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fiori di campo
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E-book278 pagine4 ore

fiori di campo

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Info su questo ebook

"Sono storie di fantasia ed emozioni reali, accadute in forma un po' diversa da quella descritta. Non sono racconti per bambini, forse più favole per adulti, con un tocco di malinconia (anche più di uno) e tanto amore. Quello che ho provato nel viverle e nel romanzarle, ora finalmente messe per iscritto".

LinguaItaliano
Data di uscita1 dic 2021
ISBN9781005542078
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    Anteprima del libro

    fiori di campo - Gaia Mancarella

    "Ma leggimi e sappimi amare,

    se osi nel gorgo profondo

    discendere senza tremare".

    C.Baudelaire

    Anita era entrata in collegio a Settembre di quell’anno e per quanto all’inizio le sembrasse orribile trovarsi lì dentro, ora che la primavera era alle porte e il suo primo anno di liceo stava per concludersi, tutto le sembrava migliore. Aveva quindici anni ed era molto bella. Aveva i capelli rosso mogano lunghi fino alla vita, dove formavano dei boccoli che evidenziavano il fisico slanciato e affusolato, era più alta delle sue coetanee e spiccava per il sorriso carismatico, la carnagione candida e gli occhi smeraldo leggermente all’insù. Aveva un po’ di lentiggini, ma poche, giusto a creare una leggera ombra sul naso che le rendeva inutile l’uso del trucco. Anita apparteneva a una delle famiglie più ricche della città, vestiva abiti all’ultima moda, aveva voti eccellenti a scuola e le sue compagne la veneravano e seguivano in tutto ciò che faceva. Tra le sue innumerevoli doti, però, Anita non aveva ereditato quella della modestia. Aveva un carattere indisponente, orgoglioso e altezzoso, ribelle a qualunque cosa le venisse detta, anche se giusta. Si credeva superiore agli altri, aveva la fortuna di possedere un modo di fare e di parlare capace di convincere chiunque che anche l’affermazione o il comportamento più sbagliato fosse il migliore di tutti, e così si ingraziava il favore delle insegnanti, delle compagne e di tutti coloro che la circondavano. La famiglia però non vedeva di buon occhio la sua indole dominante perché pensava che sarebbe stato un problema trovarle marito, specialmente il fratello maggiore, Paride, il quale per suo conto conduceva una vita dissoluta ma costringeva la sorella, in quanto donna, ad attendere ai suoi doveri di futura moglie.

    Andare in sposa a un buon partito che mantenesse o elevasse la posizione sociale della famiglia e dargli dei degni eredi era l’aspirazione massima per una giovane, ma Anita era in netto disaccordo con questa concezione e la sua mentalità era molto più aperta e quasi rivoluzionaria rispetto alla maggior parte delle donne della sua epoca. Le piaceva leggere e informarsi di attualità e politica e nonostante la giovane età aveva sempre un’opinione critica riguardo ogni argomento. I genitori e il fratello furono rassicurati dalla madre superiora che cinque anni in un collegio di suore avrebbero certamente mitigato il carattere della ragazza, la quale però non dava cenni di miglioramento, continuando ad imporre pensieri anche giusti nel modo sbagliato, con arroganza e presunzione. Ma non erano i modi ciò che la società criticava, era il fatto stesso che una donna fosse capace di generare pensieri e di avere una propria opinione.

    Chi invece non aveva potuto permettersi di tenere in conto l’opinione della gente, ma si era sempre limitata ad agire nel giusto o nel torto per tirare avanti, era Maria. Maria aveva quattordici anni e aveva sempre vissuto con una banda di briganti. Da quando il loro rifugio era stato scoperto e la sua gente arrestata o uccisa, la ragazza aveva vissuto vagabondando e arrangiandosi tra piccoli furti e lavori manuali, finché non era stata ferita ad una gamba da una trappola per animali ed era stata curata in convento.

