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L'invidia del mare
L'invidia del mare
L'invidia del mare
E-book395 pagine6 ore

L'invidia del mare

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Info su questo ebook

Muovendosi tra il verde delle valle del Reno e le antiche mura del centro storico di Castiglione dei Pepoli, il maresciallo Luccarelli sostiene di non aver mai avuto troppa fortuna con le donne. Ma è davvero sempre andata così, o quella vecchia cartolina nasconde qualcosa? Per scoprirlo dovremo fare un salto indietro negli anni Novanta. Sono tanti i segreti che il nostro militare non vuole raccontare, tra le ombre lunghe di una Milano ancora scossa da Tangentopoli, nelle feste rumorose della gioventù spensierata di Bologna mentre, sullo sfondo, le acque profonde del mare di Taranto si agitano silenziose.Omicidi, tradimenti, violenze. Abbiamo tutti qualcosa da occultare. E qualcuno da dimenticare.
 
LinguaItaliano
Data di uscita23 giu 2022
ISBN9788868104818
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    Anteprima del libro

    L'invidia del mare - Carmine Caputo

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    Carmine Caputo

    L'INVIDIA DEL MARE

    Prima Edizione Ebook 2022 © Damster Edizioni, Modena

    ISBN: 9788868104818

    Foto di copertina: Paolo Fago

    Foto di quarta di copertina: Daniele Tarozzi

    Damster Edizioni è un marchio editoriale

    Edizioni del Loggione S.r.l.

    Via Piave, 60 - 41121 Modena

    http://www.damster.it e-mail: damster@damster.it

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    Carmine Caputo

    L'INVIDIA DEL MARE

    Romanzo

    INDICE

    1

    2

    3

    4

    5

    6

    7

    8

    9

    10

    11

    12

    13

    14

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    20

    21

    22

    23

    24

    Note

    Ringraziamenti

    L’Autore

    Catalogo

    In memoria

    di tutti i servitori dello Stato, militari o civili, che ogni giorno

     si battono per lo Stato, dentro lo Stato, nonostante lo Stato.

    1

    11 luglio 2019

    Vergato in estate ha l’aria un po’ scomposta di una mamma sulla quarantina che, sospirando, rilassa le spalle sullo schienale di una poltrona, un libro aperto tra le mani screpolate, un filo d’argento che riluce tra i capelli mentre le voci si allontanano e lasciano spazio ai sogni.

    È una mattinata torrida e ho un appuntamento di lavoro. Condivido con i colleghi di questa cittadina operosa la disgrazia di vivere in una vallata fluviale, gelida d’inverno, quando una cappa di foschia incombe greve appiattendoti a terra, afosa e umida d’estate, quando barcolli tramortito alla ricerca di un soffio di vento che ti risusciti. Però Vergato mi piace. Rispetto a zone limitrofe dell’Appennino sembra New York, con le sue luci, il cinema, il mercato, i ristoranti, i negozi.

    La cittadina adagiata sulla valle del Reno è la sede del Comando della Compagnia dei carabinieri cui fa riferimento anche la mia caserma, è lì che lavora il mio capitano ed è lì che veniamo convocati quando c’è qualche grana.

    Solo pochi minuti prima, mentre mi arrampicavo con la mia auto lungo i tornanti che attraversano i boschi verdi di Grizzana Morandi, avevo cercato di fare mente locale delle attività svolte negli ultimi mesi. Una indagine per furti nei garage, conclusa con l’arresto di un gruppo di slavi irregolari. Diversi posti di blocco, il consueto presidio del territorio, processioni e inaugurazioni. Da almeno un anno, dal mistero di Castiglione dei Pepoli poi risolto, non ero coinvolto in un’indagine di un certo peso. A dire il vero poi c’era quella storia di spaccio di droga che però si era rivelata molto più ramificata di quanto non avessimo pensato, e che il sostituto procuratore aveva deciso di approfondire meglio, prima di procedere. Qualcuno dalle mie parti ha avviato una proficua attività di spaccio di stupefacenti, ma si mimetizza bene. Chissà, il capitano mi avrebbe parlato di quello? Mi avrebbe chiesto a che punto eravamo? Le gomme stridono sull’asfalto bollente di questa estate, con queste temperature fa caldo persino in Appennino, mentre scivolo dalla valle del Setta a quella del Reno, salutando con reverenza la casa disegnata da un bambino che fu residenza estiva del grande artista bolognese Giorgio Morandi, cui sono legato da un caso risolto qualche tempo fa.

