Prendere la politica sul serio: Il realismo nella filosofia politica contemporanea
Di Greta Favara
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Ma quanto in là possiamo condurre la nostra immaginazione politica? Vi sono dei limiti ai mondi politici alternativi, oggetto della nostra immaginazione, che possiamo considerare rilevanti da un punto di vista normativo, ossia in grado di porsi come guide della prassi politica nel mondo reale? Porsi questa domanda equivale a interrogarsi sulla relazione tra fatti e principi in filosofia politica, ovvero a chiedersi se vi siano dei limiti di natura descrittiva che avremmo ragione di porre ai mondi politici alternativi quando questo esercizio immaginativo assume una finalità normativa. Definire i confini dell’immaginazione in filosofia politica normativa e, di conseguenza, il rapporto che dovrebbe intercorrere tra fatti politici e principi politici è dunque cruciale al fine di poter condurre un’indagine normativa adeguata. I limiti che imponiamo all’immaginazione politica hanno un impatto sulle norme che dovrebbero guidare l’agire politico, sul modo in cui valutiamo il mondo politico che abitiamo e sul ruolo che assume il teorico politico stesso.
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Anteprima del libro
Prendere la politica sul serio - Greta Favara
Etica e Politica
2
Collana diretta da
Roberta
Sala
Comitato scientifico
Elvio
Baccarini
(University of Rijeka)
Benedetta
Giovanola
(Università di Macerata)
Beatrice
Magni
(Università degli Studi di Milano Statale)
Roberta
Sala
(Università Vita-Salute San Raffaele)
Fabrizio
Sciacca
(Università degli Studi di Catania)
Se pareba boves, alba pratalia araba,
et albo versorio teneba, negro semen seminaba.
Gratia tibi agimus, potens sempiternus Deus.
© Proprietà letteraria riservata
Edizioni AlboVersorio, Milano 2023
www.alboversorio.it
mail-to: alboversorio@gmail.com
ISBN: 9791281331068
Direzione editoriale: Erasmo Silvio Storace
Impaginazione a cura di: Giorgia Toppi
Greta Favara
Prendere
la politica
sul serio
Il realismo nella filosofia politica contemporanea
A chi sa prendersi cura,
di sé, degli altri, di ciò che è reale.
Indice
Introduzione
Considerazioni preliminari
Capitolo 1: Vocazione
1.1. Introduzione
1.2. Teorie politiche ideali
1.3. Teorie politiche non-ideali
1.4. Teorie politiche realiste
1.5. Conclusione
Capitolo 2: Giustificazione
2.1. Introduzione
2.2. La giustificazione metaetica
2.3. La giustificazione etica
2.4. La giustificazione prudenziale
2.5. Conclusione
Capitolo 3: Struttura
3.1. Introduzione
3.2. Un rompicapo per realisti
3.3. La struttura tripartita delle teorie realiste
3.3.1. Teoria prescrittiva
3.3.2. Teoria critica interna
3.3.3. Teoria critica esterna
3.4. Conclusione
Capitolo 4: Applicazione
4.1. Introduzione
4.2. Gli ideali sono target
4.3. Gli ideali sono benchmark
4.4. Gli ideali sono inutili
4.5. Gli ideali sono modelli
4.6. Conclusione
Bibliografia
Inseguire la verità con sì strana mancanza di riguardo per gli altrui sentimenti, strappare con tanta villania, con tanta brutalità i tenui veli delle buone creanze, costituiva per lei un tale oltraggio al rispetto umano, che, senza rispondere, sbalordita, ella chinò con rassegnazione il capo a quella tempesta di grandine scabra, a quel rovescio d’acqua sporca che le schizzavano addosso. Non c’era nulla da dire.
(Woolf, Gita al faro)
Introduzione
L’esercizio del pensiero filosofico-politico, specialmente quando è condotto con finalità normativa, è un atto immaginativo. Quando ci chiediamo se le circostanze politiche che abitiamo rispondono pienamente a criteri di adeguatezza normativa—quali, ad esempio, criteri di giustizia o di legittimità—non facciamo altro che chiederci se sia possibile immaginare un mondo politico alternativo al nostro che sia più desiderabile di quello attuale. In modo simile, quando ci interroghiamo sulle scelte che siamo chiamati a compiere in ambito politico, valutiamo quale corso d’azione sarebbe preferibile perseguire prefigurando gli scenari alternativi a nostra disposizione e confrontandoli sulla base della loro maggiore o minore desiderabilità.
