Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Buzzati in musica: L'opera italiana nel dopoguerra. Prefazione di Angelo Foletto
Buzzati in musica: L'opera italiana nel dopoguerra. Prefazione di Angelo Foletto
Buzzati in musica: L'opera italiana nel dopoguerra. Prefazione di Angelo Foletto
E-book377 pagine4 ore

Buzzati in musica: L'opera italiana nel dopoguerra. Prefazione di Angelo Foletto

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

«Ordunque, nel tormentato ventennio dei compositori della “generazione di congiuntura” visse, e partecipò attivamente ai loro problemi, lo scrittore Dino Buzzati. Ed era inevitabile che un autore di tale importanza, nuovo e vario qual era nelle tematiche e nelle ideazioni, dovesse interessare ai compositori a lui contemporanei.»
Della figura poliedrica di Dino Buzzati (Belluno, 1906 – Milano, 1972), scrittore, cronista, pittore, si è detto moltissimo. Poco o nulla si conosce, invece, della sua fervente attività di librettista d’opera, scenografo e costumista.
In occasione dei cinquant’anni dalla sua scomparsa, torna in libreria questo volume scritto nel 1987 dal compositore Luciano Chailly, di cui pure ricorre il ventennale della morte e al quale Buzzati era legato da un rapporto di profonda amicizia e di intensa collaborazione artistica. Si profila così un affresco composito e sorprendente delle reciproche influenze tra il mondo musicale italiano del secondo dopoguerra e la narrativa allucinata, abissale e immaginifica dell’autore del Deserto dei Tartari.
Testimonianza preziosa di una stagione culturale ormai tramontata, Buzzati in musica offre uno spaccato del milieu artistico che caratterizzava la Milano – e l’Italia – di metà Novecento attraverso le lenti di due tra i suoi protagonisti più significativi. Il compositore, da una parte, con le sue lucide riflessioni intorno alle conquiste e ai limiti di avanguardie vecchie e nuove; e lo scrittore, dall’altra, il cui sguardo penetrante sulle cose ritrova, nella potenza evocativa e misteriosa della musica, un linguaggio d’elezione.
Questo volume contiene, in appendice, i libretti d’opera di Procedura penale e di Era proibito, a firma di Dino Buzzati, e quattro racconti dello scrittore da cui furono tratte opere liriche: Il mantello, Eppure battono alla porta, La giacca stregata, Non aspettavano altro.
LinguaItaliano
Data di uscita3 ott 2022
ISBN9788863954036
Buzzati in musica: L'opera italiana nel dopoguerra. Prefazione di Angelo Foletto

Correlato a Buzzati in musica

Ebook correlati

Musica per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Buzzati in musica

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Buzzati in musica - Luciano Chailly

    LUCIANO CHAILLY

    BUZZATI IN MUSICA

    L’OPERA ITALIANA NEL DOPOGUERRA

    Prefazione di Angelo Foletto

    I libretti d’opera Procedura penale ed Era proibito sono di proprietà di Casa Ricordi S.r.l., una società di Universal Music Publishing Group, e riprodotti per gentile concessione di Hal Leonard Europe BV (Italy).

    I racconti Il mantello, Eppure battono alla porta, La giacca stregata, Non aspettavano altro sono riprodotti per gentile concessione di Arnoldo Mondadori Editore S.p.A.

    L’editore ringrazia i proprietari delle immagini riportate nel presente volume per la gentile concessione. Le immagini alle pagine 86 e 107 sono di proprietà degli eredi di Luciano Chailly; le immagini alle pagine 149 e 189 sono di proprietà della Fondazione Teatro alla Scala (ph. Erio Piccagliani); tutte le altre immagini sono di proprietà degli eredi di Dino Buzzati.

    L’editore, esperite le pratiche per acquisire i diritti di riproduzione delle immagini prescelte, è a disposizione degli aventi diritto per eventuali lacune o omissioni.

