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L’ora della morte (Un emozionante thriller di Alexa Chase—Libro 3)
L’ora della morte (Un emozionante thriller di Alexa Chase—Libro 3)
L’ora della morte (Un emozionante thriller di Alexa Chase—Libro 3)
E-book317 pagine4 ore

L’ora della morte (Un emozionante thriller di Alexa Chase—Libro 3)

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Info su questo ebook

L’ORA DELLA MORTE (Un emozionante thriller di Alexa Chase—Libro 3) è il terzo libro di una nuova serie della scrittrice di gialli e thriller Kate Bold, che inizia con IL GIOCO DELLA MORTE (Libro #1).

Alexa Chase, 34 anni, una brillante profiler nell’Unità di Analisi Comportamentale dell’FBI, era troppo brava nel suo lavoro. Perseguitata da tutti i serial killer che ha catturato, si è lasciata alle spalle una carriera strepitosa per entrare nel corpo U.S. Marshall della polizia federale. In quanto vice maresciallo, Alexa – non solo brillante, ma altrettanto dura e prestante – ha potuto immergersi in una carriera semplice, dedicandosi a dare la caccia ai fuggitivi per consegnarli alla giustizia.

Ma con l’enorme successo dell’ultimo caso, l’FBI e i Marshal hanno deciso di rendere permanente la loro collaborazione. Alexa, frastornata dal proprio passato traumatico e da un disturbo post-traumatico da stress dovuto alle innumerevoli cacce ai serial killer, non ha scelta: ora dovrà lavorare con un collega dell’FBI che non le piace, e dare la caccia ad assassini seriali la cui giurisdizione si intreccia a quella degli U.S. Marshal. Alexa si vede costretta ad affrontare ciò che teme di più: entrare nella mente di un assassino.

Un famigerato assassino sfugge rocambolescamente a una condanna a morte, e il caso viene immediatamente affidato alla task force di Alexa. Un caso di alto profilo con forte attenzione da parte dei media, e Alexa non è l’unica a essere coinvolta. Tra scontri di dominio con altri poteri statali e federali, sa benissimo che l’assassino si sta soltanto allontanando.

Quella che sembra una diretta caccia all’uomo, però, evolve rapidamente in qualcosa di più complesso, man mano che altri corpi vengono trovati morti, e l’assassino sfugge inspiegabilmente a tutti quanti.

E quando avviene una svolta clamorosa, che Alexa non avrebbe mai immaginato, si rende conto che questo caso è molto più complesso – e disturbante – di quanto avrebbe mai potuto immaginare.

Con l’assassino capace di ingannare tutti, Alexa è l’unica con una mente abbastanza brillante da poterlo fermare, l’unica a porsi tra lui e il prossimo omicidio. Ma oppressa dal peso del suo stesso passato, riuscirà a tenere le fila ed entrare nei canali più oscuri di quella mente, uscendone tutta intera?

Un thriller tormentoso e mozzafiato, con una brillante e torturata vice-maresciallo come protagonista, la serie ALEXA CHASE presenta dei gialli affascinanti e pieni zeppi di incessante azione, suspense, svolte, colpi di scena e rivelazioni. Il ritmo è incalzante e ti spingerà a leggere fino a notte fonda, senza poter mettere giù il libro.

Saranno presto disponibili altri libri della serie.
LinguaItaliano
EditoreKate Bold
Data di uscita16 giu 2022
ISBN9781094354002
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    L’ora della morte (Un emozionante thriller di Alexa Chase—Libro 3) - Kate Bold

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    L’ORA DELLA MORTE

    (Un emozionante thriller di Alexa Chase—Libro 3)

    K a t e   B o l d

    Traduzione italiana a cura di Valentina Moratti

    Kate Bold

    L'esordiente Kate Bold è autrice della serie di thriller pieni di suspense di ALEXA CHASE, che per ora si compone di sei libri, e dell'avvincente serie di thriller di ASHLEY HOPE, che al momento conta tre libri. Appassionata lettrice e da sempre amante del genere mystery e thriller, Kate adora tenersi in contatto coi propri lettori: visitate il suo sito www.kateboldauthor.com per saperne di più e tenervi aggiornati.

