Emerald Oasis
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Info su questo ebook
Joyce Patrick si trasferisce alla residenza per anziani Emerald Oasis. Si trova ad approfondire la cultura relativa alle fate nonché I loro scandali politici e regali che hanno luogo nel giardino della residenza per anziani stessa. Tutto questo incanto non riesce a risolvere la questione ch’ella si sta ponendo ormai da anni. Cosa ne è stato di suo nipote?
Chloe Gilholy
Chloe Gilholy is a healthcare worker from Oxfordshire. She published her first poem when she was eight and she hasn't stopped since.
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Anteprima del libro
Emerald Oasis - Chloe Gilholy
Prologo
Joyce Patrick vide la sua prima fata all’età di cinque anni. La creatura era piuttosto giovane e portava un abito dorato che le arrivava fino alle caviglie. Le ali erano talmente enormi per il suo fragile corpicino da dare l’impressione che avrebbero dovuto impedirle il volo inchiodandola a terra. Ella non era in grado di ricordare molto della loro conversazione, ricordava però che aveva scambiato il dentino che le era caduto con una moneta scintillante. Ciò rese Joyce tanto felice che la monetina non venne mai spesa. Ella non vide più altre fate da allora.
Joyce anelava un’altra avventura. Era appena tornata da un giro in autobus lungo la costa del Devon, ma non era stato sufficientemente lungo. Aveva bisogno di una vacanza per riprendersi dalla vacanza.
Joyce e suo marito, Oscar, era soliti viaggiare in giro per il mondo. Affidavano i bambini ai nonni, preparavano i bagagli e partivano. Cenavano sulle coste europee e salivano a bordo di molti treni. Per il loro 30° anniversario, avevano preso un treno per il Belgio. Quando il treno si è fermato a Lille, essi sono balzati dal treno tenendosi per mano quindi vi sono prontamente risaliti solo per poter dire di essere stati sul suolo francese, lungo il tragitto.
Ora che è una nonna vedova, quei giorni sono molto lontani. Visita molti luoghi da sola, ma non è mai la stessa cosa. Le mancano i suoi occhiali fuorimisura, i suoi capelli ricci e le sue puzzolenti cravatte di un giallo sgargiante.
Il suo golden retriever, Sonny, è stato fatto morire il mese scorso. La casa era diventata solitaria senza di lui. Non aveva mai creduto di ritrovarsi a pensarci, men che meno a dirlo, ma sentiva la mancanza dei suoi ululati nel cuore della notte. i suoi peti odoranti di uova marce e le sue manifestazioni d’affetto chiassose e turbolente.
«Fattene una ragione!» diceva sua figlia Maxine. «È solo un vecchio e brutto cane».
Sonny non era brutto. Era la creatura più giocherellona che Joyce avesse mai incontrato. Tutte le mattine Sonny era solito balzare sul suo letto alle cinque e mezza, reclamando la propria colazione; quindi se ne andavano a passeggio per il villaggio alle sei.
Maxine non era mai stata amante degli animali. Non avrebbe mai permesso ai propri bambini di tenere degli animali da compagnia in casa sua. Joyce pensava che sua figlia fosse meschina: i bambini li avrebbero amati. Una volta Whitney aveva scritto a Babbo Natale dicendo di desiderare ricevere una cavia da laboratorio per Natale.
Al risveglio, la certezza che non avrebbe più rivisto il muso inebetito di Sonny, le sue orecchie flosce e i suoi tondi occhi neri era tremenda da sopportare. Giunse inevitabile un amaro ricordo di quella perdita.
6.59 AM
Cleo avrebbe telefonato presto. Entro le sette avrebbe chiamato, prima di cominciare la propria giornata di lavoro, alle 7.30. Suo figlio era un uomo di parola. Allo scoccare delle sette il telefono squillò.
«Ciao, tesoro», Joyce seppe chi era nel momento stesso in cui il telefono aveva preso a squillare. Perché Cleo era l’unica persona che la chiamava senza tentare di spillarle i soldi della sua pensione.
«Ciao, mamma. Come stai? Hai già fatto colazione?»
«Non ancora», rispose Joyce. «Penso che mangerò del pane e burro».
«Solamente pane e burro? Non hai voglia di marmellata di agrumi o fagioli stufati e pancetta?»
«Mi farei del pane tostato se il tostapane non fosse rotto!»
«Gli darò un’occhiata stasera. Sei sicura che la spina sia inserita?»
«D’accordo allora», disse Cleo. «Non ho dormito la notte scorsa».
«Perché no?»
«Kelly ha di nuovo fatto rimbombare la casa di urla».
«Cos’è successo?» chiese Joyce.