    Redazione: Jansan Favazzo

    Impaginazione: Francesca Centuori, Samuele Pellizzari

    Proprietà per tutti i Paesi: Edizioni Curci S.r.l. – Galleria del Corso, 4 – 20122 Milano

    © 2022 by Edizioni Curci S.r.l. – Milano

    Tutti i diritti sono riservati

    EC12345 / ISBN: 9788863950946 (edizione cartacea); 9788863954036 (edizione digitale)

    www.edizionicurci.it

    INDICE

    Prefazione di Angelo Foletto

    Prefazione alla prima edizione

    Preludio

    PARTE I

    BUZZATI E LA MUSICA

    Gli spunti musicali nella narrativa di Buzzati

    La ricerca dei nomi propri in funzione espressiva

    Alcune opinione di Buzzati sul mondo della musica

    Il cronista di argomenti musicali

    PARTE II

    L’AVVENTO DI BUZZATI NELLA STORIA DEL LIBRETTO D’OPERA

    I librettisti del primo Novecento italiano

    I librettisti del nostro anteguerra

    I librettisti del tempo di guerra

    I librettisti del dopoguerra (fino all’avvento di Buzzati)

    I librettisti contemporanei di Buzzati

    I librettisti dopo la morte di Buzzati

    Il teatro lirico di Buzzati come librettista, scenografo e costumista

    Ferrovia soprelevata (1955)

    Procedura penale (1959)

    Il mantello (1960)

    Battono alla porta (1961)

    Era proibito (1963)

    La giacca dannata (1967)

    La fontana (1971)

    Paura della Scala (incompiuta)

    Sola in casa (incompiuta)

    PARTE III

    BUZZATI E IL BALLETTO

    Jeu de cartes (1959)

    Fantasmi al Grand-Hotel (1960)

    PARTE IV

    I MUSICISTI DI BUZZATI IN TEATRO, RADIO, TELEVISIONE E CINEMA

    Teatro

    Radio

    Televisione

    Cinema

    APPENDICE

    I libretti d’opera di Buzzati

    Procedura penale

    Era proibito

    Racconti di Buzzati che ispirarono opere liriche

    Il mantello

    Eppure battono alla porta

    La giacca stregata

    Non aspettavano altro

    Prefazione

    di Angelo Foletto

    Quando compositore e librettista, musicista e letterato si guardano negli occhi. Succede se praticano una lingua, per intelligenza e sensibilità teatral-musicale, comune. Nella storia dell’opera non è frequente. Più diffuso è il rapporto gerarchico, di sudditanza o diplomatica reciproca indipendenza operativa. Raro che il dialogo paritetico vada oltre la singola esperienza – pensiamo a Monteverdi-Busenello, Stravinskij-Auden, Calvino-Berio: è accaduto con Mozart e Da Ponte, Verdi e Boito, Strauss e Hofmannsthal e, appunto, Chailly e Buzzati. Anche se nel caso di Da Ponte, nonostante la propensione narcisistica e romanzesca delle sue testimonianze autobiografiche, il librettista veneto non ha mai rivendicato responsabilità oltre il ruolo di alta sartoria del verso né un confronto col musicista influente su forma o concezione dell’opera. Cosa che, in qualche stadio di collaborazione, tentò Hofmannsthal; prontamente rintuzzato dal compositore che tra musica e parola stava sempre e solo da una parte. Senza paragoni fu il colloquio tra Verdi e Arrigo Boito, fine e originale intellettuale, musicista non per hobby, e uomo di lettere non limitato (poeta, traduttore, librettista, romanziere, giornalista). La loro correlazione fu un miracoloso patto poetico-creativo tra pari grado. In alcune fasi di lavoro i ruoli gerarchici saltarono: fu il librettista a distogliere il compositore dall’idea di una scena di battaglia al culmine del terzo atto di Otello e molte imbeccate sue sono nella partitura di Falstaff.

