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La Controbanda: Corradi indaga a Calice
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La Controbanda: Corradi indaga a Calice
E-book132 pagine1 ora

La Controbanda: Corradi indaga a Calice

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Info su questo ebook

Il maresciallo Corradi potrebbe godersi qualche giorno di meritato riposo a Calice Ligure, paese della riviera di Ponente sospeso tra mare e monti… Potrebbe, ma s’imbatte in un mistero emerso dal passato che lo costringerà, per fermare un assassino senza scrupoli, ad indagare in un clima di crescente tensione su uno degli ultimi, drammatici sprazzi del fascismo ormai al crepuscolo, fino alla terribile resa dei conti.
LinguaItaliano
Data di uscita20 gen 2013
ISBN9788875638443
La Controbanda: Corradi indaga a Calice

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    Anteprima del libro

    La Controbanda - Armando D'Amaro

    Cop_13016_controbanda.jpg

    Il nostro indirizzo internet è:

    http://www.frillieditori.com

    info@frillieditori.com

    impaginazione

    Michela Volpe

    editing

    Marco Codignola

    Marco Codignolacopyright © 2012 Fratelli Frilli Editori

    Via Priaruggia 31/1, Genova – Tel. 010.3074224; 010.3772846

    isbn 978-88-7563-844-3

    Armando d’Amaro

    La Controbanda

    Corradi indaga a Calice

    LogoFratelliFrilliEditori.JPG

    Fratelli Frilli Editori

    PROLOGO

    Due febbraio 1945

    La tormenta che infuriava fino alla sera prima è completamente cessata; la luna, alta nel cielo scuro ma terso, è piena ed illumina il paesaggio coperto da un bianco manto uniforme.

    Una colonna formata da una trentina di uomini stranamente silenziosi si snoda su strade in salita sempre più coperte di neve. Prima di mettersi in marcia avevano bevuto una dose abbondante di grappa per meglio resistere al freddo, indossato lunghe e chiare giacche a vento sulla divisa, sistemato strisce di caricatori a crociera sul petto, riempite la tasche di bombe a mano e, messe a tracolla le armi automatiche, avevano ascoltato le ultime raccomandazioni del loro comandante, un tenente poco più che ventenne.

    Dopo un tragitto percorso su un camion coperto, sono stati fatti scendere e stanno camminando da ore, compiendo un lungo giro vizioso; le giovani gambe si muovono in modo cadenzato, l’addestramento ricevuto in Germania era servito anche a sopportare la fatica.

    Sono tutti tesi all’azione imminente, tranne chi chiude la fila: ha un pensiero fisso in testa che non riesce in alcun modo a scacciare. Tenendo gli occhi sul piccolo lanciafiamme che dondola sulla schiena di chi lo precede alza i piedi quasi automaticamente per ricacciarli nelle orme appena tracciate. Il cervello gli proietta un’immagine vivida: un giovane viso sorridente di donna. Non riesce a pensare altro che a lei da quando, affacciato al ponte sul torrente Pora, l’ha vista al lavatoio della roggia. Poi gli viene in mente una canzone: le donne non ci vogliono più bene perché portiamo la camicia nera[1]… e ripetendo mentalmente ed ossessivamente quella prima strofa, continua a camminare.

    Anticipati dagli sbuffi bianchi provocati dal loro respiro affannoso, dopo un’altra ora di marcia gli uomini raggiungono la sommità del colle, ad oltre mille metri di altezza: qui l’ufficiale ordina l’alt con un gesto.

    La neve supera il metro di altezza, in qualche punto il vento ne ha accumulata quasi due; gli alberi intorno sono gravati dal peso della coltre candida. Il tenente indica, uno dopo l’altro, undici giovani: sono quelli che dovranno seguire lui e l’uomo con il passamontagna che gli si è posto accanto. I prescelti indossano l’elmetto, tolgono la sicura alle armi ed iniziano la discesa verso la piccola conca poco più in basso. Strisciando silenziosi sulla neve altissima arrivano in vista del loro obiettivo: un gruppo di tende e baracchette le cui sagome risaltano al chiarore della luna.

    [1] Le donne non ci vogliono più bene/perché portiamo la camicia nera./Hanno detto che siamo da galera./Hanno detto che siamo da catene./L’amore coi fascisti non conviene/Meglio un vigliacco che non ha bandiere,/uno che serberà la pelle intera,/uno che non ha sangue nelle vene./Ce ne freghiamo. La signora morte/fa la civetta in mezzo alla battaglia,/si fa baciare solo dai soldati./Forza, ragazzi, fatele la corte!/Diamole un bacio sotto la mitraglia/lasciamo le altre donne agli imboscati!

    Composta da Mario Castellacci

    Due febbraio, sessantadue anni dopo

    Maresciallo, c’è qualcosa che non va?.

    Il corpulento brigadiere attende una risposta dal suo diretto superiore, appoggiato alla balaustra che dà sulla foce del torrente Sturla.

    Corradi ha fatto fermare l’auto senza spiegazioni ed ora sta lì ad osservare, apparentemente senza interesse, le persone sulla spiaggia: qualche pescatore accanto alla propria barca, una coppia di mamme che chiacchierano senza perdere di vista i loro pargoli, un ragazzo che fa correre un cane.

    La mattina invernale è soleggiata.

    Scusa Mariano, risponde l’investigatore dei carabinieri togliendosi il bastoncino di liquirizia di bocca stavo pensando a quante ne abbiamo passate: all’impegno, al sangue che abbiamo sputato noi tutti per fermare quel….[1]

    Ma ormai è finita lo interrompe il graduato non ci pensi più! E poi da oggi non è in ferie per una settimana?.

    Hai ragione, hai proprio ragione: torniamo in macchina.

