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Boccadoro e la calda estate: Genova, 1940
Boccadoro e la calda estate: Genova, 1940
Boccadoro e la calda estate: Genova, 1940
E-book223 pagine2 ore

Boccadoro e la calda estate: Genova, 1940

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Info su questo ebook

Genova, 9 giugno 1940: la città è attanagliata da un caldo soffocante e dal timore per l’entrata dell’Italia nel conflitto che già lacera i Paesi vicini. Il commissario Boccadoro viene incaricato di indagare sullo strano caso di una falsa banconota da cinquecento lire, lasciata in una cassetta delle elemosine nella chiesa di Santa Maria delle Vigne e spacciata da don Giorgio, sacerdote “orfano” della sua Valle d’Aosta. Le indagini portano presto a individuare chi ha realizzato il cliché – un noto falsario morto però anni prima – ma il caso si complica quando una coppia rimane vittima di un feroce agguato davanti al ristorante San Pietro, alla Foce: chi è la donna rimasta gravemente ferita? Quale
piano si sta ordendo nell’ombra e quale ruolo vi giocano i biglietti falsi che continuano a saltare fuori? Mentre Mussolini dichiara guerra e i primi bombardamenti colpiscono Genova e Savona, Boccadoro combatte su due fronti: convincere sua moglie a “sfollare” con i figli a Calice Ligure e rincorrere un’ombra che sembra essere tornata dal passato. Sul finale incombe la sagoma possente del transatlantico Conte Rosso, che giunge in Porto per imbarcare…
Anche in questo terzo avvincente romanzo (dopo Nero Dominante e Boccadoro e il cappotto rosso) della serie ambientata ai tempi del fascismo, l’autore ha ricostruito in maniera storicamente convincente sia una Genova in parte scomparsa, sia personaggi noti che interagiscono con quelli di invenzione, sia speranze, paure e ideologie allora imperanti. In queste pagine il dolore e la morte sono certo presenti, ma stemperati dai dolci momenti privati che l’umanissimo commissario cerca di donare a sua moglie Elena e ai figli Giulia, Irma e Umberto, a tratti veri dominatori della scena.

Armando d’Amaro, nato a Genova nel 1956, vive a Calice Ligure. Dopo studi classici e laurea in giurisprudenza ha praticato attività forense e accademica, abbandonate per dedicarsi alla scrittura noir e alla critica d’arte moderna. Per Fratelli Frilli Editori ha pubblicato Delitto ai Parchi (2007), La Controbanda (2007; 2016 in Italia Noir per Repubblica-l’Espresso), La farfalla dalle ali rosse (2008), Liberaci dal male (2010, col criminologo Marco Lagazzi), Il testamento della Signora Gaetani (2014), La mesata (2016), Nero Dominante (2017), Boccadoro e il cappotto rosso (2018), Il maresciallo Corradi e l’evaso (2019) e ha curato le antologie Incantevoli stronze (2008), Donne, storie al femminile (2009), Una finestra sul noir (2017); 44 gatti in noir (2018) e Tutti i sapori del Noir (2019) altri racconti sono usciti in raccolte per altri editori o su riviste; il suo monologo Atlassib è rappresentato con successo a teatro; numerosi i testi scritti per artisti, tradotti anche in inglese e russo.
LinguaItaliano
Data di uscita26 mag 2020
ISBN9788869434433
Boccadoro e la calda estate: Genova, 1940

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    Anteprima del libro

    Boccadoro e la calda estate - Armando D'Amaro

    DOMENICA 9 GIUGNO 1940

    LA VIGILIA

    "Abbassa la tua radio per favor, se vuoi sentire i battiti del mio cuore, le cose belle che ti voglio dir tu solo amore mio dovrai sentir…"¹. Elena, in sottoveste, canticchia davanti allo specchio che tiene con la mano sinistra mentre con l’altra cerca di dare ai capelli l’onda voluta, imponendo le pieghe con un ferro riscaldato sul fornello della cucina economica. Vuole fare in fretta: il piccolo Umberto dorme ancora sul letto matrimoniale disfatto, Giulia e Irma sono andate a messa, suo marito è già uscito garantendole che sarebbe tornato presto… lei deve ancora sistemare il disordine che c’è in giro, preparare il pranzo e vestirsi.