    Non per sminuire una vicenda artistica particolare e protratta nel tempo, ci piace pensare che la forma di complicità operativa e poetica tra Luciano Chailly e Dino Buzzati sia stata diversa e unica. Moderna e schietta, segnata e rafforzata da pudori e cortesie da provinciali segretamente e vicendevolmente condivisi. Tenacemente arricchita con reciprocità intellettuale, amichevole e privata. Non facilmente classificabile se non per la qualità tenace degli esiti e metodica (e comune) voglia di mettersi alla prova in forme e soluzioni sceniche originali, con situazioni narrative svariate: opere, balletti, canzoni, progetti radiofonici. Il rapporto tra i due artisti, in questo senso, è stato rappresentativo come pochi altri nella storia della moderna librettistica. Lo accerta la seconda parte di Buzzati in musica. L’opera italiana nel dopoguerra, intitolata L’avvento di Buzzati nella storia del libretto d’opera. In tale sezione Chailly censisce e disegna, in alcuni casi dettaglia con gustose e concise annotazioni individuali, una minuziosa carta topografica della librettistica del secolo scorso fino al 1982, anno di prima stesura di Buzzati in musica (edito nel 1987). L’elenco è intrigante: raccoglie nomi e abbinamenti altrimenti non facilmente reperibili, e istruttivo in quanto consente di ripassare, riportandole alla memoria, situazioni teatrali e musicali oggi poco note o rimosse, seppure non trascurabili per la storia del teatro musicale italiano. Non fosse che per questo inventario, la rilettura dell’agile volumetto di Chailly ha ragion d’essere. Il corpo di Buzzati in musica è centrato a rievocare e ragguagliare con testimonianze e documenti che allora uscivano per la prima volta dell’archivio privato di Chailly le ragioni vere dell’incontro d’arte tra scrittore e musicista. Ma al libro pertiene in maniera appropriata il sottotitolo L’opera italiana nel dopoguerra.

    Spiegando, come riassume la nota editoriale dell’edizione originale, che l’oggetto secondario, ma non in secondo piano, delle pagine è il mondo del «melodramma contemporaneo […] opere che affrontano coraggiosamente il giudizio di un pubblico sovente distratto e poco conscio dell’importanza di tener vivo un settore che fu la massina gloria musicale italiana». Anche oggi è un mondo in insofferenza. Il rapporto tra pubblico e teatro musicale contemporaneo è distante, poco favorito nella conoscenza e familiarità dalle grandi (e piccole) istituzioni che, a differenza di ciò che avviene fuori d’Italia, danno poco e irregolare spazio ai nuovi autori con commissioni e messe in scena. Non avrebbe potuto immaginarlo Luciano Chailly che invece in queste vivide pagine, diaristiche ma a cuore aperto, cioè senza (auto)censure né rimpianti, evoca una stagione artistica vivace. Allora i titoli nuovi c’erano, andavano in scena, erano (vivacemente, spesso) giudicati dal pubblico e seguiti con attenzione e competenza dalla critica musicale di quotidiani e periodici (di cui ampi stralci, e non solo laudativi, sono riportati nel libro).

    In questa chiave la nuova edizione di Buzzati in musica – nel cinquantenario della morte di Buzzati e nel ventennale della scomparsa del maestro Chailly – è un’occasione doppiamente preziosa. Per riesaminare, attraverso le testimonianze d’autore, il colloquio intellettuale messo in pratica tra scrittore e musicista e concretizzato in quattro opere – più una postuma e a insaputa dell’autore del testo: L’aumento (1995), inedita fino alla prima esecuzione a Milano del 2006 – due balletti, tanti progetti, un gustoso epistolario, e l’amicizia salda e artisticamente complice che fondò e rinsaldò. Per riflettere su anni civilmente e culturalmente più vivaci – in un certo modo, perfino più coraggiosi – dei nostri.

