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Volo Via
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E-book118 pagine1 ora

Volo Via

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Info su questo ebook

“Volo Via” è il primo romanzo edito di Maia Cortex, nato da una visione fantasiosa e retrospettiva di accadimenti immaginari, trasposti attraverso una visione pungente, ancorché irreale, del contesto territoriale e storico, evidentemente contemporaneo.

LinguaItaliano
Data di uscita16 nov 2021
ISBN9781005550486
Volo Via
Autore

Maia Cortex

Maia Cortex è uno pseudonimo.Nasce a Pozzuoli (NA) nel 1965, si trasferisce quasi subito con la famiglia in Sardegna, a Mandas(CA) e poi a Cagliari. Dopo gli studi superiori e universitari, attratta dall’immaginazione inizia a scrivere i primi racconti brevi. Nel 2015 butta giù e non completa, il suo primo romanzo, ancora in revisione.“Volo Via” è il suo primo romanzo edito, nato da una visione fantasiosa e retrospettiva di accadimenti immaginari, trasposti attraverso una visione pungente, ancorché irreale, del contesto territoriale e storico, evidentemente contemporaneo.

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    Anteprima del libro

    Volo Via - Maia Cortex

    Maia Cortex

    VOLO VIA

    Prima edizione: novembre 2021

    Copertina: Giuseppe Zolli

    Layout e impaginazione: Giuseppe Zolli

    Copyright © 2021 Maia Cortex

    INTRODUZIONE

    Maia Cortex è uno pseudonimo.

    Nasce a Pozzuoli (NA) nel 1965, si trasferisce quasi subito con la famiglia in Sardegna, a Mandas(CA) e poi a Cagliari. Dopo gli studi superiori e universitari, attratta dall’immaginazione inizia a scrivere i primi racconti brevi. Nel 2015 butta giù e non completa, il suo primo romanzo, ancora in revisione.

    Volo Via è il suo primo romanzo edito, nato da una visione fantasiosa e retrospettiva di accadimenti immaginari, trasposti attraverso una visione pungente, ancorché irreale, del contesto territoriale e storico, evidentemente contemporaneo.

    1

    Vent’anni fa era più animata, qualche bambino lo si vede ancora, è vero, ma sembrano adulti non cresciuti. neanche gli alberi fanno più ombra, li hanno recisi, oramai son già due anni. il sindaco ha detto che son pericolosi. la scuola è chiusa da cinque, l’hanno portata fuori dal quartiere, che di bimbi non c’è più neanche l’ombra, in Marina.

    <>, avrebbe detto nonno, <>. quindici anni, sei mesi e due giorni, oggi avrebbe avuto centodieci anni.

    eccoli, passano sempre a quest’ora, in chiusura, su per le scalette e poi entrano in chiesa. da tre anni, più o meno. dopo cinque minuti arriva quell’altro, un salumiere di Stampace. è invecchiato, anche se ha la mia età. ecco adesso sbuca, prima sconchia da via Napoli, attraversa lentamente, si siede sulla panchina, due minuti, guarda verso piazzetta Savoia, si rialza e via, anche lui in chiesa. al Santo Sepolcro il primo mercoledì del mese c’è affollamento.

    drin...drin...drin... − già l’una e trenta, figurati, può essere solo lei.

    <>

    vent’anni fa, anche lei a quest’ora stava seduta sulle scalette della chiesa, mai sola, la guardavo ogni volta, nonno mi osservava, sorridevo e lui nell’abbassare lo sguardo scoppiava a ridere. in seguito incominciò a frequentare la piazza anche la sera. stava sempre insieme a una decina di suoi colleghi, aspettava che noi chiudessimo, non prima delle nove, che a nonno, quel cazzo di orario imposto dal sindaco non scendeva proprio giù. in un modo o nell’altro glielo diceva sempre quando alla sera, lui, al rientro dal municipio, passava in libreria.

    scoprii il suo nome, Donatella, studiava medicina, non era sarda. guardava, con un sorriso imbarazzato ed un accenno ad un saluto. quell’anno a luglio, ricordo il 21, arrivai più tardi in libreria, la trovai dentro, seduta, sfogliava un libro, forse Sciascia, sì, era il contesto. inciampai brutalmente, caddi quasi ai suoi piedi. nonno incominciò a ridere e anche lei non si trattenne. ci rimasi un po’ male, poi abbozzai presentandomi. dal giorno successivo, alla sera mi trattenevo con lei sulle scalette della piazza. ad agosto nonno volle tenere aperto fino alle dieci. il sindaco firmò l’autorizzazione, che poi anche lui si sedeva sempre ai tavoli nella piazza, dopo essere entrato da noi per curiosare. andò bene, decisamente, proseguimmo fino all’inizio delle scuole.

    mi trattenevo fino alla chiusura, nonno alle nove tornava a casa. iniziò così che lei, incominciò a farmi compagnia in libreria.

    adesso escono, così come sono entrati, ma in ordine inverso, venti minuti, esatti, prima Putzolu, poi Vacca e Serra. accompagnati dal parroco che, dall’uscio li saluta in modo sommesso. adesso vado, seguo Putzolu, lo conosco, se riesco scambio due parole.

    drin...drin...drin... − è lei, non rispondo.