    Copyright © 2022 di Blake Pierce. Tutti i diritti riservati. A eccezione di quanto consentito dall’U.S. Copyright Act del 1976, nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta, distribuitao trasmessa in alcuna forma o in alcun modo, o archiviata in un database o in un sistema di raccolta, senza previa autorizzazione dell’autore. Questo ebook è concesso in licenza esclusivamente ad uso ludico personale. Questo ebook non può essere rivenduto né ceduto ad altre persone. Se desidera condividere questo libro con un'altra persona, la preghiamo di acquistare una copia aggiuntiva per ogni beneficiario. Se sta leggendo questo libro e non l’ha acquistato, o non è stato acquistato esclusivamente per il suo personale uso, la preghiamo di restituirlo e di acquistare la sua copia personale. La ringraziamo per il suo rispetto verso il duro lavoro svolto da questo autore. Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, imprese, organizzazioni, luoghi, eventi e incidenti sono il prodotto della fantasia dell’autore o sono usati romanzescamente. Qualsiasi somiglianza con persone reali, vive o morte, è del tutto casuale. Immagine di copertina Copyright Dudarev Mikhail, utilizzata sotto licenza da Shutterstock.com.

    LIBRI DI KATE BOLD

    UN EMOZIONANTE THRILLER DI ALEXA CHASE

    IL GIOCO DELLA MORTE (Libro #1)

    LA MAREA DELLA MORTE (Libro #2)

    L’ORA DELLA MORTE (Libro #3)

    UN THRILLER DI ASHLEY HOPE

    LASCIAMI STARE (Libro #1)

    LASCIAMI USCIRE (Libro #2)

    INDICE

    PROLOGO

    CAPITOLO UNO

    CAPITOLO DUE

    CAPITOLO TRE

    CAPITOLO QUATTRO

    CAPITOLO CINQUE

    CAPITOLO SEI

    CAPITOLO SETTE

    CAPITOLO OTTO

    CAPITOLO NOVE

    CAPITOLO DIECI

    CAPITOLO UNDICI

    CAPITOLO DODICI

    CAPITOLO TREDICI

    CAPITOLO QUATTORDICI

    CAPITOLO QUINDICI

    CAPITOLO SEDICI

    CAPITOLO DICIASSETTE

    CAPITOLO DICIOTTO

    CAPITOLO DICIANNOVE

    CAPITOLO VENTI

    CAPITOLO VENTUNO

    CAPITOLO VENTIDUE

    CAPITOLO VENTITRE

    CAPITOLO VENTIQUATTRO

    CAPITOLO VENTICINQUE

    CAPITOLO VENTISEI

    CAPITOLO VENTISETTE

    CAPITOLO VENTOTTO

    CAPITOLO VENTINOVE

    CAPITOLO TRENTA

    CAPITOLO TRENTUNO

    CAPITOLO TRENTADUE

    PROLOGO

    Interstate 40, vicino all'Arizona State Prison Complex a Kingman, nord-ovest dell'Arizona, 9:00 di mattina.

    Robby Tyson non poteva credere ad un così grande colpo di fortuna.

    Là, sull'arido suolo desertico ai suoi piedi, c’era una chiave.

    Era un tipo di chiave che conosceva fin troppo bene, quella che serviva per sbloccare le sue cavigliere.

    Tyson diede un'occhiata prima agli altri uomini vestiti di arancione che lavoravano insieme a lui e poi alle guardie carcerarie armate che li sorvegliavano. Ogni detenuto, lui compreso, aveva un rastrello o una zappa in mano per lavorare il terreno ai margini dell'autostrada. Attrezzi scadenti, resi appositamente leggeri e fragili in modo da non poter essere usati come armi.  Non che importasse, ogni detenuto aveva una catena tra le caviglie che gli impediva di correre e di effettuare qualunque movimento rapido. Nonostante ciò, le guardie impugnavano i loro fucili a pompa e li osservavano attentamente da una distanza di circa una decina di metri.