    Quando uscì, Buzzati in musica era il quarto libro con cui Luciano Chailly aveva dato conto cronisticamente e cronachisticamente – Cronache di vita musicale (1973) è il titolo del secondo libro che, guarda caso, mette in copertina uno dei più celebri disegni teatrali di Buzzati schizzati privatamente per il compositore – delle sue vicende artistiche e personali. Da giornalista, compositore, didatta e testimone-protagonista che aveva declinato in vari modi e ruoli professionali, inclusa la direzione artistica del Teatro alla Scala, l’essere musicista militante. Già in Cronache di vita musicale, il secondo capitolo era Dino Buzzati e la musica, nucleo originario di Buzzati in musica. A cominciare dall’indimenticabile profilo dello scrittore, fatto dopo il primo incontro: «usciva all’improvviso fuori tema, avanzando, più attraverso il naso che per la bocca, frammenti di concetti che restavano a metà». C’è la penna del Buzzati disegnatore nella grafica di copertina di Cronache di vita musicale: un trenino infernale che esce dal pianoforte dell’autore e orna come un ricamo il biglietto del 23 settembre 1954 (in risposta a Chailly che aveva concluso la musica di Ferrovia soprelevata). Ulteriormente rielaborato divenne la copertina del libretto Ricordi del primo frutto della lunga amicizia e collaborazione col giornalista, scrittore, pittore e mancato musicista Buzzati: «l’incontro sicuramente più importante della mia vita (anzi per la mia vita)». E, quindi, il compositore lo racconta in più circostanze, prima di dare ai ricordi e alle riflessioni artistiche la metodicità critica del volume-studio del 1982.

    Aneddoti e cronache – relative alla preparazione del balletto Delitto al Grand-Hotel (titolo iniziale di Fantasmi al Grand-Hotel) e alla prima fiorentina del Mantello e di Era proibito alla Piccola Scala, ad esempio – li troviamo già in I Personaggi (1972). Qualche accenno alla fondamentale collaborazione ammicca in Taccuino segreto di un musicista (1974). E, anche in seguito, in Le variazioni della fortuna (1989) l’autore del Deserto dei Tartari è fotografato con l’autore in copertina – l’immagine si riferisce al dopo-prima di Fantasmi al Grand Hotel in Scala (1960) – e in tre capitoli ("L’incontro con Buzzati e Ferrovia soprelevata, Con Buzzati nascono due opere, un balletto ed una canzone da cabaret (e nel contempo è nata Cecilia), Il fiasco di Era proibito alla Piccola Scala di Milano") Chailly richiama esplicitamente testi precedenti.

    Buzzati in musica. L’opera italiana nel dopoguerra è invece un saggio vero e proprio. Da musicologo e critico musicale. Chailly raduna i documenti scritti e orali relativi alla collaborazione e tiene a freno l’(auto)biografo. La sua esperienza di collaboratore con Buzzati è inquadrata e dipinta con naturalezza e senza presunzione – anche se di sicuro fu molto invidiata – ma la cornice storica è larga. Il racconto dettagliato del lavoro a quattro mani si intreccia alla descrizione dell’atmosfera intellettuale della Milano di quei decenni. Attraverso la ricognizione sulle altre occasioni di collaborazione musicale e teatrale di Buzzati, Chailly espone quanto quella caratteristica figura di intellettuale – appartato ma vorace negli interessi, un po’ scapigliato nell’estro e nella molteplicità delle espressioni artistico-creative – sia stata significativa per l’ambiente culturale italiano nel suo complesso. Per altri versi Buzzati in musica, oltre a dare spazio al Buzzati uomo musicale (quanto deve all’opera Poema a fumetti? E in quanti racconti e romanzi buzzatiani la presenza della musica affiora? Chailly qui ne rileva molte), porta in primo piano l’impegno di una generazione di compositori – definita «di congiuntura» ma senza sciogliere il significato del sostantivo che racchiude in sé l’idea di crisi e insieme di passaggio – cui Chailly rivendica con fierezza l’appartenenza. «Una generazione piena di interessi ma per varie cause stordita e sbandata […] una specie di Legione straniera». Musicisti che scommettevano su sé stessi, spesso anche economicamente (la «preparazione del materiale» musicale d’una nuova opera era a carico dell’autore; l’editore interveniva, semmai, dopo con l’acquisto e gestendo il noleggio); contando nella possibile esecuzione in teatro ma insieme nel buon giudizio e nella soddisfacente stima della Commissione ministeriale che in base a una legge del 1935 dava un contributo ai giovani autori.