Ma quanto in là possiamo condurre la nostra immaginazione politica? Vi sono dei limiti ai mondi politici alternativi, oggetto della nostra immaginazione, che possiamo considerare rilevanti da un punto di vista normativo, ossia in grado di porsi come guide della prassi politica nel mondo reale? Porsi questa domanda equivale a interrogarsi sulla relazione tra fatti e principi in filosofia politica, ovvero a chiedersi se vi siano dei limiti di natura descrittiva che avremmo ragione di porre ai mondi politici alternativi quando questo esercizio immaginativo assume una finalità normativa. Sembrano esservi, infatti, almeno due luoghi di interazione tra fatti e principi in filosofia politica che potrebbero giustificare l’imposizione di una limitazione alla nostra facoltà di immaginazione politica.
Il primo luogo di interazione riguarda la relazione tra dovere e potere. Tra i mondi politici che possiamo immaginare come alternative desiderabili vi sono, infatti, mondi politicamente impossibili per noi, ovvero mondi che dipingono uno stato di cose che—seppur desiderabile—non abbiamo la possibilità di realizzare. Se la facoltà d’immaginazione politica è intesa in senso normativo, potremmo allora voler restringere il suo scopo ai soli mondi raggiungibili per noi, distanti o vicini che siano. Infatti, pare discutibile sostenere che vi sia un dovere di fare ciò che sappiamo essere impossibile realizzare. Quando uno stato di cose, benché appaia desiderabile, si rivela impossibile da realizzare, siamo più inclini a descriverlo come una fantasia, anziché come un obiettivo che avremmo il dovere, non solo il desiderio, di raggiungere. Questa limitazione che considerazioni di natura modale avrebbero ragione di esercitare sulle valutazioni di natura normativa appare evidente se considerata in relazione al biasimo morale: difficilmente, infatti, saremmo disposti a giudicare moralmente criticabili coloro che sono responsabili di disattendere principi o obiettivi non perseguibili. Ecco, dunque, che considerazioni meramente fattuali—legate al riconoscimento di quali possibilità politiche sono effettivamente praticabili per noi—assumono un ruolo normativo in quanto definiscono l’insieme dei mondi politici che possono orientare il nostro agire qui ed ora, costituendosi come obiettivi politici desiderabili.
Dicevo, però, che vi è un secondo modo in cui i fatti possono avere un ruolo nel definire la normatività politica. Il secondo luogo di interazione tra fatti e principi riguarda la relazione tra descrizione e prescrizione. Torniamo nuovamente all’idea di filosofia politica normativa quale esercizio che coinvolge l’immaginazione di mondi alternativi politicamente desiderabili. L’immaginazione di alternative possibili richiede una presa di distanza descrittiva dal mondo reale. Le alternative immaginate, infatti, per essere tali, devono includere un certo numero di variazioni sulla descrizione delle circostanze politiche attuali, laddove tali variazioni hanno lo scopo di figurare possibili direzioni per un miglioramento della nostra vita politica. Anche in questo caso, tuttavia, non tutti i mondi potranno essere considerati quali esempi cogenti di alternative desiderabili. I mondi politici alternativi, oltre a essere in una qualche misura possibili, dovranno essere esempi di forme di convivenza politiche
. Così, è plausibile pensare che non tutte le variazioni descrittive possano essere ammesse, poiché alcune si qualificheranno come eccessivamente distanti dalla politica reale per rappresentare esempi intelligibili di forme di coesistenza politica. Ad esempio, si potrebbe contestare l’utilità di immaginare forme di coesistenza politica tra individui perfettamente altruisti, o perfettamente inclini alla collaborazione, quando il nostro scopo è l’indagine normativa della politica e non l’esercizio della mera fantasia. Anche in questo secondo caso, dunque, considerazioni fattuali legate alla natura e ai limiti di ciò che possiamo descrivere come realtà politica hanno un ruolo nella definizione del contenuto della normatività politica.