    Chi l’aveva persa? Le guardie tenevano le chiavi in un pesante portachiavi alla cintura. Non sembrava possibile che una di esse potesse essere caduta.

    Tyson non aveva intenzione di farsi domande sul primo colpo di fortuna che aveva avuto in cinque anni. Raschiò il terreno vicino alla chiave con la zappa, poi si chinò per accarezzare la terra attorno ad uno dei cactus che lo Stato dell’Arizona aveva piantato li. Schiacciò la chiave contro il palmo della mano e tese leggermente il muscolo in modo che la chiave rimanesse incastrata su di esso.

    Sapendo che gli occhi attenti delle guardie erano su di lui, tenne la zappa normalmente con entrambe le mani e continuò a lavorare il terreno granuloso con la chiave incastrata tra il palmo e il manico.

    Non poteva permettersi di avere fretta. Lavorò per quindici minuti interi prima di infilare la chiave nella parte superiore di un calzino con il pretesto di sedersi e tirare fuori un fazzoletto per asciugarsi la fronte. Abbastanza credibile. Dovevano esserci già più di trenta gradi e la temperatura avrebbe presto raggiunto i quaranta.

    La mente di Tyson correva. Nessuna delle guardie aveva fatto cadere quella chiave. Ne era sicuro.

    Allora chi era stato? Mike, che continuava a dire che sarebbe scappato presto? Carlos, che non diceva mai niente, ma si atteggiava sempre come se avesse un piano? O qualcun altro?

    Non importava. L'importante era che potesse andarsene da lì. Il problema era che doveva andarsene ora, quella mattina, perché quando i detenuti tornavano da un turno di lavoro all'aperto c'erano delle perquisizioni casuali. Se avessero trovato quella chiave su di lui, gli avrebbero sicuramente dato altri tre anni. Se avesse detto al direttore L'ho trovata per terra, quel vecchio stronzo si sarebbe messo a ridere a crepapelle.

    Allora, quando avrebbe potuto farlo? Doveva pianificarlo nel modo giusto.

    Per tutta quella lunga e calda mattinata ci pensò. Nel primo turno di lavoro di due ore, nei quindici minuti di pausa, quando si sedettero tutti sotto ad  un telone al riparo dal sole rovente dell'Arizona, e durante il successivo turno di lavoro di due ore fino al pranzo.

    A quel punto aveva deciso. Aveva mantenuto i nervi saldi. Aveva bevuto più acqua per mantenersi idratato. Aveva osservato le guardie con la coda dell'occhio. Aveva visto quali erano annoiate e quali non riuscivano più a sopportare il caldo.

    Per tutto il pomeriggio lavorò a testa bassa e con gli occhi ben aperti. Doveva aver curato un centinaio di quei maledetti cactus che lo Stato aveva piantato vicino alla trafficatissima autostrada distante solo un centinaio di metri. Come se non ci fossero già abbastanza cactus in Arizona. Forse piacevano ai turisti.

    Sì, i turisti seduti in una di quelle macchine che sfrecciavano sull’autostrada erano proprio quello di cui aveva bisogno. Una famiglia felice della California o dell'Oregon. Innocente e indifesa. Se fosse riuscito a prendere una delle loro auto se ne sarebbe potuto andare.

    Ma bisognava avere pazienza. Cominciare dall'inizio. Togliere quelle catene dalle caviglie. Toglierle al momento giusto. Era una di quelle possibilità che arriva una sola volta nella vita. Una possibilità che arriva una sola volta nella storia di un dannato carcere. Se lo avesse fatto bene, sarebbe stato l’eroe della prigione per generazioni. Se lo avesse fatto male, sarebbe stato cibo per cani.

    «Abbiamo finito per oggi!» gridò l'agente Hanson.

    Finalmente. Alle cinque tutto era più lento. Dopo essere state al sole tutto il giorno, le guardie erano accaldate, stanche ed assetate, non importava quanta acqua avessero bevuto. Avrebbero voluto essere in un bar con aria condizionata a mandare giù una birra gelata.