    Appena seduti sulla vettura il brigadiere chiede: dove vuole andare?.

    Portami a casa: ho promesso ad una vicina di accompagnarla fuori Genova per un’incombenza poco piacevole, ed alle due dobbiamo essere là.

    Mariano, gettata un’occhiata nello specchietto retrovisore ed una davanti a sé, compie un’inversione di marcia immettendosi nel traffico che sale verso piazza Sturla, raggiunge la sommità di via Cavallotti, supera Albaro, attraversa corso Gastaldi imboccata da via Pozzo, scende in piazza Terralba e gira a sinistra infilando via Donghi. Corradi scende dall’auto priva di contrassegni e, prima di richiudere la portiera, saluta calorosamente Mariano: non combinare pasticci in mia assenza: se hai dei problemi chiamami, questa sera sarò di nuovo qui e comunque terrò il cellulare sempre acceso.

    Maresciallo, si diverta e cerchi di staccare un po’ il cervello. Abbiamo bisogno di lei fresco e riposato e… non riprenda a fumare!.

    L’investigatore sorride stazionando qualche secondo sul portone di casa, osservando il suo braccio destro che si allontana, quindi si gira ed alza la mano per schiacciare con l’indice un pulsante del citofono.

    Maresciallo, è lei?. Risponde una voce femminile.

    Sì, sono appena arrivato, salgo un attimo da me a prendere qualcosa ed a darmi una rinfrescatina. Giusto cinque minuti, poi possiamo andare.

    Va bene, allora ci vediamo sotto: a prestissimo!.

    Corradi spinge il portone, imbocca la scala destra, sale in ascensore fino al quinto piano e, apertane la porta, entra nel suo appartamento. È piccolo ed arredato in maniera essenziale, la camera da letto ed il bagno sono ordinatissimi, in cucina invece regna il caos: appunti fermati da calamite su una lavagnetta ricordati di comprare, un fascicolo aperto sul tavolo, una cartina di Genova ormai colma di segni di evidenziatore attaccata al frigo con il nastro adesivo.

    Il maresciallo fa qualche goccia d’acqua, si lava velocemente mani e denti, mette una camicia azzurra estratta, stirata, da un cassetto, si infila un maglione blu e torna ad indossare il giubbotto in pelle. Nelle tasche capaci infila il caricabatteria del cellulare, un paio di mutande ed uno di calzini, uno spazzolino da denti ancora sigillato; poi richiude la porta e, scese le scale, torna in strada.

    Sul marciapiede lo aspetta una giovane donna sorridente, anche lei indossa un giubbotto, ma di nylon verde militare con il colletto in pelo: i jeans aderenti sono infilati in un paio di stivali stringati, vicino ad essi, sul selciato, una valigetta di tessuto rosso.

    Maresciallo, lei non ha bagaglio?. Chiede stupita.

    Le ho già detto che per questa sera voglio essere a casa.

    La donna non insiste ma pensa: Ti farò cambiare idea.

    I due scendono una scaletta in ferro e si ritrovano nel piazzale del garage Siri.

    Sergio, dov’è la mia macchina?.

    L’uomo interpellato, senza rispondere, si inoltra nella autorimessa e poco dopo esce alla guida della Golf del maresciallo, ne scende e: Eccola servita. Faccia benzina, è quasi a secco.

    Grazie, risponde l’investigatore, ci rivediamo stasera.

    E così dicendo, fatta accomodare la donna sulla poltroncina tenendole la portiera aperta e sistemata la sua valigetta sul sedile posteriore, si siede al posto di guida e parte.

    Maresciallo, ha già mangiato?.

    Sì, un paio di tramezzini, e lei?.

    Anche io mangio poco a mezzogiorno, ma a cena mi rifaccio!.

    Attraversato corso Sardegna, Corradi prende via Archimede, passa sotto le torri di Corte Lambruschini e, percorso viale Brigate Partigiane, imbocca la sopraelevata.

    Signora, quanto c’è da qui a Calice Ligure?.

    Una settantina di chilometri. Ma non possiamo darci del tu?.

    Va bene.

    Io mi chiamo Iolanda. Quindi si volge con aria interrogativa verso l’uomo.

    Non sono abituato ad usare il nome di battesimo, mi chiamano Corradi tutti, anche gli amici.

    Non mi soddisfa, sono una donna curiosa ed immagino che, con il lavoro che fai, non accetteresti neanche tu una risposta evasiva… allora?.

    L’investigatore attende qualche momento prima di parlare. Quando rallenta e si ferma per ritirare il biglietto dell’autostrada alla barriera di Sampierdarena, si gira verso di lei e, un po’ imbarazzato: Isidoro, mi chiamo Isidoro, come mio nonno.

    Bello, mi piace, finalmente un nome diverso dal solito. Grazie.

    Corradi prende la direzione per Savona e, percorrendo l’altissimo viadotto che scavalca la val Polcevera, si domanda cosa voglia realmente da lui quella donna. Ma forse lo sa già. Dopo qualche chilometro e alcuni minuti di silenzio, chiede a sua volta: Da quanto tempo sei separata?.

    Quasi un anno.

    Sarà stata dura, so che hai un figlio che è rimasto con il padre….

    Cos’è, una piccola vendetta alla mia indelicatezza per averti chiesto il tuo nome di battesimo?. Poi, dopo qualche secondo: No, scusa, non volevo essere sgarbata, ma per me è un argomento triste, una piaga ancora aperta.

    Perdonami tu, non volevo essere indiscreto.

    Non ti preoccupare, prima o poi te ne parlerò, verrà il momento.

    Il viaggio prosegue velocemente; poco prima dell’uscita di Spotorno Corradi abbassa la radio e chiede:

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