Definire i confini dell’immaginazione in filosofia politica normativa e, di conseguenza, il rapporto che dovrebbe intercorrere tra fatti politici e principi politici è, dunque, cruciale al fine di poter condurre un’indagine normativa adeguata. I limiti che imponiamo all’immaginazione politica hanno un impatto sulle norme che dovrebbero guidare l’agire politico, sul modo in cui valutiamo il mondo politico che abitiamo e sul ruolo che assume il teorico politico stesso. A seconda, infatti, di quanto ci sarà concesso guardare in là
nel considerare mondi alternativi politicamente desiderabili e—probabilmente—migliori del nostro, saremo più o meno in grado di riconciliarci con le circostanze del mondo attuale, più o meno in grado di assumere uno sguardo benevolente, e il teorico politico sarà più o meno incline a sporcarsi le mani
dialogando con le scienze sociali al fine di acquisire un’opportuna conoscenza dei fatti politici rilevanti.
È dunque ben motivato l’interesse recente che l’indagine metodologica attorno alla relazione tra fatti e principi ha suscitato tra coloro che si occupano di filosofia politica normativa. All’interno di questo articolato dibattito, la corrente filosofica del realismo politico—corrente oggetto di studio di questo libro—ha assunto un ruolo centrale. Coloro che si fanno promotori dell’adozione di un approccio realista in teoria politica, infatti, prendono posizione rispetto a entrambe le questioni metodologiche menzionate poco fa—rispettivamente, la relazione tra dovere e potere e la relazione tra descrizione e prescrizione in filosofia politica—e ne offrono una lettura originale, perlopiù critica verso le metodologie tradizionalmente adottate in filosofia politica contemporanea. In questo libro, mi occupo di analizzare il realismo politico in quanto metodologia di ricerca per la teoria politica normativa e ne offro una sistematizzazione; ossia, mi occupo di chiarire in che modo realtà e teoria si intreccino all’interno di questo paradigma teorico.
Si tratta di un progetto che reputo importante perseguire per due ragioni. Innanzitutto, la metodologia realista in filosofia politica è, allo stato presente, perlopiù asistematica. Malgrado l’interesse mostrato in suo favore, la letteratura sui metodi della teoria politica realista ci consegna spunti disordinati, talvolta difficilmente riconciliabili all’interno di un unico paradigma teorico. La ragione di tale mancanza di sistematicità si deve alla natura piuttosto recente del rinnovato interesse verso il pensiero realista, all’antifondazionalismo in filosofia normativa cui solitamente aderiscono i filosofi realisti e all’impossibilità di identificare una chiara tradizione di pensiero realista nella storia del pensiero politico. Con questo volume, intendo proporre una lettura ordinata della metodologia realista cercando di ricomporre i diversi impegni teorici che la animano all’interno di un quadro coerente. Ma il mio non è, chiaramente, unicamente il tentativo di porre rimedio a un disordine teorico. Cercando di sistematizzare la metodologia realista cerco anche di onorarne la vocazione fondamentale che l’ispira. Il realismo politico trae la sua origine dall’intento di riportare la realtà politica al centro della riflessione normativa in teoria politica. Coloro che aderiscono a tale approccio si rifiutano di concepire la teoria politica come uno sforzo teoretico ancillare ad altri, in particolare alla teoria morale. Ciò è frutto di un’intenzione condivisa fra i teorici realisti, ossia l’intenzione di prendere la politica sul serio. Prendere la politica sul serio in filosofia politica significa teorizzare tenendo ben presenti le specificità della realtà politica cui le riflessioni normative dovrebbero applicarsi, ma anche—e forse soprattutto—tenendo presente che la politica è a tutti gli effetti reale e che, dunque, le norme che giustifichiamo sono pensate per avere un impatto in contesti concreti in cui il mezzo per la gestione delle relazioni è il potere. Ricostruendo i contorni della metodologia realista tento, così, di onorare questa vocazione cercando un metodo di riflessione che possa dirsi compiutamente sulla politica e per la politica.