    In Buzzati in musica, Chailly riporta senza moralismi, ma come un documento d’archivio che riassume il clima ideologizzato montante, la suddivisione per casacche partitiche (d’appartenenza vera o presunta) dei suoi colleghi insediati in una sorta di «parlamento musicale». Del resto, per avere la temperatura politica di allora, basta ricordare le vicissitudini di Ferrovia soprelevata su cui – era il 1955 – puntò gli occhi la Censura allarmata per la presenza di un Vescovo che esorcizzava, redimendolo, un diavolo (la versione originale del copione radiofonico deviato poi in palcoscenico fu rappresentata postuma, nel 2009).

    Gli impegni storicistici di Buzzati in musica sono assolti esaminando gli altri autori delle opere che nacquero su spunti o libretti buzzatiani (Mario Bugamelli, Riccardo Malipiero, Giulio Viozzi e Gino Negri, i principali compositori) e dando spazio anche alle opere che, in prima esecuzione, furono abbinate agli atti unici di Chailly. Ma la sostanza forte del volumetto che oggi leggiamo con gusto immutato si ritrova, per prima cosa, nel respiro affettuoso e particolareggiato generale: la narrazione raduna e ordina con nostalgia e tenerezza ogni pensiero, schizzo, bozza, correzione, ritaglio stampa, conversazione privata scritta o tenuta a memoria, che hanno accompagnato e illuminato il dialogo dei dieci anni (meno qualche mese) di collaborazione con lo scrittore-pittore-giornalista meneghin-bellunese.

    Quando il 18 marzo 1994 al Politeama Garibaldi di Palermo, per la stagione del Teatro Massimo, furono eseguite in serata unica le tre operine Buzzati-Chailly – Procedura penale (1959), Il mantello (1960) e Era proibito (1963) – con la regia di Filippo Crivelli, amico degli autori e che aveva curato la prima messinscena di Procedura penale e la ricostruzione dei bozzetti originali di Buzzati, il compositore ferrarese aveva concluso la sua brillante attività di operista. Il catalogo allineava Vassiliev (1967), Markheim (1967), L’idiota (1970), Sogno (ma forse no) (1959), Il libro dei reclami (1975) e La cantatrice calva (1986). Ma quella rappresentazione, fedele nella proposta consecutiva alle intenzioni degli autori – che il trittico proposero invano; anche alla Scala – fu un’occasione artistica magnifica: per il valore degli interpreti e la cura della messinscena che esaltava, riprendendola, l’immaginazione scenico-pittorica buzzatiana. Toccante e istruttiva. Trent’anni dopo, le tre operine reggevano benissimo. Le musiche di forte impronta plastica, illustrative ma non meno osservanti nei confronti delle problematiche rappresentative moderne, e con la loro miscela di atmosfere affiancate per contrasto, spiegavano, senza bisogno di chiose, il profondo rapporto librettista-compositore e come fare teatro senza rinunciare a sé stessi. Finalmente riunito a Palermo, il trittico permise altresì di chiarire criticamente che ciò che in seguito Chailly scrisse per il teatro (e non solo) era alluso, pronosticato o sperimentato concretamente (certe soluzioni di canto o mimetismi vocal-strumentali) nelle opere su libretto di Buzzati. Attestando che il guardarsi negli occhi alla pari, che qui, pagina dopo pagina, viene evocato da Chailly, era stato un fertilizzante per la musica. Quei ragionamenti teatrali, il musicista non li avrebbe più dimenticati. Fu una fortuna che il suo giovanile anti-operismo si fosse subito arreso alla prima stretta di mano con l’autore del Deserto dei tartari. Alla stessa stregua non stupisce che il compositore ferrarese, dopo avere taciuto teatralmente per dieci anni, con L’aumento abbia riattivato la fantasia operistica nel nome del letterato che più di tutti l’aveva saputo capire e assecondare (e viceversa). Né sorprende che, se ne accenna di sfuggita, fosse in avanzato stato il cantiere di un’altra opera grande tratta dal racconto Paura alla Scala (e, ovvio, destinata al Piermarini). Sulle cui vicissitudini Chailly abbozzò poi un libello intitolato La Scala s’è rotta.