    Proprio in quei giorni Anita, a causa di una punizione, era finita ad aiutare le infermiere con i malati, ed è così che si erano conosciute. Al contrario di ciò che faceva con il resto delle persone, Anita ammirava quella ragazza che in silenzio e con dignità era riuscita a sopravvivere in situazioni tanto lontane da ciò che lei aveva sempre vissuto. Maria non era una cattiva persona, nonostante ciò che si vociferava riguardo quelli come lei. Era solo costretta da necessità, ma non avrebbe mai fatto del male a nessuno se non fosse stato per la sua stessa sopravvivenza. Da questo punto di vista, era una ragazza dai sani principi, forse di più rispetto ad Anita, che pur di raggiungere i suoi tornaconti, a volte frivoli, sarebbe stata disposta ad usare ogni mezzo, lecito e non. Nonostante la loro differenza e proprio perché essere amica di un brigante non sta bene per una giovane di un certo rango, Anita cercò subito la sua amicizia. Maria aveva imparato a diffidare delle persone, e non vedeva l’ora di guarire per tornare alla sua vita che, per quanto faticosa, le permetteva di godere di una libertà negatale in convento. Ma proprio la mancanza di libertà fu l’argomento che l’avvicinò ad Anita, riscoprendo in lei una persona non affidabile, forse non del tutto sincera, ma bella. E non solo bella esteriormente, ma dotata di una fiamma interiore, di un coraggio e di una convinzione che finirono per farla splendere anche ai suoi occhi. Era una persona vera, nel bene e nel male, al contrario di molte altre persone gentili che celavano malignità. Lei non era cortese per finta, era scortese per davvero, molto ironica, assolutamente non autoironica, ma a suo modo simpatica.

    Una volta guarita, a Maria fu offerta l’occasione di restare in collegio e ricevere un’istruzione insieme alle figlie della nobiltà, occasione per lei di avere un futuro ben diverso da quello che potesse immaginare. Un buon matrimonio era per lei piuttosto impossibile, era carina ma non emergeva, capelli castani fino alle spalle e occhi dello stesso colore, minuta ma ben proporzionata, tuttavia nessun uomo, nemmeno di modeste origini, l’avrebbe mai presa in moglie senza dote e orfana di entrambi i genitori. Restare in convento sembrava l’unica soluzione, almeno avrebbe avuto la garanzia di un tetto sulla testa e cibo tutti i giorni. Ci avrebbe pensato una volta arrivato il momento, intanto avrebbe imparato a leggere, scrivere, la storia, l’arte, la matematica.

    Questo beneficio non veniva concesso a tutti, ma fu opera di una persona molto influente all’interno del convento, suor Maddalena. Era la capo-infermiera, una giovane donna molto bella, che parlava poco e aveva lo sguardo perennemente turbato e malinconico. Si era presa cura della gamba di Maria durante tutta la convalescenza, aveva nozioni di medicina, erboristeria e spiccate doti di soccorso, essendo in grado di far sentire a loro agio i malati e di trasmettergli quella serenità che per uno scherzo della vita a lei mancava. Si era affezionata alla ragazza e aveva notato la sua intelligenza e il suo interesse verso lo studio, tanto che aveva pregato la madre superiora di tenerla con loro.