    Magari il dottore vuole convincermi a partecipare al concorso interno che potrebbe fare di me un ufficiale, visto che sono riuscito con qualche fatica a laurearmi a più di quarant’anni. Non ne ho voglia, non ho l’età per farmi nuovamente esaminare, per mettermi ancora una volta nelle mani di un giudice che, sulla base di qualche crocetta e di un colloquio, possa plasmare il mio destino. Poi da ufficiale rischierei di finire chissà dove. Oppure c’è un altro caso complicato qui sull’Appennino bolognese, e nonostante le mie competenze dovrebbero essere limitate alla mia area di azione, forse vuole coinvolgermi per le mie capacità investigative, come ha già fatto in passato. O forse no.

    Parcheggio nei pressi del centro commerciale perché sono un po’ in anticipo e ho voglia di stemperare la tensione prendendo un libro in prestito nella biblioteca qui vicino, la più bella e fornita dell’Appennino. Un’occhiata veloce ai quotidiani magari mi fornirà qualche indizio sulla convocazione di oggi. Sulle pagine dedicate alla montagna dal Resto del Carlino c’è spazio per la fantascienza, con i sindaci dell’Appennino che chiedono al ministro di valutare un nuovo collegamento stradale tra Sasso e Pianoro. Figurarsi. Per la classe politica dirigente la montagna bolognese è un presepe pittoresco da preservare, le infrastrutture si fanno in pianura. Si parla poi della presentazione di un libro dedicato all’Appennino a Gaggio Montano, ma anche in questo caso non vedo come possa interessarmi. C’è spazio anche per la manifestazione culinaria nata e cresciuta in cima alla mia vallata, che dopo aver raggiunto lì il successo si è trasferita altrove. Per la proloco del territorio ancora una ferita che sanguina, poverini. Dubito però il capitano voglia parlarmi di carne alla griglia. Basta attualità. In quelle sale silenziose e incantate mi perdo allora sfogliando le pagine di romanzi e saggi storici. Le ultime novità ancora profumano di stampa.

    È ancora presto e nonostante la calura decido di attraversare il paese piuttosto che tornare a prendere l’auto. Prima l’anonima piazza XXV Aprile, che si anima il lunedì con le bancarelle del mercato ma nei restanti giorni è poco più che uno scialbo parcheggio. Avverto la presenza di un venditore ambulante perché il profumo di pesce fritto è una tentazione difficile da sopprimere anche per me, che cammino sotto i portici appiattendomi al muro per vincere la tentazione. Magari dopo ci faccio un salto. Attraverso il ponte sul Vergatello e mi indirizzo verso piazza della Pace, così verde ed europea starei per dire, con le banche, il cinema, la fontana dei pesci. Lungo la strada che conduce alla stazione strizzo l’occhio alla fontana di Luigi Ontani. Ha fatto scandalizzare tanto i puritani e chi non si capaciti che in Appennino ci sia un’opera d’arte contemporanea e non il solito monumento al fungo, alla castagna o allo gnocco fritto. Attraverso finalmente il cuore del paese, piazza Capitani della montagna. C’è un capitano della montagna che mi aspetta, devo affrettarmi.

    In fondo a via Monari si schiude accogliente la piazza, su cui si affacciano i caffè e le vetrine delle boutique. Di fronte al supermercato incrocio alcune mamme che chiacchierano sotto i portici, spingendo i piccoli che sonnacchiano nel passeggino, mentre più avanti, di fronte all’edicola che vende libri di storia locale, un circolo di pensionati discute animatamente della possibilità, invero tutta da dimostrare, che esistano anche immigrati buoni. Sospiro di fronte al municipio, ricostruito dai vergatesi recuperando tra le macerie i mattoni lasciati sul campo, dopo i bombardamenti alleati che rasero al suolo la città, nell’agosto 1944. Morirono anche tanti civili, compresi quelli che cercarono la salvezza nei rifugi sotterranei. Tra il novembre 1943 e l’ottobre 1944 questa povera città, colpevole di trovarsi sulla Linea Gotica, subì 23 incursioni aeree. 400 edifici distrutti, quasi tutti gli altri gravemente danneggiati. Mio padre era appassionato di storia, studiarne un po’ di tanto in tanto mi dà l’impressione di averlo di nuovo vicino. Non mi limito a leggere i libri di storia scritti dai vincitori, anche se il mio amico Leo mi accusa di essere un revisionista, a me piace soprattutto il punto di vista degli altri, dei perdenti. Si revisionano le automobili e i romanzi in bozza, chissà perché non si può farlo con la storia.