    Ultima notazione suggerita dalla ristampa di Buzzati in musica. La riconoscenza per come Chailly – rievocando i giorni di preparazione della messinscena, e il nascere musicale delle scenografie di palcoscenico – rimarca quanto il raccontare storie geniale e inconfondibile di Buzzati fosse legato alla pittura. Intrinseca alla narrazione, non solo ritenuta dall’autore la sua strada artistica più autentica e congeniale.

    Spontaneamente attirato da storie dai tratti non definibili con precisione – non troppo realistiche per autorizzare gesti musicali post-veristi; non esageratamente surreali da contraddire l’indole sostanzialmente umana del suo far musica – Chailly trovò la propria autentica dimensione di uomo di teatro nel mondo fantasioso, e a fianco, di Buzzati. Due sognatori d’alta quota insieme. Confrontandosi senza soggezione con quel caratteristico realismo magico. Mettendo in musica, senza compromessi ideologizzanti né scorciatoie alla moda, trame in cui le (in)certezze assurde della vita e dei sentimenti, dichiarate o circonfuse di aura onirica, nello scorrere concomitante di testo e musica, rientrano in una formulazione teatrale di esito espressivo e spessore artistico immediati. In Buzzati in musica l’eco delle rappresentazioni teatrali è cronaca di un incontro speciale, tra uomini che erano speciali di testa e di comunanza poetica anche quando non facevano gli artisti.

    Milano, luglio 2022

    Prefazione alla prima edizione

    Riportiamo qui di seguito la nota editoriale che accompagnava l’edizione originale del 1987: un documento significativo che restituisce fedelmente la temperie culturale degli anni in cui questo libro fu scritto e dato alle stampe per la prima volta.

    Con questo volume la collana si estende a un’altra realtà musicale, spesso evocata ma in gran parte sconosciuta: il melodramma contemporaneo. Cioè quelle opere che affrontano coraggiosamente il giudizio di un pubblico sovente distratto e poco conscio dell’importanza di tener vivo un settore che fu la massima gloria musicale italiana.

    Una parte soltanto di tali lavori raggiunge le ribalte, talora accompagnata da polemiche che nulla hanno a che fare con i loro autori, gode di qualche recita semivuota, interessa per un giorno la critica e, con rare eccezioni, cade nell’oblio più totale, indifferente allo sforzo di autori, cantanti, artisti, e ai valori reali di talune.

    Questa realtà contraddittoria, più ricca di frustrazioni che di onori, è il soggetto del lavoro. A parlarne è uno dei maggiori protagonisti, Luciano Chailly, di cui ricorderemo soltanto il recente successo della Cantatrice calva su testo di Ionesco. Un musicista che ha pur avuto la fortuna di lavorare accanto a grandi nomi e in particolare a Buzzati. Chailly racconta le sue esperienze (e quelle di altri suoi colleghi) con sincerità, a volte persino disarmante; c’introduce in un mondo che è lo specchio di molte vanità; ci fa partecipi di tentativi generosi, di successi effimeri e di fiaschi clamorosi.