    Era una notte di fine Marzo, fuori pioveva a dirotto e Anita sorseggiava a letto una camomilla. Aveva finito di sfogliare la terza rivista di moda ma non riusciva ancora a prendere sonno. Era l’una passata, non c’era speranza di trovare sveglio nessuno, neanche Maria, con la quale ormai erano amiche da un paio di mesi. Mentre si girava e rigirava nel letto, udì un suono lontano che veniva dal corridoio. Era una musica triste, struggente, probabilmente un pianoforte, che con le sue note dolci e malinconiche rimandava a pensieri d’amore e felicità perdute. Anita uscì dalla sua stanza seguendo la melodia, che scoprì provenire dal piano di sopra. Seguì su per le scale fino ad arrivare ad una porticina in soffitta. La musica però aveva smesso da un po’, e quando la ragazza entrò trovò soltanto uno splendido pianoforte antico di legno scuro, in una piccola stanza polverosa con scrivanie, vecchi spartiti, un leggío in disuso e qualche vecchio libro di canti. Una candela accesa poggiata su una delle scrivanie stava per consumarsi, e Anita approfittò di quel po’ di luce per curiosare tra i cassetti. Non trovò nulla di interessante, ma quando finalmente assonnata stava per andare via, le cadde l’occhio su una piccola agendina rosso porpora all’interno dell’ultimo cassetto che aveva aperto. Sentendo dei rumori, scappò fuori senza direzione, prendendo però con sé il libricino. Nel buio non riuscì a ritrovare subito la sua stanza, ma cominciò a vagare in preda al panico, rassicurandosi però di non sentire più nessun rumore. Molto probabilmente era stato un tuono un po’ più forte o un gatto che come lei non aveva voglia di dormire e aveva rovesciato qualcosa nel parco, pensava, mentre cercava di fare mente locale per ritrovare la strada. Vide un grosso portone di legno che non aveva mai visto e pensò che passando di lì avrebbe di certo abbreviato, senza fare tutto il giro del piano per arrivare in camera. Spinse ma si accorse che il portone era chiuso a chiave, così le toccò tornare indietro per la strada più lunga. Di nuovo a letto si rese conto che il sonno era andato via così com’era arrivato. Si ricordò allora del libricino che aveva portato con sé, e cominciò a sfogliarlo. Sembrava un diario vecchio ed ingiallito, ed era scritto interamente in francese. Anita però parlava bene il francese, essendo naturalmente una delle migliori nel suo corso, così il fatto non le fu di disturbo e si immerse nella lettura. Le pagine erano di certo state scritte da una donna, come si vedeva anche dalla calligrafia, e le date si riferivano a più di un decennio prima. La ragazza apparteneva molto probabilmente ad una famiglia di nobiltà contadina, non molto ricca ma benestante, e viveva in Francia in quella parte del paese che era ricca di lavanda e girasoli, dove si ascoltava il canto delle cicale spensierate come lei non era più. Era poco più grande di Anita quando conobbe e si innamorò di un ricco giovane di nome Jean, il cui cognome non era scritto nel diario. Aveva gli occhi verde chiaro e un’espressione così sincera, così gentile, che da ieri quando ci siamo incontrati non riesco a pensare ad altro. Raccontava di aver conosciuto il giovane durante una cena a casa di alcuni parenti, di averlo notato subito e di aver pregato suo cugino più grande di presentarglielo. Era uno dei suoi migliori amici, compagno di caccia, e apparteneva ad una famiglia nobile del Nord che si era trasferita da qualche mese in quelle zone. Era una persona timida ma piacevole e di bellissimo aspetto, la scrittrice non faceva che ripeterlo, ed era un piacere parlare con lui anche di cose stupide. I due continuarono a frequentarsi per picnic nel prato, passeggiate a cavallo, gite in canoa sul lago, e il sentimento della ragazza nei confronti di lui cresceva sempre di più. Non so cosa sia l’amore, ma credo che quello che inizio a sentire sia qualcosa di molto simile. Era tempo ormai che provavo noia della mia solita vita, sempre piatta, tranquilla ma sempre uguale. In questo paesino non succede mai niente, finchè non è arrivato lui a portar via la mia malinconia e a seminare nel mio cuore infiniti girasoli. Mi sento sempre felice adesso, ma quest’allegria somiglia tanto alla tristezza quando dobbiamo separarci, quando vorrei da lui di più di quello che oso fare. Non mangio più, non riesco a dormire, anche lo studio del pianoforte mi sembra un’inutile perdita di tempo. Voglio lui, soltanto lui, al più presto e per sempre.

    Dio solo sa come mi sento dopo quello che è successo questo pomeriggio. E Lui mi perdoni per quello che ho fatto, ma sono tanto, tanto felice. Eravamo in barca e il tramonto non era mai stato così bello, le acque del lago mai così limpide, mai così splendido il mondo, quando lui ha avvicinato le sue labbra alle mie e mi ha dato un bacio. E io stupida proprio non sono riuscita a resistergli, sono una cattiva ragazza, ma ho ricambiato il bacio con più passione e abbiamo continuato così finché il sole non è del tutto tramontato. E poi siamo venuti qui, un bacio e poi un altro e ancora un altro. E non pensavo più al peccato, io non pensavo più a niente per quanto ero e sono felice ed inebriata tutt’ora. Come bere tanto vino, anche se non l’ho mai fatto, e spero con il cuore e con il corpo che quei baci tornino presto a prendermi perché senza mi sento già morire.

    Anita si addormentò sognando la madre superiora che la inseguiva in un campo di girasoli, e si svegliò alle nove e mezza. Saltò giù dal letto presa dal panico ma ricordò che era domenica e quella mattina non c’erano lezioni. C’era però la messa e si sbrigò a sistemarsi velocemente perché alle dieci avrebbe dovuto essere in chiesa. Arrivò di fretta con un po’ di ritardo e Maria la rimproverò perché perdeva tempo a imbellettarsi anche per andare a messa e chiedendole come mai aveva saltato la colazione. <>, sussurrò Anita, mentre cercava con lo sguardo colui grazie al quale andare a messa era diventato interessante. E lo trovò, occhi scuri, capelli neri, che la guardava e abbozzava un sorriso. E lei subito si raddrizzò, assunse un’aria di sufficienza e rivolse gli occhi altrove, gongolandosi segretamente di averlo visto anche quella domenica.

