assurda quanto faticosa, ma anche tangibile oggetto del contendere. Mito e ossessione della nostra economia, non è inerte materia di studio ma fatto vivo, non semplice dato ma cifra dominante, non informazione tra le altre ma evento determinante e decisivo, obiettivo palese dei sistemi economici e leader occulto dei loro criteri di governo.
Esistono concetti e oggetti che, proprio in virtù della loro straordinaria vitalità, acquistano una forza speciale, rendendosi sempre più autonomi da un uomo destinato a perdere, davanti a loro, la condizione di artefice e padrone. Una pistola, per esempio, può davvero impadronirsi dell’anima di chi la porta ed essere, se non su un piano giuridico, su un piano sostanziale, più colpevole di chi si è trovato a premere il grilletto. Teneri e romantici amanti della libertà, gli uomini sono anche abbastanza ingenui da fabbricare strumenti di cui diventeranno prigionieri.
Non sappiamo se sia la terra a disegnare lo spazio riservato ai mari o se sia invece il mare a delimitare i confini delle terre emerse. Siamo noi a possedere le idee o sono certe idee capaci di possedere gli esseri umani? La storia ci racconta di pensieri e convinzioni di cui gli uomini sono diventati schiavi, a prescindere dal loro ruolo di oppressi o di oppressori. Da qui la raccomandazione di rimanere vigili. E da qui il diritto, se non addirittura il dovere, di esprimersi contro la dittatura del PIL.
COME SI CALCOLA IL PIL?
Per parlare del PIL in termini, più che di numeri, di sensazioni e comportamenti, occorre fornire qualche informazione sul modo in cui viene calcolato, correndo il rischio di un esordio un po’ arido.
Il PIL è il prodotto interno lordo.
Risultato complessivo della capacità produttiva di un Paese, è un dato fondamentale della macroeconomia intesa come grande economia di una nazione (mentre si parla di microeconomia quando ci si riferisce all’attività delle imprese). Più esattamente, il PIL è il valore di mercato di tutti i beni e i servizi finali prodotti in un Paese in un certo periodo di tempo, che di norma è l’anno.
L’espressione «valore di mercato» implica semplicemente che i beni e i servizi presi in considerazione dal PIL siano valutati ai prezzi correnti, cioè al valore in corrispondenza del quale essi vengono effettivamente comprati e venduti. Si tenga presente che parliamo di tutti i beni e i servizi, tranne quelli prodotti e venduti illegalmente e quelli prodotti e consumati all’interno delle famiglie. Si aggiunga che i beni e i servizi devono essere finali, ovvero che la farina prodotta dai mulini è un bene finale se viene venduta come farina, così come tale è il miele prodotto dalle api se come tale viene venduto e comprato. Mentre sarà bene intermedio la farina venduta al panettiere per fare il pane o il miele acquistato dalle pasticcerie per confezionare dolci.
Il PIL misura il valore dei beni e servizi prodotti in un anno, non le transazioni avvenute in un anno. Così le auto nuove che vengono comprate e vendute fanno parte del PIL, ma non le auto usate. Il PIL, inoltre, misura ciò che è prodotto in un Paese, per esempio in Italia, e non ciò che è prodotto dagli italiani. I quali, infatti, possono essere dediti a qualsiasi forma di produzione all’estero, mentre in Italia possono produrre anche soggetti stranieri: il PIL includerà ciò che è prodotto da soggetti esteri in Italia, escludendo ciò che è prodotto da soggetti italiani all’estero.
Il PIL può essere calcolato con il metodo del valore aggiunto o con quello del reddito.
Con il primo si dà rilievo al fatto che il contributo di un’impresa all’incremento della produzione globale è pari al valore della sua produzione al netto del valore dei beni intermedi impiegati per ottenerla: se il mugnaio non utilizza beni intermedi e vende farina per 10 euro, il valore netto della sua produzione sarà di 10 euro; se il fornaio vende per 20 euro impiegandone 10 di farina, il valore netto della sua produzione – quello rilevante ai fini del calcolo del PIL – sarà di 10 euro (20 10).
Con il metodo del reddito, invece, si rimarca il fatto che la differenza tra il valore della produzione e quello dei beni intermedi utilizzati da