    «Prendete l’attrezzatura e salite sull'autobus!» ordinò una delle guardie.

    I prigionieri, stanchi ed accaldati anche loro, si muovevano lentamente. Alcuni si fermarono per una sigaretta o un ultimo sorso d’acqua dalla grande brocca di plastica che avevano a disposizione. Altri si sedettero per riprendere fiato. Le guardie non sembravano avere troppa fretta.

    Tyson si avvicinò all'autobus della prigione, dove alcuni prigionieri stavano già salendo e fissando le catene alle gambe di metallo dei sedili. Si sedette per terra, si massaggiò una caviglia facendo una smorfia di dolore.

    «Qual è il problema, Tyson?» chiese una delle guardie con sguardo diffidente.

    «Mi sono graffiato la caviglia. La cavigliera ci ha sfregato sopra tutto il giorno.»

    «Avresti dovuto farcelo sapere prima.»

    «Non sembrava così grave.»

    Un altro prigioniero si avvicinò e la guardia girò lo sguardo su di lui. Il più velocemente possibile, Tyson estrasse la chiave dal calzino e, fingendo di massaggiarsi di nuovo la caviglia, aprì la cavigliera attorno ad essa.

    Il leggero clic suonò come il Ho ho ho di Babbo Natale.

    «Cos’hai da ridere?» brontolò Lavon, un altro prigioniero, mentre gli passava di fianco.

    «Il turno è finito!» rispose Tyson, tenendo la cavigliera chiusa con una mano e facendo attenzione a non applicare troppa pressione per non farla scattare di nuovo. Aveva già rimesso la chiave nel calzino. Una chiave mandata dal cielo. Prima di udire il clic della cavigliera, aveva pensato che fosse solo un miraggio provocato dal caldo torrido.

    Ora era arrivata la parte rischiosa.

    Il cuore di Tyson martellava nel suo petto mentre si alzava. Continuava a tenere una mano sulla cavigliera e a fare smorfie di dolore mentre zoppicava verso l'autobus della prigione.

    «Appena torniamo potrai andare dal dottore,» disse una guardia.

    «Si, è una buona idea,» rispose Tyson. Ma io ho un’idea migliore.

    Si sedette sul sedile proprio accanto alla porta. L'agente Hanson attraversava l'autobus bloccando le cavigliere ai sedili. Era una delle guardie più giovani e dure. Anche se parlava poco, il suo corto taglio di capelli e il suo sguardo severo dicevano molto su di lui. Tyson notò che la chiusura del coltello multiuso che teneva alla cintura era sganciata. Con uno strappo veloce l'avrebbe preso facilmente.

    Sarebbe stato bello avere di nuovo un coltello. Si era divertito molto col suo coltello prima di essere catturato.

    Tyson cercò di rallentare il respiro e concentrarsi.

    Fai finta che questo sia uno dei tuoi omicidi. Stai calmo. Avvicinati rapido, deciso e vai via veloce. Ti hanno beccato solo una volta. Vacci piano e fallo bene. Mantieni la calma, calcola il tempo giusto e sarai libero.

    Libero di ricominciare a vivere.

    L'agente Hanson stava ripercorrendo l’autobus all’indietro. Dopo pochi istanti raggiunse l'uomo di fronte a Tyson. Il serial killer, accusato e ritenuto colpevole di un solo caso di omicidio colposo, era sereno come un monaco buddista. Non si irrigidì nemmeno quando l'agente Hanson si voltò verso di lui con il portachiavi in mano.

    Tyson si liberò la caviglia e gli diede un calcio nelle palle.

    La guardia si piegò in due con un forte oof. Cercò di dire qualcosa, ma le sue parole furono soffocate dagli applausi degli altri prigionieri.

    Idioti, hanno appena allertato le altre guardie.

    Era ora di muoversi velocemente.

    Tirò fuori il coltello dalla cintura dell'agente Hanson e lo aprì. Afferrò la guardia alla gola, le bloccò la testa e le avvicinò la punta del coltello all'occhio. Aveva scoperto che le persone temevano di più questo che una lama alla gola. Una di quelle conoscenze acquisite durante la sua lunga esperienza.