    Mi chiedo come commenterebbero quei vergatesi, abituati a muoversi tra macerie disseminate da mine, la grigia mediocrità del tempo recente. Mentre attraverso il centro alcuni manifesti vendesi sulle vetrine mi intristiscono. Anche qui i cataloghi online hanno fatto abbassare tante serrande, mi rivedo bambino che andavo a comprare le uova nel negozio sotto casa con duemila lire in tasca, a Statte, e poi i quaderni alla cartoleria all’angolo e i giornalini all’edicola, e mi domando se davvero ci fa progredire questa alienazione informatica che chiamiamo progresso.

    E finalmente ci sono. Quando arrivo, il collega all’ingresso mi avvisa, indicando la porta con il dito, che il capitano mi sta già aspettando, e non è per niente una buona notizia. Visto che non sono in ritardo, vuol dire che non ha preso impegni prima, per essere sicuro di farsi trovare libero.

    Sto per bussare alla porta socchiusa ma la sua voce mi anticipa. Che cacchio sta succedendo? Sono qui in Appennino da una decina d’anni e di disavventure ne ho vissute diverse, ma questo trattamento comincia seriamente a inquietarmi.

    — Luccarelli, immagino tu sappia già il motivo per cui ti ho convocato.

    Sospiro. Non ho la più pallida idea del motivo per cui mi abbia convocato, sono un ottimo investigatore, da anni mi sollecita a tentare qualche concorso per fare carriera, ma se non intuisco nemmeno il motivo per cui mi ha chiamato, vuol dire che non sono poi questo granché di detective.

    Allora il tema è l’altro, lo spaccio. È plausibile che il capitano voglia che l’aggiorni sulle mie indagini. Da tempo sono persuaso della presenza di uno spacciatore piuttosto scaltro nella frazione di Comune presidiata dalla mia caserma. Non ho prove che lo attestino, purtroppo, ma piccoli segnali che qualcuno abbia organizzato un commercio redditizio proprio sotto i miei occhi. Automobili di lusso mai viste prima in giro. Motociclette di grossa cilindrata. Giovani in giacca e cravatta incrociati nel quartiere dove nessuno indossa la cravatta, da vivo. Qualche fastidiosa voce insistente. Per carità, non parliamo di tossici sfatti che si passano la dose nei giardinetti. Quelle immagini appartengono agli anni Ottanta. Qui siamo di fronte a qualcosa di più sofisticato, e tutto sommato tollerato dalla popolazione, perché se girano più soldi in vallata, in fondo è un bene per tutti. Pecunia non olet. Chiunque sia, mi sono convinto che si occupi soprattutto di cocaina di alta qualità, metanfetamine forse, o LSD, prodotti insomma che si rivolgono a un mercato benestante che sa apprezzare la riservatezza. Li scoprirò, non tollero che me la facciano così, sotto il naso.

    Il capitano sposta una carpetta di pelle dalla scrivania ed estrae la copia di un quotidiano locale. L’appoggia sulla scrivania di fronte a me con un gesto stizzito. È del giorno prima, cacchio, per questo non l’ho notata nella mia perlustrazione in biblioteca. Comincio a sospettare qualcosa. Non è la droga il problema. Non è un malvivente che mi sono lasciato sfuggire. Non è una nostra indagine smontata dai consulenti della difesa. È molto, molto peggio.

    Leggo frettolosamente. Straordinario intervento dei vigili del fuoco: 36 ore per estrarre due cani scivolati in un cunicolo in Appennino, durante le quali i pompieri hanno fatto ricorso a ogni mezzo possibile, compreso un escavatore e un elicottero. Dopo l’incredibile recupero i due cani sono stati visitati da un veterinario e riconsegnati al proprietario.