    È vero, sono appena passate le nove, ma vuole fare bella figura con il suo giovane cugino, che dovrebbe arrivare da Finale Ligure con il treno delle undici e cinquanta; la stazione Brignole non è lontana, per raggiungere corso Sardegna impegnerà pochi minuti, e tre ore passeranno in fretta.

    "Le mie parole tanto appassionate, son timide carezze profumate, abbassa la tua radio per favor perché io son gelosa del mio cuor…".

    ***

    Georges Bionaz – don Giorgio per i suoi parrocchiani - dice la messa molto più in fretta del solito; si mangia un sacco di parole prima di pronunciare il fatidico ite missa est per congedare i fedeli con un rapido segno della mano e raggiungere a grandi falcate la sacrestia mentre loro, rispondendo Deo gratias, lo osservano increduli quando quasi travolge il ragazzino che lo ha assistito nella funzione.

    Dopo qualche istante, liberatosi dei paramenti, il sacerdote torna in chiesa, supera l’altare facendosi un rapido segno della croce e raggiunge l’esterno.

    ***

    Finalmente Bruno, eccoti.

    Ciao Leo, scusa il ritardo. Si giustifica l’altro, scendendo dalla bicicletta. Ma tu come sei venuto?.

    In taxi. Risponde l’uomo con vestito e panama bianchi.

    Ti tratti bene. Commenta il suo compare togliendosi le mollette dall’orlo dei pantaloni.

    Se tutto andrà come deve lo potrai prendere anche tu, ogni giorno.

    I due uomini si scambiano una stretta di mano ai margini della strada bianca, resa quasi accecante dal sole; la luce radente riesce a ferir loro gli occhi nonostante entrambi indossino occhiali scuri.

    Oggi ci vorrebbe una maschera da saldatore, esclama quello appena arrivato, e siamo soltanto a giugno. Che dici, prendiamo qualcosa da bere in quel locale?, indicando un’insegna che troneggia su un edificio poco distante.

    Buona idea, andiamo, conferma l’altro, più basso e scattante. Ma portati dietro il tuo velocipede, non si sa mai passasse qualche malintenzionato!.

    Dopo aver riso i due si incamminano fianco a fianco raggiungendo un gruppo di tavolini disposti in un’aia ombreggiata da un pergolato di vite, punteggiato da grappoli in via di maturazione; non vedendo nessuno, suonano una campanella appesa fuori da quella che sembra una casa colonica più che una locanda.

    Accidenti a quest’aria africana, sbotta, spalancando la porta, un anziano col ventre prominente coperto da un grembiule macchiato. Desiderate? Non serviamo ancora da mangiare, è presto.

    Una caraffa di vino bianco ben freddo ce la può portare?. Domanda Bruno.

    Quella sì.

    Quando il vecchio si allontana borbottando i due rimangono qualche tempo senza parlare, inebriati dal profumo di tiglio portato dalla brezza tiepida, mentre nessun sussurro di scorrere d’acqua si ode provenire dal letto del Bisagno, dall’altra parte della strada polverosa.

    Dopo aver ricevuto e pagato quanto richiesto, l’uomo giunto in bicicletta chiede: Stai procedendo come previsto?.

    Sì, non ti preoccupare. Ecco, tirando fuori una busta dalla tasca interna della giacca, per consegnargliela, guarda bene e dimmi cosa ne pensi.

    Dopo aver attentamente esaminato il contenuto del plico, che ha aperto sulle ginocchia, sotto il piano del tavolo, l’altro sbotta: Caro Leo, sono ottime. Puoi lasciarmi anche queste?.

    Per quale motivo? Sono sempre di prova.

    Le metterò insieme alle prime. Mi servono per farle intravedere a chi di dovere, perché si convinca che facciamo sul serio e che i soldi per portare a termine l’operazione non mancano…comunque direi che ti sei superato.