    Hanson si bloccò con le mani in alto. Tyson lasciò la presa al collo e usò la mano libera per afferrare la sua pistola. Si aspettava che Hanson combattesse a quel punto. Aveva visto la guardia picchiare altri detenuti. Era sicuramente una persona violenta. Ma, in questo caso, non oppose alcuna resistenza.

    «Il tuo occhio vale più dello stipendio di una guardia,» disse Tyson. «Sei un uomo intelligente.»

    Sentì del movimento appena fuori dal bus, si voltò e vide tre delle guardie con le pistole puntate.

    «Non potete uccidermi prima che io uccida lui,» disse Tyson, puntando la pistola contro la tempia di Hanson.

    Le guardie esitarono. Tyson sorrise sapendo di averli in pugno.

    «Facciamo un patto,» disse Tyson. «Voi mi lasciate uscire di qui...»

    «Non succederà!» uno gridò.

    «... e io lo lascerò andare non appena sarò al sicuro. Non voglio un omicidio di primo grado nella mia fedina penale. Se continuiamo a rimanere in stallo, faccio cadere il portachiavi e lascio che tutti gli altri si liberino. Allora avrete un inferno da gestire.»

    Le tre guardie si guardarono incerte sul da farsi.

    «Fate come dice» gracchiò Hanson. «E dentro solo per omicidio colposo. Non ucciderà a sangue freddo a meno che voi non lo spingiate a farlo. Se libera gli altri detenuti siamo nella merda!»

    Silenzio. Tyson mantenne il respiro calmo, regolare.

    Le guardie si guardarono.

    «Per favore,» implorò Hanson. «Mi ucciderà se lo costringete. Conosco questo ragazzo. Non è uno stupido. Un'evasione dalla prigione gli farà prendere dieci anni. Uccidermi gli farà guadagnare un'iniezione letale. Non rischierà.»

    Le guardie si guardarono di nuovo e indietreggiarono. Tyson si alzò puntando la pistola alla testa di Hanson.

    «Indietreggiate» disse loro. Quelli fecero un passo indietro. «Di più. Hanson, prendi quella borsa.»

    Hanson raccolse lentamente la grande busta di plastica in cui avevano portato i panini.

    «Va bene, ragazzi, mettete pistole, telefoni e walkie-talkie in questa borsa e io vi lancio queste chiavi. Sarò l'unico a scappare oggi.»

    Il coro di parolacce degli altri detenuti quasi soffocò la risposta.

    «Assolutamente no, Tyson. Arrenditi.»

    Tyson spinse la canna della pistola contro la testa di Hanson. «Se non eseguite i miei ordini lui muore.»

    Una delle guardie socchiuse gli occhi. «Ti daremo i telefoni e le radio, ma non le pistole.»

    «Questo è il massimo che otterrai, Tyson,» disse Hanson.

    «Stai zitto.» Tyson ci pensò per un momento. «Va bene. Buttate tutto qua dentro.»

    Tyson scese dall'autobus tenendo Hanson di fronte a sé come scudo. Una dopo l'altra, le guardie lasciarono cadere i telefoni e le radio nella borsa e si  allontanarono. Le loro pistole rimanevano puntate sul prigioniero ed il suo scudo umano. Tyson lanciò loro le chiavi che caddero a terra con un forte tintinnio.

    L'assassino si voltò e sparò un proiettile sulla radio dell'autobus facendo sobbalzare le guardie e i prigionieri più vicini. Hanson non mosse un muscolo.

    Questo tizio ha le palle, pensò Tyson. Non abbassare la guardia.

    Tyson studiò le tre guardie che tenevano le pistole puntate contro di lui. «OK, ora vi dico cosa faremo. Voi stronzi starete seduti sull'autobus mentre io e Hanson andiamo a fermare un'auto di passaggio. Non preoccupatevi. Non farò del male a nessun civile. Gli occupanti non staranno sulla macchina per più di un secondo. Hanson guiderà.»