«È caduta dal letto», rispose Cleo. «Nulla di grave, solamente qualche graffio sulle ginocchia, ma tu sai com’è Kelly, è una tale regina del dramma. A volte si sdraia a terra e incolpa Todd: esattamente com’era solita fare Maxine. Beh, è meglio che vada ora. Ci vediamo più tardi, mamma».
«Ciao, caro».
«La conversazione era stata breve ma aveva allietato la giornata di Joyce. Rimase nei pressi del telefono e chiamò Maxine. Si sentiva a disagio avendo parlato con uno dei suoi figli e non con l’altra.
«Pronto!» la voce di Maxine non invitava alla conversazione.
«Ciao cara», Joyce sapeva che a Maxine non importava, ma voleva solamente sentire la voce di sua figlia.
«Che cosa vuoi?»
«Volevo parlare con te».
«Di cosa?»
«Qualsiasi cosa!» disse Joyce. «Del tempo, per esempio. Del lavoro. O dei bambini».
«Il tempo è uno schifo, come sempre. E i bambini sono a scuola».
«Devono aver finito l’orario scolastico da un bel po’».
«Beh, devono prendere l’autobus per andare e tornare da scuola e Whitney vive con la sua altra nonna e non la vedo più».
«E che mi dici del tuo giovanotto... oh, com’è che si chiama?»
«Non parlare di lui», strillò Maxine.
«Perdonami cara...» Joyce premette con maggiore forza il telefono contro l’orecchio. «Non ho sentito ciò che hai detto».
«È ALL’UNIVERSITÀ».
Il telefono le tremò in mano. «Okay! Non sono sorda! Non c’è bisogno di urlare».
«Bene non farmi più domande stupide».
Joyce riusciva a immaginare sua figlia sul sofà, con indosso una pesante vestaglia bianca che sgranocchiava croccantini salati accompagnati da bevande zuccherine. Come non avesse raggiunto la stazza di un elefante, Joyce proprio non lo sapeva. Perché mai Maxine avrebbe avuto bisogno di lavorare? Suo marito era il ricco uomo d’affari Koga Decrovid. Suo genero lavorava dove lavorava anche Cleo.
«Suppongo che tuo marito si stia preparando per andare al lavoro».
«Si trova già là; praticamente ci vive là».
«Aspetta un attimo, hai detto che Whitney è con lui?»
«No, non l’ho mai detto. Ho detto che si trova a casa della sua altra nonna. Sei sorda o cosa? Beh, non so cosa stiano facendo», gemette Maxine. «Ad ogni modo non è cosa che ti riguardi».
«Quando tornerai a trovarmi?»
«Quando me lo potrò permettere».
«Sono certa che tuo marito ti dia i soldi per il cibo e l’affitto, nevvero?»
«Non sono comunque abbastanza per vivere. A te va tutto bene: hai tutto gratis!»
«Non è affatto tutto gratis. Devo lavorare per potermelo permettere».
«Comunque sia, sono stanca. Me ne vado a letto».
«Perché non ti cerchi un lavoro?» le suggerì Joyce. «Sarai così in grado di permetterti tante belle cose».
«Ed essere la schiava di qualcuno?» rise Maxine. «Non se ne parla. Resto come sono. Lavoro per il Governo percependo il sussidio, ad ogni modo».
«Cosa intendi dire con questo?»
«Sono un dato statistico», dichiarò Maxine. «Non devo fare nulla di nulla. Posso arraffarli. £ 20.000 finché Whitney compirà i 18 anni.
«Aspetta un attimo», disse Joyce. «Mi pareva che avessi detto che non puoi permetterti delle cose. £ 20.000 all’anno mi sembrano un bel mucchio di soldi».
«Le cose costano oggigiorno. Le paghe scendono. L’inflazione sale. Tutto sta rincarando oggigiorno».
«Smettere di fumare e di bere potrebbe essere d’aiuto».
«Oh, sta’ zitta».
«Non ti sento da un po’ e tutto ciò che sai dire è sta’ zitta?»
«Non sto bene», singhiozzò Maxine. «Tu non capisci cosa significhi soffrire di depressione».
«Verrai a trovarmi, vero?» implorò Joyce. Ella sapeva cosa volesse dire soffrire di depressione. Le era stata diagnosticata dopo la morte di Oscar. «Mi sento sola».
«Beh, va’ a scocciare Cleo».
«Mi ha già telefonato», disse Joyce. «Sta andando al lavoro».
«Beh, smamma!» Maxine sbatté il telefono. Joyce si domandò cosa fosse andato storto. Ogni qualvolta che lei menzionava i bambini, la figlia reagiva in modo strano e si metteva sulla difensiva.