    Grazie, ho dato fondo alla mia vena artistica: grafica e colori sono la mia specialità.

    Quanto tempo ti ci vorrà per completare il quantitativo?.

    In questo momento sono alla ricerca della carta, quella che ho usato finora, nonostante i tuoi complimenti, non mi convince.

    È così difficile trovare quella adatta?.

    . Risponde l’altro, accarezzandosi i baffi sottili.

    Ti posso aiutare?.

    No, ho già una mezza idea. Tu pensa a mantenere i contatti: al momento opportuno tutto deve essere pronto e girare come una macchina ben lubrificata.

    Hai ragione, tornerò a parlare con il corvo, non vorrei cambiasse idea.

    Non credo, mi hai detto che ha troppo a cuore l’aiuto per quelle persone, e il tempo per loro stringe.

    Allora beviamocene un altro, prima che si scaldi.

    Buona idea.

    Dopo aver svuotato il bicchiere, Bruno chiede: Come rimaniamo?.

    Ci ritroviamo davanti alla tomba di Mazzini, alla stessa ora, tra due giorni.

    Credi siano necessarie tutte queste precauzioni?.

    Non vorrei sbattere la faccia, facendomi vedere troppo in centro, contro qualche vecchia conoscenza.

    Va bene, ma allora dove ti vai a rintanare?. Chiede Bruno, pur sapendolo per averlo seguito.

    Vai, vai, replica l’altro senza rispondere, e per quando ci rivedremo sistema una cassetta con un po’ di verdura sul portapacchi sulla bicicletta, non si sa mai.

    ***

    Sono appena sceso dal filobus della linea H, che da corso Galliera mi ha trasportato fino a piazza De Ferrari; prendo dal taschino della giacca il fazzoletto e mi asciugo la fronte, poi mi accendo una Serraglio; la mia meta non è lontana.

    Percorrendo in discesa via San Lorenzo mi fermo davanti al Duomo, incuriosito dal gruppo di operai al lavoro davanti al portale e intorno ai marmorei leoni eretti a guardia della scalinata.

    È previsto un restauro?. Chiedo.

    Quello che sembra il capomastro, dopo avermi sorriso di sbieco, si mette le mani sui fianchi e mi spiega: Dobbiamo costruire mattonate di protezione.

    Da cosa?. Domando stupidamente.

    In previsione di attacchi nemici. Evidentemente i preti sono al corrente di qualcosa di preciso che noi non conosciamo ancora.

    Lo saluto e, riprendendo a camminare, penso all’annuncio diramato soltanto tre giorni fa – Quanto prima il Duce convocherà il popolo Italiano nelle Piazze – e a come effettivamente da settimane per strada, in ufficio e nei locali pubblici² non si parli che del giorno in cui l’Italia entrerà in guerra; qualche giorno prima molti studenti, in corteo, avevano percorso via XX Settembre scandendo Corsica, Nizza, Tunisi, Gibuti, per dimostrare il loro assenso alle pretese del regime verso la Francia.

    Ma continuo, evidentemente, a rimuovere quel pensiero, anche per cercare di proteggere Giulia e Irma, che avevo tranquillizzate sul fatto che, secondo me, il Duce non prenderà quella decisone, nonostante che, proprio in previsione dell’inizio del conflitto, la chiusura delle scuole sia stata anticipata anticipata al trentuno maggio.

    Di cattivo umore mi inoltro nei vicoli che ormai ho imparato a conoscere, imboccando via di Scurreria, la discesa che scivola nel vecchio cuore della città. Camminando accompagnato da un alito di vento caldo osservo le facciate delle case antiche accarezzate dai raggi del sole, quando – tra finestre serrate da persiane verdi – mi appare l’edicola della Madonna della Concezione.

    Non avevo mai avuto occasione di guardarla con attenzione: Maria, quasi eterea, appare perfusa dalla grazia mentre rivolge a Dio le sue preghiere per i genovesi – che la vollero come loro regina – circondata da un tripudio di putti vivaci e sorridenti.