    — Mi ha chiamato il comandante provinciale. È furioso. Questi episodi fanno male all’Arma, mi ha gridato al telefono.

    Sto per borbottare qualcosa. Penso a tanti casi di cronaca nera che ci hanno visto e ci vedono coinvolti, colleghi che operano nelle vesti di criminali e non di difensori dei cittadini e della democrazia. Io stesso sono stato testimone di episodi di corruzione e violenza tutt’altro che secondari. Quelli sì che hanno davvero fatto male a chi come me crede in questa divisa, ma non mi pare il caso di polemizzare.

    — A dire il vero abbiamo collaborato alla risoluzione del caso. Ho mandato diversi miei uomini. Abbiamo presidiato le strade e collaborato alle ricerche. E poi come saprà stiamo seguendo una pista che potrebbe portarci a un redditizio mercato di stupefacenti.

    Il capitano alza la mano, la apre verso di me con gesto eloquente, non vuole che continui, in fondo anch’io so bene che la mia difesa è del tutto inutile. Non ci sono foto dei carabinieri sul giornale, nessuno ha intervistato il comandante. È questo che fa male a qualcuno.

    — L’elicottero, hanno preso, l’elicottero. Ha girato sul paese per ore che mi sembrava essere tornato in Kossovo.

    La rabbia del capitano non è direttamente rivolta a me, è un militare che ha conosciuto i teatri di guerra e la lotta alla mafia in prima persona, come me si sente più a suo agio con un giubbotto antiproiettile che sotto i riflettori di un talk-show. Però se mi ha chiamato è perché nel mio curriculum, lo so già, ci sono arresti di omicidi, ladri e spacciatori, ma pochi animali salvati.

    — Me ne fotto della droga. Quella c’è sempre stata e sempre ci sarà. Chiudi un rubinetto, loro ne aprono un altro. E poi ai cittadini non interessa più, a meno che non muoia un loro figlio sedicenne che si impasticca in discoteca.

    — Cosa vuole che faccia, allora, capitano?

    Si alza in piedi, le mani sui fianchi, una smorfia di dolore per quel mal di schiena che si trascina da anni. Si avvicina alla finestra e picchietta con le dita contro il vetro. Sta invecchiando male, imbolsito e astioso come tanti che fanno questo mestiere con passione. Fra un anno o due andrà in pensione e allora avrà tutto il tempo di affacciarsi alla finestra.

    — Prepara i tuoi collaboratori. Un gattino da recuperare in cima a un albero. Un cane ferito riportato alla padroncina. Tutto documentato con foto ad alta risoluzione e video. Video in orizzontale, mi ha sollecitato il comandante, ma anche qualcuno in verticale, perché danno più il tono del dramma, funzionano sui social e consentono di applicare meglio il logo dell’Arma in basso a destra.

    Non so a questo punto chi dei due sia più in imbarazzo.

    — Magari un cinghiale che passeggia con la famiglia sulla provinciale — mi lascio scappare, così, per sdrammatizzare.

    — Niente affatto — riprende lui gravemente. La discussione con il comandante provinciale deve essere stata feroce. — Dobbiamo avvicinare l’Arma alla gente. Far capire loro che possiamo aiutarli. La gente ama i cani e i gatti, si fa fotografare mentre li sbaciucchia e gli gratta il pancino, ma odia i cinghiali. Il comandante mi ha espressamente chiesto se possibile la foto di un militare con un cagnolino tra le mani. Anche i gatti vanno bene. Pare funzionino su questo nuovo programma… come si chiama… Instant gramm, o qualcosa del genere. Dobbiamo avvicinare l’Arma alla gente. È chiaro?

    Mi alzo, non sopporto più l’odore di chiuso, ho lo stomaco contratto, mi serve aria fresca.

    — Affermativo. Chiederò ai colleghi di tenere traccia di tutte le chiamate relative a cani e gatti dispersi, sentiremo polizia municipale e canili e faremo il possibile per il loro recupero.

    Non risponde, deduco che l’incontro sia finito e mi allontano verso la porta.

    — Prepari un piano B, Luccarelli.