C’era qualcosa che sua figlia non le voleva dire. Suo nipote era morto? Era ancora vivo? Non riusciva a ricordare l’ultima volta che aveva visto il figlio maggiore di Maxine. Si imbatteva in Whitney svariate volte sulla strada verso la scuola ma lei non menzionava mai suo fratello.
Joyce salì le scale per andare a prendere la propria tazza nella stanza. Tornando di sotto mancò l’appoggio sul secondo scalino, la mano le scivolò sul corrimano e lei cadde rotolando fino in fondo alla scala. Il tavolino con sopra poggiato il suo telefono si ruppe in due e il telefono la colpì sul volto.
Il dolore le si diffuse per tutto il corpo, seguito poi dalla sensazione di torpore. Aprì nuovamente gli occhi vedendo solo delle lontane e sfocate sfumature di verde e marrone, poi fu il buio. L’ultima cosa che ella vide nella propria casa fu una fatina soprammobile andata in frantumi.
Joyce non riusciva a capire come un semplice tragitto per le scale avesse potuto precipitarla nelle tenebre, trasportandola in una spiaggia calda e assolata. Le tenebre si dileguarono per rivelare una località di mare che a Joyce rimasta nel cuore per decadi.
Blackpool: un luogo incantevole.
Joyce poteva vedere chiaramente mari e cieli mentre camminava dirigendosi verso il molo settentrionale. Una donna alta con lunghi capelli neri e un abito svolazzante catturò il suo sguardo. Il vento muoveva le onde e la gonna attorno alla figura femminile mentre questa correva incontro a Joyce con le braccia spalancate. La donna non parlava ma le sue impronte rimanevano impresse nella sabbia mentre correva.
Proprio mentre la donna stava per aprire la bocca, Joyce fu nuovamente trasportata in quella ch’ella avvertì essere una nuova dimensione. Desiderò di non essersi mai svegliata. Era intrappolata tra spoglie e semplici pareti e sbarre di metallo. Non era in prigione ma si sentiva costretta. Un gruppo di persone stava sussurrando fuori dalla sua stanza.
Era stato deciso che lei non avrebbe più potuto tornare a casa. Ella voleva solamente andare a casa nei luoghi dov’era abituata a vivere. Non le sarebbe dispiaciuta neanche una residenza per anziani se ciò avesse significato andarsene da lì.
L’ospedale era sovraffollato, il cibo era terribile e le sue amate tazze da tè erano distrutte. Si era alzata molte volte dal letto ma le era stato ordinato di tornarci e di rimanerci. Ella aveva così perso la cognizione dello scorrere del tempo.
Girava e rigirava ogni mattina, sperando che qualcuno le avrebbe dato un passaggio e l’avrebbe portata via. Era stata ricoverata lì per una ragione, Joyce però non si sentiva più malata. «Non reggo più questa situazione», disse, afferrando le sue cose e uscendo dalla propria piccola stanza.
«Mrs. Patrick, non siete nelle condizioni adatte per andare a casa», disse un estraneo. «Su, torni indietro».
Era arcistufa che degli estranei le dicessero che doveva restare lì finché non si fosse liberato un posto in una residenza per anziani. Joyce aveva spazio a sufficienza, avrebbe potuto avrebbe faticato a far le scale, ma avrebbe potuto sempre dormire sul sofà, a casa. Aveva persino pensato di installare nuovamente il vecchio montascale di Oscar. Troppo pericoloso, le dicevano di continuo. Per quanto la riguardava era solo un mucchio di fesserie.
Il reparto era pieno di persone che andavano e venivano, alcune morivano anche. Non si era mai sentita così sola. Niente casa. Niente marito. Niente cane. Un figlio sempre impegnato e una figlia alla quale non importava di lei. Non vi era, là, semplicemente personale a sufficienza per tutti i pazienti. Nella sua corsia i pazienti erano 40 a fronte di 4 membri del personale che dovevano occuparsi di loro. Nei giorni buoni vi sarebbero state molte più persone. Nei fine settimana il numero di membri del personale calava a 3.
Il sudore prese a colarle lungo il viso semplicemente standosene distesa a letto. Poteva solo immaginare cosa volesse dire per il personale correre di qua e di là per tutto il giorno indossando uniformi. Joyce era dell’opinione che lavorare su turni di 12 ore fosse un crimine e non riusciva a immaginare qualcuno che potesse volerlo fare di propria volontà.
«Mrs. Patrick c’è qui qualcuno che vuole vedervi».
L’infermiera condusse nella stanza una donna alta, vestita tutta di nero che recava in mano un portablocco. Aveva l’aspetto di qualcuno dotato di molta autorità. Era stata intimidatoria finché non le aveva sorriso, alla maniera in cui era solita sorriderle sua madre.
«Salve, Mrs. Patrick. Sono Anne Chaser: vicedirettrice di Emerald Oasis».