Prima, però, di illustrare brevemente il mio percorso all’interno di questo volume, è necessaria qualche precisazione. Dicevo che il realismo politico non è qualificabile come una tradizione e che appare come una scuola di pensiero piuttosto disordinata. Occorre perciò che io specifichi il mio oggetto d’analisi. In questo volume mi occupo del realismo politico nella filosofia politica contemporanea. Ogniqualvolta nel volume mi riferisco a realismo politico mi riferisco perciò al realismo inteso secondo questa accezione. Più specificatamente, parlo di realismo in filosofia politica contemporanea facendo riferimento agli studi che hanno inizio—tranne qualche eccezione—con le opere seminali di Raymond Geuss e Bernard Williams. Con la pubblicazione di Philosophy and Real Politics (Geuss, 2008) e In principio era l’azione. Realismo e moralismo nella teoria politica (Williams, 2007) i teorici sono tornati a porre attenzione al realismo in filosofia politica. Negli anni precedenti si riscontra una quasi totale assenza di attenzione sul tema. In questo volume, dunque, tento di porre ordine all’interno della letteratura che si è sviluppata in seguito a questa fase e lo faccio con riferimento, in modo particolare, alle opere di Geuss e Williams. Questo significa che non mi occupo di altre due forme di realismo politico note, che intrattengono stretti legami con la letteratura che esamino, ma che devono essere distinte da questa: il realismo classico e il realismo nelle relazioni internazionali.
Il realismo politico affonda le sue radici in un gruppo estremamente eterogeneo di teorici nella storia. Fra i pensatori che sono classicamente annoverati all’interno di questa scuola troviamo teorici tanto diversi quanto, fra gli altri, Tucidide, Agostino, Machiavelli, Hobbes, Hume, Nietzsche, Weber e Schmitt¹. I realisti contemporanei si rifanno in larga, e in varia, misura al pensiero di questi precursori. La classificazione non è, ovviamente, casuale. I realisti classici
spesso vengono raggruppati all’interno di una comune famiglia in virtù di alcuni temi ricorrenti nelle loro opere. In particolare, si ritiene che ciò che accumuna i realisti classici sia i) l’affermazione dell’autonomia della normatività politica e sul suo carattere irriducibilmente contestuale, ii) un’enfasi su alcuni tratti della realtà politica, considerati quali caratterizzanti e immutabili, quali la presenza di conflitto, disaccordo e potere quale mezzo per la gestione dei rapporti politici, iii) il rifiuto delle teorie politiche che ignorano questi fatti fondamentali, in quanto teorie utopiche o moraliste e, infine, iv) l’assegnazione di una priorità al perseguimento dell’ordine e della legittimità rispetto all’ottenimento di circostanze politiche giuste (McQueen, 2017, p. 1). Questi sono temi che, infatti, ricorrono anche nel corso del presente volume. Tuttavia, al di là di una superficiale somiglianza, le differenze tra questi autori sono profonde². A parte riferimenti sporadici, perciò, non mi occupo di un’esegesi del realismo classico nel contesto di questo libro, impresa che richiederebbe uno sforzo indipendente e di altra natura.
I realisti classici che ho appena menzionato sono anche alla base dell’altra tipologia di realismo che ho ricordato poco fa: la corrente realista nelle relazioni internazionali. Si tratta di una corrente in cui vanno inscritti teorici quali E. H. Carr, Hans Morgenthau, Reinhold Niebuhr e Kenneth Waltz³. I realisti delle relazioni internazionali condividono gran parte degli interessi teorici che animano il realismo classico. Ciò è particolarmente evidente nella centralità che i realisti delle relazioni internazionali assegnano al ruolo del potere nella gestione degli equilibri e dei rapporti politici, nonché nell’enfasi da essi posta sulla necessità che la politica sia indagata quale ambito autonomo (o distintivo) d’analisi che richiede che l’ordine e la stabilità siano posti al centro degli interessi politici, ma anche al carattere anti-utopico delle loro riflessioni⁴. Malgrado le numerose affinità tematiche e metodologiche tra realisti delle relazioni internazionali e realisti contemporanei, il dialogo tra queste correnti è tutt’ora poco sviluppato e l’interesse per le relazioni internazionali non sufficientemente condiviso⁵. I realisti contemporanei, a differenza degli internazionalisti, collocano ancora le loro riflessioni in ambito perlopiù domestico. In questo volume, dunque, non faccio riferimento alla corrente internazionale del realismo politico.