    La sua è in ogni caso una testimonianza viva – e affascinante per il rapporto fra la musica e i fantasmi evocati da Buzzati – che avvicina il lettore a qualcuno dei misteri della creazione artistica anche in un mondo disincantato e apparentemente scettico come il nostro.

    Preludio

    Il primo ventennio del dopoguerra fu per i compositori di musica il periodo delle grandi contraddizioni.

    Periodo a modo suo affascinante, come ha scritto Pierre Boulez nel suo Pensare la musica, ma di grande confusione: forse il più intricato, ibrido e ambiguo della storia della musica.

    Nella investigazione per l’adozione o per la riconferma di linguaggi babelicamente diversi trovavi gli eroici furori dei ricercatori del nuovo Eldorado e i paladini dello status quo, agli estremi di un fermento che, animato da contrasti ideologici, tecnici e d’impegno politico, aveva però il limite di una disarmante consapevolezza: che nel reame di Euterpe la grande scossa tellurica era già avvenuta prima della guerra. E a ondate, non in un sol colpo: il futurismo, l’espressionismo, l’atonalismo. La provocazione del pubblico (nel senso auspicato da Schopenhauer per un indice di progresso) c’era già stata. Una rivoluzione era iniziata da tempo, e col sospetto di caos da parte di Stravinsky «in quanto la rivoluzione – scriveva nella sua Poetica della musica – è disordine, mentre l’arte deve essere ordine».

    E benché egli così si esprimesse poco dopo la Sagra, non volendo essere considerato rivoluzionario a programma, nondimeno a inizio di secolo un ordine c’era ancora: le correnti e le individualità, sia pur sempre in un caleidoscopio di tendenze e di stili, erano ben precisate.

    Non solo. Io sono convinto che ogni movimento d’avanguardia, in sé e per sé, non conti. La storia ci insegna che ogni rivoluzione è valsa soltanto al momento in cui ha dato dei capolavori, da Bach a Debussy, da Monteverdi a Wagner; quando cioè fu l’opera a consacrarne i principi. La teoretica o la tecnologia non sono sufficienti a determinare, sotto la specie estetica, il fenomeno d’arte. Tutt’al più possono stimolarlo.

    E il nostro anteguerra di capolavori ne aveva dati tanti: da La valse di Ravel a Le boeuf sur le toit di Milhaud, dal Cappello a tre punte di De Falla alle Kammermusik di Hindemith, da Die Dreigroschenoper di Kurt Weill ai Cori di Michelangelo di Dallapiccola e al Coro di morti di Petrassi. Poi la collana di perle di Stravinsky (Les noces, l’Ottetto, Histoire du soldat, Oedipus rex, la Sinfonia di Salmi, il Dumbarton Oaks, ecc.), la Kammersymphonie e i Klavierstücke di Schönberg, Il mandarino meraviglioso di Bartók, i quartetti del medesimo e alcuni di Gian Francesco Malipiero, i balletti e le sinfonie di Prokofiev, Wozzeck, Lulu e il Kammerkonzert di Berg, la Sinfonia op. 21 e la produzione da camera di Webern.

    * * *

    Ed ecco che dopo questa straordinaria fioritura compare alla ribalta, negli anni seguenti la seconda guerra mondiale, una generazione piena di interessi ma per varie cause stordita e sbandata, una generazione che in prevalenza si trova a vivere sulle varie eredità dei Padri e che finisce poi col trovare in Darmstadt, per la scintilla sprizzata dalla lezione di Webern, l’unico punto di forza per proiettarsi verso il futuro.

    Un agglomerato quindi non compatto, anzi disgiunto, discorde, eterogeneo: una specie di legione straniera dove l’uno non vuol sapere dell’altro, dove (ben lontani dai tempi e dagli intenti del salotto di Apollinaire o della Corporazione Casella) ognuno produce isolatamente, monade senza finestre, chiuso con ostentazione nella sua turris eburnea a perseguire con ardore ma anche con ingenuità i propri idola tribus, negando così a priori l’establishment di uno stile unitario.