    Le guardie si spostarono sull'autobus con gli occhi puntati su Tyson nella speranza che il malvivente facesse un errore che avrebbe permesso loro di bloccarlo.

    Ma Tyson non commise errori. Lui era il Southwest Slasher, così lo chiamavano. Per quanto ne sapeva la polizia, il Southwest Slasher non era mai stato arrestato. Dopo una rissa in un bar Tyson era stato accusato di omicidio colposo. Era la prima volta che aveva lasciato che le sue emozioni avessero la meglio su di lui. La prima e l'ultima.

    I poliziotti sospettavano che fosse responsabile di molti più omicidi, ma non erano mai riusciti a formulare le accuse.

    Una volta che le guardie furono dentro il bus, Tyson spinse l'agente Hanson verso l'autostrada. Un cartellone pubblicitario permetteva a Tyson di rimanere nascosto, fuori dalla vista dei conducenti di passaggio, ma comunque in grado di tenere nel mirino sia Hanson che l'autobus.

    «Sai cosa fare,» disse Tyson.

    «Non ti darò nessun problema,» replicò Hanson.

    «No, non credo che lo farai,» disse Tyson con una punta di ammirazione.

    Hanson si spostò sul lato della strada, facendo cenni alle auto che passavano. I veicoli continuavano a sfrecciare. Alcuni accelerarono persino, probabilmente non volevano farsi coinvolgere. Anche se tutto ciò che si poteva vedere era un uomo in uniforme da guardia carceraria che chiedeva loro di fermarsi.

    Ma ben presto una macchina rallentò e si fermò.

    Tyson sorrise. Era libero.

    Avrebbe finalmente potuto riprendere le cose da dove le aveva lasciate.

    CAPITOLO UNO

    Prigione statale dell'East Jersey, Woodbridge Township, New Jersey

    Lo stesso giorno

    L’agente degli United States Marshals Alexa Chase era già stata lì in visita. Era stata una cattiva idea allora e, probabilmente, era un'idea ancora peggiore adesso. Ma doveva farlo.

    Doveva ottenere delle risposte. Doveva parlare con l'uomo che aveva messo lì dentro, il secondo peggior serial killer che avesse mai incontrato.

    Bruce Thornton, altrimenti noto come il Diavolo del New Jersey.

    Aveva avuto a che fare con diversi serial killer ai suoi tempi. Alcuni erano morti. Gli altri non avrebbero mai parlato con lei. Thornton ne era fin troppo felice. Era l'unico con cui poteva parlare del tipo di animale a cui stava dando la caccia.

    Mentre una robusta guardia carceraria con il tatuaggio di un teschio sul collo le faceva passare l'ultima porta del blocco di celle che ospitava Thornton, Alexa cercò di mantenere la calma. L'ultima volta non ci era riuscita.

    Aveva assicurato alla giustizia molte persone malvagie e si era dimenticata di loro non appena la porta della cella si era chiusa, ma Thornton le era entrato sotto la pelle. Il Diavolo del New Jersey, così lo aveva soprannominato la stampa che si era appassionata alle sue imprese omicida. Anche Alexa aveva iniziato a chiamarlo così. Alla fine era riuscita a catturarlo, ma le cose che aveva visto e le profondità in cui aveva dovuto scavare, nella mente malata del criminale, le avevano fatto lasciare l’FBI per un anno intero.

    Perché per catturarlo aveva dovuto pensare come lui, tirare fuori il lato aggressivo di sè stessa per capire lo schema, le modalità e prevedere dove e come avrebbe colpito.

    Alla fine lo aveva catturato e aveva salvato la sua ultima vittima, ma il costo era stato alto. Una volta che aveva messo Thornton a terra, lo aveva quasi ucciso. Quasi. Solo la presenza del ragazzino che Thornton aveva intenzione di massacrare l'aveva fermata.

    Ed in seguito se ne era pentita. Un sentimento indegno in un ufficiale.

    Era un diavolo, va bene. Ma non del New Jersey. Era il suo diavolo personale.