    Putzolu lo seguirò il mese prossimo.

    Sarà scocciata per il ritardo. poi perché questa messa in scena? vuole pranzare con me, per poi, con una scusa, recarsi in ambulatorio, in realtà finisce a letto da quel coglione del suo collega. forse sono io il coglione che, dopo due anni, sto ancora con lei. se penso a quella sera di vent’anni fa riesco ancora ad eccitarmi, come fosse allora, malgrado tutto. quella volta abbassai la saracinesca della libreria, restammo dentro. incominciai a toglierle gli short in jeans, con cui era più eccitante che da nuda. sfiorai di baci le sue gambe, l’addome tonico, il seno, caldo e sodo, esprimeva le sue pulsioni senza trattenere nulla. fino alle tre della notte, rimanemmo li, poi via, in cerca di un locale ove mangiare. Cagliari nel ’88, moriva dopo le dieci della sera. finimmo a casa di Angelo, sapevo che da lui, c’era sempre un gruppo di amici intenti a cazzeggiare, tra uno spuntino e l’altro. lei si laureò due anni dopo, a giugno, ad ottobre dello stesso anno ci furono le nozze, in chiesa, come i suoi e i miei genitori pretesero, senza se e senza ma. quando scendemmo dalle scale della chiesa, d’istinto ci avvicinammo alla libreria, ovviamente chiusa. nonno comprese, si avvicinò, sollevò la saracinesca. il fotografo ci fece un primo scatto da soli, poi con nonno Quarto. sopra di noi l’insegna ancora in legno, un po’ sbiadita e bruciacchiata: Libreria popolare. le due foto stanno nel salone di casa. Nonno Quarto non c’è più e neppure il nostro amore.

    quello è Vacca, sì è lui, sta entrando...civico 27. chi abita qui, al 27 di via San Domenico? Costa. sì Costa. per fortuna gli hanno lasciato ancora la casa, bastardi. devio e passo davanti, vedo il portoncino socchiuso, aspettano qualcuno. vado avanti, volto per il vicolo successivo. non proseguo, osservo e aspetto. non passa nessuno, il sole caldo si fa sentire. vi è un accenno all’odore dei pomeriggi estivi, con il canto delle cicale. guardo l’orologio, le due. faccio per andar via, quando sento i passi, vedo un’ombra giungere da via S. Giovanni. Carta, Domenico Carta. entra velocemente. incredulo scendo giù per dirigermi verso casa. salgo le scale velocemente, Donatella ha già pranzato. mi vede, non lo dice, ma lo sguardo esprime quello che pensa: <>.

    mi avvicino la saluto con un bacio, che non rifiuta, ma da cui sfugge con destrezza, cercando la sua sciarpa in seta. copre la parte scoperta del seno, su cui le lentiggini più numerose, la rendono più infantile. indossa lo spolverino ed esce. so dove è diretta, ma abbozzo e le auguro buon lavoro. dalle scale mi dice di non aspettarla per cena, avrebbe passato la serata con Carla e Rossana. mi sento eccitato, ho intravisto il suo corpo e le sue labbra. solo qualche anno fa, mi avrebbe trascinato sul tappeto o sul divano, leggendo le mie intenzioni. ora le conservo per me, le reprimo con dolore. vado in bagno, poi mi butto a letto. il suo odore è forte, lo sento ovunque. la luce è ancora intensa, esco sul terrazzo portando con me lo sformato di carciofi che mi ha cucinato. Domenico Carta, è stato mio compagno al liceo, poi lui scelse Scienze politiche. mi dissero che studiava a Roma. cinque anni fa la cronaca parlò di lui, terrorista rosso, affiliato alle Br, incappò in uno scontro armato con i caramba. tre morti, due brigatisti ed un carabiniere, lui gambizzato. Angioni, l’avvocato, riuscì a tirarlo fuori, marginalizzando il suo ruolo e soprattutto, la non intenzionalità, cui soccorse non poco, l’operato in organizzazioni volontarie di area cattolica. venne in libreria più di una volta dopo la sentenza. sfogliava e parlava, in alcuni momenti appariva delirante, non riconobbi il mio compagno. un altro, come se non fosse lui ad animare corpo e parole, mai libere, sempre orientate. tra mezz’ora avrei dovuto riaprire. guardai il telefono. pensai di comporre un numero, poi rinunciai. scesi con calma. Giada sarebbe stata felice, ma avrebbe significato la rottura con Dona. non volevo, vigliaccamente sapevo di non essere disposto ad affrontarne le conseguenze. mi fermai al bar da Giulio, qualche minuto per un caffè e quattro chiacchiere, solitamente incontravo De Muru, della casa della radio, Murgia della salumeria di via Baylle e Ruggiu, l’antiquario. quel giorno vidi anche Domenico Carta seduto al tavolo, nell’angolo. lo salutai con un cenno, rispose, poi riprese a scrivere su un foglio. Murgia si avvicinò: <>

    <

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