    C’era a dire il vero in Italia qualche eccezione, qualche tentativo di affiatamento, come la Bottega dei compositori a Milano, la Camerata fiorentina, il Gruppo romano, ecc., ma erano rapporti più di profitto associativo che di reciproco reale sostegno. Fu proprio per questo complesso di ragioni che la nostra generazione fu definita genericamente di congiuntura.

    Se non che congiuntura dovrebbe significare transizione. Cioè in tal caso il passaggio dal periodo dei geni della prima metà del secolo a quelli della seconda.

    Ma sono sorti i nuovi geni? Per Massimo Toffoletti «l’èra dei geni si estinse con la morte di Stravinsky». Io credo, anche per non essere pessimista, che almeno due sian sorti. Inoltre è indubbio che – superata la fase critica dell’utilizzo indiscriminato dell’alea, della standardizzazione di certo calligrafismo o (per contro) del volontarismo dilettantesco e spregiudicato della corrente che Kagel definì «la seconda categoria di musicisti» – si sono profilati all’orizzonte alcuni compositori di grande personalità, e che – cosa fenomenologicamente influente – hanno saputo creare di sé stessi dei personaggi.

    Ma quanti e quali di questi possono sperare nella sopravvivenza della propria opera? Questo è il punto. Quando si è visto qual è stato, dopo la scomparsa terrena, il calo nelle programmazioni – se non la disattenzione – per autori quali Richard Strauss, Casella, Pizzetti, Ghedini, Honegger e altri!

    Mi è sempre rimasta impressa una lettera assai amara di Gian Francesco Malipiero, ossia di chi era stato, come si sa, uno dei pionieri della Rinascita nel periodo storico del primo Novecento. In quella lettera (che è del 1962), nella malinconica intuizione di un declino ancora da vivo, egli mi scriveva queste parole: «Non la tedierò parlandole di me. Sarà quello che Dio vuole. Mi fa orrore l’ipocrisia dell’età e mi fanno schifo gli organizzatori che da più di un anno giustificano la mia apparizione nei loro malnutriti programmi tirando in ballo la mia età. Mi voglia perdonare questo intermezzo, ma tengo a farle sapere che io non aspiro a farmi onorare».

    * * *

    Ordunque, nel tormentato ventennio dei compositori della generazione di congiuntura visse, e partecipò attivamente ai loro problemi, lo scrittore Dino Buzzati.

    Ed era inevitabile che un autore di tale importanza, nuovo e vario qual era nelle tematiche e nelle ideazioni, dovesse interessare ai compositori a lui contemporanei.

    Difatti finì per calamitarne alcuni, di diversa caratteristica ed estrazione, nei vari campi dell’attività artistica: nel teatro d’opera, nel balletto, nel teatro di prosa, nel neo cabaret, nella musica vocale-strumentale, alla radio, alla televisione, nel cinema.

    Di Buzzati si può dire che è stato esplorato tutto o quasi come scrittore, come giornalista, come critico, come pittore, addirittura come alpinista.

    A Parigi c’è anche la Association des amis de Dino Buzzati che pubblica periodicamente un volume intitolato «Cahiers Dino Buzzati», Edizione Laffont, con studi critici e approfondimenti filologici di ogni genere. È indubbiamente uno degli autori più ricordati e glorificati dopo la morte.

    Ma Yves Panafieu, animatore di tale associazione, quando nella prefazione del suo volume Dino Buzzati: un autoritratto dice «vi presento però un documento incompleto», ritengo che intenda anche riferirsi al fatto che sinora ben poco è stato detto, escludendo le critiche giornalistiche dell’epoca, su Buzzati librettista, scenografo e costumista. In altri termini non è stato ancora focalizzato il suo importante contributo al teatro in musica, con i relativi rapporti con i musicisti del suo tempo e con le conseguenti vicende in cui fu coinvolto.

    Parte I

    BUZZATI E LA

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1