    Alexa aveva indossato l’uniforme completa per affermare una certa autorità sui prigionieri: pantaloni blu, maglietta blu con Deputy US Marshal scritto in bianco sul retro e la famosa stella a sei punte. Gli stivali da cowboy ed il cappello non erano parte della divisa, ma abbastanza comuni nella sezione dell'Arizona per cui lavorava. L'unica cosa che mancava era la pistola automatica Glock che avrebbe dovuto essere nella fondina alla sua cintura. Aveva dovuto abbandonarla all’ingresso della prigione. Solo le guardie carcerarie possono portare armi lì dentro, e tutte lo fanno.

    Camminò lentamente lungo il corridoio di cemento cercando di tenere sotto controllo il suo respiro affannoso, maledicendo il sudore che le scorreva lungo il viso e ignorando gli sguardi curiosi e le occhiate di sfida degli uomini nelle celle a cui passava davanti.

    Il suo passo rallentò ulteriormente mentre si avvicinava all'ultima cella a sinistra, quella che ospitava il diavolo.

    Ma non voleva mostrarsi in imbarazzo davanti alla guardia, così affrettò di nuovo il passo e si sedette su una sedia di plastica rossa messa davanti alla cella.

    Thornton le sorrise. Era sdraiato sul suo letto con indosso una tuta arancione da carcerato.

    Ogni volta che lo vedeva le veniva in mente il vecchio detto: «Non giudicare mai un libro dalla copertina.» Non sembrava uno dei peggiori serial killer degli ultimi decenni. Un uomo grassoccio sul metro e settanta, con un'attaccatura alta, capelli biondi radi e baffi mal curati che sembravano quelli di un poliziesco degli anni '80.

    Solo gli occhi mostravano la verità. Piccoli occhi azzurri luccicanti che sembravano quelli di un rettile. Nessuna emozione, solo uno sguardo affamato e calcolatore.

    Per un momento nessuno dei due parlò.

    Bruce Thornton mise da parte il libro che stava leggendo e sorrise.

    «Allora? Sei tornata per sapere qualcosa di più?»

    Alexa si contorse sul sedile.

    «Cosa stai leggendo?», chiese, schivando la domanda.

    Thornton accarezzò il libro. «La mitologia di Ciuffolotto. Testo classico. Ovviamente l'ho già letto, ma vale la pena rileggerlo.»

    Alexa annuì. Era stato ossessionato dalla mitologia e dal folklore sin dalla tenera età, usandoli come via di fuga da una famiglia violenta. Da adulto era rimasto affascinato dai vecchi racconti popolari del Diavolo del New Jersey, una bestia che si dice si nasconda nelle Pine Barrens del New Jersey. Aveva scavato in profondità in questi racconti e trasferito vecchie storie di mostri che attaccavano i bambini in azioni della vita reale.

    «Quindi...» disse Thornton mentre il suo sorriso si allargava.

    «Ho delle domande.»

    «Avevi delle domande anche l'ultima volta. Non credo che le risposte ti siano piaciute.»

    «C’è qualcos’altro che voglio sapere ora.»

    «E ti aspetti che io ti aiuti.»

    Se riesco a spronare il tuo ego a farlo. Più facile a dirsi che a farsi.

    Il pubblico pensa che i serial killer siano dei pazzi geni del male. La maggior parte di loro non lo è. Molti sono di intelligenza inferiore alla media e vengono catturati rapidamente. Altri rimangono liberi di continuare a uccidere a causa dell'incompetenza della polizia. Solo pochi combinano l'acuto intelletto e l’astuzia che il pubblico generalmente presume che tutti i serial killer abbiano.

    Thornton era uno di quei pochi.

    Alexa si guardò alle spalle e vide che la cella di fronte a quella di Thornton era vuota.

    «Dov'è il tuo amico?»

    Dannazione, vai al punto!

    «Il mio amico?»

    «Quello stupratore nella cella di fronte a te. Quello che continuava a interrompere la nostra conversazione con commenti su di me.»

    «Ah, Rik. Sì, una vera tragedia. È stato preso a pugni nella sala comune. Nessuno ha

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