    Sono ormai sulla porta quando me lo dice, la sua voce ha lo stesso effetto di un gessetto strisciato contro la lavagna. Sono costretto a prolungare lo strazio di quell’incontro, mi giro indietro e lo fisso perché voglio capire fino a dove possa spingersi questa conversazione. Sono sorpreso. Mi ha chiesto di masticare la mia dignità come un chewing-gum, non credo possa andare peggio di così.

    — I cani e i gatti, in questo momento, sono la nostra assoluta priorità, ma se non dovesse trovarne in fretta, va bene anche portare la spesa a qualche vecchietta. Non altrettanto efficace, dirò, ma utile alla bisogna. Di solito lo facciamo se qualcuno dei nostri combina qualche marone grosso e c’è bisogno di sviare in fretta l’attenzione dell’opinione pubblica. Ce lo faremo andare bene. Anche in questo caso è fondamentale la foto con la signora sorridente. Bene anche la chiacchierata col vecchio che si sente solo. Ah, mi raccomando la spesa non fatela dai comunisti, sa bene come la pensano ai piani alti.

    Starei per rispondergli per chiedergli se al comando hanno fornito anche qualche indicazione su ragù e formaggi patriottici approvati dai piani alti, ma voglio che questa visita finisca al più presto. E dire che io per primo non amo affatto i comunisti, a patto che esistano ancora, ma con certi generali poi dice che uno si butta a sinistra.

    — Ai suoi comandi, capitano.

    Ritornando alla macchina mi rendo conto che mi è passata la voglia di frittura di pesce. Dopo aver masticato per bene il mio orgoglio non mi resta che attaccarlo sotto qualche banco, come in gioventù.

    2

    Nel bosco castano, salendo, ti vengo a guardare. Tuona in lontananza un cielo incupito e cattivo, profumo di pioggia in arrivo. Non sono fatto per stare da solo, è in due che si ride, in due che si amano tramonti sfumati d’azzurro, là dove il muretto secco si apre e mostra i gradini che scivolano al mare, tra sabbia dorata e frasche di pino. Raggiunta la vetta, il cielo sereno mi induce al respiro più intimo, mi invita a tornare sui miei passi a cercare una casa che non è più la mia.

    Blatero, come al solito, in mano un tassello simile a tanti altri che non riesco a posizionare da nessuna parte. Neppure spingendo un po’. Bisogna avere una vita davvero insignificante per sprecarne una considerevole frazione cercando di ricomporre un dannato puzzle da mille pezzi. Spendi del denaro, per il quale plausibilmente hai lavorato, o che magari hai ereditato o vinto, non è questo il punto, il punto è che cedi una parte della tua ricchezza, insomma, per ottenere in cambio che cosa? Un problema da risolvere: un poster, che non è neanche detto che ti piaccia poi più di tanto, che ti viene consegnato sbrindellato e spappolato, ridotto in mille insignificanti pezzi o anche più, che tu dovrai ricomporre.

    L’immagine che ho di fronte dovrebbe rappresentare Darth Vader, un personaggio che mi affascina sia perché è un cattivo, e di solito in cattivi hanno personalità più complesse e variegate dei buoni, sia perché in fondo non sempre è stato cattivo. Perché nessuno in fondo è buono sempre, dai, persino a Gesù si sono attorcigliati gli zebedei quando ha visto il mercatino allestito fuori dal tempio. E non è che abbia elargito sorrisi spiegando ai mercanti che sarebbe stato opportuno dedicarsi a una attività socialmente più accettabile, nemmeno ha indicato loro la zona commerciale appositamente studiata dal piano di sviluppo giudeo. No no, ha proprio sfasciato tutto, e se gli evangelisti hanno deciso di non trascurare un passaggio così violento, anzi raccontarlo con i dettagli, vuol dire che quella di nostro Signore è stata davvero un’incazzatura di altissimo livello. Magari avrebbe potuto lanciare fulmini e saette tipo Thor, ma ha preferito evitare perché vuoi mettere il gusto di prendere a calci una bancarella, magari lì vendevano mobili in pezzetti da rimontare con viti e colla e lui, figlio di falegname, ci ha intravisto in anticipo la mano del demonio. Io mi ritengo una persona fondamentalmente buona, forse addirittura un fesso, come dice Stefano, il mio amico poliziotto che da mesi mi propone il pezzotto. Trattasi di una specie di decoder di contrabbando con il quale apprezzare tutti i programmi in streaming, pagando solo pochi euro destinati all’installatore di questa rete pseudo-criminale, nella fattispecie lui. Tanto i controlli sono difficili. Occhio non vede, dente non duole dove batte la lingua, ha sentenziato solenne.