    Quando sposto lo sguardo alla base della scultura, sulla scritta Imperet et impetret, non posso fare a meno di chiedere la sua intercessione perché ci protegga da quanto sta per accadere.

    Poi riprendo il mio cammino e, superando botteghe sovrastate da fastosi palazzi nobiliari, arrivo in piazza Campetto, dove non riesco a trattenermi dall’entrare in un locale per gustare un caffè accompagnato da un dolce.

    L’uomo dietro al banco, vedendomi sorridere, me ne chiede il motivo; farfuglio un qualcosa sul bel tempo, mentre in realtà – vagando col pensiero – ricordo il gusto incomparabile della sfogliatella che mi servivano, nel mio locale preferito, a Napoli.

    Poco dopo, rinfrancato, raggiungo la mia meta varcando un portone racchiuso da colonne neoclassiche. Entrato nella basilica di Santa Maria delle Vigne, la attraverso percorrendo la navata laterale per raggiungere la sagrestia, ma la porta è chiusa. Torno sui miei passi e mi avvio verso l’uscita dove, sopra un tavolino, noto una piccola pila di giornali: il bollettino parrocchiale.

    Mentre ne infilo una copia in tasca una voce alle mie spalle bisbiglia: Cerca il prete montanaro?.

    Scusi?. Chiedo girandomi verso l’interlocutrice, una vecchia sdentata.

    L’ho vista entrare e andare dritto verso la sacrestia.

    Effettivamente sì.

    È un questurino?.

    Perché, lo sembro?.

    Sì. Comunque non troverà don Giorgio nemmeno nel suo alloggio: è scappato fuori dopo aver terminato in fretta la funzione.

    Vuol dire che tornerò, grazie.

    Sapevo che prima o poi sarebbe successo, trattenendomi per la giacca, quel sacerdote è un gran bevitore.

    Questo non giustificherebbe….

    Sa che lo hanno mandato qui, mi interrompe, lontano dal suo paese, per punizione?.

    Evidentemente il vino lo aiuta a sopportare il nuovo ambiente, commento sarcastico.

    Sembra che tenga sotto il letto una botticella piena di vino, prosegue l’anziana beghina senza cogliere la mia ironia, dalla quale attinge, durante la notte, con un tubo.

    Mi pare una stupidaggine.

    Ma lui stesso, durante una predica, ha raccontato di come il Vescovo di Aosta si fosse raccomandato con lui di limitarsi a un solo bicchiere a pasto.

    Invece?.

    Ha detto di essersi solennemente impegnato alla consegna, munendosi di un boccale grande come un vaso da fiori.

    Signora mi scusi, ma….

    E sono convinta, prosegue senza darmi tregua, che sia stato trasferito anche perché al suo paese non disdegnava la compagnia di donne poco serie: immagino la sua ombra lunga e massiccia aggirarsi vicino alle case di libertine con il marito lontano per lavoro. Perché anche qui, con Maria Caterina….

    ***

    Georges Bionaz sovrasta in altezza, le mani sui fianchi e un sorriso contagioso, l’altro sacerdote, un giovane pretino all’apparenza fragile, che gli chiede: Cosa desiderate?.

    Francesco, sai chi sono no?.

    .

    Non potremmo darci del tu?.

    Va bene, ma la mia domanda non cambia.

    "So che sei molto vicino all’Arcivescovo³ ".

    Sì, mi ha ordinato lui sacerdote, nella cattedrale di San Lorenzo, e godo della sua fiducia. Ma questo non vuol dire che io possa….

    Scusa se ti interrompo, ma non son qui a chiederti nessun piacere.

    E allora?.

    Le Vigne e San Siro sono vicine, e un giorno sono venuto a sentirti predicare.

    Grazie, ma non vedo perché. Credo tu sia un ottimo sacerdote.

    Nonostante quello che si dice su di me?.

    Anzi, proprio per quello: il cardinale mi ha raccontato i veri motivi che hanno provocato il tuo allontanamento dalla Valle.

    Bene, allora potrò essere ancor più chiaro. Ti stavo per dire di come mi avevano colpito le tue parole sul diritto che hanno i deboli di essere difesi, nella loro totalità: oltre agli affamati, agli infermi e ai senza tetto, avevi fatto riferimento agli oppressi.