Infine, un’ultima precisazione. Ho detto che, occupandomi di realismo contemporaneo, faccio riferimento principalmente alle opere di Raymond Geuss e Bernard Williams. Questa impostazione potrebbe generare perplessità poiché alcuni teorici considerano i lavori di Geuss e Williams troppo diversi per poter essere conciliati all’interno di un unico schema teorico⁶. È certamente vero che Geuss e Williams propongono letture della politica, e della teoria politica, per certi aspetti molto diverse. Tuttavia, in questo libro non intendo offrire un’esegesi di Geuss e Williams. Piuttosto, intendo ricostruire una versione della metodologia realista che credo possa emergere alla luce degli impegni teorici che sia Geuss sia Williams sembrano condividere. Questo significa che il resoconto della metodologia realista che propongo in questo libro, benché si costruisca a partire dalle opere di Geuss e Williams, in parte se ne distanzia e le rielabora.
Tenendo presenti queste precisazioni, l’analisi che propongo in questo libro è strutturata come segue. Nel primo capitolo offro una prima introduzione alla metodologia realista mettendo in luce quale ruolo la realtà politica assume all’interno di questo approccio. Qui mostro che nel realismo politico la realtà politica svolge un ruolo al livello della giustificazione dei principi normativi e che tale ruolo è motivato, e spiegato, alla luce della fondamentale vocazione che anima il pensiero realista, ossia la vocazione a prendere la politica sul serio. Tale vocazione, argomento, è alla base dei cinque impegni teorici che animano il realismo politico e che possono essere riassunti come segue: i) il perseguimento di un ordine stabile deve essere considerato il primo scopo della politica; ii) la coercizione va accettata quale elemento costitutivo delle relazioni politiche; iii) la critica delle ideologie deve assumere un ruolo centrale nella teoria politica; iv) in ambito politico, occorre agire, e dunque teorizzare, in modo responsabile; infine, come conseguenza di (i)-(iv), v) la teoria politica deve essere antimoralista. Nel secondo capitolo, offro una giustificazione di questo approccio, con particolare riferimento al requisito antimoralista. Secondo il requisito antimoralista, la teoria politica dovrebbe derivare il contenuto delle norme politiche a partire da un’interpretazione dal basso e contestuale del valore delle pratiche politiche stesse, considerato il punto di vista di coloro che vi prendono parte. Nel secondo capitolo mi occupo di esaminare le ragioni per le quali un simile approccio alla teoria politica normativa dovrebbe essere avallato. Qui spiego che è possibile ricostruire un argomento prudenziale in suo favore, facendo leva sul ruolo che la virtù della responsabilità dovrebbe giocare—in una prospettiva realista—in teoria politica. Come spiego, l’atto di argomentare in favore di specifiche teorie politiche non si qualifica come un mero esercizio teoretico; bensì, implementare e seguire i precetti di un paradigma normativo porta con sé conseguenze e costi concreti. Per questa ragione, sostengo che la scelta di quali metodi utilizzare in teoria politica potrebbe, e dovrebbe, essere il frutto di una valutazione prudenziale. Se prendiamo la politica sul serio, spiego che tale valutazione conduce a rigettare il moralismo quale guida pericolosa, dunque poco prudente, per l’azione politica. Se abbiamo buone ragioni per adottare i cinque impegni teorici del realismo, occorre però chiedersi quale possa essere la struttura teorica in grado di soddisfarli. Nel terzo capitolo ricostruisco una struttura teorica della metodologia realista che sia in grado di conciliare questi impegni teorici in modo coerente all’interno di unico schema. Qui spiego che la metodologia realista, per poter conciliare i cinque impegni teorici precedentemente elencati, deve essere interpretata come una struttura tripartita