    Ma io rifiuto perché né i registi, né gli attori, gli autori, i produttori o i tecnici che producono serie tivù mi hanno mai fatto del male, e non vedo proprio perché dovrei fargliene io a loro. Io non lo rubo l’abbonamento, a costo di sembrare un fesso. Sono più il tipo da vendetta, io, e solo se strettamente necessario.

    Che ore sono? Maledizione, devo prepararmi invece di continuare a cincischiare con questo pezzo grigio in mano, senza un minimo indizio che possa indicarne la destinazione, simile ad altri cento eppure diverso. Sto perdendo il mio tempo. Tu hai del tempo libero, e invece di andartene al mare, a un concerto, o alla peggio invece di cambiare la corda ormai logora della tapparella del bagno, cosa fai? Lo sprechi per risolvere un problema che qualcuno ha consapevolmente creato per te. Un poster fatto a pezzi. Roba da pazzi. Come acquistare un libro con le pagine pubblicate alla rinfusa, o una cucina smembrata in assi di legno, viti e bulloni.

    Se fumassi questo sarebbe il momento di una sigaretta. Non ho mai fumato, anche le sigarette in qualche occasione hanno avuto un ruolo decisivo nella vita dei miei amici. Amici di un tempo svaniti, sbiaditi come scontrini conservati tra le pagine di un libro per far valere la garanzia e ritrovati bianchi come la neve. Metto le mani sotto l’acqua corrente e inspiro profondamente. Stasera lascerò Mara, la donna che ho frequentato negli ultimi mesi, che è la ragione per cui ho di fronte questo oggetto diabolico. Perché a lei questa roba piace davvero. Come le piacciono quei dannati mobili d’importazione svedese, e ho trascorso diversi pomeriggi a domandarmi se quel pezzo in più che mi era rimasto in mano, dopo averle montato la libreria, era un simpatico omaggio dei vichinghi oppure un imperdonabile errore che avrebbe causato il crollo di qualche scaffale, magari proprio addosso all’inconsapevole acquirente.

    Questo maledetto puzzle di Darth Vader che mi impegna da giorni sarà tutto quello che mi resterà, della nostra relazione durata quasi un anno, il che per me è praticamente un record. L’ho comprato per passare del tempo con lei, per avere una scusa per invitarla nel mio appartamento, una specie di collezione di farfalle, insomma. Odio i puzzle e il tempo che ci fanno perdere, ma comprare farfalle morte alle bancarelle della festa dei galletti di Monte Pastore sarebbe stato oggettivamente peggio. Poi a Mara neanche piacciono le farfalle. Invece avevo scoperto che le piacevano i puzzle, grazie alle mie capacità investigative. Sono un maresciallo dei carabinieri che chissà, magari presto diventerà ufficiale proprio grazie a quelle capacità investigative e a una laurea in giurisprudenza che sono riuscito a prendere da lavoratore.

    La prima volta che la convinsi a venire a casa mia per darmi una mano col puzzle, era riuscita a malapena a spiegarmi che di solito si comincia dalla cornice, perché almeno si riconosce uno dei lati del pezzo, quello piatto, prima che le mie carezze si facessero più ardite e ci conducessero a passatempi più appaganti. Anch’io avevo cominciato dalle cornici di Mara, che però non erano piatte proprio per niente. È una donna bellissima, Mara, e sa di esserlo. Quella sera indossava una camicetta grigia a quadretti con una scollatura circolare, di quelle solo apparentemente pudiche perché mostrano ciò che è lecito mostrare e promettono il resto, e una lunga gonna nera. Adoro le lunghe gonne scure, mi danno da sempre alla testa, specie poi se indossate da donne in forma come Mara. Non che sia una donna sovrappeso, al contrario, ma dispone di quelle morbidezze che rendono più confortevoli gli abbracci. Una volta sola sono stato con una donna tutta dieta e palestra, sembrava di tenere tra le braccia un enorme mocassino di cuoio. Troppi muscoli, troppi legamenti, troppi spigoli ricoperti di pelle tirata. Passava il tempo a correre, diverse ore al giorno, Dio santo, e ne parlava come se fosse qualcosa di divertente di cui vantarsi. Era uno di quel genere di donne che piacciono solo agli stilisti, a cui notoriamente le donne non piacciono.