«Oh, sembra carino», disse Joyce. «È un albergo?»
«Sì, può anche definirlo così. È una residenza per anziani che ha aperto cinque anni orsono».
«E voi siete venuta per condurmi là?»
«Quando avremo un posto disponibile», replicò Anne. «Vostro figlio è venuto a dare un’occhiata la settimana scorsa e gli è piaciuta. Io sono venuta per fare una vostra valutazione».
«Non vedo l’ora di andarmene da qui», sussurrò Joyce. «Voglio dire, i membri del personale sono adorabili, però lavorano come schiavi. È una cosa orribile a vedersi. Non mi piace la routine quotidiana qui».
«Non avrete nulla di cui preoccuparvi sotto questo punto di vista. A parte i pasti, non vi è alcuna routine da noi. Siete libera di fare ciò che vi piace».
Joyce si godette la conversazione. Per la prima volta dalla morte di Oscar, si sentiva speranzosa riguardo al futuro. Qualsiasi cosa pur di andarsene da quel desolato ospedale.
VALUTAZIONE PAZIENTE
Nome completo: Joyce Kathleen Patrick
Data di nascita: 13 maggio 1937 Età: 80 anni
Parente prossimo 1: Cleo Patrick (Figlio)
Parente prossimo 2: Maxine Decrovid (Figlia)
Data della valutazione: 29 gennaio 2017
Nome del valutatore: Anne Chaser (vicedirettrice)
Indirizzo del paziente: 7, Cup-And-Saucer Street, Uddington-Crown, FY98OB
NOTE RIGUARDANTI IL PAZIENTE
Joyce Patrick è una donna ottantenne attualmente ricoverata presso l’Uddington-Crown Hospital a seguito di una caduta dalle scale in casa sua. Ella vive sola in una casa di due piani nel villaggio di Uddington-Crown.
Ha una storia di cadute, avendone subite dieci negli ultimi sei mesi. Joyce è vedova e ha un figlio, una figlia e cinque nipoti. Aveva un cane di nome Sonny morto di recente. È molto affezionata a suo figlio. Non le piace stare in ospedale e vuole uscirne al più presto possibile. Tenendo conto della sua storia di cadute ripetute e in considerazione di quanto è grande la casa, è stato deciso nel suo interesse che la sua casa non è più adatta a lei.
MOBILITÀ
Joyce è pienamente deambulante e non fa uso di ausili per la deambulazione al momento. Joyce possiede un deambulatore ma si rifiuta di utilizzarlo. Comprende i rischi del cadere e tuttavia ha scelto di non utilizzare alcun supporto o ausilio alla deambulazione.
CURA PERSONALE
Joyce è in grado di provvedere alla propria cura personale ed è in grado di scegliere da sé i propri abiti. Joyce è pienamente continente ed è in grado di recarsi al bagno senza assistenza. Dice che chiederà aiuto quando le servirà.
CONDIZIONI GENERALI DI SALUTE
Joyce segue una normale dieta. Ella ha patito ferite al capo e alle gambe in seguito alla recente caduta che sono andate migliorando nel tempo. Al momento versa in buone condizioni di salute fisica.
ULTERIORE ASSISTENZA NECESSARIA
Joyce potrà necessitare di un incoraggiamento a prender parte alle attività e potrà aver bisogno di rassicurazioni di quando in quando. Ha perso di recente il proprio cane, perciò potrà apparire, a volte, depressa persa nel rimpianto per tale perdita. Durante la valutazione ha detto spesso di sentirsi sola.
Sarebbe adatta a un collocamento presso la nostra struttura? Sì
Ragione per l’ammissione: la sua casa attuale non è più adatta a lei.
Livello di assistenza: Residenziale.
Capitolo 1
Le Fate nel giardino
Oggi è stato il giorno in cui Joyce ha fatto del suo meglio per far tutto ciò che le è stato detto in ospedale per assicurarle una rapida guarigione. Non le era consentito di ritornare a casa, non riusciva a ricordare il perché, ricordava però che il personale dell’ospedale aveva tentato di dirglielo molto spesso. Ad ogni modo, era lieta di andarsene.
Il suo umore si sollevò all’istante quando Cleo fece il suo ingresso nella stanza. Ella sollevò la propria valigia e uscì di gran carriera.
«Sono libera», urlò.
«Hey!» disse Cleo. «Calmati, non vorrai cadere di nuovo».
Joyce tornò in punta di piedi da Cleo. «No, non voglio cadere. Ora dimmi, dove si trova questo Emerald Oasis, dunque?»
«Non lontano», disse Cleo. «Ti condurrò là».
«Perdonami, per essere un tale fastidio. È solo che sono così felice di