    Uscite dalla Chiesa, Anita raccontò a Maria gli avvenimenti di quella notte, del pianoforte, di come si era ritrovata in possesso del libricino e anche del portone chiuso a chiave che non si sapeva dove conducesse. Maria seguì Anita nella sua stanza, lei dormiva ancora in infermeria in attesa di una sistemazione permanente, e l’ascoltò andare avanti nella lettura del diario. Non capendo il francese, Anita traduceva per lei con la sua voce cristallina e, immersa così nella lettura, sembrava proprio bella, davvero affascinante, pensò Maria. Quello che provava nei confronti della ragazza cominciava ad essere un legame che andava oltre l’amicizia, ma Maria non capiva bene cosa le stesse succedendo e preferiva fuggirne il pensiero, lasciandosi catturare dalle parole della misteriosa scrittrice del diario. Altre pagine dedicate a Jean e ai ripetuti incontri con lui, ai ripetuti baci, senza che mai, nonostante le insistenze di lei, lui volesse rendere ufficiale la loro relazione, mantenendola nascosta alle famiglie. Sono certa che oggi cederà, che me lo chiederà. Ma per righe e righe ancora nessun cenno ad un eventuale fidanzamento.

    Lessero il diario per qualche giorno, ritrovandosi di sera prima di andare a letto, l’unico momento in cui erano libere dagli impegni della giornata. Per altre due volte sentirono l’inquietante musica di pianoforte venire da lontano e, la seconda volta, quando uscirono in un nuovo tentativo di scoprire chi fosse a suonare, s’imbatterono nella madre superiora che le rispedì a letto ignorando la musica. Allora ne era a conoscenza anche lei, pensarono le ragazze, e il che risultava ancora più inquietante. Tuttavia da quella notte rinunciarono ad andare alla ricerca del pianista misterioso per concentrarsi su un altro mistero che le incuriosiva. Il grosso portone che Anita aveva mostrato a Maria, sempre chiuso a chiave. Le due ragazze organizzarono un piano per impadronirsi della chiave, ossia recarsi con una scusa dalla madre superiora, l’unica a parer loro che poteva esserne in possesso. Su spinta di Anita, Maria, che per niente al mondo si sarebbe rifiutata di fare qualcosa che le venisse detto da lei, distrasse la suora chiedendole se fosse possibile trasferirsi a dormire in camera della sua amica, dal momento che era ancora senza una stanza e questa glielo aveva proposto. Dormire accanto alla persona che la rendeva felice soltanto respirando era per Maria un sogno proibito da tempo, per Anita una semplice compagnia e per la madre superiora inizialmente uno scandalo.

    <> esclamò incredula, ma era proprio questo l’effetto che le due volevano ottenere. Mentre infatti Maria spiegava le sue buone ragioni, Anita cercava sulla scrivania e alla parete la chiave che potesse fare al caso loro, ma la suora si convinse troppo in fretta, congedandole. Fu costretta a prendere un intero mazzo che certamente avrebbe scoperto presto, e quindi dovevano sbrigarsi a vedere se tra quelle vi fosse anche la chiave che cercavano. Si avvicinarono alla porta quella notte, verso le dieci e mezzo, quando i corridoi erano quasi deserti. Provarono ad una ad una tutte le chiavi ma nessuna apriva il grosso portone di legno. Maria si sedette demoralizzata per il fallimento, proponendosi di riportare le chiavi di nascosto nello studio della madre superiora, prima che le scoprisse. Anita, leggendo in lei quasi un senso di colpa, si intenerì e la baciò sulla guancia, dicendole di non preoccuparsi e che ci avrebbero pensato insieme l’indomani.

    <> decretò, <> aggiunse, lei che come la maggior parte dei nobili non si lasciava sfuggire un pettegolezzo. Ma Maria a stento le dava retta, presa com’era da quel bacio che le aveva dato con distrazione e che per lei era come ricevere la benedizione da un santo. Proprio mentre stavano per andarsene, però, la porta cigolò. Essendo troppo tardi per scappare le due ragazze si nascosero sotto un tavolino, sperando di non essere viste. Quando il portone si aprì, uscirono due ragazzi con in mano una torcia. Il primo Anita non potè fare a meno di riconoscerlo, era il ragazzo bello che ogni domenica le lanciava occhiate a messa. L’altro, più chiaro e gracilino, doveva avere più o meno la stessa età e frequentare con lui l’istituto per giovani della nobiltà che aveva sede accanto al convento, sempre gestito da religiosi. Ecco allora dove portava il passaggio! Era una porta di comunicazione più rapida tra i due edifici senza dover per forza attraversare i cancelli esterni, un canale di comunicazione tra universo maschile e femminile che era rigorosamente vietato. E proprio per questo, ad Anita piaceva.