    Mara invece no, Mara frequenta le pasticcerie, indugia gaudente di fronte a un piatto di spaghetti con i fagiolini e la foglia di basilico, che fa la differenza, penetra sinuosa con il suo cucchiaino una morbida coppa di tiramisù che sembra sul punto di traboccare. Quella prima volta, qui a casa mia, un sottile girocollo d’oro le ornava il collo: fu la molla che mi fece capire che avrei potuto osare qualcosa. Non ci provi con una donna che per venire a casa tua indossa al massimo un braccialetto d’acciaio. Se non ha aperto per te il portagioie sul comò, difficilmente si aprirà a te.

    Con Mara c’è complicità, non mi annoia con i racconti sul suo lavoro di impiegata in uno studio di commercialista, non mi secca con inutili preoccupazioni sul mio mestiere di maresciallo in una sperduta stazione della Val di Setta. Io sedo le risse tra extracomunitari, do la caccia ai topi di appartamento e qualche volta mi arrischio in qualche indagine di omicidio grazie soprattutto alla fiducia che il capitano di Vergato ripone in me: tutte, o quasi, storie ben poco appassionanti. Al limite la infastidiscono un po’ i miei turni che ci impediscono di trascorrere insieme tutti i week-end.

    Però stasera con lei devo farla finita, e non per colpa sua. Sono come un pilota che, arrivato in fondo alla pista, non trova il coraggio di decollare. Lei è pronta, me l’ha fatto capire chiaramente, vuole passare al livello successivo, io no. Io sto bene qui nella mia sala d’aspetto a vedere gli altri partire, mentre sfoglio una rivista settimanale di cinema e sgranocchio noccioline.

    Sto osservando la mia immagine ingrigita che prende forma tra i riflessi dello specchio del bagno, mentre mi rado svogliatamente dopo una doccia rilassante, quando sento un trillo.

    Squilla il telefono, forse è lei che mi dice di essere in ritardo, ma sarebbe piuttosto insolito. Infatti, non è lei, è Leo. Amico di infanzia, compagno di tante avventure da bambini e partner anche durante qualche inchiesta. Giornalista freelance, psicologo a tempo perso, innamorato non corrisposto della nostra Puglia che non ha mai avuto il coraggio di lasciare, nonostante le occasioni che avrebbe avuto dopo gli anni dell’Università a Padova, da qualche anno sembra aver trovato la sua vocazione insegnando in una scuola superiore.

    — Ciao Antonio, ti disturbo?

    — No, ma fai in fretta, devo uscire con Mara.

    — Ah, che carina, ho pensato sin dal primo momento fosse quella adatta a te. Chissà cosa avremmo combinato senza di lei. Dici che questa è la volta buona?

    La domanda di Leo arriva proprio al momento più opportuno, come una scoreggia durante la benedizione eucaristica. E se mi viene in mente questo paragone orrendo è perché trent’anni fa ci capitò davvero, anche se coinvolse il nostro amico Puzzola.

    — Sto per lasciarla, Leo. È una bella donna e le voglio bene, ma io non sono pronto a stirare il bucato al sabato pomeriggio e buttare i miei dischi per fare spazio ai suoi libri di ricette con il wok.

    — Invece ti farebbe bene cambiare alimentazione ogni tanto, hai il colesterolo talmente alto che se doni il sangue con la sacca possono friggerci un chilo di pettole. E poi quei dischi metallari dovrai buttarli comunque, pensa se muori solo e scoprono la tua collezione di capelloni con le borchie. Una reputazione distrutta e io che mi ritrovo a difendere il tuo onore, ma no non che non era un satanista, io lo conoscevo bene.

    Cerco la crema idratante e per un momento mi ritrovo a sorridere al ricordo di quella volta con Mara che facemmo la doccia insieme, come nei film, le mie mani insaponate sulla sua pelle profumata, le sue risate, il mio tentativo di prenderla lì, terminato goffamente con una testata contro la mensola che sorreggeva il bagnoschiuma. L’amore è come il vento, dà il suo meglio in orizzontale. Perché ci tiene tanto a sposarsi? Perché gettare l’ancora in un porto sicuro, quando ci sono ancora tanti mari da navigare?