    L’ho detto e avrò modo di ribadirlo perché lo credo profondamente.

    Tutti i perseguitati, senza distinzione di religione?.

    Certo.

    E faresti di tutto per aiutarli, eventualmente, perché possano raggiungere luoghi sicuri?.

    ***

    Rientro nel portone di casa accompagnato dai dodici rintocchi della campana di Santa Fede, sperando che Elena sia di buon umore.

    Mentre salgo le scale la immagino stanca, forse insoddisfatta per non aver avuto il tempo di preparare tutto quello che aveva progettato per il pranzo domenicale, ben sapendo che, quando è irritata, cerca un colpevole trovandolo invariabilmente nel sottoscritto: fosse così semplice, sul lavoro, anche per me!

    Invece, quando apro la porta, la mia dolce metà mi accoglie con un sorriso raggiante e un’occhiata che, catturando completamente i miei sensi, dirada le cattive sensazioni trasmesse dalla donna incontrata in chiesa.

    Togliti la giacca e vatti a lavare le mani, Giovanni non dovrebbe tardare.

    Dopo aver ricambiato Umberto, che mi salta al collo riempendomi di baci, e risposto alle ‘bambine’, che dalla loro camera urlano bentornato genitore!, mi dirigo in bagno.

    Nello specchio osservo un viso affilato che alle volte quasi non riconosco, la chioma scura – domata dalla brillantina – che sulle tempie inizia a essere punteggiata da capelli bianchi, il fermacravatta d’oro donatomi da mio padre per la laurea, nel dicembre del ’22, che serberò per sempre a suo ricordo. Poi mi fisso negli occhi, e nei miei ritrovo quelli di mia madre, e il pensiero corre a quando – da poco tornato dal fronte provato dalle miserie della guerra – dovetti affrontare la sua disperata, quanto inutile, resistenza alla febbre spagnola, ammirato dalla sua forza d’animo e commosso dall’amore che fino all’ultimo mi dimostrò cercando, dopo avermi lanciato un ultimo bacio, di allontanarmi dal suo letto di morte con deboli ma perentori gesti ai quali non potei ubbidire.

    Mi scuoto e raggiungo il salotto, sostituendo l’espressione che si era fatta triste con quella briosa che cerco sempre di mantenere in casa, proprio mentre suona il campanello: vado ad aprire e mi trovo davanti il cugino calicese di Elena, gli occhi vivaci sotto un ciuffo ribelle.

    Benvenuto, accomodati, lo saluto stringendogli la mano. Poi, rivolto alla cucina: Elena, è arrivato Giovanni!.

    Poco dopo ci ritroviamo tutti insieme, seduti intorno al tavolo a divorare le squisite tagliatelle al ragù preparate da mia moglie. In attesa della seconda portata Irma chiede all’ospite: Perché Calice si chiama così?.

    Credo dipenda, rispondo al suo posto, alzando il bicchiere, dalla sincera e profonda devozione di molti dei suoi abitanti al nettare di Bacco.

    Effettivamente, conferma ridendo il giovane, non è raro incontrare novelli Noè in doveroso pellegrinaggio alle varie mescite – più o meno autorizzate – del nostro paese, per spegnere la sete che li anima.

    Guardate che vi sento, grida Elena dalla cucina, smettetela, tutti e due!.

    Comunque il nostralino che ci hai portato è gustoso, commento rivolto a Giovanni, anche se ha un retrogusto leggermente salmastro.

    Le nostre colline sono vicine al mare, replica lui, e, a proposito, per tornare al quesito di Irma, scarterei la teoria che Calice avrebbe preso il nome dalla forma dei rilievi che circondano l’abitato, così come quella che vagheggia di vocaboli arabi importati dai Saraceni o della improbabile traduzione dal latino, attraverso il dialetto del posto, del termine che indica un’erba tipica del fondovalle.

    E allora?, Giulia sollecita il coetaneo, dicci cosa ne pensi tu.

    "Credo che la

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