    <>, disse il bruno, che si chiamava Leonardo, sventolando una grossa chiave di metallo scuro. <> rise. I due erano fratelli, Leonardo aveva diciotto anni e l’altro, buffo e insicuro, si chiamava Alfredo e ne aveva da poco compiuti sedici. <> se ne beffò Leonardo, mentre il fratello gli tirava un calcio negli stinchi, <> concluse, e Alfredo sospirò alzando gli occhi al cielo. Lui invece essendo il primogenito era lì per ricevere un’educazione rigorosa, ma alla fine di quell’anno si sarebbe diplomato, sarebbe diventato conte a tutti gli effetti e un giorno avrebbe ereditato i beni della famiglia.

    Vedersi tutte le sere divenne un’abitudine, andando un po’ nella camera di Anita, un po’ in quella dei ragazzi. Le voci girarono ed altri allievi del collegio, maschi e femmine, vennero a sapere degli incontri segreti, iniziandovi a partecipare. In quei giorni non si sentì più suonare il pianoforte, finché una sera Maria, mentre tornava in camera dopo la cena, che era servita alle sei e mezzo, udì di nuovo quelle note melancoliche provenire dalla soffitta. Decisa a svelare l’identità del pianista, raggiunse la soffitta, dove trovò suor Maddalena, che smise di suonare e le chiese cordialmente se avesse bisogno di qualcosa. Sentendosi avvampare per averla scambiata per sere per chissà quale fantasma, la ragazza disse la prima cosa che le venne in mente, e cioè che visto che suonava così bene si chiedeva se per caso potesse darle delle lezioni private, includendo nella richiesta anche Anita, perché separarsi da lei per il tempo necessario le pareva un pensiero orribile. La suora accettò di buon grado e le diede appuntamento l’indomani, sempre alla stessa ora.

    <> sbottò Anita, mentre salivano le scale dirette alla prima lezione. Quelle sere trascorreva l’arco di tempo che andava dalla cena all’incontro proibito immersa nella vasca da bagno, profumandosi con creme che vellutavano la pelle, acconciandosi i capelli e truccando leggermente gli occhi e le labbra per assumere un aspetto più maturo. Era un fastidio doversi preparare di fretta per colpa della lezione, tuttavia nonostante questo ad entrambe piacque molto e anche Anita iniziò a frequentarle volentieri.

    Quella sera i ragazzi erano riuniti in camera di lei come al solito, pensando a cosa fare per movimentare la serata. Qualcuno propose un’esplorazione notturna del bosco, ma poteva essere rischioso, perché potevano essere scoperti.

    <> sorrise Maria, maliziosa, tirando fuori una bottiglietta di anice.

    L’aveva rubata dallo studio della madre superiora (allora era vero che beveva!) e l’aveva presa solo perché convinta che il gesto l’avrebbe fatta brillare agli occhi di Anita, come in effetti fu. <> esclamò, abbracciandola soddisfatta.

    Maria bevve poco e niente, solo all’odore le veniva la nausea e, mentre erano rimasti in pochi, la bottiglietta terminò. Anita iniziava a sentire girare la testa e rideva sguaiata, tanto che un paio di volte avevano dovuto zittirla, e mentre faceva la stupida inciampò e cadde addosso a Leonardo che, nonostante fosse un po’ più grande e non esattamente un santo, aveva gli occhi lucidi dall’alcol e non era molto presente a sé stesso. La guardava sorridendo e mentre gli altri non li guardavano provò a baciarla, ma lei si girò. Maria vedendo quella scena si innervosì e cacciò via tutti, Leonardo compreso, dicendo di essere stanca e di voler andare a letto. Quando se ne furono andati, Anita dormiva già, mentre lei trascorse una notte insonne tormentata dalla paura di perderla.

    Il giorno dopo a lezione di piano iniziarono a provare una sequenza a quattro mani. Dapprima si sedettero allo strumento suor Maddalena e Anita, che aveva più dimestichezza avendo già studiato pianoforte. Il pezzo uscì brillantemente già dopo la seconda prova e tra le musiciste si instaurò

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