    — Voglio sapere quando scendi, così ci organizziamo. Sai che adesso che sono un insegnante a tempo pieno ho poca flessibilità sulle vacanze.

    — Due mesi di ferie e si lamenta pure.

    — Due mesi senza scuola non sono due mesi di ferie.

    In effetti siamo quasi a metà luglio, non ho ancora pianificato niente per questa estate. Gli rispondo che devo controllare i turni in caserma, probabilmente ad agosto sarò a casa di mia madre, a Statte. Negli ultimi anni non sempre riesco a essere presente per l’anniversario della morte di mio padre, operaio dell’Italsider deceduto in fabbrica ventisei anni fa, quando ero ancora un liceale, ma mi sforzo di portare un fiore sulla sua tomba almeno una volta l’anno.

    — Non dirmi che userai di nuovo uno dei miei racconti questa sera per uscire dall’angolo?

    — Chissà. In effetti alcuni tuoi spunti mi sono tornati utili spesso in passato.

    — Quale abito indosserai stavolta? L’agente segreto? Il padre misterioso? Il bigamo?

    Cerco il phon, grazie al cielo lo uso ancora anche se più come ricordo dei bei tempi andati che per effettiva esigenza. Dov’è finito l’adattatore?

    — Magari il killer vendicativo. Mi conosci, non racconto frottole, al limite insaporisco un po’ la verità. Ci metto sempre del mio per essere credibile.

    — Puoi sempre raccontarle la tua vita reale sin nei minimi dettagli e vedere la sua resistenza impiccarsi al cappio della noia. A quel punto sarà lei a chiederti disperatamente di lasciarla, dopo aver inserito il tuo numero nella lista nera, la stessa dei venditori di aspirapolveri o di servizi elettrici. Dove la porti?

    — A cena nel miglior ristorante di Castiglione dei Pepoli.

    — Immagino non sia vegetariano.

    — Ma figurati. Già sarà una serata triste. Ci manca solo il ragù di soia. Lo sai che Gesù Cristo ci ha pure provato a moltiplicare il pane e il tofu, ma niente, lo Spirito Santo non ne ha voluto sapere.

    — Ho un amico vegetariano, sai? Giochiamo a scacchi, ogni tanto.

    — Scommetto che vinci sempre tu perché lui non vuole mangiare il cavallo.

    — Ti sento in forma. Io invece sto invecchiando più in fretta del previsto. In ogni caso è crudele da parte tua. Non puoi associare un posto così affascinante a un ricordo doloroso. Il tramonto sulle mura medievali degli edifici che circondano la piazza, le stradine che si arrampicano sui fianchi della montagna, la fontana davanti alla chiesa. Voglio tornare a Castiglione dei Pepoli prima o poi, ci siamo divertiti insieme.

    Sì, come no. Per poco non ci facevamo ammazzare, in una di quelle inchieste in cui mi aveva trascinato e per le quali, aveva avuto persino il coraggio di coinvolgere sua moglie Lisa e la sua amica Enza¹. E tutto per aiutare Cicciobello, un amico nei guai.

    — E voglio tornare anche in quell’altro paesino meraviglioso, pieno di opere d’arte, si chiama Tolè se non ricordo… Ne hanno aggiunte altre?

    — Credo di sì. Mi hanno detto che adesso c’è un giardino per bambini che si chiama Birichinaia che quando ci venisti tu² ancora non c’era. Anch’io non ci torno, da un po’, in effetti.

    — Ci voglio venire con Lisa stavolta.

    — A proposito, Lisa sta bene?

    Leo risponde, lo sento ridacchiare dall’altra parte del telefono.

    — Mai stata meglio. La sua carriera di investigatrice abusiva si è conclusa con l’esperienza castiglionese. Tornando a Mara, pazienza se dopo la vostra rottura non vorrà visitare le tue borgate a valle, frequentate solo da spacciatori sovrappeso e disoccupati cronici, ma Castiglione no, non puoi rovinarglielo così.

    Finalmente

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